Art.126 bis Codice della Strada – un problema tormentato e infinito

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A seguito della contestazione non immediata di una violazione che comporti la decurtazione di punti della patente, con contestuale invito a comunicare i dati della persona fisica del conducente, si potranno verificare varie ipotesi di comportamento da parte del proprietario del veicolo:
1)Il proprietario dell’auto non comunica i dati del conducente; in forza della sentenza della Corte costituzionale n. 27/2005 non si procederà a decurtazione di punti ma si applicherà al proprietario la sanzione di cui all’art. 126 bis n.2.
2)Il proprietario comunica i dati del conducente: non si procederà ad applicazione di alcuna sanzione a carico del proprietario ma si aprirà una fase di contestazione ed accertamento a carico della persona indicata quale conducente. Resta la responsabilità personale del proprietario per eventuali false dichiarazioni.
3) Il proprietario fornisce una risposta che non contiene elementi di identificazione del conducente, oppure precisa di non poter fornire i dati del conducente e motiva tale omissione con la impossibilità di accertare i movimenti dell’auto all’epoca della violazione, o con altra argomentazione. E’ il caso più frequente che riguarda, soprattutto ma non solo, le cosiddette auto aziendali o comunque intestate a persone giuridiche.
E’ stato opportunamente posto il quesito di quale sia il fondamento giuridico della norma di cui all’art. 126 bis che, nell’ultima parte del punto 2), dispone a carico del proprietario un obbligo giuridico di comunicazione di dati e, successivamente, prevede la sanzione per l’omissione di detta comunicazione. Come già ricordato dalla Corte costituzionale, la giustificazione risiede nella normativa generale della responsabilità soggettiva prevista dagli artt. 40 e 41 C.P., applicabili anche in tema di responsabilità civile o comunque personale (Cass.civ. 8 agosto 2000 n. 10414 – Cass. Sez. unite 11 settembre 2002 n. 30328). Il secondo comma dell’art. 40 C.P. dispone che “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Anche il diritto civile, in ogni caso, conosce la responsabilità omissiva, quale violazione di uno specifico obbligo di fare.
Si può osservare che la comunicazione dei dati del conducente non equivale ad ammissione dell’addebito, assolvendo ad una semplice operazione storica di accertamento della conduzione del veicolo; non sembra che, sotto un profilo sistematico, tale risposta possa essere del tutto esauriente.
Non vi può essere dubbio che dalla richiamata norma discendano per il proprietario del veicolo due distinte conseguenze: sia l’obbligo di comunicazione dei dati del conducente, sia la sanzione relativa alla violazione di detto obbligo. Si tratta di fattispecie disciplinate distintamente, con separato regime sanzionatorio (art. 126 bis e art. 180 CdS) e tali norme sono frutto di un potere discrezionale del legislatore che non viola alcun principio costituzionale.
Resta da considerare l’inciso previsto dalla norma in ordine alla ipotesi di un giustificato motivo; si tratta di una esimente aperta, suscettibile di valutazione ponderata in rapporto al caso concreto. Il conflitto che si preannuncia riguarderà, da un lato, l’interesse pubblico alla repressione delle condotte illecite e la punizione dell’effettivo responsabile, mentre, dall’altro lato, si porrà la valutazione del fatto oggettivo che, pur sussistendo l’obbligo del cittadino alla collaborazione con l’ente pubblico per il raggiungimento di scopi di interesse collettivo, “ad impossibilia nemo tenetur”.
Il primo quesito concerne l’individuazione del soggetto competente alla valutazione del giustificato motivo addotto per la omissione dei dati del conducente. Poiché il destinatario primo della comunicazione del proprietario è l’autorità procedente, quest’ultima è titolare in via istituzionale del potere di valutazione discrezionale della fondatezza o meno delle motivazioni addotte, anche sotto il profilo dell’esercizio nell’interesse pubblico del potere di autotutela. Qualora, quindi, la P.A. ritenesse, per propria valutazione, di non procedere ad applicazione alcuna di sanzione a carico del proprietario, a causa della sussistenza di un giustificato motivo, nessuna illegittimità sarebbe riscontrabile in una simile decisione.
Ma l’ipotesi più probabile sarà quella dell’applicazione della sanzione, in forza dell’argomentazione contenuta alla lettera c) del punto 2) della circolare ministeriale del 4.2.2005 n.300/A/1/41236/109/16/1. In detto documento si pone l’accento in via esclusiva sull’effetto prodotto dalla omissione dei dati, sottolineando il pregiudizio dell’interesse pubblico a perseguire l’effettivo responsabile dell’illecito. Tuttavia in tanto può comminarsi una sanzione ad un soggetto in quanto sussista a carico dello stesso una responsabilità; non basta il solo effetto negativo dell’impunità del conducente per poter affermare che, con certezza inoppugnabile, sussista una responsabilità in capo al proprietario. E’ consolidato, sia in dottrina che in giurisprudenza, il convincimento della necessità di un accertamento rituale e puntuale del nesso di causalità fra condotta del soggetto ed evento negativo prodotto. Nella predetta circolare si vuole accreditare l’ipotesi di un automatismo fra insufficienza dei dati forniti dal proprietario ed obbligo della sanzione di cui all’art. 126 bis. Ma non è così semplice.
