Avvocati-arbitri: nuovi canoni deontologici per garantirne l’indipendenza

Redazione 10/01/12
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Lilla Laperuta

Il ruolo di arbitro non potrà essere assunto da chi abbia avuto negli ultimi due anni rapporti professionali con una delle parti. Il principio è stato stabilito dal Consiglio nazionale forense (CNF) che ha approvato nella seduta amministrativa del 16 dicembre 2011 (circ. 2-C-2012) le modifiche all’art. 55 del codice deontologico forense dettate da esigenze di coordinamento ed omogeneità con i contenuti del successivo e recentemente introdotto art. 55bis in materia di profili deontologici del mediatore (si veda l’articolo pubblicato su questo sito).

L’inserimento di quest’ultimo articolo si era reso necessario al fine di integrare i profili lacunosi delle previsioni normative inerenti l’istituto della mediazione (D.Lgs. 28/2010 e D.M. 180/2010). I citati provvedimenti omettono, infatti, di garantire, mediante un’adeguata conformazione della figura del mediatore, che i privati non subiscano irreversibili pregiudizi derivanti dalla non coincidenza degli elementi loro offerti in valutazione per assentire o rifiutare l’accordo conciliativo, rispetto a quelli suscettibili, nel prosieguo, di essere evocati in giudizio.

Ora l’impegno redazionale è consistito nel superare le evidenti incongruenze deontologiche ingeneratesi fra le pur due differenti figure, arbitro e mediatore.

Pertanto in perfetta analogia con quanto postulato per quest’ultimo, il riformulato art. 55 ora prevede che l’avvocato non può assumere la funzione di arbitro quando:

a) abbia in corso rapporti professionali con una delle parti;

b) abbia avuto negli ultimi due anni, rapporti professionali con una delle parti;

c) se ricorre una delle ipotesi di ricusazione degli arbitri declinate dall’art. 815, primo comma, del codice di procedura civile (interesse dell’arbitro nella causa, inimicizia con una delle parti, assenza di qualifiche convenute espressamente dalle parti…).

Una “offerta” ed una “garanzia” maggiore, dunque, che possono inquadrarsi nell’ambito della stessa responsabilità sociale dell’avvocato chiamato a svolgere la delicata funzione di compositore degli interessi delle parti e pronunciare la decisione finale.

Si prevede poi il divieto di accettare la nomina ad arbitro se una delle parti del procedimento sia assistita, o sia stata assistita negli ultimi due anni, da altro professionista di lui socio o con lui associato, ovvero che eserciti negli stessi locali.

Resta fermo l’obbligo di comunicare per iscritto alle parti ogni ulteriore circostanza di fatto e ogni rapporto con i difensori che possano incidere sulla sua indipendenza, al fine di ottenere il consenso delle parti stesse all’espletamento dell’incarico.

Infine, si vieta all’avvocato che ha svolto l’incarico di arbitro di intrattenere rapporti professionali con una delle parti:

a) se non siano decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento;

b) se l’oggetto dell’attività non è diverso da quella del procedimento stesso.

Il divieto si estende altresì ai professionisti soci o associati o che esercitino negli stessi locali.

Redazione

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