Art. 2645-ter c.c., interessi meritevoli di tutela e auto-destinazione

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Com’è noto, l’art. 2740 c.c. impone la cd. responsabilità patrimoniale generica del debitore, prevedendo che egli risponda dell’adempimento delle obbligazioni contratte con tutti i suoi beni presenti e futuri e che eventuali limitazioni a tale responsabilità non siano ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge. La legge può dunque stabilire sia una limitazione alla garanzia assicurata da alcuni beni non per la totalità del loro valore, ma per una mera quota, o non per l’ammontare totale dei crediti, ma per una quota, sia la sottrazione di alcuni beni alla garanzia per tutti o per alcuni crediti (impignorabilità assoluta o relativa). Un esempio peculiare di quest’ultima ipotesi è dato dall’art. 2645-ter c.c., introdotto dall’art. 39-novies, d.l. 273/2005, convertito in legge, con modificazioni, con l. 51/2006 e rubricato “Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche”. La formulazione di tale articolo, stante la sua imprecisione, ha dato luogo a non pochi dubbi e problematiche applicative, alcune delle quali vengono risolte in una recente ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia (8-12/05/2014).

In primo luogo, si pone il problema di quali siani gli “interessi meritevoli di tutela” che giustificano la creazione del vincolo. In effetti, il riferimento a “persone con disabilità” e “pubbliche amministrazioni” fa pensare a finalità di carattere essenzialmente sociale, ma il successivo riferimento ad “altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322” spinge a ritenere che il legislatore, nella formulazione letterale della norma, sia andato al di là delle sue stesse intenzioni iniziali. In particolare, dunque, bisognerà domandarsi se sia sufficiente la mera non contrarietà all’ordinamento degli interessi perseguiti (Falzea, Patti, Pezzani), ferma restando l’ovvia esclusione della finalità della mera conservazione dei beni destinati (Meucci), o se, tenuto conto dell’interesse dei creditori alla conservazione della garanzia del credito, sia necessaria una valutazione più rigorosa (Bianca, De Nova, Torroni). Proprio quest’ultima, anche secondo la succitata ordinanza, sembra essere la tesi da preferire, dovendosi effettuare una valutazione comparativa fra l’interesse sacrificato (quello dei creditori) e l’interesse realizzato con l’atto di destinazione (App. Trieste 1002/2013), ritenendo che debba prevalere quest’ultimo quando, appunto, esso abbia carattere pubblicistico o di solidarietà.

In ogni caso, lo scopo deve essere indicato nell’atto (Trib. Trieste, 07/04/2006) e la destinazione dei beni a tale scopo essere effettiva: per questo, è necessario che, nell’atto, sia indicata anche l’organizzazione della gestione del bene conferito (Bianca). Ciò comporta, come ha chiarito la succitata ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia, che, se l’esigenza di soddisfare i bisogni della famiglia è da ritenersi astrattamente meritevole di tutela, è comunque necessario specificare perché la segregazione patrimoniale costituisca l’ultimo o comunque il migliore strumento per garantirla, non bastando l’indicazione delle semplici esigenze abitative e nemmeno risultando convincente la semplice fissazione di un termine temporale del vincolo di destinazione posto molto più in là rispetto al presumibile raggiungimento dell’autosufficienza economica da parte dei figli.

Inoltre, si pone il problema se la norma presupponga un atto traslativo, dotato di un’autonoma causa, o se sia sufficiente un atto destinatorio puro, e il problema collegato di chi debba essere beneficiario dell’atto di destinazione e, in particolare, se conferente e beneficiario possano coincidere. Se, all’indomani dell’introduzione della norma, certa dottrina (Anzani, Franceschini, Oppo, Petrelli, Russo) si è pronunciata per la soluzione positiva, altri (Quadri) hanno giustamente sottolineato il rischio di un abuso dell’istituto. Su questa seconda linea si è stabilmente collocata la giurisprudenza (Trib. Reggio Emilia, 07/06/2012; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 28/11/2013; Trib. Reggio Emilia, 27/01/2014), secondo cui la possibilità della cd. auto-destinazione è esclusa da una serie di indici testuali:

-il fatto stesso che si parli di “conferente” e “beni conferiti” fa pensare a un trasferimento da un individuo ad un altro individuo;

-il fatto che, da un lato, anche il conferente possa agire in giudizio per la realizzazione degli interessi di cui al vincolo di destinazione, il che implica che il convenuto in giudizio debba essere necessariamente una persona diversa, e, dall’altro, che qualsiasi interessato possa agire in giudizio “anche” durante la vita del conferente stesso, e dunque, a contrario, pure dopo la sua morte e, quindi, contro un soggetto diverso da quest’ultimo.

Inoltre, più in generale, la possibilità di una segregazione patrimoniale si pone in contrasto con il principio della responsabilità patrimoniale generica del debitore di cui all’art. 2740 c.c. che, dunque, per non essere completamente scardinato, deve condurre ad un’interpretazione in termini restrittivi delle ipotesi di limitazione a tale responsabilità (Trib. Reggio Emilia, 8-12/05/2014).

E’ tuttavia possibile che il conferente trasferisca ad un terzo il bene pattuendo al contempo un vincolo di destinazione a proprio favore, in modo che l’acquirente diventi costitutore del vincolo e l’alienante beneficiario (Mastropietro).

Avv. Tovani Flavio

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