Nella fattispecie, infatti,  non si può evitare di verificare che fra il contenuto della risposta e l’evento negativo della mancata punizione del responsabile possa sussistere una esimente della responsabilità omissiva a carico del proprietario del veicolo. Tale compito, molto verosimilmente, sarà affidato al Giudice di Pace nel momento in cui il proprietario, avendo ricevuto la sanzione di cui all’art. 126 bis, proponga ricorso sostenendo di avere rappresentato un giustificato motivo di impossibilità di fornire i dati del conducente.
In tal senso si è espressa la sentenza della Corte costituzionale n.165/2008. Nel rigettare l’eccezione di incostituzionalità, la Corte osserva come il giudice rimettente “non avesse attribuito il dovuto rilievo «alla circostanza che agli illeciti amministrativi contemplati dal codice della strada si applica la disciplina generale dell’illecito depenalizzato di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), il cui art. 3, nel subordinare la responsabilità all’esistenza di un’azione od omissione che sia “cosciente e volontaria”, ha inteso, appunto, prevedere il caso fortuito o la forza maggiore quali circostanze idonee ad esonerare l’agente da responsabilità”.
Prosegue la detta sentenza osservando che “di conseguenza, la medesima ordinanza n. 244 del 2006, «alla stregua di tale duplice argomento ermeneutico (letterale e sistematico)», ha affermato che tra le varie interpretazioni della norma oggi censurata rientra anche quella che riconosce «la possibilità di discernere il caso di chi,inopinatamente, ignori del tutto l’invito “a fornire i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione”, da quello di colui che, “presentandosi o scrivendo”, adduca invece l’esistenza di motivi idonei a giustificare l’omessa trasmissione di tali dati».
Conclude la Corte “che debba essere riconosciuta al proprietario del veicolo la facoltà di esonerarsi da responsabilità, dimostrando l’impossibilità di rendere una dichiarazione diversa da quella “negativa” (cioè a dire di non conoscenza dei dati personali e della patente del conducente autore della commessa violazione); è una conclusione che discende anche dalla necessità di offrire della censurata disposizione, nella parte in cui richiama l’art. 180, comma 8, del medesimo codice della strada, un’interpretazione coerente proprio con gli indirizzi ermeneutici formatisi in merito alla norma richiamata, e secondo i quali essa sanzionerebbe il «rifiuto» della condotta collaborativa (e non già la mera omessa collaborazione) necessaria ai fini dell’accertamento delle infrazioni stradali. Inoltre, come anche affermato da questa Corte con l’ordinanza n. 434 del 2007, appare necessario precisare – per fugare «persistenti dubbi nell’interpretazione del testo originario dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada» – che la scelta in favore di «un’opzione ermeneutica, che pervenisse alla conclusione di equiparare ogni ipotesi di omessa comunicazione dei “dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione”, presenterebbe una dubbia compatibilità con l’art. 24 Cost.»; essa, infatti, «non consentendo in alcun modo all’interessato di sottrarsi all’applicazione della sanzione pecuniaria, si risolverebbe nella previsione di una presunzione iuris et de iure di responsabilità», con conseguente «lesione del diritto di difesa», dal momento che risulterebbe preclusa all’interessato «ogni possibilità di provare circostanze che attengono alla propria effettiva condotta». Resta, dunque, confermata, nell’applicazione anche del testo originario dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada, la necessità di distinguere il comportamento di chi si disinteressi della richiesta di comunicare i dati personali e della patente del conducente, non ottemperando, così, in alcun modo all’invito rivoltogli (contegno per ciò solo meritevole di sanzione) e la condotta di chi abbia fornito una dichiarazione di contenuto negativo, sulla base di giustificazioni, la idoneità delle quali ad escludere la presunzione relativa di responsabilità a carico del dichiarante dovrà essere vagliata dal giudice comune, di volta in volta, anche alla luce delle caratteristiche delle singole fattispecie concrete sottoposte al suo giudizio”.
E’ lecito chiedersi a quali riscontri oggettivi potrà fare riferimento il Giudice, posto che le giustificazioni meramente soggettive non potranno costituire una esimente giuridicamente valida.
E’ appena il caso di ricordare che l’esenzione da responsabilità, pur in presenza di un illecito certo, costituisce un fatto eccezionale e che, pertanto, l’ipotesi dovrà essere esaminata con particolare prudenza e rigore. Il Giudice dovrà fare riferimento, per quanto possibile, a riscontri oggettivi certi.
