Bossing, mobbing, straining nel pubblico impiego. 1) Il trasferimento per ritorsione: analisi di un caso.

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Di bossing, mobbing e straining (1) nel pubblico impiego ci siamo già (incidentalmente) occupati quando abbiamo trattato dell’abuso del potere organizzativo del datore di lavoro pubblico (2) e della tutela dei diritti dei lavoratori avuto riguardo al comparto degli Enti locali (3).
Questa problematica, peraltro, può essere affrontata anche attraverso l’analisi di casi specifici, richiedendo al lettore la necessaria pazienza: non si parte dal presupposto (dato per già accertato) che uno o più atti riconducibili a mobbing siano stati commessi, essendo proprio tale accertamento l’oggetto dell’indagine. E l’interesse per una tale indagine deriva dal fatto che nel pubblico impiego si è soliti ammantare con solide motivazioni anche gli atti peggiori, sì da dare ad essi una parvenza di legittimità. A meno di non avere a che fare con degli sprovveduti, infatti, gli atti con i quali il datore di lavoro pubblico dispone, un trasferimento, un mutamento di mansioni, etc., si troveranno redatti in modo tale da fare emergere sempre una esigenza organizzativa che ha reso necessario quel trasferimento o mutamento di mansioni. Affrontare casi concreti partendo dall’inizio, ossia proprio dall’indagine sul “se” le cose stiano esattamente nel modo rappresentato dal datore di lavoro (o se, piuttosto, costui ha in concreto ecceduto ed abusato dei poteri che la legge gli conferisce), consente, tra l’altro, di mettere a fuoco il modo di operare nella pubblica amministrazione, testando l’efficacia dei rimedi approntati dall’ordinamento.
Un caso che ci sembra particolarmente interessante avuto riguardo agli obiettivi che ci siamo posti è quello che riguarda M.M., quarant’anni, dipendente di un Ente locale territoriale del Centro Italia, che lamenta di aver subito un trasferimento per ritorsione.
Il Sig. M.M. è stato assunto presso l’Ente locale di che trattasi il 1/1/1994 come istruttore amministrativo 6^ q.f ex DPR 333/1990 (categoria C secondo la nuova classificazione di cui al CCNL 31/3/1999) ed è approdato alla categoria D il 31/3/2004 a seguito di progressione verticale mediante selezione per titoli ed esami.
Assegnato dal 21/5/2001 al Servizio Gestione Patrimoniale, M.M. si è occupato prevalentemente dei contratti immobiliari e delle concessioni amministrative su beni del demanio e del patrimonio indisponibile; responsabile di procedimenti aventi rilevanza esterna con “procura a negoziare contratti” («procura ad negotia illimitata, salva ratifica ex artt.107 e 192 T.U. Enti Locali» si legge negli atti ufficiali di conferimento della relativa responsabilità), compresi quelli di transazione, e con diretta partecipazione a procedure di conciliazione in rappresentanza dell’Ente.
Le attività svolte dal dipendente M.M. nell’ambito del Servizio Gestione Patrimoniale sono state da ultimo accertate con nota dirigenziale in data 20/10/2004: «il suddetto dipendente, in quanto responsabile di procedimenti, coordina l’attività di tutti quei soggetti, interni ed esterni, che cooperano in via tecnica e ausiliaria nella definizione degli stessi: individuazione, richiesta e verifica di ispezioni, giudizi, stime, accatastamenti e volture all’Ufficio Tecnico e ai tecnici esterni (singoli e associati) incaricati. Attività di coordinamento – per la materia trattata certamente non occasionale – particolarmente importante laddove – come nel nostro caso – manchi una struttura tecnica alle dipendenze e sotto la direzione del Servizio. Sotto il secondo profilo (titolarità di specifiche responsabilità), il suddetto dipendente svolge attività che rientrano in tutte e tre le tipologie individuate. In particolare si deve fare riferimento: a) ai rapporti e ai contratti di locazione con il Ministero dell’Interno per ciò che riguarda la responsabilità di procedimenti complessi e rilevanti (ma si potrebbero citare anche quelli relativi alla sanatoria delle situazioni esistenti nell’area demaniale del Lago di (…), la ricognizione dei beni di interesse storico-artistico alla luce del codice dei beni culturali e l’emersione dell’abusivismo nel demanio idrico); b) alle ricorrenti (dal 2001) procure “ad negotia” illimitate, salva ratifica (ossia l’autonomia di individuare concretamente l’oggetto in sede di trattativa, salva ratifica ex artt.107 e 192 T.U. Enti Locali) per ciò che riguarda l’elevato livello di autonomia nella programmazione e gestione delle procedure e attività affidate; c) alle trattative direttamente condotte con Prefetto, Vice Prefetto, Sindaci e Assessori, Dirigenti, Dirigenti scolastici, proprietari di immobili, Società, notai, avvocati, amministratori di condominio, associazioni, per ciò che riguarda la tipologia di utenti dei procedimenti affidati complessa o per numerosità o per particolare qualificazione».
Va qui subito detto che gli incarichi conferiti dal Dirigente Servizio Gestione Patrimoniale al dipendente M.M. si configurano oggettivamente quali attribuzioni di mansioni superiori che M.M. ha svolto in modo prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale (art.52 D. Lgs. 165/2001) anche nel periodo in cui lo stesso era inquadrato in categoria C (dal 21/5/2001 al 30/3/2004) (4). Indice rivelatore di ciò è, tra l’altro, una nota e-mail in data 21/11/2001, con la quale il Dirigente Servizio Risorse Umane di quello stesso Ente, in riferimento ad un incarico conferito al dipendente M.M. con atto in data 20/11/2001 scriveva al Dirigente Servizio Gestione Patrimoniale che “a mio parere non sembra neppure ragionevole attribuire una responsabilità con così elevata valenza esterna a personale inquadrato in categoria C”.
Il contributo ascrivibile al dipendente M.M. con riferimento ai risultati raggiunti dall’Ente in materia di gestione patrimoniale ed alla impostazione di un agire amministrativo diretto alla corretta gestione e valorizzazione delle risorse pubbliche può essere in questa sede riassunto come segue: a) conduzione di studi e poi di concrete attività dirette a mettere ordine e a fare chiarezza nei rapporti con l’Amministrazione dell’Interno in ordine alla allocazione di caserme dei Carabinieri e dei Vigili del Fuoco, della Questura e della Prefettura; b) conduzione di studi e poi di concrete attività dirette ad ottenere la rinegoziazione di tutti i contratti non conformi alla normativa vigente, scongiurando danni erariali per pagamento di somme non dovute; c) conduzione di studi e poi di concrete attività dirette al recupero dei crediti (scongiurandone la prescrizione); d) conduzione di studi e poi di concrete attività dirette a risolvere problematiche particolari, quali quelle legati all’abusivismo nelle aree demaniali dello Stato passate in gestione all’Ente locale a seguito dei decreti legislativi di trasferimento delle funzioni; e) ricostruzione della situazione patrimoniale immobiliare dell’Ente con la redazione dell’anagrafe degli edifici; f) ricostruzione della situazione relativa alle partecipazioni azionarie dell’Ente con la redazione dell’anagrafe delle società e dei consorzi; g) ricostruzione dello stato delle locazioni attive e passive, nonché dell’utilizzo in altro modo (comodati, affitti, concessioni amministrative) dei beni dell’Ente di cui trattasi (5).
Al dipendente M.M. si deve altresì la predisposizione di prontuari e manuali con la normativa di settore; prontuari e manuali ideati e realizzati dallo stesso M.M. per rispondere alle esigenze (di conoscenza degli istituti e) di coordinamento tra i diversi Servizi interessati alla materia della gestione patrimoniale secondo le rispettive competenze (trattandosi di organizzazione complessa per cui, ad es., la manutenzione degli edifici di proprietà o presi in locazione spetta al Servizio Tecnico; determinati rapporti con i proprietari degli immobili non possono che essere tenuti dai singoli Servizi che operano nelle sedi distaccate prese in locazione; etc.. Di qui la necessità, ravvisata dal Sig. M.M. e condivisa dal dirigente Servizio Gestione Patrimoniale, di dotarsi di tali strumenti realizzati per lo più con mezzi propri e nel tempo libero) (6). 
Per completare il quadro si deve altresì aggiungere che il dipendente M.M. ha partecipato negli anni a diversi corsi di formazione e di aggiornamento professionale nella specifica materia, tra i quali possono citarsi: “Il Regolamento per l’alienazione del patrimonio immobiliare”, Bologna, 10/4/2003; “Le concessioni amministrative: disciplina, competenze e responsabilità”,Roma, 6-7 maggio 2004; “Il patrimonio, gli ammortamenti, gli inventari e il processo di cartolarizzazione”,Firenze, 20-21 maggio 2004; “Rinnovo, rinegoziazione e recesso nei contratti della pubblica amministrazione”,Roma, 21-22 giugno 2004; “Il patrimonio immobiliare degli enti pubblici: acquisizioni, dismissioni e gestione”,Roma, 14-15 ottobre 2004; “Gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico”,Verona, 12-13 aprile 2005; “Come amministrare il patrimonio immobiliare pubblico”,Verona, 21-22 aprile 2005; “Guida alla stima degli immobili”,Verona, 26-27 maggio 2005; “Valutazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare”,Bologna, 12-13 ottobre 2005. E si può fin d’ora aggiungere che in data 16/11/2005 – a trasferimento già avvenuto – il dipendente M.M. ha partecipato a proprie spese anche al corso dal titolo: “L’amministrazione del patrimonio immobiliare pubblico”,tenutosi a Bologna. La partecipazione di. M.M. a tale corso era stata programmata e concordata con il dirigente del Servizio Gestione Patrimoniale che con determinazione in data 25/10/2005 (ossia tre giorni prima del trasferimento disposto con atto del Direttore Generale in data 28/10/2005) aveva anche provveduto ad impegnare la relativa spesa.
Con atto del Direttore Generale in data 28/10/2005 il dipendente M.M. viene trasferito ad altra sede (pur ubicata nello stesso comune), ad altro Servizio (Servizio Polizia Locale) e per lo svolgimento di mansioni diverse, rivelatesi prevalentemente di contenuto inferiore a quelle precedentemente esercitate.
Il Sig. M.M. ritiene che il suo trasferimento non sia dovuto a “ragioni tecniche, organizzative e produttive” (art.2103 c.c.), ma sia frutto del clima di ostilità in cui per anni si è trovato ad operare (clima di ostilità diventato ancora più pesante proprio nel periodo precedente il trasferimento) e che si tratti quindi di una ritorsione (anche con riferimento ad alcune vicende specifiche) che il Direttore Generale di quell’Ente ha attuato ai suoi danni “nella prima occasione utile” che gli si è presentata.
Vediamo perché.
 
1. Sull’inesistenza di “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”.
Ai sensi dell’art.2103 c.c., ultima parte, il prestatore di lavoro “non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”; ogni patto contrario è nullo.
Questa parte dell’art.2103 c.c. (non derogata dall’art.52 D. Lgs.165/2001, che deroghe ne detta – come vedremo – ma solo per ciò che riguarda la disciplina delle mansioni) è senz’altro applicabile al caso in esame, sì che è necessario verificare subito quantomeno l’astratta sussistenza di tali esigenze.
L’Ente in cui lavora il dipendente M.M. è stato interessato da un processo di riorganizzazione deliberata con atto di Giunta in data 11/10/2005; processo di riorganizzazione che è consistito in una mera ricollocazione dei Servizi esistenti e del personale agli stessi assegnato all’interno di cinque macro-aree (esclusi i Servizi “Staff organi istituzionali e di governo” e “Polizia Locale”, non inquadrati in nessuna delle nuove macro-Aree). Si può, insomma, dire che sono state cambiate le targhette, che sono stati attribuiti maggiori poteri a cinque dirigenti ora diventati direttori di Area, ma si può dire anche che, nelle Aree e nei Servizi che le compongono, tutti i dipendenti continuano a svolgere esattamente le stesse mansioni che svolgevano prima della riorganizzazione, ad eccezione di M.M., che è stato trasferito ad altro Servizio e ad altre mansioni con un atto ad hoc adottato dal Direttore Generale proprio qualche giorno prima (28/10/2005) di adottare quello col quale lo stesso Direttore Generale ha provveduto alla complessiva riassegnazione del personale (31/10/2005). Da subito, però, dobbiamo dire che questa riorganizzazione, benché fondata su un cambio di targhette, deve considerarsi di carattere generale: non si è trattato, cioè, del solo accorpamento del Servizio Gestione Patrimoniale nella più ampia Area Politiche del Territorio. Ciò si precisa perché nell’atto di trasferimento adottato dal Direttore Generale si legge che il trasferimento stesso sarebbe dovuto al fatto che il Dirigente del Servizio Polizia Locale, con una nota in data 21/10/2005 (attenzione alle date), avrebbe chiesto l’assegnazione di unità aggiuntive di personale per realizzare un progetto finalizzato ad una “gestione integrata del procedimento sanzionatorio” (progetto allora non ancora approvato e tuttora da approvare e quindi da attivare; ci sono, anzi, decisioni della Giunta che vanno in direzione opposta, con l’affidamento di procedimenti e rappresentanza a Servizi e dirigenti diversi da quello della Polizia Locale). In tutta fretta il Direttore Generale individua nel dipendente M.M., che non si è mai occupato di procedimenti sanzionatori, l’”unità aggiuntiva di personale di cat.D CCNL 31.03.1999 e qualificazione amministrativa idonea rispetto ai compiti da svolgere”. Così lo individua, si legge nell’atto di trasferimento, “anche in considerazione dell’avvenuto accorpamento” del Servizio Gestione Patrimoniale (cui il dipendente M.M. era assegnato) “alla più vasta Area Politiche del Territorio”.
Il ricorso a frasi fatte come quelle sulle “economie di scala” e sulla “ottimizzazione delle risorse” (7) non basta a giustificare ciò che non è giustificabile per una triplice serie di semplici considerazioni: 1) gli “accorpamenti” hanno riguardato la generalità dei Servizi, non solo il Servizio Gestione Patrimoniale (il successivo provvedimento del Direttore Generale in data 31/10/2005 – di assegnazione del personale ai relativi Servizi ed Aree – parla, infatti, di “ricognizione generale”); ergo, la scelta caduta “in tutta fretta” sul dipendente M.M. (che – si ripete – non si è mai occupato di procedimenti sanzionatori, mentre con profitto aveva operato nel campo della gestione patrimoniale) la dice di per sé lunga sulla “genuinità” della scelta fatta dal Direttore Generale; 2) il Dirigente del Servizio Polizia Locale aveva chiesto sì l’”attivazione di una gestione centralizzata del procedimento sanzionatorio” e l’assegnazione di “due figure di personale amministrativo appartenenti alla categoria C e D”, ma, da un lato, la gestione centralizzata del procedimento sanzionatorio al momento del trasferimento del dipendente M.M. non era ancora stata attivata (e, se per questo, non lo è neanche ora); dall’altro, lo stesso Dirigente della Polizia Locale notava nella stessa lettera del 21/10/2005 come il personale di categoria C e D che richiedeva poteva essere individuato nell’ambito dei Servizi già interessati dalla gestione del procedimento sanzionatorio (che col progetto si vorrebbe centralizzare nell’ambito del Servizio Polizia Locale): “tale aumento (di personale) – si legge, infatti, nella sua lettera – potrebbe anche compensare una riduzione dei carichi di lavoro nei Servizi il cui procedimento sanzionatorio fosse assunto in carico dal Servizio di Polizia Locale”; 3) non risponde al vero l’affermazione secondo cui che nella più vasta Area Politiche del Territorio vi sarebbero state le competenze specifiche già acquisite e dimostrate sul campo dal dipendente M.M., perché in tale Area, per quanto riguarda la materia del patrimonio immobiliare, operano coloro che prima della riorganizzazione, se tecnici, si occupavano (e continuano ad occuparsi) di manutenzione degli edifici, stime, etc., e, se amministrativi, di questioni e problematiche diverse, anche sotto il profilo qualitativo, da quelle affrontate dal Servizio Gestione Patrimoniale.
All’esigenza manifestata dal Dirigente del Servizio Polizia Locale con nota del 21/10/2005 (il cui progetto, giova ancora ribadire, non risulta a tutt’oggi attivato, né approvato), era ragionevole rispondere in maniera diversa, valorizzando anziché disperdendo le professionalità formatesi nell’Ente in campo patrimoniale sì come in quello sanzionatorio, applicando (continuando ad applicare) al patrimonio quelli che con profitto in tale ambito avevano operato ed applicando (continuando ad applicare) al procedimento sanzionatorio (vuoi centralizzato presso il Servizio Polizia Locale, vuoi decentrato come è adesso) coloro che in tale ambito hanno costruito la loro professionalità. D’altra parte, è proprio l’atto dello stesso Direttore Generale del 31/10/2005, come si è già detto, che parla di “riorganizzazione complessiva” (e non di soppressione di un Servizio con accorpamento in altri del personale dipendente): il Servizio Gestione Patrimoniale rimane anche nominalmente nella nuova organizzazione dell’Ente e con competenze che rispecchiano esattamente quelle esercitate fin dalla sua costituzione.
 
