La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 34-bis, co. 7, codice antimafia, intervenendo sul controllo giudiziario: vediamo come ciò è avvenuto. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.
Indice
- 1. Il fatto
- 2. Le questioni prospettate nella rimessione: illegittimità del 34-bis, co. 7 del codice antimafia per mancata continuità tra controllo giudiziario e aggiornamento interdittiva
- 3. La soluzione adottata dalla Consulta
- 4. Conclusioni: sono fondate le questioni di legittimità costituzionale suesposte sollevate in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost.
1. Il fatto
Il TAR Calabria era chiamato a decidere su una domanda proposta da una società a responsabilità limitata di annullamento, previa sospensione cautelare, della risoluzione di un contratto di appalto pubblico di lavori, disposta dalla ANAS spa il 1° agosto 2024, ai sensi dell’art. 108, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici).
In particolare, l’appaltante aveva risolto il contratto in esito al riscontro di una delle cause di “esclusione automatica” dell’appaltatore dalle procedure di evidenza pubblica previste dall’art. 80, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, individuata, nella specie, nel sopravvenire dell’efficacia dell’informazione interdittiva antimafia del 26 febbraio 2020 (divenuta definitiva in esito alla sentenza del Consiglio di Stato, Sezione terza, 15 aprile 2024, n. 3390), che aveva colpito l’appaltatore già prima della gara.
Orbene, nel corso del giudizio, da un lato, l’operatore economico aveva depositato il decreto del Tribunale di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, con cui era stata dichiarata la cessazione del controllo giudiziario per decorrenza del termine massimo di durata e accertata l’assenza di presupposti per l’applicazione di ulteriori misure ablative e, dall’altro lato, l’appaltante aveva prodotto il preavviso di interdittiva comunicato dalla prefettura alla società l’11 luglio 2024, ai sensi dell’art. 92, comma 2-bis, cod. antimafia, fermo restando che, con ordinanza 11 ottobre 2024, n. 213, resa all’esito della camera di consiglio del 9 ottobre 2024, lo stesso Tribunale amministrativo reggino, ritenuto insussistente il fumus boni iuris sui motivi di ricorso, aveva comunque accolto in via provvisoria la domanda cautelare sul presupposto del rilievo di ufficio della questione di legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia, posta a fondamento del primo motivo, riservando le motivazioni sulla rilevanza e non manifesta infondatezza a un separato provvedimento.
Oltre a ciò, siffatto organo giudicante disponeva la prosecuzione della trattazione della domanda cautelare in camera di consiglio da fissare all’esito della pronuncia della Corte costituzionale considerato che, come vedremo da qui a breve, codesto giudice aveva sollevato delle questioni di legittimità costituzionali riguardanti l’art. 34-bis, co. 7, d.lgs., 6 settembre 2011, n. 159 che, come è noto, dispone(va) unicamente quanto segue: “Il provvedimento che dispone l’amministrazione giudiziaria prevista dall’articolo 34 o il controllo giudiziario ai sensi del presente articolo sospende il termine di cui all’articolo 92, comma 2, nonché gli effetti di cui all’articolo 94. Lo stesso provvedimento è comunicato dalla cancelleria del tribunale al prefetto della provincia in cui ha sede legale l’impresa, ai fini dell’aggiornamento della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia di cui all’articolo 96, ed è valutato anche ai fini dell’applicazione delle misure di cui all’articolo 94-bis nei successivi cinque anni”. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.
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2. Le questioni prospettate nella rimessione: illegittimità del 34-bis, co. 7 del codice antimafia per mancata continuità tra controllo giudiziario e aggiornamento interdittiva
In relazione alla vicenda giudiziaria appena richiamata, il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, sollevava, in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 41, 97, 111, primo e secondo comma, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a loro volta in combinato disposto con gli artt. 8 CEDU e 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), nella parte in cui «non prevede che la sospensione degli effetti dell’interdittiva, conseguente all’ammissione al controllo giudiziario, perduri anche con riferimento al tempo, successivo alla sua cessazione, occorrente per la definizione del procedimento di aggiornamento ai sensi dell’art. 91, co[mma] 5, cod. antimafia».
