Appalto di servizi: la clausola del bando che prescrive, per la partecipazione ad una gara per l’affidamento del servizio di pulizia degli edifici comunali, la produzione dell’impegno di un fideiussore a rilasciare garanzia a copertura di eventuali manca

Lazzini Sonia 07/12/06
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Nell’esercizio del potere di scelta del contraente, l’amministrazione del tutto legittimamente non si disinteressa di profili, quali la garanzia per i crediti retributivi, che incidono sia sulla effettiva concorrenzialità delle scelte di mercato, sia sui profili solidaristici del rapporto non estranei ad una moderna concezione della tutela della concorrenza
 
Il Tar Sicilia, sezione di Palermo, con la sentenza numero 291 dell’ 1 febbraio 2006 ritiene non meritevole di accoglimento il ricorso avverso la volontà espressa da un’amministrazione di avere, da parte dell’aggiudicatario di un appalto di servizi di pulizia, una garanzia fideiussoria a copertura del mancato pagamento delle retribuzioni e di altri oneri sociali in favore dei propri dipendenti.
 
Le censure articolate dalla parte ricorrente, poggiano sul seguente assunto:
“Trattasi di una prescrizione esulante ed in alcun modo contemplata dalla vigente normativa che disciplina la materia delle garanzie e delle coperture assicurative nei pubblici appalti, incongruente con le finalità e con l’interesse pubblico sottostante alla indetta selezione ad evidenza pubblica, che – oltre a non essere correlata, né riconducibile sotto il profilo logico ad alcun aspetto qualitativo del servizio – si traduce in un’indebita limitazione dell’accesso delle imprese interessate presenti sul mercato, in contrasto ai principi di concorsualità e di ampia partecipazione cui devono invece uniformarsi i pubblici incanti”.
 
Entrambe le affermazioni poste a fondamento della richiamata premessa sono, ad avviso del collegio, prive di fondamento
 
La decisione dell’adito giudice amministrativo, si basa sulla seguente considerazione:
 
< Un’impresa che non garantisse il pagamento degli stipendi e dei contributi pubblici stabiliti da norme imperative altererebbe, pur in presenza di un’offerta economicamente conveniente (e dunque del soddisfacimento dell’interesse puramente patrimoniale dell’amministrazione aggiudicatrice), il gioco della effettiva concorrenza fra le imprese del settore, tenute a tali adempimenti.>
 
e ancora.
 
< l’esistenza, nella lex specialis, di ulteriori meccanismi volti a tutelare i diritti dei lavoratori dipendenti dell’appaltatore (la cui legittimità non è contestata dalla parte ricorrente), altro non è che una conferma dell’esistenza di un interesse giuridicamente rilevante per l’amministrazione committente a garantire i relativi crediti (tanto che questa argomentazione appare in contrasto con la principale censura posta a fondamento del ricorso): una volta acclarata l’esistenza e la legittimità di tale interesse, nulla impedisce all’amministrazione, entro i ricordati limiti di ragionevolezza e di proporzionalità, di aggiungere alla disciplina legale, ed alla disciplina del bando relativa a diversi profili di tutela della sfera dei lavoratori dipendenti, la previsione di una garanzia per le obbligazioni retributive e contributive>
 
ma l’emarginata sentenza merita di essere segnalata anche per un’ osservazion sulla differenza di finalità che sta dietro rispettivamente alla norme di contabilità pubblica e a quelle di derivazione comunitaria.
 
