Breve compendio sulla convenzione di Roma e sulla legge applicabile ai contratti internazionali

Medda Federica 10/07/08
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La Convenzione di Roma è entrata in vigore il 1° aprile 1991.
La sua applicazione si estende ai contratti conclusi posteriormente a questa data ed alle obbligazioni contrattuali (art. 1.1), sebbene un certo numero di materie, quali per esempio l’arbitrato, siano escluse dal suo ambito.
Tale Convenzione è detta “universale” perché si attua anche se la legge designata dalla regola di conflitto non è quella di uno Stato parte alla Convenzione (art. 2). Ciò significa, molto semplicemente, che le regole di conflitto contenute nella Convenzione di Roma divengono le regole di conflitto di tutti gli Stati membri e rimpiazzano le regole nazionali anteriormente in vigore. Costituiscono quindi le regoli del diritto comune per gli Stati, e sono applicabili a partir dal momento in cui il giudice di uno Stato firmatario è chiamato ad intervenire.
Sarà quindi interessante, prima di analizzarne brevemente il contenuto, di concentrare l’attenzione su delle difficoltà preliminari.
 
I- Delle difficoltà di definizione
 
Un problema classico del diritto internazionale privato dei contratti è la definizione stessa di contratto internazionale. Esistono infatti molteplici traduzioni possibili.
Seguendo un approccio economico, il contratto internazionale riposerebbe sull’idea di scambio attraverso le frontiere. Questa definizione è poi quella ritenuta nell’ambito dell’arbitrato internazionale. Esiste poi la possibilità di dare una definizione giuridica a questi contratti che si fonda sulla presenza di elementi di estraneità. La Convenzione di Roma ha dato la sua preferenza a quest’ultima caratterizzazione, nonostante questa scelta non sia espressamente indicata nel testo.
In realtà, il testo convenzionale è abbastanza laconico sulla definizione di internazionalità: l’articolo Primo indica che la Convenzione troverà ad applicarsi in tutte quelle situazioni comportanti un conflitto di leggi. Certamente sarebbe stato più opportuno precisare in quali casi ci si trova in presenza di un conflitto di leggi, ma la Convenzione rimane silenziosa in materia.
Tuttavia, un’interpretazione a contrario dell’articolo 3.3 fornisce la risposta: quando tutti gli elementi del contratto sono localizzati in un solo Paese, la scelta di una legge straniera dalle parti non permette una deroga alle disposizioni imperative della legge di questo Stato. Si tratta, qui, del problema dell’estraneità soggettiva: un contratto diventa internazionale solamente per il fatto che le parti hanno designato una legge straniera?
La risposta della Convenzione di Roma ad un tale quesito è davvero originale.
In effetti, il responso classico a questa questione sarebbe consistita a considerare non valida una tale opzione. La Convenzione, invece, la considera legittima ma ne limita considerevolmente la portata. La clausola di scelta è valida ma le parti, in compenso, non possono derogare alle disposizioni imperative della legge del Paese in cui si trovano tutti gli elementi della situazione. Le disposizioni imperative a cui si fa riferimento sono le disposizioni imperative interne. Ciò significa allora, che la legge voluta dalle parti ha in tal caso il valore di una semplice clausola contrattuale. Si dice infatti che la legge straniera è, in questo modo, “contrattualizzata” o incorporata al contratto.
Interpretato al contrario, quindi, l’articolo 3.3 indica che nel caso in cui tutti gli elementi della situazione sono dispersi in più Stati,e quindi, a partir dal momento in cui esistono più elementi di estraneità, la legge scelta dalle parti per il contratto disciplinerà quest’ultimo.
 
La definizione ritenuta dai redattori della Convenzione di Roma dei contratti internazionali è quindi di tipo giuridico. È sufficiente che esista un qualunque elemento di estraneità per che ci si trovi di fronte ad un contratto internazionale e che le parti ritrovino la loro libertà nello scegliere la legge più adatta alla loro stipulazione.
La Convenzione, pertanto, non opera nessuna distinzione tra i vari elementi di estraneità: sono tutti pertinenti e basta che siano significativi, come per esempio il luogo di conclusione del contratto, il domicilio o la nazionalità dei contrattanti o il luogo d’esecuzione dell’accordo. Tutto questo liberalismo del testo convenzionale, sembra essere piuttosto criticato dalla dottrina.
 
 
II- Della scelta della legge applicabile ad un contratto internazionale
 
Il principio, in materia di regole di conflitto, è che le parti al contratto determinano la legge che lo disciplinerà. Questa legge così scelta, si imporrà alle parti e dirigerà il contratto tra loro stipulato. Si parla, in tal caso, del principio d’autonomia delle parti (art. 3).
Rimane tuttavia da sottolineare che, dal momento in cui esiste un elemento di internazionalità, i contrattanti sono completamente liberi di scegliere. La loro libertà di determinazione della legge applicabile alla convenzione conclusa sarà quindi totale, ben che priva di qualunque legame con quest’ultima. Tuttavia, se si può affermare che la libertà conferita alle parti è molto ampia, la stessa è controbilanciata dall’esistenza del meccanismo delle leggi di polizia e dall’unica restrizione che è quella di dover scegliere una legge statale.
 
Nel caso in cui nessuna scelta sia stata attuata, la legge applicabile sarà quella della residenza abituale o dell’amministrazione centrale della parte che fornisce la prestazione caratteristica del contratto, cioè, la legge del luogo in cui il debitore della prestazione caratteristica è stabilito (art. 4.2).
Esistono inoltre delle regole di raccordo specifiche sia per i contratti il cui oggetto è un diritto reale immobiliare o un diritto di utilizzazione di un immobile (art. 4.3), sia per i contratti di trasporto delle merci (art. 4.4).
Ciò nonostante, se la normativa eletta dalla regola di conflitto non è quella che intrattiene le relazioni più prossime con il contratto, il giudice conserva la facoltà di applicare quella legge che disporrà dei legami più stretti. Questa facoltà lasciata al giudice è molto criticata in dottrina a causa dell’insicurezza giuridica che rischia di creare.
 
Il giudice ha comunque l’obbligo di applicare le leggi di polizia del foro (art. 7.2), cioè le disposizioni che regolano in maniera imperativa la situazione giuridica, e questo, qualunque sia la legge applicabile al contratto. Queste leggi sono le disposizioni imperative internazionali che si avvantaggiano di una perentorietà particolarmente forte.
Il giudice dispone inoltre della facoltà di mettere in atto, in virtù dell’articolo 7.1, le leggi di polizia straniere. Questa possibilità resta tuttavia largamente sottomessa all’apprezzamento del giudice. Secondo il testo della Convenzione, infatti, il giudice potrà dare effetto a delle leggi di polizia straniere se la situazione presenta un legame forte con il Paese da cui sono promulgate. Per decidere sulla loro applicazione, il giudice terrà conto della loro natura e del loro oggetto, così come delle conseguenze che potrebbero risultarne.
 
Inoltre, è importante ricordare che l’applicazione di una disposizione della legge designata può essere scartata se manifestamente contraria all’ordine pubblico (art. 16), e che il diritto comunitario derivato si impone alla Convenzione di Roma (art. 20), così come alle convenzioni internazionali più speciali (art. 21). 
 
Dott.sa Federica Medda

Medda Federica

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