In particolare, codesto Tribunale osservava in via preliminare come fosse da escludere la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, militando in tal senso,
anzitutto, il dato testuale dell’art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia – secondo cui «[i]l provvedimento che dispone […] il controllo giudiziario ai sensi del presente articolo sospende […] gli effetti» dell’informazione interdittiva stabiliti dall’art. 94 cod. antimafia – sancirebbe la durata della sospensione per il solo tempo di vigenza della misura di prevenzione, senza possibilità di sua protrazione per via esegetica, essendosi orientata in questa direzione univocamente la giurisprudenza amministrativa, la quale evidenzierebbe anche il difetto di una norma che espressamente preveda la permanenza degli effetti sospensivi dell’interdittiva oltre la cessazione del controllo giudiziario.
Del resto, sempre ad avviso del giudice a quo, nello stesso senso deporrebbe poi la diversità tra i due istituti − per presupposti e finalità − posta in luce («anche sul versante delle conseguenti refluenze processuali, a seguito delle […] decisioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 7 e 8 del 2023») dagli stessi giudici amministrativi, i quali hanno quindi escluso che l’esito positivo del controllo giudiziario comporti, di per sé, il superamento del giudizio di pericolo di infiltrazione mafiosa posto a base dell’interdittiva, senza ignorare anche la ulteriore considerazione in base alla quale, piuttosto, dei risultati ottenuti con il controllo, il prefetto dovrebbe tener conto ai fini dell’aggiornamento della misura interdittiva, ma con l’importante precisazione che tale giudizio non è vincolato da quei risultati, che non costituiscono una presunzione assoluta di avvenuta bonifica (si cita Consiglio di Stato, Sezione terza, sentenza 16 giugno 2022, n. 4912).
Tuttavia, per il Tribunale amministrativo reggino, proprio con riguardo al mancato raccordo legislativo tra la durata del controllo e il procedimento di aggiornamento, al cui esito potrebbe essere emessa una informazione liberatoria, erano ravvisabili le maggiori criticità fattuali, le quali erano rappresentate nei seguenti termini: “In punto di tempistica, per un verso, si rammenta che il procedimento di aggiornamento si caratterizza per una istruttoria impegnativa e con tempi lunghi, poiché tesa alla verifica dell’incidenza delle sopravvenienze sul pericolo di infiltrazione posto a fondamento dell’interdittiva; e, per altro verso, si dà conto della non condivisa prassi delle prefetture di ritenere necessaria per tale decisione la relazione conclusiva del controllore, prassi che implicherebbe un ulteriore allungamento dei tempi della rivalutazione. Infatti, nel difetto di pregiudizialità dell’esito del controllo giudiziario sul riesame prefettizio, questo potrebbe basarsi anche sulle relazioni provvisorie dell’ausiliario del giudice della prevenzione o sulle circostanze sopravvenute durante la misura poste in evidenza dall’impresa con l’istanza di aggiornamento. In punto di effetti, si dà conto della impossibilità di neutralizzare con efficacia ex tunc le conseguenze negative prodotte dalla reviviscenza dell’interdittiva, nel periodo ricompreso tra la scadenza del controllo e la decisione prefettizia di cui all’art. 91, comma 5, cod. antimafia. E ciò qualunque sia l’esito dell’aggiornamento poiché, nel caso di adozione di una informazione liberatoria, questa ha effetti ex nunc; mentre, nel caso di emanazione di una nuova interdittiva seguita dalla sua eventuale sospensione giurisdizionale in via cautelare, questa sì opererebbe in via retroattiva, ma non sino a coprire anche il lasso temporale antecedente al nuovo provvedimento interdittivo”.