Per le prime infatti:
 
< Quanto alla causa del potere amministrativo di scelta del contraente, ed al corrispondente interesse pubblico (che funge da parametro alla cui stregua va valutata la ragionevolezza della lex specialis), da tempo dottrina e giurisprudenza hanno superato l’impostazione secondo la quale l’esercizio di detto potere mirerebbe unicamente alla tutela dell’interesse patrimoniale dell’amministrazione aggiudicatrice, legato all’utilizzo di risorse pubbliche (sotto il duplice profilo della stipula del contratto alle migliori condizioni economiche, e dello svolgimento del servizio secondo parametri qualitativamente adeguati).>
 
mentre per le seconde:
< In ragione della matrice comunitaria delle norme di rango primario che attualmente regolano la materia, e del conseguente mutamento della causa del potere in esame nella direzione della tutela della concorrenza, deve ritenersi che all’originaria finalità d’interesse pubblico sopra richiamata si sia aggiunta quella di tutela della concorrenza, penetrata nel nostro ordinamento con i caratteri proprio della corrispondente nozione elaborata in ambito comunitario e dunque non in una accezione puramente mercantile, connessa unicamente allo statuto dell’impresa, ma con chiari accenti solidaristici.>
 
 
per quanto concerne la specifica controversia, il Tar sottolinea che:
 
< Si tenga presente che nella fattispecie si controverte intorno ad un appalto di servizi, il cui costo principale per l’appaltatore, in relazione al quale va parametrato il margine di profitto da valutare nella presentazione dell’offerta economica, è costituito proprio dalla retribuzione della prestazione lavorativa dei dipendenti.
 
La tutela della concorrenza, nella sua dimensione di matrice comunitaria (come garanzia di efficienza del mercato e strumento di benessere sociale), sarebbe, in tal caso, del tutto vanificata da una procedura di evidenza pubblica all’apparenza garante dell’interesse (economico-patrimoniale) portato dalla singola amministrazione (in disparte quanto ulteriormente si specificherà in seguito, in relazione all’interesse dell’amministrazione alla predisposizione di strumenti di garanzia per la eventuale commissione di illeciti in sede di esecuzione del contratto).>
 
 
Ma gli insegnamenti che possiamo trarre non sono finiti.
 
Il giudice siciliano infatti distingue anche fra funzione di una polizza di responsabilità civile terzi  da una polizza cauzioni.
 
Vediamo come:
 
<mette conto osservare che, nell’ambito del punto 8.2. del bando di gara, subito dopo la lettera a) (oggetto di impugnazione), vi è una lettera b) (non impugnata) che prevede la “costituzione di una polizza assicurativa per responsabilità civile per danni o persone o cose e per sinistri per persone per animali o cose”.
 
Con questa seconda previsione, evidentemente ritenuta legittima dalla parte ricorrente, l’amministrazione aggiudicatrice ha inteso tutelare quei terzi – rispetto al rapporto contrattuale di appalto – che dall’esecuzione di tale rapporto potessero accidentalmente subire un pregiudizio.
 
La clausola oggi impugnata è del tutto identica a quella ora esaminata: con l’unica differenza che il titolo di responsabilità civile è, in un caso (quello dei dipendenti dell’impresa), di responsabilità contrattuale, mentre verso i terzi è di responsabilità extracontrattuale.
 
L’interesse dell’amministrazione, oltre a correlarsi all’attuale regime normativo della causa del potere amministrativo di scelta del contraente, risiede nella esigenza di predisporre adeguati meccanismi di garanzia volti ad assicurare, in caso di illecito civile connesso all’esecuzione del rapporto contrattuale, che i danneggiati – da contratto o da delitto – possano contare su di uno strumento che assicuri loro di poter contare sull’equivalente monetario della deminutio patrimonii subìta.>
 
A cura di *************.
 
 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, Sezione Terza, con l’intervento dei signori magistrati
 ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso n. 410/2005, proposto dalle imprese *** società consortile a r.l. e Impresa *** Maria, entrambe in persona dei legali rappresentanti pro tempore, in proprio e nella qualità della costituenda associazione temporanea di imprese, rappresentati e difesi dall’avvocato. *******************, ed elettivamente domiciliati in Palermo, via F. Ferrara n. 8, presso lo studio dell’avvocato. ***************.
 
contro
 
– il Comune di Trapani, in persona del Sindaco pro-tempore;
 