In primo luogo, trattandosi di violazioni accertate senza contestazione immediata, la notifica del relativo verbale deve essere effettuata entro 150 giorni; si verificherà, pertanto, il caso costante di un certo lasso di tempo fra la violazione e la sua contestazione. Il fatto è tutt’altro che trascurabile, poiché è certamente oggettiva la difficoltà di ricostruire con esattezza i propri movimenti a distanza di alcuni mesi. E’ altrettanto fondata l’osservazione che ciò può costituire una lesione certa del diritto di difesa, poiché qualunque testimonianza di terzi, eventualmente acquisita a distanza di diversi mesi, sarebbe giustamente esaminata con molta diffidenza da qualsiasi giudicante. Resta quindi aperta la valutazione della possibilità o meno per il proprietario dell’auto di acquisire certezze in linea di fatto in ordine ad una ipotesi di violazione notificata a distanza di alcuni mesi. Per una ipotesi di passaggio con luce semaforica rossa, infatti, non si vede con quale mezzo di memorizzazione l’individuo possa conservare tracce sicure del proprio transito regolare o meno, in totale assenza di contestazione immediata e di qualunque segnale sonoro in occasione dell’illecito. La giustificazione di non poter fornire i dati del conducente in considerazione del tempo trascorso resta, quindi, tutta da valutare nel caso concreto.
Per talune categorie lavorative esiste un’agenda di appuntamenti e di movimenti che può fornire un riscontro, ma si tratta pur sempre di dati soggettivi ed autogestiti, per i quali non sussiste un obbligo di legge di tenuta e conservazione secondo criteri prestabiliti.
In secondo luogo si può ricorrere all’esame delle caratteristiche del soggetto proprietario, in caso di auto aziendale; una ditta formata da sole due persone (o da marito e moglie con quest’ultima senza patente e casalinga) potrà concretamente offrire nei termini poche possibilità di un giustificato motivo a sostegno della impossibilità di accertare l’effettivo trasgressore al momento della violazione. Una società composta da molti dipendenti e con una organizzazione di movimentazione auto variabile giornalmente potrà invece rivestire maggiore attendibilità. Gli elementi di prova in fatto, tuttavia, dovranno essere forniti dal soggetto che invoca l’esimente, e la loro insufficienza ricadrà a danno esclusivo del proprietario.
Infine si può fare ricorso al genere di attività del proprietario ed all’esame delle persone che possono avere avuto l’uso dell’auto, per motivi personali, familiari o aziendali. Anche quest’ultimo costituisce un esame in fatto e in forza di indizi, positivi o negativi, forniti dal proprietario stesso.
Sarebbe, invero, auspicabile un intervento chiarificatore, che non può essere affidato ad uno strumento amministrativo, quale la circolare ministeriale. Molto potranno fare le decisioni dei Giudici di merito che, tuttavia, saranno sempre ancorate alle caratteristiche peculiari del caso concreto.
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Si pone un ulteriore quesito, da coordinare con altre norme che disciplinano la materia.
L’art. 126 bis dispone che “L’organo da cui dipende l’agente che ha accertato la violazione che comporta la perdita di punteggio, ne dà notizia, entro trenta giorni dalla definizione della contestazione effettuata, all’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida. La contestazione si intende definita quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi. Il predetto termine di trenta giorni decorre dalla conoscenza da parte dell’organo di polizia dell’avvenuto pagamento della sanzione, della scadenza del termine per la proposizione dei ricorsi, ovvero dalla conoscenza dell’esito dei ricorsi medesimi”.
Il provvedimento di decurtazione dei punti, pertanto, consegue alla comunicazione da parte dell’accertatore all’anagrafe, ma detta comunicazione non deve essere eseguita prima che l’accertamento sia divenuto definitivo, nel senso precisato dalla norma. Devono perciò ritenersi privi di effetto alcuno quei provvedimenti di decurtazione inviati contestualmente alla notifica della violazione o nel corso del procedimento di opposizione.
Dice ancora l’art. 126 bis: “La comunicazione deve essere effettuata a carico del conducente quale responsabile della violazione; nel caso di mancata identificazione di questi, il proprietario del veicolo, ovvero altro obbligato in solido ai sensi dell’articolo 196, deve fornire all’organo di polizia che procede, entro sessanta giorni dalla data di notifica del verbale di contestazione, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione. Se il proprietario del veicolo risulta una persona giuridica, il suo legale rappresentante o un suo delegato è tenuto a fornire gli stessi dati, entro lo stesso termine, all’organo di polizia che procede. Il proprietario del veicolo, ovvero altro obbligato in solido ai sensi dell’articolo 196, sia esso persona fisica o giuridica, che omette, senza giustificato e documentato motivo, di fornirli è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 250 a euro 1.000.”.