Orbene, dopo avere compiuto codesta disamina, il giudice a quo si dedicava a prospettare le ragioni della non manifesta infondatezza, enunciate nella susseguente maniera: “In primo luogo, il previsto limite del congelamento degli effetti interdittivi sino alla cessazione del controllo giudiziario, e non anche sino alla definizione del procedimento di aggiornamento, contrasterebbe con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. per trattamento disomogeneo di situazioni identiche. L’imprenditore assoggettato alla originaria interdittiva (confermata in via definitiva dal giudicato amministrativo), in esito alla pur favorevole conclusione del controllo giudiziario, non avrebbe alcuno strumento per paralizzarli e, di conseguenza, perderebbe la capacità sia di stipulare i contratti pubblici, per sopravvenuto difetto dei requisiti di moralità, sia di eseguire quelli già stipulati, per l’obbligo di risoluzione previsto in capo alle stazioni appaltanti. In particolare, l’operatore non potrebbe ricorrere al giudice amministrativo (sino alla determinazione prefettizia di aggiornamento) né potrebbe richiedere al giudice della prevenzione una nuova ammissione al controllo giudiziario, il cui presupposto processuale è la pendenza dell’impugnazione giurisdizionale dell’interdittiva, nella specie ormai definita con giudicato sfavorevole. Inoltre, come già illustrato, l’impresa non avrebbe modo di ottenere la cancellazione retroattiva di tali effetti pregiudizievoli. Diversamente, l’incapacità a contrarre e a eseguire gli appalti pubblici non colpirebbe l’impresa che sia destinataria di un provvedimento interdittivo, ma ne abbia ottenuto la sospensione giurisdizionale (con effetti ex tunc) e, neppure, l’impresa che, destinataria di una interdittiva non sospesa per il rigetto della istanza cautelare, sia stata ammessa al controllo giudiziario. In quest’ultimo caso, infatti, il sopraggiungere della misura di prevenzione consentirebbe – secondo l’orientamento maggioritario da tempo formatosi nella giurisprudenza amministrativa nella vigenza del precedente codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016) − all’operatore economico non soltanto di proseguire nell’esecuzione dei contratti pubblici stipulati, ma addirittura − secondo quanto attualmente previsto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici) – di permanere tra i partecipanti alla procedura di evidenza pubblica. Dunque, la prima impresa avrebbe un trattamento normativo deteriore rispetto alle altre due. (…) In secondo luogo, la descritta carenza di rimedi giurisdizionali costituirebbe violazione degli artt. 24, 111, primo e secondo comma, e 113 Cost. per compromissione del diritto di difesa e della tutela giurisdizionale degli interessi legittimi davanti agli organi di giurisdizione amministrativa. (…) Ancora, il difetto di strumenti difensivi (…) vulnererebbe l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU, a loro volta in combinato disposto con gli artt. 8 della stessa Convenzione e 1 Prot. addiz. CEDU. In particolare, alla persona titolare o interessata alla gestione dell’impresa sarebbe negato il diritto a un ricorso effettivo per far valere, in tempi ragionevoli e preferibilmente con carattere preventivo, i diritti riconosciuti dalla stessa Convenzione e, nella specie, quelli al rispetto della vita privata e familiare, sancito dall’art. 8 CEDU, e alla tutela dei beni privati e della proprietà, garantito dall’art. 1 Prot. addiz. CEDU. (…) la limitazione temporale del congelamento degli effetti dell’interdittiva previsto dall’art. 34-bis, comma 7, del d.lgs. n. 159 del 2011 sarebbe contraria al principio di buon andamento, di cui all’art. 97, secondo comma, Cost. in uno con il principio di ragionevolezza. Il ripristino dell’efficacia dell’interdittiva al momento della cessazione del controllo giudiziario con esito positivo, ma prima della definizione da parte del prefetto del riesame dell’attuale pericolo di condizionamento mafioso, frustrerebbe la finalità «dinamica» di tale misura di prevenzione, individuata nella bonifica dell’impresa da situazioni di agevolazione occasionale della criminalità organizzata. In proposito, (…) [si] evidenzia[va] che proprio tale obiettivo giustifica la sospensione dell’incapacità che consegue all’interdittiva: infatti, questo meccanismo consente all’impresa lo svolgimento dell’attività imprenditoriale, compresa quella contrattuale con l’amministrazione, nella forma “assistita” come mezzo per superare la riscontrata contaminazione. In senso inverso, la nuova decorrenza degli effetti interdittivi al termine del “periodo monitorato” impedirebbe all’impresa di consolidare gli effetti dell’attuato percorso di risanamento e, piuttosto, l’esporrebbe a quei pregiudizi che il controllo giudiziario aveva inteso scongiurare. Si assisterebbe a un «vero e proprio corto circuito normativo»: nelle situazioni meno gravi di permeabilità alla criminalità, ritenute emendabili, da un lato, si concede all’imprenditore di proseguire l’attività con la “supervisione giudiziale”, dall’altro, si consente, al termine di tale monitoraggio, l’automatico riprodursi dell’interdizione. Ciò senza attendere che il prefetto verifichi, nell’ambito del procedimento di aggiornamento dell’interdittiva, l’eventuale incidenza positiva della misura di prevenzione sul pericolo di condizionamento mafioso in origine riscontrato, il quale, peraltro, è già stato considerato dal giudice della prevenzione, al momento dell’ammissione dell’impresa al controllo, di natura solo occasionale. L’irragionevolezza della complessiva disciplina sarebbe lampante proprio ove il riesame prefettizio si concluda in senso favorevole, grazie ai risultati della misura bonificante. In tal caso, gli effetti interdittivi riespansi tra il termine del controllo e l’emanazione dell’informazione liberatoria darebbero luogo a conseguenze negative ineliminabili. Tanto, «con buona pace del principio di buon andamento della P.A.»”.