2. Sulla violazione dei principi di correttezza e buona fede.
Quelli desumibili dai principi di correttezza e buona fede di cui agli artt.1175 e 1375 c.c. costituiscono altrettanti limiti al potere (organizzativo e) direttivo del datore di lavoro, pubblico e privato; trattasi di clausole generali che si rivelano utili “soprattutto in relazione a certe zone franche di esercizio del potere direttivo, tali perché carenti di una disciplina legale (o contrattuale) espressa. Buona fede e correttezza, allora, possono essere invocate come un limite interno all’esercizio dei poteri del datore di lavoro, ovvero come criteri atti a verificare che quei poteri non siano esercitati in maniera arbitraria o irrazionale, bensì in coerenza con la funzione per la quale essi sono riconosciuti dall’ordinamento” (8). E l’indagine sulla coerenza tra esercizio del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro pubblico e funzione per la quale tale potere è riconosciuto non può non tener conto del fatto che, nel nostro campo, ai limiti specifici propri di ciascun istituto (come ad es. le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” per il trasferimento) si accompagnano quelli che discendono dalla non libertà dei fini in concreto perseguibili, ovvero dalla necessità (legislativamente imposta) che le determinazioni organizzative siano in ogni caso dirette ad assicurare l’attuazione dei principi di cui all’articolo 2, comma 1, D. Lgs. 165/2001 (e, per implicito, quelli di cui all’art.97 Cost.) e ad assicurare la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa. La forza dell’art.97 Cost., infatti, non sta nei mezzi (“secondo disposizioni di legge”), ma nelle finalità (“in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”). Ergo, imparzialità, buon andamento e perseguimento dell’interesse pubblico possono essere considerati sia direttamente quali parte della causa del contratto di lavoro pubblico, sia indirettamente, quali elementi che, appunto, integrano il contenuto degli artt.1175 e 1375 del codice civile (9).
Orbene, diversi elementi, di sostanza e di forma, inducono a ritenere che il Direttore Generale, nell’esercitare il potere organizzativo conferitole dal Regolamento sulla disciplina degli uffici e dei servizi dell’Ente di che trattasi, abbia violato tali principi.
Per sviluppare questa parte è necessario fare finta che le “ragioni tecniche, organizzative e produttive” di cui all’art.2103 c.c. vi siano davvero nel caso di cui trattasi e che quindi il trasferimento sia avvenuto (in tempi record) per rispondere alla richiesta (fatta giusto 7 giorni prima) di applicare una nuova unità al Servizio Polizia Locale al fine di portare avanti un progetto (che a tutt’oggi non risulta approvato e men che meno partito).
Al riguardo, bisogna anche qui innanzitutto ribadire che non risponde a criteri di ragionevolezza la scelta operata dal Direttore Generale col suo atto di trasferimento perché se davvero si voleva attivare una “gestione centralizzata (presso il Servizio Polizia Locale) del procedimento sanzionatorio” si sarebbe dovuto innanzitutto seguire il suggerimento dello stesso Dirigente del Servizio Polizia Locale che con nota in data 21/10/2005 aveva prefigurato come il personale (di categoria C e D) poteva essere individuato nell’ambito dei Servizi già interessati dalla gestione del procedimento sanzionatorio (v. supra). All’esigenza manifestata dal Dirigente del Servizio Polizia Locale con nota del 21/10/2005 si poteva e doveva quindi rispondere in maniera diversa: trasferire il dipendente M.M. ad altre mansioni ha significato disperdere quella specifica professionalità in materia di gestione patrimoniale acquisita negli anni e dimostrata sul campo con i risultati concretamente raggiunti. Professionalità specifica che l’Amministrazione stessa ha peraltro contribuito a costruire inviando il dipendente M.M. a frequentare tutti quei corsi di formazione che sopra sono stati ricordati. E’ allora senz’altro irragionevole il comportamento del datore di lavoro che prima investe su una professionalità specifica e poi la disperde, specie dopo aver constatato di aver così bene investito le proprie risorse e ben riposto la propria fiducia. Ed è tanto più irragionevole quando ciò lo si metta in relazione col fatto che lo stesso datore di lavoro poteva disporre di altre possibilità oggettivamente più funzionali e non pregiudizievoli per alcuno. La scelta operata dal Direttore Generale, infatti, non regge neppure alla luce dei criteri di logicità, congruità, proporzionalità che dovrebbero presiedere al corretto esercizio dei poteri datoriali. Si è già detto che per una “gestione centralizzata (presso il Servizio Polizia Locale) del procedimento sanzionatorio” avrebbero potuto essere impiegati coloro che in tale ambito hanno operato (e continuano ad operare) nei diversi Servizi. Qui si può ulteriormente precisare che senza alcun sacrificio per la professionalità acquisita (e, probabilmente, anche con maggior profitto), allo stesso fine potevano essere impiegati quei dipendenti neo-assunti in categoria C e D a seguito di concorsi pubblici che erano stati poco tempo prima espletati: dipendenti laureati, alcuni persino specializzati, freschi di studi generalistici e quindi oggettivamente più idonei a svolgere i compiti richiesti dal progetto di “gestione centralizzata del procedimento sanzionatorio”, che richiede competenze del tutto diverse da quelle acquisite dal dipendente M.M. nella specifica materia della gestione patrimoniale e contrattuale. D’altra parte, anche questo lo si è detto, ma giova ripeterlo, è lo stesso Direttore Generale che nell’atto del 31/10/2005 (di assegnazione alle macro-aree del personale già operante nei Servizi) parla di riorganizzazione complessiva (e non di soppressione di un Servizio con accorpamento in altri del personale dipendente): il Servizio Gestione Patrimoniale rimane anche nominalmente nella nuova organizzazione dell’Ente e con competenze che rispecchiano quelle esercitate fin dalla sua costituzione. Così come è lo stesso Direttore Generale che in occasione della precedente riorganizzazione, quella decisa con deliberazione di Giunta in data 24/4/2001, motivava il trasferimento del dipendente M.M. presso l’allora neo-costituito Servizio Gestione Patrimoniale spiegando che lo stesso dipendente «ha più volte, tra l’altro, all’interno dell’Ente mostrato di essere interessato conoscitore di tematiche contrattualistiche, tanto da mettere a disposizione di tutti schemi contrattuali, studi, note esplicative, raccolte giurisprudenziali. Tale bagaglio culturale può trovare spazio all’interno del Servizio da lei diretto» (lettera protocollata in data 9/7/2001 diretta al Dirigente del Servizio Gestione Patrimoniale e, per conoscenza, al capo dell’Amministrazione, all’Assessore al Patrimonio e all’Assessore al Personale).
Sotto il profilo della correttezza e della buona fede di cui agli artt.1175 e 1375 c.c. può essere altresì valutato il comportamento contraddittorio del datore di lavoro che il 16/12/2003 pubblica un bando di “Selezione per progressione verticale finalizzata alla copertura di n.17 posti di Esperto Servizi Amministrativo/Contabili cat.D p.e. D1 – CCNL 31.03.1999 (art.4 co.1 – CCNL 31.03.1999)”, dichiara nel bando che, tra gli altri Servizi, anche il Servizio Gestione Patrimoniale necessita di un esperto di cat. D, (ri)assegna il dipendente M.M. al Servizio Gestione Patrimoniale una volta che lo stesso è risultato vincitore della selezione e poi, il 28/10/2005, lo trasferisce ad altro Servizio sostituendolo con una unità di personale di categoria C. E’ pur vero, come si trova scritto negli atti di questo Ente, che trattasi di “prime assegnazioni” e che i lavoratori sono tutti assegnati alla dotazione organica complessiva in “disponibilità a tutte le future, specifiche assegnazioni che la Amministrazione stessa riterrà funzionali alle proprie necessità organizzative”, ma è anche vero che i poteri datoriali non possono essere esercitati ad arbitrium, dovendosi salvaguardare la professionalità dei lavoratori, rispettare oggettivi criteri di logicità/congruità/proporzionalità, applicare i principi di correttezza e buona fede di cui agli artt.1175 e 1375 c.c.. I principi di professionalità e responsabilità sono espressamente richiamati dall’art.89 D. Lgs. 267/2000 (Testo Unico Enti Locali), mentre l’art.5 D. Lgs. 165/2001 precisa che le determinazioni organizzative sono adottate per assicurare l’attuazione dei principi di buona amministrazione e la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa. L’arbitrium non è consentito al datore di lavoro privato e, tanto meno, al datore di lavoro pubblico, il quale, peraltro, non è libero nei fini, ma soggetto ai vincoli dell’imparzialità, del buon andamento e del perseguimento dell’interesse pubblico (artt.97, comma 1, Cost.). Né si può ritenere che “flessibilità” delle prestazioni (art.52 D.Lgs. 165/2001 e CCNL 31/3/1999) possa fare rima con “genericità”, sì da far pensare a dipendenti pubblici come portatori di una professionalità del tutto generica da adibire a qualsiasi mansione, salvo poi trovarsi a fare massicciamente ricorso a consulenze esterne che si vorrebbero giustificate proprio dalla mancanza di adeguate professionalità interne: il superamento del c.d. “mansionismo” non può far dimenticare che la professionalità è un valore anche nel pubblico impiego (contrattualizzato e non) e che un “demansionismo” spiccio come quello declamato negli atti dell’Ente di che trattasi (e concretamente attuato come nel caso del trasferimento di cui ci si occupa), più che al principio di flessibilità delle prestazioni, pare funzionale alla logica intimidatoria dello “stai zitto o ti sposto”, che con i principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art.97 Cost. non ha nulla a che vedere.
Proprio la logica dello “stai zitto o ti sposto”, che sarà più avanti esaminata, consente di trovare una risposta al perché il Direttore Generale nel procedere alla scelta del dipendente da trasferire al Servizio Polizia Locale non abbia provveduto neanche ad una pur minima comparazione delle professionalità e bilanciamento di contrapposti interessi: le mansioni svolte dal dipendente M.M. nell’ambito del Servizio Gestione Patrimoniale erano caratterizzate da alto contenuto professionale, sì che lo stesso percepiva l’indennità di cui all’art.17, comma 2, lett. f), CCNL/1999. A seguito del trasferimento, il dipendente M.M. si è trovato per lungo tempo a fare praticamente niente (d’altra parte, come già detto, il progetto per il quale M.M. è stato trasferito al Servizio Polizia Locale non è stato approvato, né attuato) e poi a redigere – in un anno – una trentina di atti ed una limitata serie di lettere (di trasmissione, da lui non firmate) e verbali (sotto dettatura altrui): mansioni il cui contenuto professionale non può neanche essere paragonato alle precedenti e che ha determinato, da un lato, la perdita della suddetta indennità di cui all’art.17 CCNL/1999 e, dall’altro, una oggettiva dequalificazione: nella nuova assegnazione, infatti, la prevalenza di cui parla l’art.52 D. Lgs. 165/2001 (sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale) va infatti senz’altro attribuita alle mansioni che non appartengono alla categoria D, ma a quella inferiore.
Dequalificazione professionale a parte, che costituisce illecito di per sé anche ai sensi dell’art.52 D. Lgs. 165/2001, qualcuno dovrebbe spiegare perché, potendosi adottare scelte diverse e sicuramente più congrue con riferimento all’obiettivo che si era dichiarato di voler perseguire (salvo poi non perseguirlo in concreto), si è deciso di sacrificare professionalmente il dipendente M.M. e non si sono invece impiegati quei neo-assunti in cat. C e D, laureati (e magari persino specializzati), freschi di studi generalistici, vincitori di concorso, la cui professionalità poteva essere costruita proprio in tale materia; ovvero quei dipendenti di cat. C e D che in materia di procedimento sanzionatorio, pur in altri Servizi, avevano già costruito la propria professionalità.
 In casi come questi, poi, si rivelano significativi anche i tempi, le circostanze di fatto e le modalità con le quali si agisce.
Di “riorganizzazione complessiva” si discute per mesi nell’Ente di cui trattasi e la Giunta adotta la relativa delibera in data 11/10/2005 che prevede, come già precisato, la (semplice) riallocazione dei diversi Servizi (esclusi i due già citati) in cinque macro-Aree assegnate a Direttori di Area. In particolare si individua l’Area Politiche del Territorio quella nella quale ricomprendere, tra gli altri, il Servizio Gestione Patrimoniale cui affidare i seguenti compiti come da funzionigramma alla stessa delibera allegato: «a) gestione dei contratti relativi al patrimonio immobiliare, quali acquisizione, permuta, locazione attiva e passiva, alienazione, etc.; b) valorizzazione e gestione economica del patrimonio immobiliare; c) atti di amministrazione del demanio»; compiti già affidati al Servizio Gestione Patrimoniale anche prima della riorganizzazione e nell’assolvimento dei quali il dipendente M.M. ha avuto modo di dimostrare la sua particolare competenza.
Si deve ricordare che prima di questa delibera il Servizio Gestione Patrimoniale si occupava anche degli aspetti relativi all’Economato e Provveditorato e, infatti, nel suo ambito operava anche l’Ufficio Economato che nel 2001, al tempo della prima riorganizzazione, venne staccato dall’allora Servizio Finanziario per andare a costituire il Servizio Gestione Patrimoniale insieme ad un Dirigente proveniente dal Servizio Contratti, ad un amministrativo (M.M., appunto) e ad un tecnico, quest’ultimo succesivamente trasferito al Servizio Tecnico. Quindi, prima della riorganizzazione del 2005, il Servizio Gestione Patrimoniale era composto dal Dirigente del Servizio, dal dipendente M.M. (che da solo si occupava della gestione amministrativa del patrimonio immobiliare) e dall’Ufficio Economato. Con la riorganizzazione del 2005 l’Ufficio Economato viene inserito (per svolgere, ovviamente, le stesse funzioni di economato e provveditorato) in altra Area: “Area Amministrazione e Risorse”, il Dirigente del Servizio Gestione Patrimoniale passa (da solo, con la targhetta “Servizio Gestione Patrimoniale”) nell’”Area Politiche del Territorio”, mentre il dipendente M.M. viene trasferito al Servizio Polizia Locale a fare tutt’altro, magari niente. Con determinazione organizzativa del Direttore Area Politiche del Territorio in data 15/11/2005, si assegna al Servizio Gestione Patrimoniale (ossia al solo Dirigente che con tale targhetta è lì transitato) un istruttore tecnico di categoria C e un istruttore amministrativo sempre di categoria C; un istruttore amministrativo di recente assunzione, che non si è mai occupato di gestione del patrimonio immobiliare nel senso indicato dalle lettere a) e b) del funzionigramma allegato alla delibera sopra citata, potendo contare su esperienze legate al rilascio di autorizzazioni stradali e di attingimento acque nell’ambito del Servizio Tecnico.
Se si legge il “funzionigramma” allegato la delibera dell’11/10/2005 si capisce che le determinazioni organizzative del Direttore Generale e quella del Direttore Area Politiche del Territorio non attuano il disegno delineato dalla Giunta: quest’ultima (v., ancora, il “funzionigramma” allegato alla delibera dell’11/10/2005, sopra indicato) prevede, da un lato, che per il Servizio Polizia Locale, che non viene incardinato in alcuna area (in quanto struttura posta, per specifica prescrizione legislativa, alle dirette dipendenze del capo dell’Amministrazione), “le competenze assegnate sono invariate rispetto a quelle fissate nell’attuale assetto organizzativo”; dall’altro, “rispetto alla nuova connotazione del Servizio Gestione Patrimoniale la scelta operata risponde all’esigenza di concentrare l’azione del Servizio nell’ambito della gestione amministrativa del patrimonio immobiliare e del demanio (…) nell’ottica di un accorpamento all’interno di uno stesso Servizio di procedimenti amministrativi regolati da una medesima base normativa”. A parte l’approssimazione e l’imprecisione delle espressioni usate (che dimostrano una non perfetta conoscenza delle concrete dinamiche organizzative), è chiara la direttiva di evitare “la parcellizzazione del lavoro e favorire la razionalizzazione delle procedure amministrative”, cosa che anche questa volta (esattamente come nel 2001, come vedremo) non è avvenuta, posto che l’”Ufficio Tecnico Concessioni”, pur facendo parte della stessa Area Politiche del Territorio, continua ad essere distinto dal Servizio Gestione Patrimoniale e posto che il dipendente M.M. è stato trasferito ad altro Servizio le cui competenze “sono invariate rispetto a quelle fissate nell’attuale assetto organizzativo”. Queste determinazioni organizzative, quindi, sono state adottate in violazione dell’art.5 D. Lgs. 165/2001, in quanto non conformi all’atto organizzativo-deliberazione di Giunta dell’11/10/2005.
La delibera sulla riorganizzazione è stata approvata il giorno 11 ottobre 2005; dieci giorni dopo, il 21 ottobre 2005, il Dirigente del Servizio Polizia Locale manda la sua “Proposta di attivazione di una gestione centralizzata del procedimento sanzionatorio e degli atti conseguenti”; cinque giorni dopo, il 26 ottobre 2005, alle ore 13.14, al dipendente M.M. arriva la seguente comunicazione via e-mail: “Per comunicazioni del Direttore Generale sei convocato ad un incontro domani giovedì 27 alle ore 15.00”. L’incontro con il Direttore Generale si svolge come previsto e al dipendente M.M. viene comunicato che dal 1° novembre 2005 verrà assegnato al Servizio Polizia Locale. Il provvedimento di trasferimento è del giorno successivo: venerdì 28 ottobre 2005.
Altri particolari risultano interessanti.
Nota e-mail del Dirigente Servizio Gestione Patrimoniale in data 28 ottobre 2005, ore 7.59, diretta all’Assessore al Patrimonio, al Direttore Generale, al Dirigente Servizio Risorse Umane e al Dirigente Servizio Lavori Pubblici: “Ho appreso con una certa perplessità il trasferimento ad altro Servizio del dipendente M.M. che reputo persona preparata e, in generale, disponibile. Poiché però, come mi è stato spiegato, questa può essere l’occasione di una sua crescita professionale, prendo atto della comunicazione. Chiedo, comunque, vista l’importanza del Servizio da me diretto e gli elevati standard di efficienza raggiunti, che le risorse umane che mi saranno assegnate siano adeguate ai compiti da svolgere”. Si immagina che qualcuno faccia nel frattempo presente al Dirigente Servizio Gestione Patrimoniale che quella e-mail “non va bene” e che l’”arricchimento professionale” costituiva solo una fesseria perché alle ore 9.58 lo stesso dirigente ne manda un’altra: “Seguito precedente comunicazione relativa all’oggetto, nulla osta al trasferimento del dipendente M.M. ad altro Servizio”. Sarà lo stesso M.M. ad esprimere su queste note le proprie considerazioni con lettera acquisita al protocollo dell’Ente il 28/11/2005 (10). Qui preme solo fare osservare tempi, circostanze di fatto e modalità con le quali il Direttore Generale dell’Ente ha agito; tempi, circostanze e modalità che si ritengono assai significative non solo come indizi valutabili nel quadro dei principi di correttezza e buona fede ex artt.1175 e 1375 c.c., ma anche come indici rivelatori dell’intento di ritorsione realmente perseguito.
 