E’ lecito porsi il quesito del possibile conflitto fra la pendenza del giudizio di opposizione e la richiesta dei dati del conducente, da coordinare con altre norme che disciplinano la materia.
Nel caso di pendenza di ricorso, visto che la norma stessa dispone che la sanzione accessoria della decurtazione possa essere applicata soltanto dopo l’esaurirsi della procedura giudiziaria, si può ritenere che l’organo accertatore debba inoltrare la richiesta di precisazione dei dati del conducente soltanto dopo che la contestazione sia divenuta definitiva, con il rigetto dell’opposizione (nell’ipotesi di accoglimento dell’opposizione, infatti, non vi sarebbe nessuna violazione e quindi non sussisterebbe alcuna necessità di accertamento del responsabile). Il proprietario opponente che si veda rigettare il ricorso, deve avere la possibilità di indicare i dati del conducente, effettivamente responsabile della violazione, anche nel momento in cui diviene definitiva la contestazione. Ciò corrisponde ad una corretta valutazione sistematica del complesso normativo.
Infatti, la stessa Corte Costituzionale, nella motivazione della sentenza 27/2005, pur non affrontando ex professo il tema, ha chiaramente precisato che “in nessun caso il proprietario è tenuto a rivelare i dati personali e della patente del conducente prima della definizione dei procedimenti giurisdizionali o amministrativi per l’annullamento del verbale di contestazione dell’infrazione” dovendosi intendere “definita” la contestazione “quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi”.
Sulla scorta del mutato assetto normativo a seguito della declaratoria di parziale incostituzionalità dell’art.126 bis cds, ed in applicazione del principio richiamato, vanno quindi esaminate le varie fattispecie che possono presentarsi al vaglio giudiziale, nell’ottica dell’individuazione del dies a quo da cui far decorrere il termine previsto per le comunicazioni richieste dall’art.126 bis 2 comma cds.
Ipotesi a): Il proprietario non paga la sanzione nei sessanta giorni dalla notifica del verbale e non effettua alcuna comunicazione.
In tal caso la contestazione deve intendersi “definita”, nel senso evidenziato dalla Consulta, allo scadere del termine previsto per il pagamento della sanzione pecuniaria stabilita per la violazione contestata; il verbale infatti diventa definitivamente esecutivo per mancato pagamento nei sessanta giorni dalla sua notifica. Va tuttavia considerato che il proprietario avrà teoricamente ancora la disponibilità di sessanta giorni di tempo da tale scadenza per adempiere l’obbligo di comunicazione delle generalità e del numero di patente di colui che era effettivamente alla guida del mezzo.
In tal caso il verbale ex art.180 ottavo comma cds sarà legittimamente emesso, non essendo intervenuta alcuna comunicazione, ma i termini di validità per la sua notifica dovranno farsi decorrere dal centoventesimo giorno (60+60) dalla notifica del verbale di contestazione.
Ipotesi b): Il proprietario non paga la sanzione nei sessanta giorni dalla notifica, ma comunica nello stesso termine le generalità e del numero di patente di colui che era effettivamente alla guida del mezzo.
Si tratta dell’ipotesi “fisiologica”. In tal caso, il proprietario ha adempiuto l’onere informativo su di esso incombente, e quindi non sarà soggetto, se non quale obbligato solidale, né alla sanzione pecuniaria di cui al verbale di contestazione notificatogli, né a quella “derivata” di cui all’art.180 ottavo comma cds. La P.A, dovrà quindi notificare un altro verbale di contestazione all’effettivo conducente, dalla cui patente verrà decurtato il relativo punteggio, ed il termine per tale notifica decorrerà dal giorno della comunicazione effettuata dal proprietario del veicolo sanzionato.
Ipotesi c): Il proprietario non paga la sanzione nei sessanta giorni dalla notifica del verbale ma effettua la comunicazione dei dati del conducente oltre la detta scadenza.
Sebbene si tratti di ipotesi di difficile applicazione per ovvi motivi, tuttavia il sistema pare ammettere che il proprietario legittimamente comunichi i dati del conducente dopo la scadenza dei termini per il pagamento della sanzione recata dal verbale di contestazione e nei sessanta giorni da detta scadenza.
Da un lato il proprietario sarebbe soggetto al pagamento della sanzione pecuniaria prevista dal verbale di contestazione nella misura non più ridotta, essendo ormai lo stesso divenuto esecutivo definitivamente, mentre il conducente sarebbe soggetto alla sanzione della sola decurtazione del punteggio dalla patente di guida, sempre salva l’eventuale impugnazione da parte di quest’ultimo del verbale successivamente notificatogli (come si vedrà al paragrafo successivo). L’eventuale successiva notifica del verbale di cui all’art.180 ottavo comma cds nei confronti del proprietario per pretesa tardiva comunicazione dei dati richiesti, ossia oltre i sessanta giorni dalla notifica del verbale di contestazione, ma comunque entro i 120 giorni dalla medesima, sarà quindi sicuramente impugnabile per manifesta illegittimità in quanto il relativo termine non poteva dirsi ancora scaduto al momento di detta comunicazione.