– l’Ufficio Intercomunale Pubblici Appalti, in persona del Dirigente pro tempore; non costituiti in giudizio
 
e nei confronti
 
della s.r.l. ***, in proprio e nella qualità di capogruppo dell’associazione temporanea di imprese costituita con la s.n.c. Impresa *** Servizi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. ****************************, ed elettivamente domiciliato in Palermo, via Noto n. 12, presso lo studio dell’avvocato. ******************;
per l’annullamento, previa sospensione
quanto al ricorso introduttivo:
– della clausola di cui al punto 8.2, lett. a), del bando di gara per l’affidamento del servizio di pulizia degli edifici dell’amministrazione comunale di Trapani e della pulizia dei bagni fissi, pubblicato nella G.U.R.S. n. 51 del 17 dicembre 2004;
– dell’art. 21, cpv., III capitolato speciale d’appalto;
quanto al ricorso per motivi aggiunti:
– del provvedimento del 24 gennaio 2005, di esclusione dalla gara dell’offerta presentata dall’associazione temporanea di imprese ricorrente;
 
– del provvedimento del 17 marzo 2005, di aggiudicazione della gara in favore del raggruppamento controinteressato;
– dei verbali di gara del 24 gennaio e del 17 marzo 2005, nella parte in cui recano i provvedimenti sopra indicati.
Visti il ricorso introduttivo ed il ricorso per motivi aggiunti con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del raggruppamento controinteressato;
Vista l’ordinanza cautelare n. 428 del 2005;
Letti ed esaminati gli scritti difensivi ed i documenti prodotti dalle parti;
 
Relatore alla pubblica udienza del 25 gennaio 2006 il Referendario ******************;
 
Uditi i procuratori delle parti come da verbale di udienza;
 
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
 
FATTO
Con ricorso notificato il 14 febbraio 2005, e depositato il successivo 18 febbraio, l’associazione temporanea di imprese ricorrente ha impugnato il bando ed il capitolato di gara indicati in epigrafe, deducendone l’illegittimità.
 
In particolare, il ricorso risulta affidato alle seguenti censure:
 
– “violazione di legge: allegato I sez. III 1.1. D. Lgs. 9.4.03 n. 67 – art. 65 n. 8 R.D. 23.5. 1924 n. 827 – art. 30 legge 11.2.94 n. 109”;
 
– “eccesso di potere sotto il profilo della illogicità, della arbitrarietà e della incongruenza manifesta”.
 
Con successivo ricorso per motivi aggiunti, venivano inoltre impugnati i provvedimenti portati dai verbali di gara indicati in epigrafe, per i seguenti motivi:
 
– “violazione di legge: allegato I sez. III 1.1. D. Lgs. 9.4.03 n. 67 – art. 65 n. 8 R.D. 23.5. 1924 n. 827 – art. 30 legge 11.2.94 n. 109”;
 
– “eccesso di potere sotto il profilo della illogicità, della arbitrarietà e della incongruenza manifesta”;
 
– “invalidità derivata”.
 
L’associazione temporanea di imprese controinteressata si è costituita in giudizio per resistere al ricorso.
 
Con ordinanza n. 428 del 2005, è stata respinta la domanda cautelare di sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, per difetto del requisito del fumus boni iuris.
 
La parte controinteressata ha quindi prodotto una memoria in prossimità dell’udienza di discussione del merito del ricorso.
 
Il ricorso è stato definitivamente trattenuto in decisione all’udienza pubblica del 25 gennaio 2006.
 
DIRITTO
 
1. L’associazione temporanea di imprese ricorrente ha impugnato, con il ricorso introduttivo, la clausola del bando che prescrive, per la partecipazione alla gara meglio descritta in epigrafe, la produzione dell’impegno di un fideiussore a rilasciare garanzia a copertura di eventuali mancati pagamenti di stipendi e contributi per i propri dipendenti, e la clausola del capitolato speciale d’appalto che impone l’obbligo della costituzione della predetta garanzia fideiussoria in capo al soggetto riuscito aggiudicatario dell’appalto.
 