3. Sulla ritorsione quale vero motivo del trasferimento.
Quanto fin qui esposto porta a dover ricercare altrove le motivazioni del trasferimento del dipendente M.M. dal Servizio Gestione Patrimoniale al Servizio Polizia Locale.
Leggendo gli atti ufficiali depositati presso l’Ente di cui trattasi si percepisce, invero, molto chiaramente, la presenza di un clima di ostilità nei confronti del Servizio Gestione Patrimoniale, il suo Dirigente e il dipendente a questi assegnato; un clima di ostilità che sembra andare ben oltre il “normale” conflitto che caratterizza il rapporto di lavoro subordinato (ma qui dovremmo parlare di quello tra dirigente e direttore generale perché, invece, è sicuramente improntato a collaborazione e condivisione di obiettivi e mezzi quello tra il Dirigente del Servizio e M.M., unico dipendente assegnatogli per la gestione amministrativa del patrimonio immobiliare), perché costante e “a senso unico”, a prescindere, cioè, da ciò che il Servizio Gestione Patrimoniale concretamente faccia e dai risultati che effettivamente riesca a raggiungere nonostante l’oggettiva carenza di personale.
Il trasferimento di M.M. al Servizio Polizia Locale con i tempi e le modalità che abbiamo visto ci sembra il frutto di questo clima di ostilità, peraltro percepito e bene illustrato dallo stesso M.M., autore, in quanto responsabile dei relativi procedimenti, come abbiamo visto, di varie pubblicazioni e documenti del Servizio Gestione Patrimoniale: basta leggere le presentazioni di alcuni di questi documenti per scorgere il malessere di chi si trova costretto a lavorare in questo clima di ingiustificata ostilità e non vede riconosciuti i risultati che (nonostante tutto, grazie proprio al suo lavoro) vengono raggiunti (11).
Vi sono fatti e circostanze che si pongono in diretta ed immediata relazione con il trasferimento del dipendente M.M., sì che si può parlare, al riguardo, di trasferimento per ritorsione. Di questi fatti e circostanze ci occuperemo tra un attimo. Prima, però, ci sembra utile fornire al lettore – per le ragioni che abbiamo illustrato all’inizio – qualche altro elemento, soffermandoci un po’, pur brevemente e schematicamente, sul clima di ostilità.
Per completezza bisognerebbe partire addirittura dai tempi della nomina del Direttore Generale da parte dell’amministrazione neo-eletta, ma ai nostri fini si può partire dal 2001, quando venne costituito il Servizio Gestione Patrimoniale: viene adottata una delibera (“atto organizzativo” ex art.2 D. Lgs. 165/2001) con la quale si dichiara di voler costituire un Servizio Gestione Patrimoniale con lo scopo di “accorpare in un’unica struttura competenze professionali diversificate che lavorino in maniera armonica e coordinata ad un piano di valorizzazione del patrimonio ispirato a principi di redditività dell’Ente, superando l’attuale organizzazione settoriale”; Servizio che venne effettivamente costituito (con a capo un dirigente), ma l’”accorpamento” riguardò soltanto l’Ufficio Economato e due dipendenti, un amministrativo (il Sig. M.M.) e un tecnico, quest’ultimo, peraltro, successivamente assegnato al Servizio Tecnico; Servizio Tecnico che, al tempo stesso, conservava tutta la sua dotazione organica, compreso quella amministrativa, che anzi, in seguito, gli verrà ampliata con il potenziamento di un “ufficio concessioni” istituito nel suo ambito. A fronte, quindi, di una scelta organizzativa operata dalla Giunta in regime pubblicistico a fini di riorganizzazione (e come tale manifestata all’esterno) la sua attuazione con l’atto di assegnazione del personale (adottato dallo stesso Direttore Generale) non ha rispettato i principi di organicità di cui alla stessa delibera di Giunta (“superare l’attuale organizzazione settoriale”), di adeguatezza e di professionalità (12). Il clima di ostilità (e il modo di intendere il principio di collaborazione), che emerge dal “tipo” di riorganizzazione in sé, è ben rappresentato dal relativo carteggio che ne segue: “la sua nota mi ha indotto a riflettere che forse lei ha mancato un’occasione per dimostrare le sue capacità dirigenziali”, scrive il Direttore Generale al Dirigente Servizio Gestione Patrimoniale in data 9/7/2001, il quale risponde riservandosi “di valutare e far valutare” le affermazioni del Direttore Generale.
Il copione si ripeterà in occasione della problematica sorta in occasione del rinnovo del contratto di locazione passiva di un immobile adibito ad uffici distaccati dell’Ente (la più importante e rilevante locazione passiva), il cui contratto – scopre il dipendente M.M. che aveva cominciato a studiare le carte per il suo nuovo lavoro – ha una clausola non conforme alla legge in quanto prevede un aumento del canone oltre l’indicizzazione consentita: clausola nulla ex art.79 L.392/1978. E’ il dipendente M.M. che si accorge della cosa e il carteggio che ne segue – protagonisti sempre il Direttore Generale e il Dirigente del Servizio Gestione Patrimoniale – si caratterizza per durezza delle espressioni che vengono utilizzate. E il copione si ripeterà ancora con la vicenda della stipula dei contratti di locazione di immobili di proprietà dell’Ente di cui trattasi da adibire a caserme dei Carabinieri ed a caserma e uffici dei Vigili del Fuoco: è sempre il dipendente M.M. a scoprire che delibere di Giunta recentemente approvate non vanno bene e che occorre procedere alla loro rettifica, ma pur di non ammettere l’errore si arriva a dichiarare ufficialmente che le delibere approvate dalla Giunta hanno un contenuto diverso da quello che hanno effettivamente (così, una direttiva di Giunta in data 5/2/2002).
Tutti questi casi (e altri ancora) si risolveranno positivamente per l’Ente di che trattasi grazie al conferimento al dipendente M.M. della responsabilità dei relativi procedimenti. Si può insomma dire che mentre altri erano impegnati a farsi la guerra (e nel prosieguo continueranno a farsela), il dipendente M.M. lavorava in qualità di responsabile dei procedimenti (e continuerà a farlo) per tutelare gli interessi dell’Ente, nonostante gli schiaffi che comunque deve prendere, come nel caso relativo al progetto di produttività per l’anno 2001, non finanziato, nonostante la sua oggettiva importanza e nonostante il finanziamento di altri analoghi (ma non altrettanto importanti) progetti. Il caso va citato perché si ritiene significativa la circostanza che il Direttore Generale senta allora la necessità di scrivere al Dirigente Servizio Gestione Patrimoniale “spiace che un dirigente (…) non sappia allineare i propri collaboratori” (lettera protocollata il 24/12/2001) e che il Dirigente Servizio Gestione Patrimoniale debba rispondere: “come datore di lavoro ho innanzitutto l’obbligo giuridico ex art.2087 c.c. (ed ex artt.1175 e 1375 c.c.) di precisare formalmente che non ho mai avuto necessità di allineare nessuno, dal momento che tutti i miei collaboratori sono già allineati con me nel servire al meglio l’Amministrazione e, da sempre, concordano preventivamente con me ogni iniziativa, che va dunque ascritta al Servizio”.
Provveduto così a dare davvero sommaria (il carteggio, infatti, è imponente) illustrazione delle origini del clima di ostilità verso il Servizio Gestione Patrimoniale, il suo dirigente e il dipendente ad esso assegnato, comunque capace di fare andare avanti le cose nonostante l’oggettiva carenza di personale per le mille difficoltà che sempre si frappongono quando si tratta di rafforzarne la compagine (mentre per altri Servizi vengono continuamente assunti tecnici e amministrativi a tempo determinato: anche su questo ci sono specifici carteggi), si può passare alle vicende più recenti, quelle che possono considerarsi in diretta relazione con il trasferimento del dipendente M.M..
Prima, però, appare doveroso citare un episodio di fine dicembre 2004 e inizi gennaio 2005, perché significativo in sé e in riferimento ad altra vicenda che sarà nel prosieguo esaminata. Il 24 dicembre 2004 il capo dell’amministrazione scrive al Direttore Generale e, per conoscenza, al Dirigente Servizio Gestione Patrimoniale e all’Assessore al Patrimonio: «In ragione della complessità strategica dei vari atti che attengono in questa fase alla gestione del patrimonio dell’Ente delego la S.V. a svolgere un’azione di supervisione generale della problematica nonché ad assumere la responsabilità di ogni comunicazione formalmente rilevante all’interno ed all’esterno dell’Ente». Il 3 gennaio 2005 arriva al Dirigente del Servizio Gestione Patrimoniale questa nota e-mail del Direttore Generale: «A seguito della nota del capo dell’Amministrazione, con la quale mi attribuisce l’incarico di supervisione e di responsabilità di ogni comunicazione formalmente rilevante inerente il Servizio Patrimonio, dispongo che: 1) mi sia sottoposta l’istruttoria, in forma scritta, delle pratiche riguardanti la gestione del patrimonio e la proposta di provvedimento che l’Ufficio intende adottare; 2) il lunedì di norma di ogni settimana alle 12,30 sia dedicato all’esame, unitamente alla S.V., delle procedure in essere. Mi attendo la piena collaborazione sua e dell’istruttore del suo Servizio» (cioè del dipendente M.M.). Né la nota del capo dell’Amministrazione, né quella Direttore Generale risultano protocollate; provvede al riguardo il Dirigente del Servizio Gestione Patrimoniale, il quale le richiama e le allega ad una lettera formale protocollata in data 10 gennaio 2005 e diretta al capo dell’Amministrazione e, per conoscenza, all’Assessore al Patrimonio, all’Assessore al Personale, al Direttore Generale e al Dirigente Servizio Affari Generali: «Avevo interpretato la Sua del 24/12/2004, non protocollata, a me trasmessa per conoscenza e qui allegata sub A, come una presa di coscienza del valore strategico della gestione immobiliare e come un impegno più forte di tutta l’Amministrazione verso questo settore. Senonché, a seguito di nota e-mail del Direttore Generale in data 3/1/2005, anch’essa allegata (sub B), la cosa assume le vesti di un vero e proprio “commissariamento” di questo Servizio, in palese contrasto con gli articoli 107 e 192 (nonché con gli articoli 97 e 108) del Testo Unico Enti Locali, e connesse norme contrattuali. Ai sensi dell’art.107 T.U. Enti Locali, infatti, “Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti. Questi si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo”. E ancora: “Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno”. Il comma 6 precisa che “I dirigenti sono direttamente responsabili, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi dell’Ente, della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestione”. Una specifica e diretta collaborazione della Segreteria/Direzione Generale è benvenuta, ma non certo nei termini di cui alla e-mail del 3/1/2005, posto che in quei termini si avrebbe un oggettivo demansionamento ed una deresponsabilizzazione della figura dirigenziale, con grave pregiudizio alla professionalità ed all’immagine del sottoscritto, chiamato a farsi riguardare i compiti come l’alunno con la maestra. Cosa che, oltre ad essere illegittima e contraria a qualunque criterio di correttezza e buona fede (artt.1175 e 1375 c.c.), è altresì del tutto ingiustificata dal momento che è sotto la mia direzione che il patrimonio dell’Ente è stato ben gestito (…). Allora, se si recupera lo spirito costruttivo e l’obiettivo è utilizzare al meglio tutte le energie per la valorizzazione del patrimonio, ogni contributo è benvenuto e la collaborazione del sottoscritto non è mai mancata e non mancherà. A ciascuno, però, le sue competenze. Distinti saluti».
Non si vuole ulteriormente tediare chi legge: conclusosi per l’insussistenza delle “ragioni tecniche, organizzative e produttive” di cui all’art.2103 c.c. e in ogni caso per la violazione dei principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., si sviluppa la tesi secondo la quale il trasferimento del dipendente M.M. è stato disposto per ritorsione: descritto come sopra il clima di ostilità, vediamo adesso quelle vicende che con il trasferimento si pongono, anche temporalmente, in diretta relazione.
Si può ritenere che un peso decisivo per il trasferimento del dipendente M.M. lo abbia avuto la vicenda relativa ai termini e alle modalità di concessione dell’immobile adibito ad Uffici di Prefettura. Si deve agli studi condotti dal dipendente M.M. la sistemazione della materia che ha portato all’adozione della deliberazione di Giunta in data 2/11/2004; deliberazione che nelle premesse ricalca alla lettera lo scritto di M.M. pubblicato sulla newsletter n°1/2004 del Servizio Gestione Patrimoniale. Si deve invece a qualcun altro la lettera in data 19/1/2005 (sottoscritta dal capo dell’Amministrazione e redatta probabilmente dal Direttore Generale, che con la nota sopra indicata, quella del 24/12/2004, era stato investito dal capo dell’Amministrazione della delega “a svolgere un’azione di supervisione generale della problematica –patrimoniale- nonché ad assumere la responsabilità di ogni comunicazione formalmente rilevante all’interno ed all’esterno dell’Ente”), con la quale si contraddice la delibera di Giunta approvata appena due mesi prima (beh, come “comunicazione” non c’è che dire…). Il carteggio che ne deriva è importante. Qui si citano alcune frasi da lettere formali sottoscritte dal dipendente M.M. nella sua qualità di responsabile del procedimento: «Con questa relazione si rappresenta la necessità di una iniziativa diretta a riaffermare il contenuto della deliberazione G.P. in data 2/11/2004; iniziativa che non può non assumere la forma di un atto scritto col quale si prospettino le condizioni per il mantenimento della Prefettura e dell’alloggio del Prefetto nell’immobile dell’Ente: a) scadenza del contratto in essere fissata nel 14/11/2005 con conseguente cessazione del vincolo di destinazione ex L.1014/1960; b) concessione amministrativa dal 15/11/2005 per 5 anni delle attuali superfici meno quelle pari a 577 mq. individuate dall’U.T. come funzionali agli usi dell’Ente; c) canone X sottoposto ad aggiornamento ISTAT. La necessità di una iniziativa quale quella sopra indicata sorge per un duplice ordine di motivi: 1) il primo risiede in una lettera formale protocollata in data 19/1/2005; lettera assai contraddittoria, nel senso che contraddice la delibera di Giunta in data 2/11/2004: si parla di "nuovo contratto di locazione" (ma non si era detto che si faceva una concessione?); si parla di vincolo di destinazione che può "essere rivisto e verificato sulla base di nuove intese tra le parti" (ma non si era detto che si assumeva ormai venuto meno questo vincolo di destinazione alla luce del contratto in essere e della conseguente disdetta?). Trattandosi di questioni molto delicate, c’è il rischio che si faccia leva su queste contraddizioni per dimostrare che la posizione dell’Ente proprietario dell’immobile non è stata correttamente e chiaramente prospettata all’Amministrazione dell’Interno; 2) il secondo motivo, non meno importante, risiede nella dimostrata inaffidabilità di un percorso tutto politico. (…) Se la storia insegna qualcosa, la via maestra è quella di ricercare sì soluzioni politiche, ma accompagnandole sempre con l’emanazione degli atti necessari nei termini di legge. Senza cadere, se possibile, in pericolose contraddizioni» (lettera in data 19/7/2005, poi ripetuta in data 22/8/2005 e fatta propria dal Dirigente del Servizio Gestione Patrimoniale in data 5/10/2005, quale corpus della relazione alla Giunta). (13).