Ipotesi d): Il proprietario non paga la sanzione ed impugna nei termini il verbale di contestazione
Anche tale ipotesi ricorre frequentemente. Il proprietario, avendo motivi per opporsi al verbale, lo impugna nei termini di legge radicando un procedimento giurisdizionale in ordine alla legittimità dell’accertamento effettuato. In tale caso la contestazione non potrà considerarsi “definita” sino a che risulterà pendente il procedimento medesimo e quindi sino a che lo stesso non sarà deciso con un provvedimento con autorità di giudicato.
In realtà è facile che il verbale ex art.180 ottavo comma cds sia notificato al ricorrente mentre ancora pende il giudizio di opposizione sul verbale di contestazione; invero, con le modifiche apportate dalla riforma del processo civile, ora la prima udienza viene fissata a non meno di 90 giorni più 20 per la notifica dal deposito del ricorso, mentre il verbale ex art.180 ottavo comma cds, considerando il termine dei sessanta giorni dalla notifica del verbale di contestazione, viene notificato entro i 150 giorni dal decorso di tali sessanta giorni e se il procedimento non si definisce alla prima udienza è facile che si verifichi una simile situazione. Orbene, poiché, come detto, il termine dei sessanta giorni per la comunicazione dei dati richiesti dall’art.126 bis 2 comma cds non può decorrere se non dalla definizione della contestazione, pendendo ancora il procedimento sulla contestazione stessa, l’eventuale opposizione al verbale ex art.180 ottavo comma cds (nel frattempo notificato) da parte del ricorrente dovrà essere accolta, essendo lo stesso stato emesso illegittimamente.
Nella ipotesi in cui il procedimento di opposizione al verbale di contestazione sia già definito si deve considerare il suo esito.
Così in caso di accoglimento del ricorso, l’accertata illegittimità della contestazione esclude in radice la necessità di accertare l’effettivo responsabile. Infatti, nell’ipotesi in cui, successivamente all’accoglimento del ricorso con conseguente annullamento del verbale impugnato, il ricorrente si veda notificare un verbale ex art.180 ottavo comma cds, per mancata comunicazione dei dati richiesti, e lo impugni per tale motivo, invocando la sentenza irrevocabile del giudice di pace emessa al riguardo, l’opposizione va senz’altro accolta.
In caso di rigetto del ricorso si deve invece accertare se la relativa sentenza sia stata impugnata o meno. Nel primo caso, pendendo un giudizio di appello avanti il tribunale, la contestazione non si può dire ancora “definita” nel senso divisato e quindi il verbale ex art.180 ottavo comma cds, eventualmente notificato al ricorrente, dovrà considerarsi illegittimo per gli stessi motivi sopra indicati.
Nell’ipotesi in cui la sentenza del giudice di pace non sia stata impugnata bisognerà accertare se siano o meno decorsi i termini per la sua impugnazione.
In caso negativo, potendo ancora essere proposta impugnazione, la contestazione non si può dire ancora “definita” nel senso divisato e quindi il verbale ex art.180 ottavo comma cds, eventualmente notificato al ricorrente, dovrà considerarsi illegittimo per gli stessi motivi sopra indicati.
In caso positivo invece, poiché la contestazione si deve intendere definita con il vano decorso del termine per l’impugnazione della sentenza di primo grado, il verbale ex art.180 ottavo comma cds dovrà essere considerato legittimo solo se sia stato notificato nei 150 giorni successivi al decorso dei sessanta giorni dalla scadenza del termine per impugnare la sentenza di primo grado e quindi da quando è intervenuto il giudicato sulla contestazione.
Ipotesi e): Il proprietario paga la sanzione nei sessanta giorni dalla notifica del verbale e non effettua alcuna comunicazione.
In tale ipotesi, che ricorre frequentemente, il proprietario, con il pagamento, riconosce implicitamente di essere anche conducente, ma ritiene di avere adempiuto compiutamente il proprio obbligo, il più delle volte perché non presta particolare attenzione a quanto indicato nel verbale in tema di conseguenze dell’omessa comunicazione ex art.126 bis secondo comma cds.
Una volta ricevuta la notifica del verbale di cui all’art.180 ottavo comma cds il proprietario solitamente interpone opposizione e sostiene la propria buona fede, evidenziata comunque dalla volontà solutoria in ordine alla sanzione pecuniaria, ovvero dichiara di non aver effettuato alcuna comunicazione credendo di subire la decurtazione dei punti personalmente ed anzi invocandola in sede di impugnazione.
