La Corte di Cassazione, con un’ordinanza della Prima Sezione Civile, ha rimesso al centro il dibattito sull’assegno divorzile, chiarendo che il contributo fornito dal coniuge richiedente alla formazione del patrimonio familiare non può essere ignorato nella valutazione di merito.
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Indice
1. Il caso di specie
La vicenda nasce da una controversia tra due ex coniugi divorziati dopo un matrimonio durato ventisei anni. Dopo la separazione consensuale, che aveva previsto un assegno di mantenimento in favore dell’ex moglie, le parti erano giunte al divorzio, ma con il rifiuto da parte del Tribunale, poi confermato in appello, di attribuire alla ricorrente un assegno divorzile. Quest’ultima ha contestato la decisione sostenendo che il suo contributo personale ed economico alla formazione del patrimonio del marito fosse stato ignorato. La Corte d’Appello, basandosi sulle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, aveva ritenuto che non sussistesse uno squilibrio patrimoniale rilevante tra le parti e che la stessa disponesse di mezzi adeguati e autosufficienti.
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2. I motivi di ricorso
Tra le questioni sollevate in ricorso, la Cassazione ha accolto diversi motivi che hanno messo in evidenza errori significativi nelle decisioni dei giudici di merito. Uno dei punti principali riguarda la mancata valutazione del contributo personale ed economico fornito dalla ricorrente durante il matrimonio, un aspetto rilevante ai fini dell’assegno divorzile secondo l’art. 5, co. 6, della legge n. 898/1970. La ricorrente ha inoltre contestato la risoluzione adottata dalla Corte d’Appello nell’avallare senza riserve le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, nonostante fossero emerse discrepanze e questioni irrisolte, come la presunta partecipazione del marito in una società estera. Una delle critiche più rilevanti ha riguardato il rigetto delle prove orali, con le quali l’ex coniuge intendeva dimostrare il proprio ruolo nell’attività del marito e il sacrificio delle proprie opportunità professionali.
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3. Analisi della Cassazione sull’assegno divorzile
La Cassazione ha riscontrato diverse lacune nella sentenza d’appello, a partire dalla carenza di motivazione. Secondo l’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., la sentenza deve spiegare in modo chiaro e comprensibile il percorso logico-giuridico che ha condotto alla decisione. Nel caso in esame, la Corte d’Appello aveva dichiarato esaustiva la CTU, senza rispondere alle osservazioni critiche della ricorrente sulla necessità di approfondire le condizioni patrimoniali del marito, in particolare la sua presunta partecipazione in una società estera.
Inoltre, la decisione di rigettare le richieste istruttorie della donna, tra cui l’integrazione della CTU e l’ammissione di prove orali, è stata giudicata priva di una giustificazione adeguata. La Corte di Cassazione ha ricordato che le prestazioni lavorative svolte in ambito familiare possono essere valutate come contributo economico, purché il coniuge richiedente dimostri la subordinazione o l’onerosità delle stesse, superando la presunzione di gratuità.
Un ulteriore profilo critico ha riguardato la gestione della visura camerale relativa alla società estera. La Corte d’Appello aveva escluso tale documento dal giudizio, ritenendolo tardivamente prodotto. I giudici, tuttavia, hanno richiamato il principio secondo cui nel rito camerale è possibile produrre nuovi documenti purché venga garantito il contraddittorio, come stabilito dall’art. 4, co. 15, della legge n. 898/1970. Il documento avrebbe potuto fornire elementi rilevanti per accertare la reale consistenza patrimoniale del marito e non doveva essere escluso senza una valutazione nel merito.
4. Conclusioni
La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza d’appello e rinviato la causa alla Corte d’Appello per un nuovo esame. I giudici di merito dovranno attenersi ai principi stabiliti dall’art. 5, co. 6, della legge sul divorzio, valutando le condizioni patrimoniali delle parti in modo comparativo e tenendo conto del contributo personale ed economico fornito dalla moglie.
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