Al trasferimento non può ritenersi estranea neppure la vicenda relativa all’attuazione -nell’Ente di che trattasi- di un istituto contrattuale, quello dell’indennità di cui all’art.17, comma 2, lett. f), CCNL/1999 e s.m., che il dipendente M.M. ha criticato, ad es. con la lettera aperta in data 24/3/2005: «Nella conferenza dei dirigenti dell’11/10/2004 veniva illustrato l’accordo raggiunto sui nuovi criteri per l’attribuzione dell’indennità e veniva altresì “concordato che entro e non oltre il 20 ottobre i dirigenti inviino le loro proposte al Direttore” Generale affinché quest’ultimo “possa eventualmente intervenire per riequilibrare le proposte di attribuzione avanzate dai dirigenti”. Sono trascorsi cinque mesi dal 20/10/2004: che cosa è successo? Non se lo saranno mica dimenticati? Tra l’altro, i mesi diventano dodici se si considerano le progressioni verticali e l’inadempimento datoriale che ne è derivato con riferimento al precedente accordo, quello del 26/4/2001. Perché, guardate, c’è anche quello. Leggo che si attende il 31/3/2005 per avere una risposta… Bene. Come pensano di risolvere i problemi intertemporali derivanti dal ritardo (anzi, dal duplice ritardo, quello ante e quello post ottobre 2004)? (…) Come pensano di risolvere il problema di quanti, dipendenti di categoria A, B o C, approdati alla categoria superiore a seguito di progressione verticale, pur svolgendo (da febbraio o marzo o aprile 2004) mansioni riconducibili a quelle di cui all’accordo del 26/4/2001, si sono visti automaticamente ed arbitrariamente escludere dalla sua applicazione con grave disparità di trattamento (e conseguente indebito arricchimento per il datore di lavoro)? Una soluzione potrebbe essere quella per cui Dirigenti e Direttori, ciascuno in proporzione alla propria parte di responsabilità, provvedessero personalmente a versare all’Ente la somma necessaria a rimpinguare “pari cifra” il fondo di produttività, togliendo così dall’imbarazzo un’Amministrazione (e, in primis, l’Assessore al Personale), che di sicuro non lo meritava. In tal caso, apprezzando la buona volontà così manifestata, si potrebbe anche vedere di rinunciare a qualche cosa. (…). “Amministrare” significa saper riconoscere, responsabilizzare e quindi valorizzare le competenze e le professionalità interne, formandole quando occorre, non avvilendole misconoscendo l’opera prestata e i risultati raggiunti. E, per giunta, non pagando neppure le indennità dovute». (14) (15).
 Non estranea al trasferimento è la vicenda relativa alla classificazione (e conseguente gestione) dei beni immobili che hanno più di cinquanta anni di vetustà; immobili soggetti ai vincoli di cui all’art.12 D. Lgs. 42/2004 (codice dei beni culturali). Per vendere alcuni di questi immobili e chiudere alcune pendenze bisognava che gli stessi risultassero “disponibili”, cosa che non si poteva ammettere proprio in forza dei vincoli imposti dalla legge. Il carteggio che ne deriva è davvero interessante, ma qui si riporta la lettera che il Dirigente del Servizio Gestione Patrimoniale, esasperato dalle “incursioni” del Direttore Generale, scrive all’Assessore al Patrimonio in data 27/9/2005: «Mi giungono in posta elettronica, trasmesse anche a Lei per conoscenza, lettere del Direttore Generale. Più volte ho messo in evidenza l’assoluta carenza di personale, come emerge semplicemente osservando la rubrica telefonica interna (di cui allego copia per quanto qui interessa). Ciononostante devo ricordare che è sotto la mia direzione (ribadisco: pur in mancanza oggettiva di personale), che il patrimonio dell’Ente è stato ben gestito (…). Lo stesso deve dirsi per la questione da ultimo sollevata dal Direttore Generale, quella dei beni soggetti a presunzione di vincolo ai sensi degli articoli 12 e 54 D.Lgs.42/2004. Con decreto legislativo n.42 in data 22/1/2004 è stato approvato un codice dei beni culturali che prevede l’inalienabilità di tutti gli immobili che abbiano più di 50 anni fino a quando non sia intervenuta la verifica dell’interesse culturale (artt.12 e 54, comma 2). I tecnici a suo tempo impegnati nel redigere il programma di alienazione non evidenziarono che gli immobili inseriti nel programma di alienazione avessero più di cinquanta anni; cosa che è emersa solo di recente, quando il nuovo tecnico ha trovato rilievi topografici dai quali si evince la presenza di questi immobili oltre cinquanta anni fa. Dal Servizio Tecnico questa cosa non era mai emersa. Esaminati i rilievi topografici, ne abbiamo subito dovuto trarre le conclusioni sotto il profilo giuridico-amministrativo: lo abbiamo fatto (e lo stiamo facendo) nei tempi consentiti dalle norme in vigore, lavorandoci molto (come sempre) pur a corto di personale (come sempre), chiedendo alla Direzione Regionale Beni Culturali di fare le verifiche necessarie, perché, per le norme in vigore, competente ad effettuare la verifica dell’interesse culturale è la Direzione Regionale Beni Culturali con un procedimento disciplinato con decreti ministeriali; decreti ministeriali che prevedono, tra l’altro, la stipula di una specifica convenzione; convenzione che questo Ente ha stipulato nella persona del sottoscritto dirigente, competente ex artt.107 e 192 T.U. Enti Locali. Tenendo conto dei programmi di alienazione dell’Ente, le schede dei primi quattro immobili (e poi il quinto del secondo invio) trasmesse alla Direzione Regionale sono proprio quelle che riguardano gli immobili compresi nel programma dì alienazione (possono essere trasmesse schede relative a quattro immobili per volta per un massimo di 12 immobili all’anno). A breve (e comunque entro il 31 dicembre) dovrà pervenire la risposta della Direzione Regionale dei Beni Culturali per i primi quattro immobili; entro il 31/3/2006 gli altri (secondo quando prevedono le regole standard di trasmissione e tempi di verifica). Sempre sulla materia del codice dei beni culturali e sulle sue implicazioni in ordine alla classificazione dei beni vorrei, infine, ricordare che è proprio grazie alle ricerche condotte da questo Servizio ed al conseguente atto adottato il 13/5/2005 che ha potuto prendere avvio la corretta rilevazione contabile del patrimonio (legata all’introduzione della contabilità economica), come da direttiva del Servizio Finanziario (…)».
Sull’argomento, il dipendente M.M. (incaricato formalmente dal Dirigente di risolvere la questione) predisporrà due pubblicazioni: una, istituzionale, costituente il n°3/2005 della newsletter edita dal Servizio Gestione Patrimoniale e l’altra, pubblicata con mezzi propri il 3/10/2005. Di quest’ultima ci sembra utile riportare in questa sede la premessa (per certi aspetti “profetica”: la pubblicazione –siamo al 3/10/2005- precede di venticinque giorni l’adozione dell’atto di trasferimento) e le conclusioni: «Ove, attuate le norme sul controllo interno di cui all’art.147 T.U. Enti Locali (e D.Lgs. 285/1999), si volessero davvero effettuare verifiche sulla “legittimità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa”, si dovrebbe aver riguardo soprattutto a cinque materie nelle quali sempre più spesso ci si imbatte in applicazioni e “interpretazioni” elusive (quando non abusive) delle norme di legge: il potere di organizzazione, spesso utilizzato per premiare, punire o, più semplicemente, “gestire” determinati dirigenti e dipendenti, anziché per garantire “il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” (art.97 Cost., artt. 2 e 5 D. Lgs. 165/2001); le consulenze esterne, con il conferimento di incarichi di studio e di consulenza in assenza dei necessari presupposti; i debiti fuori bilancio e il riconoscimento di legittimità secondo quanto dispone l’art.194 T.U. Enti Locali; le spese di rappresentanza, che dovrebbero essere ancorate a precisi requisiti, ad oggettivi fini istituzionali e, appunto, la gestione patrimoniale. Ciascuna di queste materie meriterebbe una trattazione a sé (e per la gestione patrimoniale occorrerebbero anche più trattazioni); qui ci si limiterà ad affrontare il tema del regime giuridico dei beni immobili appartenenti agli enti pubblici territoriali soggetti a presunzione di vincolo ai sensi dell’articolo 12 del codice dei beni culturali, approvato con D.Lgs. 22/1/2004, n°42. (…) Una retta e non elusiva interpretazione di tutte queste disposizioni conduce alla conclusione che gli immobili di proprietà dello Stato e degli enti pubblici territoriali con più di cinquanta anni di vetustà, fino all’esito della verifica dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico di cui all’art.12, comma 2, D. Lgs. 42/2004, sono soggetti al regime proprio del demanio culturale (inalienabile). Non sono beni del patrimonio disponibile perché inalienabili e perché assoggettati alla disciplina dei beni culturali; non sono beni del patrimonio indisponibile perché, in quanto immobili, non sono riconducibili alla tipologia descritta dall’art.826 c.c. e perché manca una norma di rinvio del tipo di quella contenuta all’art.822, comma 2, ultima parte, del codice civile; trattasi, allora, di beni che, a scelta, 1) partecipano del carattere della demanialità, presunta dalla legge “iuris tantum”, ovvero, 2) “fanno parte” del demanio in quanto “dalla (stessa) legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico” (culturale) nel senso dell’art.822, comma 2, ultima parte, del codice civile. Ai sensi dell’art.53 D. Lgs. 42/2004, infatti, “I beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali che rientrino nelle tipologie indicate all’articolo 822 del codice civile costituiscono il demanio culturale”. Fanno parte, allora, del demanio culturale sia “gli immobili riconosciuti d’interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia”, sia “gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico” (culturale) quali, appunto, e seppur temporaneamente, gli immobili appartenenti agli enti pubblici territoriali soggetti a presunzione di vincolo: l’art.12, comma 1, D. Lgs. 42/2004 li assoggetta alle norme del Titolo I, Parte Seconda, del codice beni culturali; l’art.54, comma 4, D. Lgs. 42/2004 li assoggetta alle norme del Titolo II, Parte Seconda, dello stesso codice; l’art.54, comma 2, lett. a), D. Lgs. 42/2004 dispone per la loro inalienabilità. (…) Chi, folgorato da improvvisa passione per l’estetica e per il concetto di “culturalità dichiarata”, trovasse sconveniente considerare gli immobili di che trattasi come appartenenti al demanio culturale, potrebbe anche proporre di classificarli come, che so, “Giovanni”, “Mariotto” oppure “Clementina”; ciò non farebbe tuttavia venire meno la loro condizione (ancorché provvisoria) di beni soggetti al regime proprio del demanio culturale (inalienabile), perché così dispongono espressamente gli artt.12 e 54, commi 2 e 4, del D. Lgs. 42/2004 (…)».
Accertata l’inesistenza di “ragioni tecniche, organizzative e produttive” e affermata (in ogni caso) la (palese) violazione dei principi di correttezza e buona fede, non mancano, come si vede, gli elementi per sostenere il carattere ritorsivo del trasferimento del dipendente M.M. dal Servizio Gestione Patrimoniale al Servizio Polizia Locale. D’altra parte, nel senso della ritorsione depone anche il comportamento successivo tenuto dall’Amministrazione, che, con delibera di Giunta in data 29/11/2005, dichiara “infondate” le pretese di M.M. e spedisce due avvocati del capoluogo di Regione (anziché due funzionari, come prassi in quell’Ente) alla Direzione Provinciale del Lavoro per il tentativo di conciliazione (16); che, nonostante ripetuti pronunciamenti contrari del Difensore civico Regionale persevera nel negare a M.M. l’accesso agli atti necessari alla sua difesa e, per questo, viene bacchettata anche dal TAR con sentenza con la quale dispone l’annullamento dei provvedimenti di diniego e formula l’ordine di esibizione di tutta la documentazione richiesta (17).
Il dipendente M.M., a seguito del trasferimento, dei tempi e delle modalità della sua attuazione e in considerazione delle mansioni in concreto chiamato a svolgere nell’ambito del Servizio di destinazione, lamenta: di aver subito un danno sotto il profilo professionale; la frustrazione delle aspettative di progressione professionale con riferimento a precisi istituti contrattuali applicati e in corso di applicazione nell’Ente di che trattasi (attesa la diversità strutturale dei Servizi di provenienza e di destinazione, nonché la centralità che nel Servizio di provenienza hanno le mansioni di natura amministrativa rispetto a ciò che avviene invece nel Servizio di destinazione, dove le mansioni amministrative rivestono carattere del tutto secondario e subalterno); la lesione dell’immagine, del prestigio, della dignità personale, nell’ambito lavorativo in senso stretto e avuto riguardo agli utenti e referenti esterni (si pensi solo alla circostanza che M.M. era responsabile di diversi procedimenti e in tale veste, ad es., aveva fissato appuntamenti, preso impegni, richiesto incontri proprio fino al giorno precedente la comunicazione del suo trasferimento –trasferimento avvenuto con effetto pressoché immediato-, sì che referenti e utenti esterni chiamando l’Ente per dare o avere conferma delle date cui tenere gli incontri richiesti da M.M. si sono sentiti rispondere che chi tali incontri aveva richiesto -magari appena il giorno prima- non c’era più perché trasferito); la lesione della personalità morale atteso il carattere “esemplare” del trasferimento disposto nei suoi confronti; la lesione di valori inerenti alla persona costituzionalmente garantiti (anche oltre l’ambito operativo del danno professionale nell’accezione di bene immateriale che attiene all’esplicazione dei diritti della personalità sul luogo di lavoro); la perdita dell’indennità di cui all’art.17, comma 2, lett. f), CCNL/1999 e s.m.; le spese mediche ed altre spese sostenute e da sostenere.
 