Si ritiene che in tal caso l’impugnazione sia da rigettare sotto entrambi i profili. Quanto al primo appare evidente l’applicazione del noto brocardo ignorantia legis non excusat, né può invocarsi la buona fede laddove viene evidenziato chiaramente l’obbligo di comunicazione imposto al proprietario dalla norma di legge e la relativa sanzione in caso di inadempimento (che figura in ogni verbale di contestazione differito che comporti la decurtazione di punti dalla patente di guida). Quanto al secondo, a seguito della declaratoria di incostituzionalità dell’art.126 bis secondo comma cds, la decurtazione dei punti dalla patente di guida del proprietario del veicolo può conseguire solo ad una espressa comunicazione dei dati richiesti del conducente (mentre nel previgente regime tale comunicazione serviva ad evitare la decurtazione dei punti del proprietario del mezzo) con la conseguenza che il proprietario che vuole evitare la sanzione pecuniaria prevista dall’art.180 ottavo comma cds, preferendo la decurtazione dei punti dalla propria patente di guida, non può legittimamente ritenere che essa consegua automaticamente al pagamento tout court della sanzione prevista dal verbale, ma deve comunicare i propri dati entro il termine, come visto, dei sessanta giorni dal momento dell’avvenuto pagamento di tale sanzione, perché è con tale pagamento che la contestazione è stata “definita”, e non certamente in sede di impugnazione del verbale ex art.180 ottavo comma cds, in modo oltre che irrituale anche intempestivo.
In definitiva si può affermare che:
– l’applicazione della sanzione accessoria della decurtazione dei punti è l’effetto della definitività dell’accertamento;
– detta definitività matura a seguito del decorso del termine utile al ricorso, senza che questo venga proposto, o dalla sentenza che rigetta il ricorso ed in assenza di impugnazione;
– prima della definitività, ogni provvedimento di decurtazione non ha effetti giuridici ed appare perciò illegittimo;
– il proprietario ha l’obbligo di comunicazione dei dati ma potrà adempiere a detto obbligo sia nel termine di sessanta giorni dalla richiesta, in qualunque tempo inviata, sia entro il termine di sessanta giorni dalla conoscenza del rigetto del suo ricorso;
– non sembra legittima l’applicazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 126 bis CdS fino a quando pende l’opposizione che, se accolta, annullerebbe il fatto illecito che forma il presupposto per l’applicazione di qualsiasi sanzione, principale o accessoria.
– il proprietario che comunichi i dati del conducente entro sessanta giorni dalla conoscenza della sentenza di rigetto, ha diritto che si proceda alla decurtazione dei punti a carico del responsabile e non all’applicazione a proprio carico della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 126 bis comma CdS.
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Legittimazione al ricorso da parte del trasgressore effettivo, cioè del conducente, soggetto diverso dal proprietario.
La giurisprudenza della Suprema Corte ha sempre negato la legittimazione attiva a proporre ricorso avverso la contestazione di violazione al codice della strada a persona diversa da quella alla quale è stato notificato il verbale. Nell’adottare tale linea costante di orientamento la Cassazione ha affermato che, essendo la notifica del verbale l’atto preordinato alla formazione del titolo esecutivo, il soggetto al quale non sia stato notificato tale verbale non avrebbe alcun interesse processuale alla proposizione del ricorso, in quanto nei suoi confronti non potrebbe mai prodursi un titolo idoneo alla riscossione coattiva della sanzione pecuniaria.
(si vedano Cass. Civ. sent. 11.01.2007 n. 325 e Cass.civ. sent. 19.06.2006 n.14098).
Tale giurisprudenza, tuttavia, giudicava di casi concreti avvenuti in un’epoca anteriore alla introduzione della patente a punti. La decurtazione può colpire persona diversa dal proprietario del veicolo, al quale viene notificato il verbale, nei casi di contestazione non immediata. Inoltre mentre nella pena pecuniaria vi può essere solidarietà fra conducente e proprietario, per la decurtazione dei punti sussiste una responsabilità esclusiva del solo conducente, in quanto identificato.
Il mutamento del regime sanzionatorio ha quindi condotto sia la Corte costituzionale che la Cassazione ad una preziosa precisazione.
Cassazione civ. sent. 18.02.2008 n.3948 afferma: “L’estinzione di una pecuniaria, prevista dal codice della strada, derivante dal pagamento in misura ridotta da parte del coobbligato solidale, proprietario dell’autoveicolo, non preclude al conducente, in qualità di autore materiale dell’infrazione, di proporre ricorso giurisdizionale al fine di evitare l’applicazione della sanzione personale relativa alla decurtazione di punti della patente di guida, conseguente alla violazione accertata (v. Corte Cost. n.471 del 2005)”.
