Arbitro bancario e finanziario e mediazione: la difficile convivenza forzata in una dicotomia sistematica.

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1. Premessa.

Se il fine della mediazione è quello di ricercare la conciliazione tra le parti, può la mediazione risolvere anche i conflitti interni a se stessa?

Come ho già avuto modo di osservare [v. articoli su questo sito “Quale sorte per le spese di mediazione nel giudizio: breve riflessione sull’art. 13 del d.lgs. 28/2010” e “Verbale di conciliazione e accertamento dell’ usucapione: dicotomia annunciata od occasione già (apparentemente) perduta?”], il testo del decreto legislativo 28/2010 appare a mio avviso tutt’altro che scevro da contraddizioni, incoerenze e lacune, che si riflettono sull’applicazione ora della mediazione in sé, ora di talune sue norme, senza per questo voler dire che essa non rappresenti una valida risorsa per la risoluzione delle controversie alternativa ai tempi e ai costi della giustizia ordinaria, oltreché un’opportunità per conservare e talora ripristinare i rapporti tra le parti.

Il dubbio che quest’oggi mi pongo concerne l’inclusione del procedimento innanzi all’Arbitro Bancario e Finanziario (ABF) tra quelli idonei a soddisfare la condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

2. Conciliazione Consob e procedimento ABF: principi di funzionamento e differenze di principio.

Nel decretare quali fossero le materie per le quali fosse imposta la condizione di procedibilità della domanda giudiziale, il legislatore delegato ha stabilito, all’art. 5 del decreto legislativo 28/2010, che tale obbligo fosse da ritenersi assolto con l’esperimento non solo della mediazione da esso disciplinata, ma anche, ratione materiae, della conciliazione innanzi alla Consob o dal procedimento davanti all’ABF.

La ragione di una tale equiparazione si trova enunciata nella Relazione illustrativa al decreto legislativo: “in materia di contratti bancari e finanziari, vantando già il settore diffuse esperienze di composizione bonaria da mettere utilmente a profitto anche nel procedimento di mediazione introdotto con l’emanando decreto legislativo, si è pensato di valorizzare sia il procedimento di conciliazione previsto dal d. lgs. 8 settembre 2007, n. 179, sia il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, facendoli assurgere – nelle materie di riferimento – a condizione di procedibilità alternativa rispetto a quella davanti agli organismi, sul presupposto che gli organi ivi disciplinati offrano già oggi adeguate garanzie di imparzialità e di efficienza.”.

Ora, quanto alla procedura di conciliazione Consob, prevista dalla legge 262/2005, attuata con il decreto legislativo 179/2007 e disciplinata dal regolamento Consob 16763 del 29/12/2008, si può affermare che sebbene essa faccia registrare talune formalità estranee alla mediazione pura (es. il procedimento deve concludersi entro sessanta giorni dal deposito dell’istanza di conciliazione e può essere prorogato per una sola volta di un pari periodo e in caso di diniego alla proposta del mediatore ciascuna parte deve indicare la propria definitiva posizione o le condizioni cui è disposta a conciliare), comunque si connota di principi generali (es. riservatezza interna ed esterna, preclusione della prova testimoniale e omologabilità del verbale di accordo) analoghi a quelli enunciati nel decreto legislativo 28/2010. Riguardo all’omologabilità dell’accordo, è interessante notare che mentre in sede di mediazione il controllo deve essere condotto sotto il duplice profilo dell’esistenza di norme imperative contrarie e del rispetto dell’ordine pubblico, nella conciliazione Consob la verifica viene detta necessaria solo sotto il profilo della regolarità formale del verbale (art. 14, comma 1 del regolamento Consob 16763/2008).

Si può quindi dire che la conciliazione Consob, sebbene con le caratteristiche sue proprie, rappresenti a ogni effetto un’alternativa alla mediazione, o meglio una mediazione alternativa, in quanto coerente, e per molti tratti coincidente, con i criteri e le norme cui la mediazione si informa, oltre che con i principi comunitari in materia.

Non stride pertanto la fungibilità tra le due procedure affermata dal legislatore delegato.

Tutt’altro discorso dev’essere invece fatto per il procedimento davanti all’ABF, previsto dalla legge 262/2005, regolato nei criteri di funzionamento con delibera CICR 275 del 29/07/2008 e attuato con provvedimento della Banca d’Italia del 18/06/2009, modificato da ultimo il 12/11/2011.

