La Corte costituzionale ha rigettato il ricorso interposto dalla Regione Campania avverso la legge di bilancio per l’anno corrente, confermandone la legittimità. Al contempo, ha lanciato un monito al Parlamento, osservando che occorre una maggiore flessibilità per le Regioni in disavanzo e un coinvolgimento effettivo della Conferenza Stato-Regioni, e ciò per evitare squilibri territoriali e “tagli al buio”.
Indice
1. Il ricorso della Campania e la pronuncia della Consulta
Tramite la sentenza n. 152 depositata il 16 ottobre 2025, la Corte Costituzionale ha preso posizione sul ricorso promosso dalla Regione Campania contro alcuni commi della legge di bilancio per l’anno corrente (articolo 1, commi 784, 786, 789, 790, 792, 793, 796 e 797, lettere a) e d), della legge 30 dicembre 2024, n. 207, che reca “Bilancio di previsione dello Stato per il 2025 e bilancio pluriennale 2025-2027”) in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 53, 81, 97, 117, 119 e 120 della Costituzione. La Regione ha contestato la legittimità del contributo obbligatorio imposto alle Regioni a statuto ordinario per concorrere agli obiettivi di finanza pubblica, ritenendolo lesivo della propria autonomia finanziaria e costituzionalmente illegittimo. La Consulta ha dichiarato non fondate tutte le censure formulate dalla Regione Campania, riconoscendo la legittimità della misura, della sua durata e delle modalità di applicazione. Tuttavia, la Consulta ha colto l’occasione per sollecitare il legislatore su due fronti cruciali, ovvero la flessibilità nell’utilizzo dei fondi da parte delle Regioni in disavanzo, nonché il coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.
2. La questione della preclusione agli investimenti
Tra le criticità messe a fuoco dalla Corte Costituzionale c’è la totale preclusione per cinque anni dell’impiego del contributo per spese di investimento da parte delle Regioni in disavanzo. Per la Consulta tale rigidità potrebbe generare divari infrastrutturali e discriminazioni territoriali, compromettendo il principio di eguaglianza sostanziale sancito dalla Costituzione. La Corte ha invitato, per l’effetto, il Parlamento a rivedere il meccanismo, consentendo pure alle Regioni in difficoltà finanziaria di destinare parte del contributo agli investimenti. Revisione siffatta dovrebbe avvenire in una dialettica costruttiva tra Stato e Regioni, orientata al bene comune e alla coesione nazionale.
3. Il ruolo della Conferenza Stato-Regioni
Ulteriore highlight della pronuncia è rappresentato dal coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, già auspicato dalla sentenza n. 195/2024. La Corte Costituzionale lo ha definito “indefettibile” per la manovra di bilancio 2026, rimarcando che l’assenza di confronto istituzionale rischia di produrre “tagli al buio”, con ricadute imprevedibili sui servizi essenziali offerti alla popolazione. La Consulta ha ribadito che gli importi richiesti alle Regioni risultano considerevoli e incidono fortemente sulla loro autonomia finanziaria. Per questo, la voce delle Regioni deve essere ascoltata, anche per fornire al Parlamento gli elementi istruttori necessari a decisioni informate e trasparenti.
4. L’autonomia regionale e il pluralismo istituzionale
La Corte Costituzionale ha epilogato la pronuncia tramite un richiamo al pluralismo istituzionale garantito dalla Costituzione. Se le esigenze di contenimento della spesa pubblica si scaricano in modo sproporzionato sulle autonomie territoriali, si rischia di frustrare la loro capacità generativa e di minare l’equilibrio tra i livelli di governo. La sentenza in disamina, pur confermando la legittimità della legge di bilancio, rappresenta dunque un monito politico e istituzionale, evidenziando che il rigore finanziario non può essere cieco, bensì deve essere accompagnato da equità, dialogo e partecipazione.
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