Oltre a quanto sin qui esposto, si denunciava tra l’altro l’irragionevolezza manifesta della disciplina censurata, la quale richiama i caratteri dell’informazione interdittiva e la funzione del procedimento di suo riesame: il provvedimento prefettizio, quale strumento di anticipata difesa della legalità rispetto al grave fenomeno mafioso, effettuerebbe una valutazione di natura «storico/statica» degli elementi di contaminazione e, per tale ragione, avrebbe validità temporalmente limitata a un anno (art. 86, comma 2, cod. antimafia) in guisa tale che, decorso tale periodo, ne è richiesto l’aggiornamento, d’ufficio o su istanza di parte (art. 91, comma 5, cod. antimafia), tanto più se si considera che il carattere provvisorio della misura e la necessaria verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a suo fondamento, tramite il procedimento di cui all’art. 91, comma 5, cod. antimafia, contempererebbero gli effetti negativi sulla libertà di impresa, come rimarcato dalla sentenza n. 57 del 2020 della Consulta.
Ciò posto, il giudice a quo denunciava, altresì, la «vistosa trasgressione» dell’art. 97 Cost., in relazione ai princìpi di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, nel senso che la riespansione dell’efficacia del provvedimento interdittivo nei confronti del contraente privato imporrebbe alle stazioni appaltanti di procedere alla solerte sostituzione dell’appaltatore, con conseguenti ritardi e aggravio di costi nella esecuzione del contratto, così come, specularmente, nella prospettiva dell’appaltatore, il TAR Calabria riteneva che la vigente formulazione dell’art. 34-bis cod. antimafia arrechi un ingiustificato e non necessario sacrificio al diritto al lavoro e al libero esercizio dell’attività di impresa, tutelati dagli artt. 4 e 41 Cost. poiché l’inibizione dei rapporti con la pubblica amministrazione e delle attività private sottoposte a regime autorizzatorio che conseguono al ripristino dell’informazione interdittiva comprometterebbero la capacità economico-produttiva dell’impresa e la forza lavoro ivi impiegata.
Ancora, sempre per siffatto giudice, il mancato coordinamento tra controllo giudiziario e procedimento di riesame determinerebbe una manifesta sproporzione rispetto «allo scopo di massima anticipazione della tutela dell’economia sana dalle incrostazioni criminali che permea il sistema della documentazione antimafia».
Tale fine, secondo il rimettente, avrebbe in effetti potuto essere perseguito con soluzioni meno radicali per l’imprenditore, citandosi, in via esemplificativa, la modulazione della riespansione degli effetti interdittivi in termini graduali (in ipotesi, prevedendone l’operatività nei confronti della sola capacità a contrarre con la pubblica amministrazione o, piuttosto, nei confronti delle sole attività soggette a regime autorizzatorio) ovvero in termini meno afflittivi (ad esempio, con la prorogatio del controllore giudiziario sino alla definizione del procedimento di riesame o con l’apposizione di una condizione risolutiva agli effetti provvisoriamente consentiti derivanti dai provvedimenti ampliativi o dai contratti pubblici, analogamente a quanto previsto dall’art. 92, comma 3, cod. antimafia).
Infine, ad avviso del giudice a quo, lo stesso difetto di proporzionalità violerebbe anche l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, quanto all’ingerenza dell’autorità pubblica nel pacifico godimento dei beni.
In particolare, vi sarebbe una lesione del rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito, secondo gli insegnamenti della giurisprudenza della Corte EDU, in quanto la disciplina censurata imporrebbe un onere eccessivo alla proprietà privata, non strettamente necessario all’utile soddisfacimento dell’interesse pubblico perseguito.
Chiarito ciò, venendo invece a trattare la rilevanza delle questioni summenzionate, il giudice amministrativo assumeva come le sollevate questioni di legittimità costituzionale fossero strumentali alla definizione del giudizio al suo esame.