Tacendo dei limiti di cognizione per valore e orizzonte temporale dei fatti deducibili1, ciò che balza agli occhi leggendo la delibera CICR, è quanto la procedura innanzi all’ABF sia improntata a formalismi del tutto estranei ai principi informatori della mediazione: vi si parla di ricorso (art. 5, comma 1), controdeduzioni (art. 5, comma 3) e decisione del collegio (art. 3). Inoltre, circostanza non di poco conto, le parti non presenziano dinanzi al collegio, che si pronuncia sulla sola base dell’istruttoria documentale (art. 6, comma 1: “Il collegio si pronuncia entro 60 giorni dal momento in cui ha ricevuto le controdeduzioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine per la presentazione di queste ultime da parte dell’intermediario o degli organismi associativi ai sensi dell’articolo 5.”).

La decisione, infine, a differenza del verbale di conciliazione, è solo relativamente vincolante, nel senso che qualora il ricorso venga totalmente o parzialmente accolto, l’eventuale inadempimento dell’intermediario darà solo luogo solo a una pubblicità negativa, in quanto soggetto a pubblicazione sul sito web dell’ABF e su due quotidiani nazionali (sez. VI, art. 4 del provvedimento della Banca d’Italia del 12/11/2011), senza possibilità di omologa ai fini esecutivi e cautelari.

Il procedimento innanzi all’ABF non è, dunque, una mediazione, né vi si può accostare, neanche in via di ipotesi. Peraltro, nutro anche qualche perplessità sull’annoverarlo tra gli strumenti di A.D.R. puri.

Ciò nonostante, il legislatore delegato lo ha ritenuto, sempre ratione materiae, fungibile con la mediazione.

3. Procedimento ABF e mediazione: perplessità interpretative.

Ritornando all’art. 5 del decreto legislativo 28/2010, dalla lettura del secondo periodo del comma 1 apprendiamo che l’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Come si è detto poco sopra, la condizione può anche essere assolta, ratione materiae, con la partecipazione alla conciliazione innanzi alla Consob o al procedimento davanti all’ABF.

Sennonché, se il primo dei due procedimenti alternativi può senz’altro dirsi affine alla mediazione, tale da legittimare la sovrapposizione concettuale tra i due istituti, lo stesso non può certo affermarsi per il secondo, per le ragioni che si sono espresse.

Il punto, però, è un altro.

All’art. 6, comma 4 della delibera CICR 275/2008 si legge che il procedimento innanzi all’ABF dev’essere interrotto, anche d’ufficio, qualora consti l’avvio di un tentativo di conciliazione secondo le norme di legge.

Vediamo allora che cosa possa intendersi per “tentativo di conciliazione secondo le norme di legge”.

Partiamo col dire che tale espressione si trova utilizzata anche all’art. 2, comma 6 della stessa delibera, dove viene sancito che “Non possono essere proposti ricorsi inerenti a controversie già sottoposte all’autorità giudiziaria, rimesse a decisione arbitrale ovvero per le quali sia pendente un tentativo di conciliazione ai sensi di norme di legge.”.

Escluse dunque per ovvie ragioni, le conciliazioni giudiziali e quelle in sede arbitrale, rimangono le procedure stragiudiziali di conciliazione2. Ora, escludendo da queste ultime quelle il cui ambito di cognizione sia incompatibile con l’oggetto delle controversie devolvibili all’ABF, restano la conciliazione davanti ai giudici di pace e quella davanti alle camere di commercio. Ma non solo: anche la mediazione deve farsi rientrare per forza di cose nell’alveo del concetto in esame.

Quindi, ricapitolando brevemente, qualora nel corso del procedimento davanti all’ABF emerga che una delle parti abbia promosso a lato un tentativo di conciliazione nei termini sopra detti, il primo si dovrà interrompere; peraltro, l’effetto, diversamente dall’interruzione nel processo civile, è l’estinzione del procedimento, nel senso che in caso di esito negativo del tentativo di conciliazione, esso non potrà essere ripreso dal punto in cui era arrestato, ma dovrà ripartire ex novo. Quindi, più che di interruzione sarebbe più opportuno parlare di estinzione. Il che non è certo di poco conto.

A questo punto non si può non domandarsi perché un tale procedimento sia stato inserito dal legislatore delegato quale sostituto fungibile della mediazione, quando con quest’ultima non condivide il benché minimo principio informatore. In altre parole, perché un procedimento ritenuto ope legis deteriore rispetto alla mediazione, connotato da notevole formalismo, introdotto con un ricorso argomentato in fatto e in diritto, ritualmente istruito, concluso con la decisione di un collegio (ancorché relativamente vincolante), che non prevede la partecipazione delle parti, è stato a essa equiparato (ai fini dell’assolvimento della condizione di procedibilità della domanda giudiziale)?

