Azione revocatoria: è inammissibile contro il fallimento

Redazione 26/02/19
Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 30416 del 2018 chiamata a pronunciarsi sulla questione dell’inammissibilità dell’azione revocatoria fallimentare od ordinaria rivolta nei confronti di una procedura concorsuale.

Il caso

La questione riguarda l’ammissione dell’azione revocatoria promossa ai sensi dell’art. 66 L.F. da una società s.r.l. nei confronti del fallimento di una società coop a r.l. , avente ad oggetto un atto di cessione di azienda concluso tra le società quando erano ancora in bonis.

In secondo, la Corte di Appello ha accolto l’impugnazione relativa alla sentenza di primo grado, dichiarando che la domanda revocatoria ordinaria, quale azione esecutiva individuale, radicata dal fallimento della società coop a r.l. era improponibile, perché azionata in violazione di quanto disposto dall’art. 51 L.F.. Il Giudice d’appello ha inoltre evidenziato che la procedura fallimentare non avrebbe avuto un interesse concreto ed attuale ai sensi dell’art. 100 c.p.c. alla proposizione della domanda revocatoria ordinaria, dal momento che il recupero dell’azienda oggetto di cessione non sarebbe stato possibile anche in ragione della natura dichiarativa e non recuperatoria dell’azione.

E’ stato proposto ricorso per Cassazione per violazione e errata applicazione dell’art. 51 L.F.con riferimento all’ improponibilità o inammissibilità dell’azione revocatoria, essendo stata proposta nei confronti di una procedura concorsuale.

Il ricorrente ha in specie dedotto che l’art. 51 L.F. non potrebbe trovare applicazione nei confronti dell’azione revocatoria ordinaria avente natura dichiarativa, dato che essa è destinata a concludersi con l’accertamento dell’inefficacia dell’atto di cessione e l’automatico rientro dei beni nella massa attiva fallimentare per effetto della sentenza di accoglimento.

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La Sezione rimettente

Secondo la Corte remittente, anzitutto:” sarebbe ipotizzabile un contrasto di giurisprudenza tra il più recente orientamento, espresso da due pronunce che hanno ritenuto inammissibile detta azione (il riferimento è a Cass. nn. 10486 del 2011 e 3672 del 2012) ed un più risalente indirizzo, a termini del quale l’azione, se proposta anteriormente al fallimento della parte convenuta in revocatoria, potrebbe essere proseguita; in secondo luogo, ha ritenuto comunque la questione “di massima di particolare importanza”, ove l’ipotizzato contrasto non fosse ravvisato nè fossero reputati persuasivi gli argomenti svolti a conforto dell’orientamento più recente, peraltro svolti in riferimento ad una diversa fattispecie (quella dell’azione revocatoria fallimentare), di cui si sollecita una rinnovata meditazione.

L’ordinanza di rimessione, infatti, compiendo una ricognizione delle linee interpretative nella materia concorsuale ha rilevato come recenti pronunce di questa Corte siano giunte ad affermare che “non è ammissibile un’azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, nei confronti di un fallimento” (in particolare, la sentenza 12 maggio 2011, n. 10486, a cui ha poi fatto seguito l’ordinanza 8 marzo 2012, n. 3672) atteso che la proponibilità della revocatoria contro un Fallimento urterebbe contro il “principio di cristallizzazione della massa passiva alla data di apertura del concorso”, così come sarebbe stabilito dalle norme di cui alla L. Fall., artt. 51 e 52: “posto che l’effetto giuridico favorevole all’attore in revocatoria si produce soltanto a seguito della sentenza che accoglie la domanda”, per il “carattere costitutivo” della detta azione.

Di contro la stessa ordinanza ha rilevato che – secondo altro orientamento di questa Corte, risalente nel tempo – il giudizio revocatorio ben potrebbe “proseguire” (avanti allo stesso giudice) pur se sopravvenga, nelle more di questo, il fallimento del soggetto che è stato convenuto in revocatoria.