L’impugnato provvedimento di risoluzione contrattuale, comminata ai sensi dell’art. 108, comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016, per sopraggiunto difetto di capacità a contrarre con la pubblica amministrazione, si fonderebbe invero sulla sola reviviscenza degli effetti dell’interdittiva alla scadenza del termine di durata del controllo giudiziario, secondo quanto previsto dal censurato art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia.
Pertanto, ove la disposizione venisse dichiarata costituzionalmente illegittima nei termini prospettati e, dunque, si riconoscesse il congelamento dell’efficacia dell’interdittiva sino alla definizione del procedimento di suo aggiornamento, il provvedimento impugnato sarebbe travolto dal venir meno del relativo fondamento normativo.
Il TAR rimettente concludeva dunque affermando la sussistenza delle condizioni per l’invocata pronuncia additiva nel senso che, posta l’insuperabilità in via esegetica del sospetto di illegittimità costituzionale prospettato, l’unica soluzione che consentirebbe di rimediarvi sarebbe la protrazione temporale della sospensione dell’efficacia dell’interdittiva prevista dalla norma sottoposta a scrutinio, sino alla definizione del procedimento di aggiornamento di cui all’art. 91, comma 5, cod. antimafia.
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3. La soluzione adottata dalla Consulta
La Corte costituzionale – dopo avere disatteso le eccezioni prospettate dalle parti costituite e compiuta una breve ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale in cui si inseriscono le questioni sollevate, limitatamente agli aspetti essenziali per la decisione, vale a dire il controllo giudiziario volontario nel suo rapporto con l’informazione interdittiva – stimava fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., ossia quelle afferenti l’irragionevolezza della disciplina e la sproporzionata compressione dell’iniziativa economica privata.
In particolare, il Giudice delle leggi notava prima di tutto che se, con il controllo a domanda dell’imprenditore, il legislatore ha collegato la prevenzione giudiziaria con quella amministrativa per dare coordinata risposta al tentativo di infiltrazione della criminalità di tipo marginale, è però evidente che non ragionevolmente ha mancato di “chiudere il cerchio” e determinato un incongruo sacrificio della libertà di impresa.
In effetti, ad avviso dei giudici di legittimità costituzionale, il tassello fondamentale dell’«apprezzabile finalità [del controllo giudiziario] di contemperare le esigenze di difesa sociale e di tutela della concorrenza con l’interesse alla continuità aziendale» (sentenza n. 180 del 2022) è senza dubbio la sospensione degli effetti dell’interdittiva di cui quell’operatore economico è destinatario, in quanto essa costituisce il mezzo indispensabile per consentirgli di espletare in concreto l’iter di gestione vigilata preordinato alla bonifica dato che, solo per effetto del congelamento dell’interdizione, l’operatore riacquista provvisoriamente la capacità di intrattenere i rapporti con la pubblica amministrazione e di svolgere le attività economiche sottoposte al suo preventivo assenso in modo tale che, senza tale strumento, l’ordinamento indicherebbe “il percorso di recupero, ma non fornirebbe le gambe per percorrerlo”.
Oltre a ciò, era per di più fatto presente che l’essenziale strumentalità del meccanismo sospensivo rispetto alla finalità del controllo è stata, d’altro canto, di recente ribadita dal legislatore del terzo codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36 del 2023), che ne ha esteso l’ambito applicativo, avendo il d.lgs. n. 36 del 2023 sancito il superamento dell’orientamento giurisprudenziale che riteneva che la sospensione de qua, sopraggiunta nel corso della procedura di evidenza pubblica, non operasse retroattivamente e, pertanto, non apportasse deroghe all’obbligo per le stazioni appaltanti di escludere dalla competizione il partecipante interdetto (art. 80, comma 2, del previgente cod. contratti pubblici e art. 94, comma 2, del vigente cod. contratti pubblici) o all’impedimento dell’aggiudicazione in suo favore (art. 32, comma 7, del previgente cod. contratti pubblici e art. 17, comma 5, del vigente cod. contratti pubblici) e di stipula del contratto (art. 94, comma 1, cod. antimafia), in rigorosa applicazione del principio della necessaria continuità del possesso dei requisiti in capo agli aspiranti contraenti con la pubblica amministrazione in tutte le fasi della gara giacché l’art. 94, comma 2, ultimo periodo, del vigente cod. contratti pubblici dispone l’inoperatività della causa di esclusione per l’accertamento prefettizio del tentativo di infiltrazione mafiosa «se, entro la data dell’aggiudicazione, l’impresa sia stata ammessa al controllo giudiziario», essendo stato così sancito l’effetto “salvifico” dell’ottenuto controllo sulla procedura di evidenza pubblica, perché il concorrente “controllato” è ritenuto ex lege affidabile, nonché meritevole di occasioni contrattuali che lo conducano alla bonifica.