Oltretutto, non si trascuri il fatto che avere previsto che la proposizione di una domanda di mediazione in itinere di procedimento davanti all’ABF, provochi l’interruzione (rectius, l’estinzione) di quest’ultimo, potrebbe essere foriero di distorsioni e abusi: si pensi fra tutte all’ipotesi di un intermediario finanziario, che consapevole del proprio torto e obbligato ope legis a partecipare al procedimento (può anche non costituirvisi, ma esso continuerà comunque in sua contumacia: altra notevole differenza rispetto alla mediazione), nel corso di esso proponga istanza di mediazione senza alcun animo conciliativo e al solo fine di non vedersi condannare dall’ABF (ricordiamo che l’eventuale inadempimento dell’intermediario sarebbe punito con la pubblicazione l’inosservanza della decisione del collegio). Certo, l’intermediario potrebbe in tal caso rispondere della propria condotta in sede processuale, ma dalla teoria alla pratica si deve passare per l’istruttoria.

Neanche può far dormire sonni tranquilli l’affermazione, contenuta nella citata Relazione illustrativa, che ABF e Camera Consob offrano eguali (rispetto alla mediazione) garanzie di imparzialità ed efficienza.

Senz’altro un tale enunciato di principio può valere per la conciliazione Consob: la procedura di selezione e gli obblighi gravanti sui conciliatori sono infatti pressoché analoghi a quelli imposti ai mediatori, mentre è irrilevante la composizione della Camera (cinque membri scelti dalla Consob tra avvocati, notai, commercialisti, magistrati, professori universitari e dirigenti pubblici).

Per l’ABF la questione è invece ben diversa: come si è detto, non esiste un mediatore (né un conciliatore che dir si voglia), bensì un collegio giudicante (anzi, tre collegi, con sede rispettivamente a Milano, Roma e Napoli), formato da cinque membri, tre dei quali designati dalla Banca d’Italia, uno dalle associazioni degli intermediari e uno da quelle dei clienti. Ora, considerato che la Banca d’Italia è per buona parte espressione delle banche italiane (http://www.bancaditalia.it/bancaditalia/funzgov/gov/partecipanti/Partecipanti.pdf), il rapporto è, di fatto, di quattro a uno.

Le perplessità non sono però finite.

L’art. 4, comma 1 del decreto legislativo 28/2010 afferma che in caso di più domande di mediazione relative alla stessa controversia, la procedura si svolga davanti all’organismo presso il quale sia stata presentata la prima domanda.

Ora, se, come afferma l’art. 5 dello stesso decreto, il procedimento di mediazione e quello innanzi all’ABF sono fungibili ratione materiae, nel senso che l’uno e l’altro sono parificati negli effetti processuali, allora dovrebbe esserlo anche il fatto che presentate due domande, una innanzi a un organismo di mediazione e l’altra davanti all’ABF, si dovrebbe avanzare nella procedure avviata per prima.

Dovrebbe essere così, ma non lo è: adito per primo l’organismo di mediazione, il ricorso all’ABF è inammissibile; nell’ipotesi opposta, proposta l’istanza di mediazione, il procedimento davanti all’ABF si deve interrompere.

Non ravvisando giustificabili ragioni giuridiche che abbiano condotto il legislatore delegato a operare una tale scelta, è opportuno spostare l’attenzione sulla delega legislativa.

Anzitutto chiariamo un punto: la delega al Governo di recepire la direttiva 2008/52/CE non è contenuta nella legge 69/2009, come da più parti affermato, bensì nella 88/2009 (legge comunitaria 2008); nondimeno, né nel titolo, né nel prologo, del decreto legislativo 28/2010, che viene detto appunto di attuazione della citata direttiva, si trova espresso alcun riferimento o rinvio alla legge comunitaria, unica ed effettiva delega al recepimento di essa.

Ad ogni modo, ai sensi dell’art. 76 Cost. la delega deve contenere, oltre ai limiti di durata e alla definizione degli oggetti, l’indicazione dei principi e dei criteri direttivi, che servono, da un verso, a circoscrivere il campo della delega, sì da evitare che essa venga esercitata in modo divergente dalle finalità che l’abbiano determinata, e, dall’altro, a consentire al potere delegato la possibilità di valutare le particolari situazioni giuridiche da regolamentare. All’uopo il precetto costituzionale è dunque da ritenersi soddisfatto quando siano conferite al legislatore delegato delle direttive vincolanti, ragionevolmente limitatrici della sua discrezionalità e delle indicazioni che riguardino il contenuto della disciplina delegata, mentre allo stesso legislatore delegato è demandata la realizzazione tecnica delle finalità, delle esigenze e degli interessi del legislatore delegante. In caso, poi, di delega al recepimento di direttive comunitarie, i principi contenuti in queste ultime si sovrappongano, in sostanza, con quelli generali, apparendo ciò come una sostanziale abdicazione del Parlamento alla potestà di determinarli in via esclusiva, a maggior ragione quando le direttive lascino ampi spazi discrezionali ai legislatori nazionali.

