Azione di spoglio: va reintegrato il convivente cacciato da casa

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In considerazione del rilievo sociale che ha ormai assunto per l’ordinamento la famiglia di fatto, la convivenza more uxorio, quale formazione sociale che dà vita ad un autentico consorzio famigliare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare. L’estromissione violenta o clandestina dall’unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest’ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio; tale principio trova applicazione anche qualora lo spoglio sia compiuto da un terzo nei confronti del convivente del detentore qualificato del bene.

Con tale principio di diritto gli ermellini con sentenza del 02/01/2014 n.07 hanno dato seguito ad un recente analogo orientamento elaborato da Cass. n. 7214/2013.

Il fatto. Il proprietario di un immobile lo concedeva in comodato gratuito al fratello il quale lo abitava assieme alla sua convivente. Nel corso di una degenza ospedaliera del fratello comodatario il proprietario, con l’aiuto di un terzo, modificava la serratura dell’abitazione sì da non consentire alla convivente di rientrarvi.

Insorgeva la convivente che avviava dinnanzi al Tribunale di Torino un’azione di spoglio nei confronti del convivente, proprietario e terzo ottenendo tutela nei confronti degli ultimi due riconosciuti autori dello spoglio.

La Corte di appello di Torino riformava la sentenza di primo grado poiché in favore della ricorrente non poteva riconoscersi né una situazione di possesso tutelabile, posto che il rapporto che intercorreva tra il suo convivente ed il proprietario era contrattuale, né di detenzione qualificata, poiché in virtù della convivenza in atto l’alloggio doveva considerarsi messo a disposizione per ragioni di precaria ospitalità.

In contenzioso approda in Cassazione.

In giudice della nomofilachia ha escluso che la convivente potesse vantare una situazione di possesso sull’immobile dato che la relazione con la cosa aveva avuto inizio in forza di un contratto di comodato e quindi a titolo di detenzione sì da escludere la presunzione di cui all’ art. 1141 c.c.. e senza che siano stati posti in essere atti volti alla negazione dell’altrui possesso ed alla affermazione del proprio.

Dunque, alla convivente veniva riconosciuto, però, un rapporto di fatto corrispondente alla detenzione e ciò in base al fatto che la convivenza fosse in atto per un periodo di tempo tale da escludere un mero rapporto di ospitalità(rapporto di ospitalità che non avrebbe legittimato la convivente ad agire ex art. 1168 c.c.) e che tale detenzione, come più volte affermato cfr. Cass. n. 7293/1992- Cass. n.11374/2010, fosse trasmissibile dal comodatario alla convivente.

Peverelli Nicola

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