Del resto, a sostegno della decisione adottata nel caso di specie, per la Corte, militiva pure l’ulteriore argomentazione secondo la quale, ancora al favor per lo scopo della misura di cui all’art. 34-bis, comma 6, cod. antimafia, va ricondotto anche il ricordato recente orientamento giurisprudenziale che esclude che il giudicato amministrativo di rigetto dell’impugnazione dell’interdittiva comporti l’interruzione della gestione imprenditoriale controllata e, di conseguenza, il venir meno del “beneficio sospensivo”, fermo restando che, rispetto alla valorizzata ratio del controllo giudiziario è, invece, palesemente dissonante e afflittivo per l’impresa il che segue alla sua conclusione pur a fronte degli acclarati risultati positivi posto che, da un lato, alla chiusura della misura giudiziaria corrisponde l’automatica riespansione degli effetti interdittivi con le conseguenti ripercussioni negative, prime tra tutte quelle su gare e contratti pubblici in corso − senza che, secondo coerenza logica, si attenda l’apprezzamento degli esiti del controllo giudiziario volontario nella valutazione di aggiornamento della misura amministrativa, cui la disciplina l’ha collegato, dal momento che è proprio l’aggiornamento dell’informazione dell’interdittiva ex art. 91, comma 5, cod. antimafia il “nodo di collegamento” tra i due sistemi preventivi, trattandosi del momento in cui l’ordinamento richiede di riscontrare se gli esiti del consentito percorso, letti nella visione complessiva che il prefetto ha dell’imprenditore, abbiano prodotto l’effettivo superamento del pericolo di infiltrazione originariamente rilevato, in modo da «scongiurare [anche in questo specifico caso] il rischio della persistenza di una misura non più giustificata e quindi di un danno realmente irreversibile» (sentenza n. 57 del 2020), dall’altro lato, con risultati (reputati dalla Consulta) paradossali, le perdite che discendono dalla nuova paralisi dell’attività imprenditoriale non possono essere eliminate retroattivamente anche se l’esito del procedimento di riesame sia favorevole per decisione amministrativa o giudiziale dato che, non solo l’eventuale emanazione da parte del prefetto dell’informazione liberatoria all’esito dell’aggiornamento, e proprio in ragione dei risultati della misura della vigilanza prescrittiva, opera ex nunc, ma anche l’eventuale annullamento giurisdizionale dell’informazione interdittiva emessa all’esito dell’aggiornamento (al pari della sospensione cautelare che può precederlo) retroagisce al momento della adozione del provvedimento, ma non copre anche il periodo anteriore, che va dalla definizione del controllo alla impugnata interdizione.
Ebbene, alla luce di questi rilievi, la Consulta concludeva per la irragionevolezza e contraddittorietà del sistema nel suo complesso, il quale: 1) istituisce una misura innovativa e in essa investe con l’obiettivo di recupero delle imprese alla legalità tramite la prosecuzione dell’attività aziendale; 2) consente di ammettere l’imprenditore, in esito al riconoscimento di specifiche potenzialità, a un apposito percorso di risanamento di durata compresa tra uno e tre anni, che ha un costo non solo per il privato, ma anche per l’amministrazione della giustizia; 3) ma, di contro, pur nell’ipotesi di chiusura positiva della misura, non impedisce l’immediato rioperare degli effetti interdittivi, nelle more della doverosa rivalutazione prefettizia sulla persistenza o sul superamento del condizionamento mafioso, superamento che si auspica determinato dal compiuto risanamento controllato, rimarcandosi al contempo che la riespansione di questi effetti rischia di vanificare i risultati conseguiti con l’attività monitorata, nel senso che il ripristino delle incapacità non solo può condurre a una crisi economica irreversibile dell’impresa, ma può anche determinare un possibile riavvicinamento dell’operatore economico in difficoltà alla criminalità, da cui l’intervento statale mirava a separarlo.