Nella detta sentenza la Corte Costituzionale così si esprimeva: “E’ evidente, quindi, che – una volta definita la vicenda relativa alla sanzione pecuniaria, in virtù’ del pagamento in misura ridotta effettuato da taluno dei soggetti coobbligati  solidalmente per la stessa, ex art. 196 del Codice della strada (soggetti, tra l’altro, a carico dei quali non si potrebbe írrogare la sanzione accessoria della decurtazione dei punteggio dalla patente di guida, secondo quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 27 del 2005) – nessuna norma precludealconducente ­del veicolo, autore materiale dell’infrazione stradale, di adire le vie giudiziali per escludere l’applicazione, a suo carico, della sanzione personale” suddetta, Essa, oltretutto, non riveste più carattere accessorio, ma assume valore di sanzione principale per il contravventore, tale motivo presentandosi come l’unica suscettibile di contestazione in sede giudiziaria; contestazione, invece, preclusa per la sanzione pecuniaria, proprio per l’avvenuto pagamento della stessa in misura ridotta, da parte di uno dei coobbligati in solido.
E’ chiaro, infine, come l’iniziativa intrapresa dal contravventore non possa essere considerata propriamente diretta all’annullamento del verbale di contestazione dell’infrazione stradale ex art 204-bis del codice della strada, bensì al mero accertamento della sua illegittimità, al solo e specifico scopo di escludere che lo stesso possa fungere da titolo per irrogare a tale soggetto la sanzione della decurtazione del punteggio dalla patente di guida e da titolo per una eventuale azione di regresso”.
Anche alla luce del principio dell’interesse ad agire (art. 100 cpc), pertanto, al soggetto che, con dichiarazione confessoria, si qualifichi conducente del veicolo al momento dell’infrazione contestata con notifica al solo proprietario, potrà essere riconosciuta legittimazione attiva a proporre ricorso, anche nell’ipotesi di acquiescenza e pagamento della sanzione pecuniaria da parte di quest’ultimo.
Aspetti giuridico-processuali
CLASSIFICAZIONE DELL’ILLECITO
Trattasi di illecito omissivo. L’istituto è noto al diritto penale, all’art. 40 – 2° comma C.P., ove si specifica che non impedire un evento che si ha l’obbligo di prevenire, equivale a cagionarlo. In realtà, nel caso de quo, si tratta più semplicemente di un inadempimento ad un obbligo di legge, che costituisce comunque una violazione. L’interesse pubblico tutelato, tuttavia, è quello della individuazione del reale trasgressore, al quale applicare la sanzione del tutto personale della decurtazione dei punti della patente. In tal senso l’obbligo de quo è stato anche classificato quale obbligo di collaborazione del cittadino con la Pubblica Amministrazione. La condotta illecita, in ogni caso, è essenzialmente un “non fare” in presenza di un obbligo di “fare”.
MOMENTO DI CONSUMAZIONE DELL’ILLECITO
L’illecito omissivo, allorchè la condotta dovuta debba essere adempiuta entro un termine di tempo prestabilito, si consuma allo spirare del termine utile, senza possibilità di recupero.
“In tema di fatti omissivi connessi alla mancata attuazione di una determinata condotta entro un termine prefissato, al fine di verificare se si tratti di reato istantaneo o di reato permanente è necessario considerare se, decorso inutilmente il termine penalmente sanzionato, la condotta prescritta non possa essere più tenuta utilmente, perché l’inosservanza del dovere ha cagionato in modo irreparabile e definitivo la lesione dell’interesse protetto dalla legge; ovvero se l’azione prescritta possa essere ancora utilmente tenuta, stante la persistenza dell’interesse giuridico sotteso alla norma penale incriminatrice”. (Cassaz. penale, sez. IV, 3 giugno 1995)
“Per aversi reato omissivo istantaneo non basta che sia prefissato un termine per l’adempimento del dovere sanzionato penalmente ma è necessario che si tratti di termine oltre il quale l’azione prescritta non può essere utilmente compiuta, dato che la inosservanza del dovere ha prodotto in modo definitivo la lesione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice”. (Cassaz. penale, sez. III, 20 maggio 1985).
La individuazione del momento di consumazione dell’illecito istantaneo e non permanente determina la competenza.
Il tempo della consumazione: è lo spirare del termine previsto per la comunicazione
Il luogo della consumazione: l’ultimo luogo, prima dello spirare del termine, nel quale avrebbe potuto essere adempiuto l’obbligo.
TIPOLOGIA DELLA CONDOTTA DOVUTA
Si tratta di una comunicazione scritta, da inoltrare ad un destinatario precisato. Si deve quindi presumere che il mezzo della comunicazione tramite servizio postale sia la modalità più comune (anche se non l’unica).