Conclusioni.
Il trasferimento di M.M. non è stato disposto per “ragioni tecniche, organizzative e produttive” (art.2103 c.c.): il progetto per la “gestione integrata del procedimento sanzionatorio”, infatti, a distanza di un anno dal trasferimento non è stato ancora approvato, né è partito in via di fatto; ci sono, anzi, decisioni adottate dalla Giunta che vanno in direzione opposta, con affidamento di procedimenti e rappresentanza a Servizi e dirigenti diversi da quello della Polizia Locale.
Il trasferimento di M.M. è stato in ogni caso disposto in violazione dei principi di correttezza e buona fede (supra §2, richiamandosi qui soltanto il comportamento irragionevole di una amministrazione che prima investe su una professionalità specifica e poi la disperde; che prima indice selezione per progressione verticale dichiarando la necessità di una categoria D nel Servizio Patrimonio e poi sostituisce il dipendente di tale categoria con un altro di categoria C; che aveva a disposizione alternative oggettivamente più funzionali allo scopo dichiarato e tali da non recare pregiudizio ad alcuno: risulta infatti non spiegato il motivo per il quale, a fronte di riorganizzazione complessiva, si è deciso di sacrificare professionalmente il dipendente M.M. – che nel settore patrimoniale e con quel tipo di mansioni aveva bene operato come dimostrato dai risultati in concreto raggiunti dall’Ente – e non si sono invece utilizzati allo scopo, da un lato, quei dipendenti di cat. C e D che in materia di procedimento sanzionatorio, pur operando in altri Servizi, avevano già costruito la propria professionalità ovvero, dall’altro, quei dipendenti neo-assunti – tra l’altro proprio nei mesi precedenti il trasferimento di che trattasi – in cat. C e D, vincitori di concorso, laureati, freschi di studi generalistici, la cui professionalità poteva essere costruita proprio nell’ambito del progetto che si è dichiarato di voler realizzare e che richiederebbe proprio dipendenti con simili caratteristiche). 
Invero, il clima di ostilità in cui per anni si è trovato ad operare il dipendente M.M. e le specifiche vicende che lo hanno visto protagonista nei mesi, settimane e giorni immediatamente precedenti il trasferimento; i tempi e le modalità di attuazione del trasferimento stesso, nonché il comportamento del datore di lavoro successivo all’esercizio dello jus variandi, inducono a ritenere che il trasferimento di M.M. sia stato disposto per finalità di ritorsione ed attuato (appunto) con modalità tali da farlo risultare “esemplare”, anche a monito per tutti gli altri dipendenti («stai zitto o ti sposto»).
D’altra parte, è proprio l’assenza di “ragioni tecniche, organizzative e produttive” (e in ogni caso una così palese violazione dei principi di correttezza e buona fede) ad evidenziare come l’intento di ritorsione/rappresaglia/punizione effettivamente perseguito abbia avuto efficacia determinativa esclusiva del datore di lavoro, non residuandovi altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di un provvedimento legittimo (cfr. C. Cass., Sez. Lav., 25/5/2004, n°10047). E un trasferimento che sia stato disposto per ritorsione, quindi per un motivo illecito, deve considerarsi nullo.
Al lavoratore illegittimamente trasferito perché il trasferimento stesso è ingiustificato (caso di assenza delle “ragioni tecniche, organizzative e produttive” di cui all’art.2103 c.c.), ovvero perché disposto in violazione dei principi di correttezza e buona fede ovvero, ancora, perché disposto per ritorsione, dovrebbe essere assicurata piena tutela ripristinatoria, trovandoci in ogni caso in presenza di un parziale inadempimento contrattuale (C. Cass., Sez. Lav., 8/11/2004, n°21253; C. Cass., Sez. Lav., 12/1/2006, n°425) (18). Così come, del resto, costituisce parziale inadempimento contrattuale l’avere adibito il dipendente M.M. a mansioni inferiori rispetto a quelle proprie della categoria di appartenenza (valutate secondo il criterio della prevalenza sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale stabilito dall’art.52 D. Lgs. 165/2001), potendosi, nella specie, parlare non solo di demansionamento, ma di vera e propria dequalificazione (supra §2 e nota 18).
 Oltre alla tutela ripristinatoria, il dipendente dovrebbe aver diritto anche ad una tutela risarcitoria per il ristoro dei danni subiti e subendi. Al riguardo potrebbe parlarsi, in particolare, di danno patrimoniale (in riferimento, ad es., alle indennità di cui all’art.17, comma 2, lett. f, CCNL/1999 non percepite a seguito del trasferimento, alle spese mediche, alle spese sostenute per la tutela dei diritti quali quello di accedere agli atti e, quindi, per i ricorsi al Difensore civico regionale e, soprattutto, al TAR, etc.); di danno biologico in senso stretto, ove in conseguenza del trattamento subito sia insorta una lesione all’integrità psico-fisica suscettibile di accertamento medico-legale; di danno esistenziale, inteso come lesione di valori inerenti alla persona costituzionalmente garantiti, primi tra tutti quelli che attengono all’esplicazione dei diritti della personalità sul luogo di lavoro –danno professionale quale bene immateriale: C. Cass., Sez. Lav., 22/9/2006, n°20616; C. Cass., Sez. Lav., 12/10/2006, n°21826; Tribunale di Milano, Sez. Lavoro, 30/9/2006, n°2949 (19), ma non solo (20)
; di danno morale soggettivo (c.d. “pecunia doloris”), laddove possano astrattamente configurarsi gli elementi costitutivi di un reato (21).
s_gennai@libero.it
 