Le censure articolate dalla parte ricorrente, sopra riportate, poggiano sul seguente assunto (pag. 3 del ricorso introduttivo): “Trattasi di una prescrizione esulante ed in alcun modo contemplata dalla vigente normativa che disciplina la materia delle garanzie e delle coperture assicurative nei pubblici appalti, incongruente con le finalità e con l’interesse pubblico sottostante alla indetta selezione ad evidenza pubblica, che – oltre a non essere correlata, né riconducibile sotto il profilo logico ad alcun aspetto qualitativo del servizio – si traduce in un’indebita limitazione dell’accesso delle imprese interessate presenti sul mercato, in contrasto ai principi di concorsualità e di ampia partecipazione cui devono invece uniformarsi i pubblici incanti”.
 
Entrambe le affermazioni poste a fondamento della richiamata premessa sono, ad avviso del collegio, prive di fondamento.
 
2. Quanto alla causa del potere amministrativo di scelta del contraente, ed al corrispondente interesse pubblico (che funge da parametro alla cui stregua va valutata la ragionevolezza della lex specialis), da tempo dottrina e giurisprudenza hanno superato l’impostazione secondo la quale l’esercizio di detto potere mirerebbe unicamente alla tutela dell’interesse patrimoniale dell’amministrazione aggiudicatrice, legato all’utilizzo di risorse pubbliche (sotto il duplice profilo della stipula del contratto alle migliori condizioni economiche, e dello svolgimento del servizio secondo parametri qualitativamente adeguati).
 
In ragione della matrice comunitaria delle norme di rango primario che attualmente regolano la materia, e del conseguente mutamento della causa del potere in esame nella direzione della tutela della concorrenza (già rilevato, in relazione ad altre ricadute disciplinari, da T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, sentenza 23 giugno 2003, n. 1050), deve ritenersi che all’originaria finalità d’interesse pubblico sopra richiamata si sia aggiunta quella di tutela della concorrenza, penetrata nel nostro ordinamento con i caratteri proprio della corrispondente nozione elaborata in ambito comunitario (Corte costituzionale, sentenza n. 14 del 2004), e dunque non in una accezione puramente mercantile, connessa unicamente allo statuto dell’impresa, ma con chiari accenti solidaristici (rispetto ai quali la prospettiva propriamente economica risulta recessiva: Corte di Giustizia CE, sentenza 17 settembre 2002, C-513/99).
 
Conseguentemente, nell’esercizio del potere di scelta del contraente, l’amministrazione del tutto legittimamente non si disinteressa di profili, quali la garanzia per i crediti retributivi, che incidono sia sulla effettiva concorrenzialità delle scelte di mercato, sia sui profili solidaristici del rapporto non estranei ad una moderna concezione della tutela della concorrenza.
 
Un’impresa che non garantisse il pagamento degli stipendi e dei contributi pubblici stabiliti da norme imperative altererebbe, pur in presenza di un’offerta economicamente conveniente (e dunque del soddisfacimento dell’interesse puramente patrimoniale dell’amministrazione aggiudicatrice), il gioco della effettiva concorrenza fra le imprese del settore, tenute a tali adempimenti.
 
Si tenga presente che nella fattispecie si controverte intorno ad un appalto di servizi, il cui costo principale per l’appaltatore, in relazione al quale va parametrato il margine di profitto da valutare nella presentazione dell’offerta economica, è costituito proprio dalla retribuzione della prestazione lavorativa dei dipendenti.
 
La tutela della concorrenza, nella sua dimensione di matrice comunitaria (come garanzia di efficienza del mercato e strumento di benessere sociale), sarebbe, in tal caso, del tutto vanificata da una procedura di evidenza pubblica all’apparenza garante dell’interesse (economico-patrimoniale) portato dalla singola amministrazione (in disparte quanto ulteriormente si specificherà in seguito, in relazione all’interesse dell’amministrazione alla predisposizione di strumenti di garanzia per la eventuale commissione di illeciti in sede di esecuzione del contratto).
 