Si tratterebbe di un orientamento assai condiviso e tradizionale (si richiamano, tra gli altri interventi, Cass., 14 ottobre 1963, n. 2746 (con una Procedura attrice originaria); Cass., 30 agosto 1994, n. 7583 (id.); Cass., 21 luglio 1998, n. 7119 (riguardante un’azione svolta da singolo creditore); Cass., 28 febbraio 2008, n. 5272 (i.d.); Cass., 19 marzo 2009, n. 6709 (un Fallimento attore originario); Cass., 27 ottobre 2015, n. 21810 (un’azione promossa dal singolo creditore); Cass., 4 ottobre 2016, n. 19795 (ancora un Fallimento attore originario), nonché, e in modo particolare, la pronuncia delle Sezioni Unite, 17 dicembre 2008, n. 29421 (un singolo creditore nelle vesti di attore), che tra l’altro ha affermato: “che sia consentito al curatore proseguire il giudizio intrapreso prima del fallimento dal singolo creditore, subentrando nella posizione processuale di costui, è affermazione sulla quale… non vi è alcun contrasto nella giurisprudenza”).”

L’ordinanza di rimessione prosegue segnalando che, nel negare la proponibilità dell’azione revocatoria in quanto tale contro una Procedura concorsuale, la sentenza di questa Corte n. 10486 del 2011 ha affermato che la proseguibilità dell’azione iniziata prima del fallimento della parte convenuta “può spiegarsi con la considerazione (generalmente accettata…) che gli effetti restitutori conseguenti alla revoca retroagiscono alla data della domanda, per il generale principio che la durata del processo non deve recar danno a chi ha ragione”. Ma, il collegio rimettente ha reputato di dover dubitare dell’effettiva forza persuasiva di simile rilevazione poiché la stessa si preoccuperebbe propriamente di reperire una giustificazione per la proseguibilità della revocatoria iniziata prima del fallimento del convenuto, là dove il tema – pur sempre centrale in questa decisione – sarebbe quello della predicata non proponibilità dell’azione revocatoria nei confronti di un soggetto che sia già fallito, anche in ragione della “tendenziale opinabilità di una soluzione che intenda differenziare tra proseguibilità dell’azione verso il fallito e promuovibilità della stessa (…) resa manifesta proprio dalla norma della L. Fall., art. 51, che per l’appunto in modo espresso parifica in relazione alle azioni individuali di tipo esecutivo e cautelare – il proseguimento dell’azione al suo inizio.

La decisione

Il Supremo Consesso ha enunciato il seguente principio di diritto: “la sentenza che accoglie la domanda revocatoria, sia essa ordinaria o sia fallimentare, in forza di un diritto potestativo comune, al di là delle differenze esistenti tra le medesime, ma in considerazione dell’elemento soggettivo di comune accertamento da parte del giudice, quantomeno nella forma della scientia decoctionis, ha natura costitutiva, in quanto modifica “ex post” una situazione giuridica preesistente, sia privando di effetti, atti che avevano già conseguito piena efficacia, sia determinando, conseguentemente, la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale (art. 2740 c.c.) ed alla soddisfazione dei creditori di una delle parti dell’atto.

B) Non è ammissibile un’azione revocatoria, non solo fallimentare ma neppure ordinaria, nei confronti di un fallimento, stante il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso ed il carattere costitutivo delle predette azioni; il patrimonio del fallito è, infatti, insensibile alle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca posteriore alla dichiarazione di fallimento e, dunque, poiché l’effetto giuridico favorevole all’attore in revocatoria si produce solo a seguito della sentenza di accoglimento, tale effetto non può essere invocato contro la massa dei creditori ove l’azione sia stata esperita dopo l’apertura della procedura stessa“.

Le Sezioni Unite della Suprema hanno accolto l’orientamento giurisprudenziale che riconosce la natura costitutiva della sentenza che pronuncia sulla azione revocatoria sia essa fallimentare od ordinaria a prescindere dalle differenze esistenti tra le due azioni.

La sentenza costitutiva produce effetti dal momento in cui essa passa in giudicato – ex nunc – che possono retroagire alla data della domanda (opponibile al fallimento, se trascritta, ai sensi dell’art. 45 L.F.).

Rimangono salvi i casi in cui la legge prevede espressamente che gli effetti della sentenza retroagiscono al momento in cui è sorto il rapporto che viene modificato (ad esempio ai sensi dell’art. 1458 c.c.).

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