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* Esperto servizi amministrativi presso la Provincia di Siena.
 
(1) Mobbing deriva dall’inglese “to mob” che significa attaccare, assalire, accerchiare ed è un termine che viene utilizzato per indicare quei fenomeni di persecuzione, vessazione, violenza psicologica che si hanno talvolta nell’ambiente di lavoro tra colleghi (mobbing orizzontale) o ad opera di superiori (mobbing verticale). Si parla invece di bossing quando il mobbing diventa una vera e propria strategia aziendale finalizzata alla riduzione del personale o all’allontanamento di un determinato lavoratore senza incorrere nei vincoli di legge (disciplina sui licenziamenti; conferimenti/revoche incarichi dirigenziali). Anche a seguito della decisione del Tribunale di Bergamo del 20/6/2005 (“Guida al lavoro”, 29/7/2005, n°31) si parla di straining quando, pur senza quella molteplicità/ripetitività di azioni che caratterizzano ciò che viene comunemente inteso come mobbing, ci troviamo tuttavia di fronte ad una “situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno un’azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante è caratterizzata anche da una durata costante” (così, ad es., nel demansionamento). Sui tali aspetti, v. C. Cass., Sez. Lav., 19 dicembre 2005-6 marzo 2006, n°4774, in Altalex, n°1376 del 20/4/2006.
 
(2) V. Uso e abuso del potere organizzativo del datore di lavoro pubblico, in "Diritto&Diritti", aprile 2006: https://www.diritto.it//all.php?file=21832.pdf .
 
(3) V. Enti locali, diritti dei lavoratori, loro tutela, in “Diritto&Diritti”, settembre 2006: https://www.diritto.it//all.php?file=22677.pdf .
 
(4) Il dipendente M.M. ha infatti attivato un procedimento di conciliazione ex artt.65 e 66 D. Lgs. 165/2001 diretto proprio al riconoscimento delle mansioni superiori nel periodo che si è detto ai limitati fini di cui all’art.52, comma 5, D. Lgs. 165/2001.
 
(5) I risultati raggiunti dall’Ente in tale ambito di attività grazie all’opera del dipendente M.M. quale responsabile dei relativi procedimenti sono concreti e dimostrabili, costituendo oltretutto l’oggetto di atti dell’Amministrazione che del raggiungimento di tali risultati dà formalmente conto.
 
(6) Tra gli scritti e documenti realizzati dal dipendente M.M. e pubblicati dal Servizio Gestione Patrimoniale dell’Ente di che trattasi possono citarsi: La disciplina delle locazioni (ottobre 2001, gennaio 2002, dicembre 2002, agosto 2003, febbraio 2004, aprile 2005); Le partecipazioni in Società e Consorzi   (settembre 2003, settembre 2004); L’imposta di registro sulle concessioni di beni demaniali (Newsletter n°2/2004); Manutenzione e riparazioni nei rapporti di locazione. Orientamenti giurisprudenziali (Newsletter n°2/2004); Stato delle locazioni attive e passive, degli affitti, dei comodati, delle concessioni amministrative. Le occupazioni sine titulo di immobili (anagrafe 2004); Acquisto di cosa futura e legge quadro sui lavori pubblici (Newsletter n°4/2004); La durata delle locazioni immobiliari non abitative nella legge e nella giurisprudenza della Corte di Cassazione. L’affitto di azienda, il comodato, la concessione amministrativa (Newsletter n°5/2004); Riti locatizi ed esecuzione forzata per il rilascio degli immobili (Newsletter n°6/2004); Innovazioni e miglioramenti alla cosa locata nel codice e nella giurisprudenza della Corte di Cassazione (Newsletter n°1/2005); Anagrafe degli edifici (maggio-ottobre 2005: documentazione inserita nella parte riservata del sito dell’Ente, aggiornata in tempo reale, nonchédisponibile anche su CD-ROM; progetto realizzato dal dipendente M.M. – responsabile – in collaborazione con un geometra assunto a tempo determinato); Rapporti giuridici aventi ad oggetto edifici ed altri immobili utilizzati dall’Ente per fini istituzionali (maggio 2005); Libro bianco sullo stato dei rapporti con l’Amministrazione dell’Interno (settembre 2005).
 
(7) Per anni, di fronte all’ufficio di un funzionario del Servizio Risorse Umane dell’Ente di che trattasi (funzionario cui il Direttore Generale è solito demandare la materiale stesura in atti delle sue decisioni) è rimasto appeso, ben visibile da tutti, un ritaglio di giornale contenente un articolo su uno studio condotto sul linguaggio dei politici e dei burocrati; vi compare una tabella di 7 colonne in cui il lettore può scegliere a caso uno dei dieci soggetti della prima colonna facendo poi seguire uno dei dieci verbi della seconda colonna e quindi un periodo qualsiasi (tra dieci disponibili) di ognuna delle colonne successive: si otterrà sempre una frase da utilizzare alla bisogna. L’insegnamento pare essere stato ben appreso nell’Ente di cui trattasi, basta leggersi la disposizione del Direttore Generale in data 28/10/2005 con la quale è stato disposto il trasferimento di M.M.: «Ritenuto di assegnare al Servizio Polizia Locale una unità aggiuntiva di personale di cat.D CCNL 31/3/1999 e qualificazione amministrativa idonea rispetto ai compiti da svolgere e così di assegnare il Sig. M.M., attualmente assegnato al Servizio Gestione Patrimoniale, anche in considerazione dell’avvenuto accorpamento di quest’ultimo alla più vasta Area Politiche del Territorio già comprensiva di altri Servizi forniti di personale in grado di garantire, con sostanziali economie di scala ed ottimizzazione di risorse, la gestione non parcellizzata dei procedimenti assegnati, nel perseguimento degli obiettivi di razionalizzazione perseguiti dal citato provvedimento di riorganizzazione».
 
(8) Così M. Roccella, Manuale di diritto del lavoro, Giappichelli Editore, Torino, 2005, Pag.274.
 
(9) Gli articoli 97 (e 98) della Costituzione, infatti, costituiscono punto di riferimento per valutare la correttezza (non solo degli atti organizzativi, ma anche) delle determinazioni organizzative (e delle misure per la gestione dei rapporti di lavoro) adottate dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro (artt.2 e 5 D. Lgs. 165/2001). L’opinione contraria non può essere condivisa perché innanzitutto non tiene conto del fatto che è la stessa legge a richiedere che le determinazioni organizzative siano finalizzate ad attuare i principi di buona amministrazione e ad assicurare la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa. E poi perché è sufficiente sfogliare un qualsiasi repertorio di giurisprudenza per vedere come nell’ambito dei rapporti di lavoro privato gli istituti vengano riguardati anche alla luce di quanto prescrive l’art.41 della Costituzione, ai sensi del quale l’iniziativa economica privata è sì libera, ma “non può svolgersi (…) in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Orbene, mentre per i rapporti di lavoro privato le linee guida sono indicate dall’art.41 Cost., per i rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione a dettare i principi informatori sono proprio gli artt. 97 e 98 della Costituzione, i quali, oltretutto, al concetto di libertà dei fini, propria dell’iniziativa economica privata, sostituiscono quello dei vincoli all’imparzialità, al buon andamento e al perseguimento dell’interesse pubblico.
 
(10) Lettera di M.M. in data 28/11/2005 che fa seguito ad una richiesta a lui pervenuta da parte del Dirigente Servizio Gestione Patrimoniale di procedere ad un “passaggio consegne”: «Ho ricevuto la sua e-mail sul “passaggio delle consegne”. Vede, Dottore, Lei sa, per conoscenza diretta ultradecennale, quale sia il mio scrupolo e il mio attaccamento al lavoro. E sa quanto ritenga importante agire sempre nell’interesse dell’Ente a prescindere dalle controversie che possano sorgere con quanti vi operino pro tempore. C’è qualcosa, tuttavia, che sfugge alla mia comprensione. Risolte le principali pendenze, abbiamo passato i mesi di settembre e di ottobre a progettare il da farsi, mettendo in cantiere nove progetti, ivi compresi due regolamenti (quello sulle concessioni e quello sulle alienazioni) che, col mio computer e nel tempo libero (perché in ufficio sa bene ciò che ci scappava di fare), avevo peraltro già predisposto. Così come avevo predisposto, sempre col mio PC e nel tempo libero, gli atti di concessione per Prefettura, Questura, etc., che, come sa, hanno una struttura (formale e sostanziale) del tutto particolare. Avevamo addirittura concordato la partecipazione al corso di Bologna del 16/11/2005 e sul punto Lei ha anche avuto modo di determinare in data 25/10/2005 (determinazione n°1310/1442). Poi, tre giorni dopo, in data 28/10/2005, esce un provvedimento del Direttore Generale che mi trasferisce al Servizio Polizia Locale nel quale, tra l’altro, si legge che era stato acquisito, pur informalmente, anche il suo parere favorevole. Beh, prima di esprimere il parere favorevole immagino che si sarà posto il problema del “passaggio delle consegne”, o no? Col suo atto così lungimirante e coraggioso ha detto sì al mio trasferimento purché le dessero personale in sostituzione. Il personale l’ha avuto, Dottore; Le faccio i miei auguri sinceri, con la tranquillità di chi sa ciò che ha fatto, che cosa ha trovato il 21/5/2001 e ciò che ha lasciato il 31/10/2005. Perché, vede, mentre altri erano impegnati a farsi la guerra, io ho lavorato per tutelare gli interessi dell’Ente, in conformità con quanto dispone l’art.98, comma 1, della Costituzione (che mi risulterebbe ancora in vigore). E i risultati parlano chiaro, basti solo citare: (…). Pubblicati in rete si trovano l’anagrafe degli edifici, l’anagrafe delle locazioni, l’anagrafe delle Società; e si trovano le mie pubblicazioni sulla normativa specifica di questo settore. Chi è arrivato il 1/11/2005 non ha certo da lamentarsi per il “passaggio delle consegne”. Tanto dovevo».
 
(11) Presentazione «Stato delle locazioni attive e passive, degli affitti, dei comodati, delle concessioni amministrative. Le occupazioni sine titulo di immobili» (novembre 2004): «Non saprei dire se siano stati davvero adeguati gli atti esecutivi della deliberazione G.P. del 24/4/2001, con la quale si intendeva costituire un Servizio Gestione Patrimoniale con lo scopo di “accorpare in un’unica struttura competenze professionali diversificate che lavorino in maniera armonica e coordinata ad un piano di valorizzazione del patrimonio ispirato a principi di redditività dell’Ente, superando l’attuale organizzazione settoriale”. Il Servizio venne effettivamente costituito, a far tempo dal 21 maggio 2001, ma l’”accorpamento” ha riguardato soltanto l’Ufficio Economato e due dipendenti, un amministrativo e un tecnico, quest’ultimo, peraltro, successivamente assegnato ad altro Ufficio. Valorizzare il patrimonio immobiliare dell’Ente con un solo dipendente è compito arduo, ma non ci siamo tirati indietro e risultati significativi sono stati raggiunti: basta leggere e mettere a confronto le diverse edizioni di questa anagrafe. Abbiamo messo ordine nei rapporti con l’Amministrazione dell’Interno, chiarendo ciò che è dovuto e ciò che non lo è, revocando tutti gli atti di impegno a locare precedentemente adottati e riformulando le clausole contrattuali in modo più favorevole per l’Amministrazione. Abbiamo rinegoziato contratti (…), stipulato atti di accertamento di clausole nulle, scongiurato danni erariali per pagamento di somme non dovute. Abbiamo recuperato la più gran parte dei crediti per canoni e indennità non riscosse e posto le basi per il recupero di tutti gli altri, scongiurandone la prescrizione. Recentemente, a seguito del trasferimento a questo Servizio (a personale invariato) delle competenze in materia di demanio idrico, abbiamo affrontato l’annoso problema dell’abusivismo nell’area del Lago di (…) e lo stiamo risolvendo con una procedura concordata con il Comune, le associazioni e gli operatori economici interessati. Non sempre siamo stati aiutati in questo lavoro ed anzi, talvolta, oltre a lavorare, ci siamo dovuti anche giustificare, ma oggi che questa anagrafe fa parte degli indicatori della certificazione ISO (…), fa ancora più piacere provvedere al suo aggiornamento con gli ulteriori risultati raggiunti grazie all’impegno profuso nell’interesse dell’Ente. ». Presentazione «Gli Edifici» (maggio-ottobre 2005): «(…). La gestione e la valorizzazione del patrimonio immobiliare comincia dalla sua conoscenza, dagli specifici studi sulla sua redditività, dalla verifica dei vincoli e pesi esistenti, dall’analisi degli investimenti che si stimano necessari in futuro per la sua manutenzione. Forse anche da una migliore organizzazione delle professionalità chiamate ad occuparsi della materia patrimoniale; professionalità che, diversamente da ciò che talvolta si vede anche scritto, all’interno di questa Amministrazione ci sono (nostri studi, ad esempio, costituiscono l’oggetto di applicazioni e approfondimenti in molte parti d’Italia) e che, occorrendo, andrebbero semmai specificamente formate, non avvilite misconoscendo l’opera prestata e i risultati raggiunti o addirittura negando la loro stessa esistenza all’interno dell’Ente. (…). (maggio 2005). Si pubblica questa nuova versione – aggiornata, integrata e ampliata – dell’anagrafe degli edifici in un momento in cui sembra doveroso fare un primo bilancio sul lavoro svolto. Dalla data della sua istituzione, maggio 2001, il Servizio Gestione Patrimoniale, pur operando in evidente carenza di personale, è riuscito a mettere ordine nei rapporti con l’Amministrazione dell’Interno, a rinegoziare tutti i contratti che c’erano da rinegoziare, a recuperare tutti i crediti (…). In questi anni abbiamo ricostruito la situazione patrimoniale, quella delle partecipazioni azionarie, quella delle locazioni attive e passive (…); abbiamo raccolto in prontuari e manuali la normativa di settore per tentare di rispondere alle esigenze di conoscenza degli istituti e di coordinamento tra i diversi Servizi interessati. Abbiamo condotto studi (studi “non richiesti”, si legge in qualche lettera protocollata) senza i quali, però, questo Ente sarebbe ancora a rassettare il tappeto del Prefetto. (…) Risultati, questi, che si ricordano solo a beneficio di quanti non se ne fossero accorti, perché distratti o perché capaci di appassionarsi alle vicende del patrimonio solo quando c’è da dare addosso all’Ufficio Patrimonio. (ottobre 2005)».
 