3. Anche la seconda premessa su cui poggia il ricorso appare non condivisibile.
 
E’ tautologico il rilievo secondo cui ogni adempimento imposto alle imprese partecipanti ad una gara rende maggiormente difficoltosa la partecipazione alla gara medesima: ma ciò non implica l’assoluta contrarietà di ogni previsione che in qualche modo oneri le imprese rispetto al principio di massima partecipazione.
 
Quest’ultimo può anche risultare recessivo, in una prospettiva di comparazione (laddove nel ricorso viene invece assunto in chiave del tutto assolutizzante), rispetto all’interesse pubblico sotteso all’onere richiesto per la partecipazione (del resto, correttamente inteso, detto principio non implica la massima ed indiscriminata partecipazione di imprese alla gara, ma la massima partecipazione di quelle imprese in possesso dei requisiti tali da soddisfare gli interessi pubblici – complessivamente intesi – in vista dei quali la gara si svolge).
 
Si tratta, semmai, di valutare la previsioni di tali oneri, aggiuntivi rispetto a quelli previsti da norme imperative, in un’ottica di proporzionalità in relazione alla tutela dei corrispondenti interessi pubblici, con riferimento al sacrificio economico imposto alle imprese partecipanti.
 
4. Un censura di questo tipo non è stata formulata nel ricorso, ove tuttavia si sostiene “l’illogicità, l’arbitrarietà, l’inutilità e la superfluità, oltre all’aperto contrasto con il principio di ragionevolezza, della prescrizione del Bando di gara oggetto dell’impugnazione, che aggrava immotivatamente le condizioni prescritte per l’ammissione, ponendo a carico dei partecipanti oneri non necessari (….)”.
 
In argomento va preliminarmente rilevato che altro è la valutazione di una previsione del bando in chiave di proporzionalità, ed altro è il suo scrutinio sotto il profilo della ragionevolezza, trattandosi di parametri che afferiscono due distinte nozioni giuridiche.
 
Mentre nella giustizia costituzionale le due nozioni hanno spesso finito col sovrapporsi, in diritto amministrativo l’indagine sulla ragionevolezza si è affrancata e differenziata rispetto a quella, analoga, sulla proporzionalità della scelta finale: l’esigenza di ragionevolezza si pone come limite alla discrezionalità direttamente connesso alle “finalità perseguite dalla legge” (Consiglio di Stato, A.P., 6 febbraio 1993, n. 3): con la conseguenza che l’illegittimità per irragionevolezza del provvedimento amministrativo va scrutinata in relazione alla intrinseca logicità – in astratto – del provvedimento rispetto allo scopo perseguito dalla norma attributiva.
 
Così, “il caso di un ipotetico provvedimento che vietasse la circolazione nei centri urbani ai veicoli provvisti di dispositivi anti-inquinamento, lasciando via libera agli altri” (Consiglio di Stato, A.P., 6 febbraio 1993, n. 3, cit.), darebbe luogo per ciò solo ad una ipotesi di irragionevolezza per violazione – mediante l’interposizione di una valutazione illogica – della norma primaria ad opera del provvedimento, indipendentemente da concreti profili di idoneità, adeguatezza, e necessarietà della soluzione adottata, che rilevano in relazione allo scrutinio di proporzionalità, e che presuppongono – quanto meno implicitamente – l’adozione, a monte, di uno schema provvedimentale astrattamente non irragionevole.
 
5. Nel caso in esame, lo scrutinio di ragionevolezza della impugnata clausola del bando non sembra poter condurre alle affermazioni contenute nella censura in esame.
 
Questa assume l’esistenza di un “rapporto giuridico quadrilaterale”, nel quale l’amministrazione garantirebbe i lavoratori dipendenti delle imprese partecipanti in relazione ai crediti retributivi e contributivi.
 
Essa poggia su di una malintesa concezione del rapporto di garanzia.
 