Il principio generale (ormai codificato dalle nuove norme del Codice di procedura civile a seguito della sentenza della Corte Cost. 26.11.2002 n. 477 e successive conferme) sancisce l’adempimento agli obblighi di notifica o comunicazione nel momento della consegna all’ufficiale postale o ufficio delle notifiche. Gli effetti per il notificante maturano dal momento dell’inoltro, restando estranei al mittente gli eventuali effetti negativi delle operazioni materiali di trasporto e consegna della comunicazione
La comunicazione può essere inviata da qualunque luogo sul territorio nazionale ma tale riflessione non porta a conclusioni significative. Poiché si discute della possibilità astratta della comunicazione, e quindi, dello spirare della possibilità concreta di inviare la stessa, si deve presumere che l’ultimo momento utile a tale invio si consumi nel luogo principale degli affari e degli interessi dell’obbligato, cioè la sua residenza.
PRIMA CONCLUSIONE
L’illecito si consuma nel momento e nel luogo in cui il trasgressore lascia spirare presso la sua residenza il termine utile per spedire la comunicazione, quindi sessanta giorni.
VERIFICA DELLE NORME DI ORDINE PROCESSUALE
NORME DEL CPC
L’eventuale opposizione avverso la contestazione ha quale convenuto la Pubblica Amministrazione.
L’art. 25 cpc indica il Giudice del luogo ove è sorta o deve eseguirsi l’obbligazione. In relazione all’art. 126 bis CdS, l’obbligo sorge al momento e nel luogo ove viene ricevuto l’invito, cioè la residenza dell’obbligato.
Il luogo ove deve essere eseguita l’obbligazione con la comunicazione, per quanto sopra già esposto, coincide con l’ultimo momento utile ad eseguire l’atto che comporta l’estinzione dell’obbligo: la residenza dell’obbligato resta il luogo più probabile.
Competenza territoriale
LEGGE 689/81
L’art. 22 determina la competenza per territorio del Giudice ove è commessa la violazione.
Senza ripetersi, la violazione dell’invito di cui all’art. 126 bis CdS e quindi la violazione dell’obbligo, sono commesse nel luogo di residenza del trasgressore (restando irrilevante la violazione della norma di comportamento che ha dato origine all’invito a comunicare i dati del conducente).
La Cassazione ha affermato più volte che, per tutto quanto non previsto dalla legge 689/81, devono applicarsi le norme processuali del giudizio ordinario civile.
NORME DEL CPP
La legge 689/81 deriva dalla depenalizzazione di illeciti penali; l’impostazione sistematica di tale normativa è di natura penale e l’illecito omissivo è tipico del diritto penale. E’ d’obbligo, tuttavia, prendere atto che la detta legge non disciplina reati ma illeciti amministrativi. Non è quindi conferente il richiamo alle norme che regolano il processo penale. In via residuale, peraltro, anche l’esame delle norme che regolano la competenza per territorio in materia penale, di cui agli artt. 8 e 9 cpp, non portano a concludere per luoghi diversi dalla residenza dell’imputato.
La Cassazione con ordinanza n. 17580 in data 09/08/2007, in sede di regolamento di competenza, si è espressa nel senso della competenza del luogo ove è stata commessa l’infrazione originaria, pur senza addurre alcuna convincente motivazione al riguardo.
“È territorialmente competente a decidere l’opposizione avverso il verbale di contestazione della violazione dell’articolo 126 bis, comma secondo, cod. strada – sanzionante il proprietario del veicolo che senza giustificato motivo non comunichi nel termine previsto le generalità del conducente al momento della commessa infrazione – il giudice del luogo dove ha sede l’organo di polizia procedente, giacchè l’infrazione si consuma nel luogo in cui avrebbe dovuto pervenire la comunicazione che è stata omessa”.
Non risultano esaminate tutte le osservazioni sopraesposte.
In merito si è espresso il Ministero dell’Interno, con circolare PROT. N. M/2413/28, in risposta a segnalazioni da parte di alcune Prefetture, circa le incertezze e le difficoltà in ordine alla individuazione del Prefetto e/o del Giudice di Pace territorialmente competenti a decidere i ricorsi proposti avverso i sommari processi verbali di contestazione delle violazioni dell’art. 180, comma 8, CdS, violazione richiamata espressamente dall’art. 126 bis, comma 2 dello stesso Codice, ritenendo che:
al fine di fondere la competenza del Prefetto e/o Giudice di Pace cui proporre ricorso avverso la condotta omissiva tenuta successivamente alla violazione contestata, il luogo della commissione di quest’ultima non possa assumere alcun rilievo e che debba, piuttosto, farsi riferimento al luogo di residenza dell’interessato.
Si ringraziano in particolare i Giudici di Pace dott. Roberto Ambrosini, dott. Renato Amoroso e dott. Andrea Mario Busca.

Ufficio del Giudice di Pace di Monza

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