Trasponendo quanto appena detto nell’odierno contesto, si potrebbe essere indotti a sostenere che sebbene legge delega non facoltizzasse espressamente il legislatore delegato a introdurre una giurisdizione condizionata, quest’ultimo potesse comunque prevederla, in quanto prevista a monte nella direttiva comunitaria oggetto di attuazione.

Una tale affermazione, però, non convince.

Leggendo con attenzione l’art. 5, comma 2 della direttiva 2008/52/CE, ci si può avvedere con facilità di come esso affermi di rimettere alla legislazione nazionale la scelta discrezionale di rendere il ricorso alla mediazione obbligatorio (oppure soggetto a incentivi o sanzione), senza perciò dettare principi o criteri direttivi per gli Stati membri che fossero dunque recepibili, nel nostro ordinamento, dal legislatore delegato pur in assenza di una puntuale delega parlamentare; trattandosi perciò di esercizio dell’ordinaria discrezionalità legislativa e non di attuazione della volontà del legislatore comunitario, che sul punto ha lasciato agli Stati membri liberi di disciplinare la materia secondo discrezione, la giurisdizione condizionata sarebbe invero legittima nella misura in cui fosse stata prevista, a monte, nella delega del Parlamento. Sennonché, nella legge 69/2009 una tale previsione manca.

Di conseguenza, la circostanza che la giurisdizione condizionata sia necessariamente di derivazione interna e non comunitaria, e che la legge delega nulla abbia previsto – che sia implicitamente o per relationem – in questa direzione, porta a ipotizzare un eccesso di delega che, ragionando nei termini appena detti, non apparirebbe priva di fondamento.

Ma nche non volendo condividere una tale conclusione, non può essere taciuto il fatto che il citato art. 5, comma 2 della direttiva riconosca la facoltà di condizionare la procedibilità della domanda giudiziale con preciso ed esclusivo riferimento alla mediazione (“La presente direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario.”): l’ABF, però, non è un organismo di mediazione e il procedimento innanzi a esso non è, di conseguenza, una mediazione (cui nemmeno si accosta in via di principio, diversamente dalla conciliazione Consob).

Quindi, neppure guardando la questione sotto una tale diversa lente si può rintracciare le ragioni legittimanti la scelta di cui qui si discute: già la norma al vertice della piramide legislativa esclude, infatti, che un procedimento come quello innanzi all’ABF possa dirsi coerente e conforme con i principi, i criteri e le finalità di cui essa è portatrice.

4. Conclusioni.

Alla luce della riflessione fin qui svolta, mi viene da esprimere una serio dubbio sulla legittimità costituzionale e comunitaria di avere previsto, ai fini dell’assolvimento della condizione di procedibilità della domanda giudiziale, una fungibilità ratione materiae del procedimento innanzi all’ABF rispetto alla mediazione: sono infatti dell’opinione che sussista, a seconda della lettura che si voglia dare all’art. 5, comma 2 della direttiva 2008/52/CE, o un eccesso di delega, per non avere, il Parlamento, facoltizzato, neppure implicitamente o per relationem, il Governo, all’introduzione di una giurisdizione condizionata (ancorché solo per talune materie), o una violazione del diritto comunitario, per avere, il Governo, attuato la facoltà di condizionare la procedibilità della domanda giudiziale all’esperimento della mediazione, prevedendo, ai fini dell’assolvimento di tale condizione, l’esperibilità di un procedimento diverso da quello di mediazione, il solo disciplinato e legittimato dalla direttiva comunitaria e con esso oltretutto incompatibile per criteri, principi direttivi, effetti giuridici.

1 Le domande di condanna proponibili dinanzi all’ABF non possono eccedere i 100 mila euro e i fatti deducibili non possono essere anteriori all’1/01/2007 (tale termine, a decorrere dall’1/07/2012, sarà spostato in avanti all’1/01/2009).

2 Tra esse ricordiamo la conciliazione innanzi ai giudici di pace (art. 322 c.p.c.), nelle controversie di lavoro (art. 410 c.p.c. come modificato dalla L. 183/2010, nei contratti di subfornitura (art. 10, comma 1, del D.Lgs. 192/1998), nei contratti di franchising (art. 7 della L. 129/2004), nel diritto d’autore (art. 71-quinquies della L. 633/194), davanti alle commissioni arbitrali o conciliative istituite presso le camere di commercio ai sensi dell’art. 2, comma 4, lett. a) della L. 580/1993.

Guidoni Emanuele

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