Chiarito, ai punti precedenti, che la ragionevolezza della clausola impugnata si spiega in primo luogo in relazione agli interessi superindividuali che informano la disciplina degli appalti pubblici, e che impediscono di considerare la pubblica amministrazione alla stregua di un qualsiasi committente (cui possono, in ipotesi, risultare estranee le vicende dello svolgimento del rapporto interne alla sfera giuridica dell’appaltatore), va altresì precisato, in relazione all specifiche censure proposte dalla parte ricorrente, che tale interesse sussiste anche sul terreno delle obbligazioni gravanti sulle parti del contratto d’appalto.
 
Sotto questo profilo la difesa della parte ricorrente, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza di discussione, ha elencato una serie di istituti che, nella disciplina della gara in questione, presidierebbero la garanzia dei crediti retributivi dei dipendenti dell’appaltatore risultato aggiudicatario, per sostenere come tale garanzia troverebbe già attuazione grazie a tali meccanismi.
 
Tale prospettazione per un verso prova troppo, e per altro verso poggia su di una non condivisibile ricostruzione della responsabilità contrattuale dell’appaltatore e del committente.
 
Quanto al primo profilo, l’esistenza, nella lex specialis, di ulteriori meccanismi volti a tutelare i diritti dei lavoratori dipendenti dell’appaltatore (la cui legittimità non è contestata dalla parte ricorrente), altro non è che una conferma dell’esistenza di un interesse giuridicamente rilevante per l’amministrazione committente a garantire i relativi crediti (tanto che questa argomentazione appare in contrasto con la principale censura posta a fondamento del ricorso): una volta acclarata l’esistenza e la legittimità di tale interesse, nulla impedisce all’amministrazione, entro i ricordati limiti di ragionevolezza e di proporzionalità, di aggiungere alla disciplina legale, ed alla disciplina del bando relativa a diversi profili di tutela della sfera dei lavoratori dipendenti, la previsione di una garanzia per le obbligazioni retributive e contributive.
 
Quanto al secondo profilo, sostiene la difesa della parte ricorrente nella memoria conclusionale che la clausola impugnata prevederebbe “la prestazione di un’ulteriore cauzione tesa a garantire l’adempimento di obbligazioni che esulano dal novero delle obbligazioni contrattuali (dall’ambito cioè delle prestazioni cui l’appaltatore è tenuto verso l’Amministrazione), concernendo invece la sfera giuridica personale e patrimoniale dell’imprenditore”.
 
In altre parole, la difesa della parte ricorrente sollecita l’esame del collegio sul profilo dell’interesse – inteso da un punto di vista strettamente civilistico – della parte committente ad introdurre nel regolamento contrattuale una clausola quale quella impugnata, in relazione alla causa dell’operazione negoziale dedotta.
 
Sotto questo profilo, per meglio comprendere l’esatto significato sistematico di tale clausola, mette conto osservare che, nell’ambito del punto 8.2. del bando di gara, subito dopo la lettera a) (oggetto di impugnazione), vi è una lettera b) (non impugnata) che prevede la “costituzione di una polizza assicurativa per responsabilità civile per danni o persone o cose e per sinistri per persone per animali o cose”.
 
Con questa seconda previsione, evidentemente ritenuta legittima dalla parte ricorrente, l’amministrazione aggiudicatrice ha inteso tutelare quei terzi – rispetto al rapporto contrattuale di appalto – che dall’esecuzione di tale rapporto potessero accidentalmente subire un pregiudizio.
 
La clausola oggi impugnata è del tutto identica a quella ora esaminata: con l’unica differenza che il titolo di responsabilità civile è, in un caso (quello dei dipendenti dell’impresa), di responsabilità contrattuale, mentre verso i terzi è di responsabilità extracontrattuale.
 
L’interesse dell’amministrazione, oltre a correlarsi (secondo quanto osservato in premessa) all’attuale regime normativo della causa del potere amministrativo di scelta del contraente, risiede nella esigenza di predisporre adeguati meccanismi di garanzia volti ad assicurare, in caso di illecito civile connesso all’esecuzione del rapporto contrattuale, che i danneggiati – da contratto o da delitto – possano contare su di uno strumento che assicuri loro di poter contare sull’equivalente monetario della deminutio patrimonii subìta.
 
