Bankitalia: rimettere l’Ici prima casa

Redazione 14/10/11
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In audizione sulla riforma fiscale gli esperti della Banca centrale sottolineano l’importanza della misura per il fisco locale. L’impatto – stima la Cgia – sarebbe di 2,8 mld l’anno. L’Anci: bene Bankitalia

articolo di Fortunato Laurendi tratto da www.lagazzettadeglientilocali.it

Sarebbe necessaria una riflessione sull’opportunità di reintrodurre l’abitazione principale fra gli immobili soggetti a imposta, in particolare l’Ici. Ad affermarlo è stato ieri il capo ricerca economica di Bankitalia, Daniele Franco, in Commissione finanze del Senato, intervenendo sulla riforma fiscale e assistenziale. Secondo Franco l’esenzione è un’anomalia nel panorama europeo e crea una sperequazione tra i proprietari e chi sta in affitto. Le imposte sulla proprietà immobiliare costituiscono il perno della fiscalità locale nella maggior parte dei paesi, poiché esiste un evidente collegamento fra la base imponibile (il valore dell’abitazione) e l’attività svolta dall’ente che riscuote il gettito. La possibilità per il contribuente di commisurare l’onere fiscale al beneficio ricevuto in termini di servizi pubblici locali rappresenta un importante incentivo a scelte di bilancio responsabili da parte degli enti. Sotto questo profilo l’esenzione dall’Ici delle abitazioni principali costituisce, nel confronto internazionale – ha fatto notare Franco – un’anomalia del nostro ordinamento tributario ed espone al rischio di trasferire una parte rilevante dell’onere dell’imposta su esercizi commerciali e studi professionali o sui proprietari di seconde case, residenti in comuni diversi da quello che applica l’imposta. L’assenza di tassazione sull’abitazione principale ai fini dell’Ici e dell’Irpef, unitamente alla detraibilità degli interessi passivi sui mutui per l’acquisto della prima casa, determina una sperequazione ai danni delle famiglie (il 20% circa del totale, appartenenti per circa la metà al primo quintile di reddito disponibile) che vivono in abitazioni locate. Tale discriminazione, sommata alla tassazione dei trasferimenti a titolo oneroso delle abitazioni, costituisce inoltre, secondo l’esponente della Banca centrale, un ostacolo alla mobilità dei lavoratori e all’uscita dal nucleo familiare. Sempre per quanto riguarda gli immobili, Franco ha ricordato che secondo le stime dell’Agenzia del territorio la ricchezza immobiliare è molto concentrata: il 5% dei proprietari più ricchi possiede quasi un quarto del patrimonio abitativo in termini sia di valori di mercato sia di rendite catastali e ha aggiunto che la mancata revisione dei valori catastali ha determinato una crescente divaricazione fra patrimonio abitativo dichiarato a fini fiscali e la ricchezza immobiliare effettiva. Franco ha poi lanciato l’allarme sull’impatto del taglio ai trasferimenti agli enti locali. Guardando alla nota di aggiornamento del Def, l’esponente di Bankitalia aggiunge infatti che la nota indica per il 2013 una pressione fiscale pari al 43,9%; a tale valore si aggiungerebbe una parte dell’effetto atteso dall’attuazione della delega in esame (pari a un punto di Pil). L’incremento della pressione fiscale tra il 2010 e il 2013 sarebbe pertanto compreso tra 1,3 e 2,3 punti percentuali. Tale livello sarebbe ancora maggiore se gli enti decentrati compensassero, anche solo in parte, la riduzione dei trasferimenti statali disposta con le manovre estive con un aumento dell’imposizione a livello locale. Un allarme rilanciato, sempre in audizione, dal presidente di Rete imprese Italia, Ivan Malavasi. La sofferenza delle imprese piccole e medie, soprattutto di quelle che lavorano per il mercato interno, ha raggiunto soglie di non sopportabilità. Sono a rischio l’occupazione e la tenuta del sistema produttivo. È evidente per tutti che con una pressione fiscale che nel 2014 raggiungerà il 44,9% del Pil la competitività del Paese è a rischio. Se poi gli enti locali dovessero recuperare i tagli ai trasferimenti attraverso le addizionali Irpef le cose andrebbero di male in peggio, ha sottolineato. Gli effetti? Se, come suggerisce la Banca d’Italia si reintroducesse l’Ici, i proprietari della prima casa pagherebbero, secondo una stima fatta dalla CGIA di Mestre, 2,8 mld di euro in più all’anno.  Infatti, dall’abolizione dell’imposta avvenuta nel 2008, i comuni italiani non incassano più direttamente questi soldi dai proprietari di abitazione, ma dallo Stato a titolo di compensazione. Comunque sia, se per i sindaci fosse una partita di giro e per l’Erario un risparmio di tutto rispetto, per i proprietari della prima abitazione, invece,  sarebbe un colpo non indifferente. Attualmente, sottolineano dalla CGIA, l’Ici sulle seconde e terze case, sugli edifici commerciali/artigianali, sui capannoni industriali, etc., garantisce un gettito pari a 9,47 mld di euro all’anno. Se aggiungiamo i 2,8 mld previsti dall’applicazione dell’imposta sulla prima casa, il gettito complessivo che potrebbe finire nelle casse comunali si attesterebbe complessivamente su i 12,2 mld di euro. Bene ha fatto Bankitalia a chiedere di valutare la reintroduzione dell’Ici sulla prima casa. Lo sostiene il neo presidente dell’Anci e sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio, secondo il quale la scelta di abolire l’Ici è stata una scelta sbagliata. Tutto quello che sposta la tassazione dalle persone e dalle imprese verso gli immobili – ha sottolineato – va bene. Noi abbiamo sempre detto che era una scelta sbagliata, ha tolto certezze ai comuni e la possibilità di avere introiti da nuovi cespiti. L’effetto netto di quell’abolizione – ha concluso – è stata negativa per l’autonomia dei comuni e dei territori.

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