Ciò posto, restando assorbite le altre questioni summenzionate, per il Giudice delle leggi, a questo punto della disamina, si poneva il problema di affrontare la soluzione per porre rimedio al vulnus riscontrato nella pronuncia qui in esame.
Orbene, ad avviso della Corte costituzionale, la soluzione indicata dal rimettente, di protrazione della sospensione dell’interdittiva sino al suo riesame, risultava essere a “rime adeguate”, ritenendosi però necessario precisare però che la invocata protrazione della sospensione può essere riconosciuta solo in caso di chiusura del controllo con esito favorevole visto che, anzitutto, l’addizione appena menzionata è coerente con lo scopo legislativo di consentire, tramite la continuità aziendale monitorata, il salvataggio delle imprese nonché con la logica del sistema nel suo complesso di verificare, tramite il giudizio prefettizio di aggiornamento dell’interdittiva, che il diligente percorso controllato abbia effettivamente eliso il rischio infiltrativo.
D’altronde, per la Corte, l’aggancio temporale tra il momento della chiusura della misura preventiva e il momento dell’aggiornamento della situazione infiltrativa trova nell’ordinamento − diversamente da quanto asserito dall’ANAS spa − «“precisi punti di riferimento” e “soluzioni già esistenti”» (tra le altre, sentenze n. 69 del 2025, n. 62 del 2022, n. 63 del 2021 e n. 224 del 2020) visto che la continuità temporale è stata prevista dal legislatore nelle misure di prevenzione collaborativa, di cui si sono viste le notevoli similitudini con il controllo giudiziario: per esse, l’art. 94-bis, comma 4, cod. antimafia, fa coincidere il termine di scadenza del periodo vigilato con il riesame della situazione infiltrativa, inferendo dal venir meno di questa, per effetto del buon esito della misura amministrativa preventiva, il rilascio di una informazione antimafia liberatoria visto che, in tale caso, dunque, l’ordinamento non consente alcuno “iato temporale” pregiudizievole.
I giudici di legittimità costituzionale, pertanto, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, dichiaravano l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., dell’art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia nella parte in cui non prevede che la sospensione degli effetti dell’informazione interdittiva derivante dall’ammissione al controllo giudiziario si protrae, nel caso di sua conclusione con esito positivo, sino alla definizione del procedimento di aggiornamento del provvedimento interdittivo di cui all’art. 91, comma 5, cod. antimafia.
4. Conclusioni: sono fondate le questioni di legittimità costituzionale suesposte sollevate in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost.
Fermo restando che, come visto già in precedenza, l’art. 34-bis, co. 7, Codice antimafia prevede al primo periodo che il “provvedimento che dispone l’amministrazione giudiziaria prevista dall’articolo 34 o il controllo giudiziario ai sensi del presente articolo sospende il termine di cui all’articolo 92, comma 2, nonché gli effetti di cui all’articolo 94”, con la decisione qui in esame, tale precetto normativo è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che la sospensione degli effetti dell’informazione interdittiva derivante dall’ammissione al controllo giudiziario si protrae, nel caso di sua conclusione con esito positivo, sino alla definizione del procedimento di aggiornamento del provvedimento interdittivo di cui all’art. 91, comma 5, cod. antimafia.
Di conseguenza, per effetto di questa sentenza, è adesso stabilito che la sospensione degli effetti dell’informazione interdittiva derivante dall’ammissione al controllo giudiziario si debba protrarre, nel caso di sua conclusione con esito positivo, sino alla definizione del procedimento di aggiornamento del provvedimento interdittivo di cui all’art. 91, comma 5, cod. antimafia il quale, come è noto, dispone quanto sussegue: “Il prefetto competente estende gli accertamenti pure ai soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell’impresa. Per le imprese costituite all’estero e prive di sede secondaria nel territorio dello Stato, il prefetto svolge accertamenti nei riguardi delle persone fisiche che esercitano poteri di amministrazione, di rappresentanza o di direzione. A tal fine, il prefetto verifica l’assenza delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto, di cui all’articolo 67, e accerta se risultano elementi dai quali sia possibile desumere la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, anche attraverso i collegamenti informatici di cui all’articolo 98, comma 3. Il prefetto, anche sulla documentata richiesta dell’interessato, aggiorna l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa”.
Questa è dunque la novità che connota il provvedimento qui in commento.
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