Ora, appare singolare sostenere – sia pure per implicito – che mentre per i terzi, potenzialmente danneggiati da un illecito aquiliano, la previsione di una polizza assicurativa appare ragionevole, l’irragionevolezza affliggerebbe la garanzia dei crediti retributivi e contributivi dei lavoratori dell’impresa aggiudicataria.
 
E’ appena il caso di rilevare che, al contrario, l’esistenza di un pregresso vincolo negoziale attribuisce al rapporto contrattuale una valenza giuridica particolarmente significativa, e meritevole di tutela, fidando il danneggiato ex contractu non soltanto sul rispetto, da parte del danneggiante, del generale principio del neminem laedere, ma altresì sul rispetto degli specifici obblighi e doveri direttamente fondati sul titolo contrattuale.
 
A tale rilievo, valido già su terreno della teoria generale delle obbligazioni, si aggiunga, conclusivamente, che appare oltremodo tranciante, in relazione al profilo dedotto, la considerazione che un inequivoco indice normativo della meritevolezza-ragionevolezza dell’interesse sotteso alla previsione impugnata è dato dalla regola enunciata dall’art. 1676 cod. civ., che trova applicazione anche in materia di appalti pubblici di servizi (Corte di Cassazione, SS.UU., 27 luglio 1987, n. 65057).
 
Più in generale, con riferimento all’intero settore degli appalti pubblici, la giurisprudenza ha chiarito che “L’art. 1676 cod. civ. – che consente agli ausiliari dell’appaltatore di agire direttamente contro il committente per "quanto è loro dovuto" – si applica anche ai contratti di appalto stipulati con le pubbliche amministrazioni, trovando tale disposizione un puntuale riscontro nell’art. 357 legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. F), contemplante la possibilità di pagamento diretto da parte dell’amministrazione della retribuzione dei dipendenti dell’appaltatore non corrisposta alle previste scadenze, e non essendo la medesima disposizione incompatibile con l’art. 351 della citata legge n. 2248 del 1865, limitativo della possibilità di sequestro dei corrispettivi di tali appalti, con la conseguenza che anche in tale materia si configura un rapporto diretto fra gli ausiliari dell’appaltatore e l’ente committente, riguardo ai crediti retributivi dei primi verso l’appaltatore – datore di lavoro; ne deriva che, nell’ambito di tale rapporto diretto, non può assumere rilevanza la normativa relativa all’osservanza delle norme sulla contabilità della pubblica amministrazione, in relazione alla esigibilità del credito dell’appaltatore nei confronti dell’ente committente” (Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza n. 3559 del 10 marzo 2001).
 
6. La censura in esame appare pertanto infondata, in ragione della rilevata ragionevolezza dalla clausola impugnata.
 
Una volta risolta in senso affermativo la questione propedeutica di ragionevolezza, può senz’altro ritenersi che l’adempimento imposto alle imprese partecipanti sia, per il contenuto economico della garanzia richiesta, del tutto proporzionato alle finalità pubbliche ragionevolmente perseguite (questo specifico profilo, come già ricordato, non è stato peraltro fatto oggetto di una autonoma ed espressa censura).
 
7. Le censure formulate nel ricorso per motivi aggiunti, rivolte contro i provvedimenti applicativi successivi al bando di gara, essendo fondate sui dedotti profili di invalidità derivata in relazione alla disciplina del bando, risultano anch’essi infondati.
 
      Il ricorso è pertanto infondato e come tale va rigettato.
 
Sussistono giusti motivi, in relazione alla relativa novità delle questioni, per la compensazione delle spese del giudizio.
 
P.Q.M.
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione terza, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso introduttivo ed il ricorso per motivi aggiunti in epigrafe.
 
Spese compensate.
 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
 
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 25 gennaio 2006.
 
Depositata in Segreteria il__1 febbraio 2006
 
 Il Direttore della Sezione
 

Lazzini Sonia

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