(12) Tanto che il dipendente M.M. con lettera indirizzata alla RSU Aziendale in data 2/7/2001, ebbe a scrivere che «il personale, nella migliore delle ipotesi, è stato trasferito secondo casualità». “Nella migliore delle ipotesi” – scrisse M.M. -, perché precedenti scontri tra gli stessi protagonisti avrebbero anche potuto far pensare ad altro…
 
(13) Si segnala anche la lettera in data 11/10/2005 da M.M. diretta al Dirigente Servizio Gestione Patrimoniale e da questi trasmessa all’Assessore al Patrimonio: «La proposta di delibera in oggetto non è stata iscritta all’ordine del giorno e non è stata portata in Giunta neppure questa volta. Eppure l’avevamo modificata nel senso di prevedere anche altre possibilità di scelta sì da giungere all’atto che serva ad attuare quanto dalla stessa Giunta stabilito con delibera in data 2/11/2004. Eppure, se non sbaglio (ma c’era anche Lei, sicché può correggermi), sul modo di procedere e su cosa inserire nella proposta di delibera c’eravamo messi d’accordo con l’Assessore al Patrimonio fin dal novembre 2004 (e poi, se per questo, anche a febbraio, a marzo… da ultimo a settembre). Eppure, se non sbaglio, il compito degli organi politici dovrebbe essere quello di dare direttive (approvando/disapprovando delibere e rappresentando chiaramente gli obiettivi da raggiungere, competendo agli uffici amministrativi individuare il modo legittimo e corretto per raggiungerli), mica quello di svolgere funzioni para-dirigenziali, ingerendosi direttamente nelle cose amministrative e riservandosi di decidere successivamente, non assumendosi così né la responsabilità politica (per mancanza di direttive controllabili), né quella amministrativa (non essendo dirigenti, né responsabili di procedimento). Questo modo di operare porta poi a lettere contraddittorie come quella protocollata in data 19/1/2005 (che contraddice la delibera di Giunta del 2/11/2004 per le ragioni già spiegate). Si può anche decidere di assumere un’altra posizione, diversa da quella assunta nel novembre 2004, ma bisogna farlo con gli atti e le procedure che sono previste e utilizzando gli istituti giuridici che sono consentiti. (…)».
 
(14) Sembra utile riportare anche la lettera aperta alla RSU Aziendale che M.M. ha trasmesso e reso noto il 10/4/2005: «Ci eravamo lasciati (nota e-mail RSU del 24/3/2005) con la notizia che il 31/3/2005 si sarebbero avute le risposte dell’Amministrazione. Hanno risposto? Cos’hanno detto? Spero che non avranno voluto dare la colpa alle “lungaggini burocratiche” perché proprio in questa materia hanno saputo essere molto tempestivi, come quando, ad es., approdati alla categoria superiore, ci hanno subito tolto le indennità che percepivamo in precedenza; in questo caso la “verifica” l’hanno fatta subito. Come dire: quando c’è da togliere sanno essere tempestivi; è quando c’è da dare che traccheggiano, temporeggiano… E non fanno neppure le dovute verifiche, come quelle richieste dal contratto del 26/4/2001. Perché, vedete, le designazioni che i dirigenti hanno fatto il 20/10/2004 in riferimento al “contratto aziendale che verrà” costituiscono altrettanti accertamenti (potremmo dire altrettante confessioni) circa la sussistenza in capo agli interessati dei requisiti previsti dal contratto del 26/4/2001; contratto in vigore per tutti, anche per coloro che hanno fatto la progressione verticale e il concorso dall’esterno. Non ci avevano pensato? Spero che non si vorrà tirar fuori la storiella secondo la quale mancherebbero i soldi. Che Amministrazione sarebbe quella i cui dirigenti, programmate ed attuate progressioni verticali e selezioni concorsuali dall’esterno, si mettessero ad attribuire compiti e responsabilità senza prima preoccuparsi delle disponibilità finanziarie in relazione ai contratti già stipulati ed agli impegni assunti dall’Ente in sede di relazioni sindacali? E i soggetti istituzionalmente preposti al loro coordinamento, che cosa avrebbero coordinato? Non mi si vorrà mica far credere che tutti questi grandi managers non hanno saputo fare neanche due conti? (…) Al tempo della conclusione delle selezioni per le progressioni verticali vigeva (e tuttora vige) un preciso accordo aziendale, quello del 26/4/2001, in forza del quale gli appartenenti alle diverse categorie che svolgessero determinati compiti ed assumessero determinate responsabilità avrebbero avuto (ed hanno) il diritto di percepire l’indennità di cui all’art.17, comma 2, lett. f, CCNL/1999. Effettuate le progressioni ed inquadrati nella categoria superiore, che cosa abbiamo fatto? Siamo stati fermi? No: abbiamo svolto compiti ed assunto responsabilità. Bene, in quel preciso momento sono sorti: 1) l’obbligo per il datore di lavoro di verificare se tali compiti e responsabilità rientravano oppure no nei criteri previsti dall’accordo e, correlativamente, 2) il diritto di percepire l’indennità di che trattasi da parte di tutti coloro i cui compiti e le cui responsabilità vi rientrassero; diritto che è sorto indipendentemente dall’adempimento dell’obbligo di cui al punto 1, perché questo diritto è nato con lo svolgimento delle mansioni descritte dall’accordo, mentre la violazione dell’obbligo del datore di lavoro (di effettuare la verifica e di pagare l’indennità dovuta) integra gli estremi dell’inadempimento (art.1218 c.c.). Sarebbe, infatti, davvero bizzarro ritenere che l’esistenza di un diritto dipenda dall’adempimento del connesso obbligo. Allora, il datore di lavoro, fatte tutte le sue valutazioni, aveva dinanzi a sé due scelte: 1) non attribuire (o, meglio, revocare) quei compiti e quelle responsabilità, rinunciando ai conseguenti standards di efficienza; oppure 2) attivarsi per reperire le risorse necessarie a consentire il rispetto degli impegni assunti in sede di relazioni sindacali (circa l’intangibilità del fondo di produttività) e, al tempo stesso, garantire il mantenimento degli standards di efficienza assicurati proprio da quei compiti e da quelle responsabilità altrimenti da revocare. Tertium datur? Penso proprio di no. Non si sarà mica pensato che, siccome avevamo fatto la progressione verticale, bisognava “pagare pegno” come si fa con gli amici pagando loro la cena? Non è così. Anche perché la cena, magari, l’avevamo già pagata. E perché è del tutto evidente che valersi di migliori standards di efficienza (art.17, comma 1, CCNL/1999) e non attribuire le indennità a quanti vi contribuiscano (assumendo i compiti e le responsabilità previsti dal contratto) costituisce al tempo stesso indebito arricchimento per il datore di lavoro e disparità di trattamento tra lavoratori chiamati a svolgere equivalenti mansioni. E’ pur vero che si tratta di mansioni esigibili, ma è anche vero che per tali ulteriori mansioni si è prevista contrattualmente l’attribuzione di una indennità, sicché delle due l’una: o vi si rinuncia (e con esse si rinuncia ai connessi standards di efficienza) o, se ci se ne avvale, si corrisponde quanto spetta a chi spetta. (…) Poi, se non bastasse, c’è anche la storia del “contratto aziendale che verrà”, il contratto che dovrebbe sostituire quello del 26/4/2001; contratto che era già tardi se veniva stipulato a Natale 2004 e che non è stato stipulato nemmeno a Pasqua 2005. L’accordo sui nuovi criteri per l’attribuzione dell’indennità venne raggiunto non ad ottobre, mi correggo, bensì a settembre (il 23/9/2004). Con calma, fatta la verifica sulla compatibilità degli oneri finanziari, si sono accorti che mancavano un pò di soldi: “mi’, o questa?”. La cosa, vedete, se non fosse per i precedenti che sopra ho ricordato e per le peculiarità del nostro Ente, ci potrebbe anche stare. Ma nel nostro caso non ci sta. Non ci sta perché “le prove”, ossia le verifiche, potevano e dovevano farle prima (già) sulla base del contratto del 26/4/2001. Perché dovevano sapere che l’istituto delle progressioni verticali, nel nostro Ente, è servito più che altro ad attribuire in via giuridica l’esercizio di mansioni (superiori) che di fatto erano già svolte dalla più gran parte di coloro che hanno partecipato alle selezioni. Perché quando hanno deciso di procedere con progressioni e concorsi avrebbero dovuto considerare se non altro i vigenti contratti. Perché i dirigenti, nell’organizzare gli uffici e i servizi, avrebbero dovuto attivarsi per chiedere le risorse necessarie in considerazione che in questo Ente, non da ora, gli uffici sono (di necessità) organizzati sulla base di un diffuso decentramento dei compiti e delle responsabilità. Non l’avranno mica scoperto il 20 ottobre 2004? A cosa avrebbero pensato nei 12-15 mesi precedenti? Si sono accorti che gli mancavano i soldi e che cosa hanno fatto per rimediare? Perché non si sono attivati con la stessa tempestività dimostrata quando si è trattato di toglierle queste indennità? Possibile che in tutti questi mesi (tutto ottobre, tutto novembre, tutto dicembre, tutto gennaio, tutto febbraio, tutto marzo, e siamo ad aprile) non abbiano trovato il modo (almeno) di onorare l’impegno assunto il 23/9/2004 portando a termine l’iter procedimentale per la conclusione del nuovo contratto? Eppure l’art.1337 c.c. richiederebbe alle parti di comportarsi secondo buona fede anche “nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto” e sei mesi mi sembrano davvero troppi, soprattutto in considerazione del fatto che nel frattempo si sono consumate (e continuano a consumarsi) gravi disparità di trattamento con riferimento al contratto tuttora vigente, quello del 26/4/2001. Allora è arrivato il momento in cui ognuno si assuma le proprie responsabilità o venga chiamato ad assumersele. Vi invito nuovamente ad intraprendere con più decisione le iniziative necessarie a sbloccare la situazione ed a tutelare i diritti di lavoratori che in questa Amministrazione il quid pluris di efficienza l’hanno garantito davvero».
 
(15) Sulla decisione di trasferire il dipendente M.M. ha probabilmente influito anche l’”esposizione extralavorativa” del medesimo nel campo della tutela dei diritti dei lavoratori. Al riguardo si possono indicare, tra le altre: pubblicazione del gennaio 2005 sul mobbing; lettera aperta in data 5/4/2005 in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (con la problematica relativa all’erronea predisposizione del piano di evacuazione da parte dell’Ente di che trattasi); lettera aperta in data 1/9/2005 sempre in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; lettera aperta in data 13/9/2005 sul Comitato paritetico sul fenomeno del mobbing previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto Regioni e Autonomie Locali, etc..
 
(16) Lettera aperta diffusa da M.M il 25/1/2006 a seguito dell’espletamento del tentativo di conciliazione avente ad oggetto proprio la controversia di che trattasi: «Gent.mo Dirigente del Servizio Finanziario. Le comunico che presso la Direzione Provinciale del Lavoro è stato esperito il tentativo di conciliazione tra me e l’Ente, per l’occasione rappresentato da due avvocati del Foro di (… capoluogo di Regione…), l’Avv. xxx e l’Avv. xxx, giusta deliberazione di Giunta n°(…) in data 29/11/2005. Le prestazioni professionali di questi due avvocati non possono certamente essere state rese a titolo gratuito. In primo luogo perché c’è un decreto ministeriale, (da ultimo) il n°127 in data 8/4/2004, che stabilisce la tariffa minima e massima degli onorari e delle indennità spettanti agli avvocati anche in materia stragiudiziale, con un articolo, l’articolo 9, che è specificamente dedicato alla “inderogabilità della tariffa” (e si potrebbe anche aggiungere, per quanto occorrer possa, che c’è un codice deontologico forense che all’art.43 stabilisce: “E’ consentito all’avvocato concordare onorari forfettari in caso di prestazioni continuative di consulenza ed assistenza, purché siano proporzionali al prevedibile impegno e non violino i minimi inderogabili di legge”). E poi per via della circostanza, certo non secondaria, che tali prestazioni sono state rese a favore di un ente pubblico chiamato a perseguire in ogni ambito fini di imparzialità, trasparenza e buon andamento (art.97 Cost.). Appurato che le prestazioni di questi avvocati non possono essere state rese a titolo gratuito, si pone il problema di stabilire a chi spetti pagare. E’ da escludersi innanzitutto che a pagare possa essere questo Ente e ciò per un triplice ordine di motivi: 1) perché mancando un (precedente) impegno di spesa ci troveremmo di fronte ad un debito fuori bilancio irriconoscibile ai sensi del combinato disposto di cui agli artt.183, 191 e 194 T.U. Enti Locali; 2) perché – per questo tipo di prestazioni – diritti ed obblighi per la P.A. sorgono solo da contratti che siano stati redatti in forma scritta (richiesta ad substantiam) e qui manca addirittura la determinazione a contrattare di cui all’art.192 T.U. Enti Locali; 3) perché l’incarico conferito contrasta con l’art.7, comma 6, D. Lgs. 165/2001 (e, probabilmente, anche con l’art.1, comma 42, legge 311/2004, senza considerare che la scelta di conferire tali incarichi, in violazione dell’art.3 legge 241/1990, non risulta minimamente motivata). Allora, se dovessero arrivare sulla Sua scrivania le notule di questi due avvocati relative alle prestazioni rese nel procedimento di conciliazione di cui trattasi, Ella potrà senz’altro restituirle ai mittenti con la seguente dicitura: “Prego rivolgersi direttamente ai Sigg. (…), presenti alla riunione di Giunta del 29/11/2005 e votanti la delibera n°(…). Tutti facilmente reperibili presso questa Amministrazione. I quali potranno precisare se intendono provvedere loro al pagamento ovvero indicare qualcun altro per l’adempimento. Distinti saluti”. Non pare possa esservi dubbio, infatti, sul fatto che l’incarico professionale conferito ai suddetti avvocati sia del tutto privo di copertura normativa (…). Il procedimento di conciliazione mal si presta a giustificare un incarico di tale natura (conferito addirittura a due avvocati), trattandosi, appunto, di dover esperire un semplice “tentativo di conciliazione” all’esito del quale né si vince, né si perde, ma al massimo non si trova l’accordo. In questo caso, poi, si partiva oltretutto dalla certezza che conciliazione non vi sarebbe stata perché la delibera di Giunta in data 29/11/2005 si era già premurata di dichiarare “infondate” le pretese del sottoscritto e perché questo “ordine di scuderia” è stato così bene eseguito dai suddetti avvocati che non è stato possibile sviluppare alcun tipo di confronto. Per venire alla Direzione Provinciale del Lavoro a ripetere esattamente le due righe già scritte nella delibera non c’era certo bisogno di scomodare due avvocati dal capoluogo di Regione. A limite, bastava chiederlo al Favi di… (modo di dire delle parti di M.M.; sta per uno qualsiasi). Né si potrebbe sostenere che una rappresentanza particolarmente qualificata sarebbe stata necessaria sotto il profilo del “comportamento (delle parti) valutabile” ai fini del regolamento delle spese nel successivo giudizio (art.66, comma 7, D. Lgs. 165/2001), perché comportamento peggiore di questo, al riguardo, non poteva esserci da parte dell’Ente se non facendo fare le pernacchie dai suoi rappresentanti. Pernacchie che, trovandoci tra persone educate, abbiamo tutti evitato di fare. Ove poi il motivo dell’incarico risiedesse in una (eventuale, indi solo ipotetica, per carità) volontà di mandare un messaggio tipo: noi abbiamo il potere organizzativo, il potere direttivo e possiamo mobilitare i migliori avvocati, chiaro il concetto?, beh, anche in tal caso l’incarico risulterebbe privo di copertura normativa perché le manifestazioni di arroganza, sì come le intimidazioni, resterebbero comunque a carico di chi (sempre eventualmente) volesse farle, non certo a carico dell’Amministrazione, ente pubblico vincolato al rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art.97 della Costituzione. D’altra parte, non è la prima volta che questo Ente si trova di fronte ad un procedimento di conciliazione e la Giunta, in questi altri casi, ha ritenuto sempre (e giustamente) di valersi dei suoi valenti funzionari, come, del resto, è nella ratio degli artt.65 e 66 D.Lgs. 165/2001: (…). Fa eccezione la delibera di Giunta n°(…) in data 5/12/2001, relativa al procedimento di conciliazione attivato dal Dott. xxx, Dirigente del Servizio xxx. Con tale delibera si affidava agli avvocati xxx e xxx, del Foro di (… capoluogo di Regione…), l’incarico di rappresentare l’Ente in seno al Collegio di Conciliazione (il primo) e col potere di conciliare (il secondo). La scelta di conferire i suddetti incarichi veniva così motivata: “per ragioni di opportunità e allo scopo di garantire una valutazione neutra rispetto alla problematica prospettata”. A mio parere tale motivazione non è persuasiva e direi che non regge né alla luce dei principi che presiedono all’esercizio della funzione pubblica (che rimane tale anche quando si verta in materia di rapporti di lavoro contrattualizzati soggetti al regime privatistico), né alla luce di quanto dispone l’art.7, comma 6, D.Lgs. 165/2001 (già art.7, comma 5, D.Lgs. 29/1993). E se poi è consentito, direi che la cosa non regge neppure alla luce della logica perché, anche a voler considerare ragionevole una tale motivazione sotto gli altri profili, di avvocati ne sarebbe certamente bastato uno… da consultare possibilmente qualche giorno prima. Che ci starebbero a fare, altrimenti, tutti questi dirigenti e direttori (a gravare non poco sul bilancio dell’Ente) se poi si deve affidare agli avvocati persino compiti come questi in un procedimento, quello di conciliazione, nel quale, come detto, non si pone neanche il problema di “vincere” o “perdere” e dove non è sicuramente prescritto il patrocinio obbligatorio di un avvocato (oggi peraltro non più previsto come obbligatorio nemmeno per il giudizio di primo grado davanti al giudice del lavoro: art.417-bis c.p.c.) ? Ah, a proposito, vennero emesse allora le notule professionali? E, se sì, chi le pagò?».
 
(17) Lettera aperta a CGIL, CISL e UIL cittadine in data 6 novembre 2006: «Nonostante che sulla questione fosse già intervenuto con un chiaro pronunciamento il Difensore civico Regionale, l’Amministrazione (…) aveva voluto confermare il diniego all’accesso ad alcuni atti che avevo richiesto per la tutela dei miei diritti. Contro il provvedimento confermativo del diniego ho presentato un ricorso al TAR, che (con sentenza depositata in data odierna) lo ha accolto, ordinando all’Ente l’esibizione di tutti i documenti richiesti. Vi segnalo la cosa per una ragione molto semplice. Altri dipendenti hanno vissuto vicende analoghe alla mia, fermandosi di fronte all’arroganza perché presentare ricorsi e sostenere le relative spese costituisce una oggettiva difficoltà per chi guadagna mille euro al mese; difficoltà che portano a dover rinunciare. E forse è proprio su tali difficoltà e sulle conseguenti rinunce che si conta per agire nel modo come si è agito e si agisce. Vicende come queste dovrebbero indurre il sindacato a riflettere sulla adeguatezza delle tutele che all’interno dei luoghi di lavoro riesce ad apprestare. Immagino, in ogni caso, che di questa comunicazione verrà fatto buon uso, informando adeguatamente i lavoratori».
 
(18) Per Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, 8/11/2004, n°21253, la conseguenza dell’illegittimo mutamento di mansioni del lavoratore subordinato, disposto dal datore di lavoro in violazione della norma contenuta nell’art. 2103 codice civile, è costituita non solo dal risarcimento del danno, ma anche dal ripristino della situazione originaria mediante la reintegrazione del lavoratore nella posizione di lavoro e tale principio deve trovare applicazione anche in ipotesi di trasferimento illegittimo. «In questo caso, come in ipotesi di dequalificazione professionale, deve ritenersi che il risarcimento del danno subito dal lavoratore possa essere liquidato dal giudice del merito in via equitativa». «Se si riconosce che la violazione della norma imperativa contenuta nell’art. 2103 cod. civ. implica la nullità del provvedimento datoriale si deve parimenti ammettere la possibilità che al lavoratore sia accordata una tutela piena, mediante l’automatico ripristino della precedente posizione, fatto salvo, ovviamente, il cosiddetto ius variandi del datore di lavoro», da esercitare in conformità delle norme che lo prevedono e fermi restando i principi di correttezza e buona fede di cui agli artt.1175 e 1375 c.c.. Per Corte di Cassazione, Sez. Lav., 12/1/2006, n°425 (in Guida al Diritto, n°13/2006), «In caso di illegittima dequalificazione del lavoratore dipendente, dalla nullità del provvedimento per violazione dell’articolo 2103 del c.c., deriva il diritto del lavoratore a una piena tutela satisfattoria dell’interesse leso mediante la condanna al risarcimento del danno e all’adempimento in forma specifica con l’ordine di riassegnazione alle mansioni precedentemente svolte, salvo lo jus variandi del datore di lavoro. Questa tutela è anch’essa “reale”, al pari di quella di cui all’articolo 18 della legge 300/1970, in quanto comporta la persistenza del rapporto illegittimamente modificato dal datore di lavoro, ma appartiene alla sfera del diritto comune, non essendo assimilabile al regime “speciale” previsto per il licenziamento ritenuto illegittimo».
 
(19) Sul c.d. danno alla professionalità quale “contenitore atecnico di plurimi danni”, v. M. Meucci, “Danni da mobbing e loro risarcibilità”, Ediesse 2006.
 
(20) «In relazione alla questione cruciale del limite, al quale l’art. 2059 c.c. assoggetta il risarcimento del danno non patrimoniale mediante la riserva di legge (originariamente esplicata dal solo art. 185 c.p.), deve escludersi, allorquando vengano in considerazione valori personali di rilievo costituzionale, che il risarcimento del danno non patrimoniale, che ne consegua, sia soggetto al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c.p.: ciò che rileva, ai fini dell’ammissione a risarcimento, in riferimento all’art. 2059 c.c., è l’ingiusta lesione di un interesse alla persona, dal quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica. In particolare, una lettura della norma costituzionalmente orientata impone di ritenere inoperante il detto limite, se la lesione ha riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti» (Corte di Cassazione, Sez.III, 31/5/2003, n°8828, in Giur. It. 2004, 1129). V., altresì, Corte Costituzionale, 11/7/2003, n°233. Su tali aspetti v. C. Cass., Sez. Lav., 19 dicembre 2005-6 marzo 2006, n°4774, e v., per quanto concerne la prova del danno esistenziale, C. Cass., S.U., 14/3/2006, n°6572 (in Guida al Diritto n°16/2006): «(…) il danno esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno – va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti l’avvenuta lesione dell’interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) – il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico – si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell’art.115 cod. proc. civ., a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove». Sulla questione, v. anche M. Meucci, “Danni da mobbing e loro risarcibilità”, Ediesse 2006. Da ultimo, v. C. Cass., Sez. Lav., 22/9/2006, n°20616, in www.legge-e-giustizia.it «(…) I giudici di rinvio – ha osservato la Corte – hanno affermato che la condizione di inattività lavorativa, nella quale era stato posto Pietro S., non poteva non avere cagionato al lavoratore, secondo l’id quod plerumque accidit, un’apprezzabile lesione al prestigio professionale inerente la posizione dirigenziale rivestita e alla dignità del lavoratore, intesa come esigenza di manifestare la propria utilità nel contesto lavorativo; hanno quindi ricavato la sussistenza del danno al prestigio professionale ed alla dignità del lavoratore da una ritenuta regolarità causale fra demansionamento, nella specie particolarmente rilevante, e conseguenze dello stesso in ambito lavorativo per quanto concerne, appunto, prestigio professionale e dignità (…)», nonché C. Cass., Sez. Lav., 12/10/2006, n°21826.:
 
(21) Reato in ipotesi astrattamente configurabile potrebbe, forse, essere quello previsto dall’art.323 del codice penale, che punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, “nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento (…), intenzionalmente (…) arreca ad altri un danno ingiusto” (Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, 6/2/2004, n°4945; Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, 23/6/2006, n°22242). Le norme di legge violate, laddove si ritenga di non poter direttamente considerare l’art.97 della Costituzione (ma, al riguardo, ci si ostina a ritenere condivisibili le argomentazioni svolte da C.F. Grosso, “Condotte ed eventi del delitto di abuso di ufficio”, in Il Foro Italiano 1999, Parte V-14, Pag.329 ss), potrebbero essere individuate, rispettivamente, nell’art.1, comma 1, lett. c), D. Lgs. 165/2001, laddove si enuncia il fine di “realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni”; nell’art.5, comma 1, D. Lgs. 165/2001, dove si precisa che “Le amministrazioni pubbliche assumono ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare l’attuazione dei principi di cui all’articolo 2, comma 1, e la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa”; nell’art.2087 c.c., che obbliga il datore di lavoro ad adottare “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”; nell’art.2043 c.c., precetto, quest’ultimo, “che, secondo il più recente orientamento delle Sezioni Unite Civili, va considerato non come norma secondaria volta a sanzionare una condotta vietata da altre norme, ma come norma primaria volta ad apprestare una riparazione del danno ingiustamente sofferto da un soggetto per effetto dell’attività altrui” (Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, 23/6/2006, n°22242 cit., coma anche C. Cass., Sez. VI Penale, 19/4/2000, n°4881). Per Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, 6/2/2004, n°4945 (in Codici d’Italia De agostini Prof.), «In tema di abuso di ufficio, realizza l’evento del danno ingiusto ogni comportamento che determini un’aggressione ingiusta alla sfera della personalità, per come tutelata dai principi costituzionali. (Fattispecie in cui il pubblico ufficiale aveva emesso un ordine di servizio con cui revocava ogni incarico ad una dipendente, in modo indebito e come ritorsione per aver testimoniato contro di lui, determinandole oltre che un danno economico derivante dalla perdita dell’incremento dello straordinario, derivante dai turni di disponibilità, anche una perdita di prestigio e decoro nei confronti dei colleghi di lavoro)». Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, 23/6/2006, n°22242 (in Guida al Diritto, n°30/2006): «Per la sussistenza del reato di abuso d’ufficio, nella valutazione della natura legislativa o regolamentare della norma che si assume violata, deve aversi riguardo non già all’origine o al modo di formazione del contenuto della norma stessa, bensì alla fonte cui essa si riporta e da cui mutua i relativi effetti. Di conseguenza, deve ritenersi attuata in violazione di una norma di legge anche la condotta che presenti difformità dalle prescrizioni di un atto amministrativo, quando questo sia stato espressamente adottato per adeguare il procedimento alle direttive di un atto avente forza di legge. (Fattispecie in cui il reato di abuso di ufficio è stato ritenuto relativamente a provvedimenti di trasferimento del personale in servizio presso un Comune, adottati in violazione di una delibera comunale, con la quale era stato emanato il regolamento organico di mobilità interna del personale, sul rilievo che trattavasi di delibera adottata in attuazione dell’articolo 51 della legge 8 giugno 1990, n°142, all’epoca vigente, dedicato agli organici degli uffici e del personale, nonché del generale potere regolamentare conferito a Province e Comuni dall’articolo 5 della medesima legge)».
 
 

Dott. Stefano Gennai

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