Annullamento di aggiudicazione provvisoria e mancato riconoscimento del danno (Cons. di Stato N. 00195/2012)

Lazzini Sonia 25/03/12
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L’annullamento di un’aggiudicazione provvisoria non comporta il risarcimento del danno

Il Consiglio di Stato_decisione 195 del 19 gennaio 2012_non ammette né un risarcimento del danno né un indennizzo dopo l’annullamento di un’aggiudicazione provvisoria

Il problema giuridico da risolvere è se spetti una qualsiasi forma di risarcimento o di indennizzo per un’aggiudicazione provvisoria, successivamente annullata con provvedimento ritenuto legittimo

Al quesito non può che darsi rispsota negativa, alla luce della giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. St., sez. VI, 27 luglio 2010, n. 4902; Cons. St., VI, 17 marzo 2010, n. 1554; Consiglio Stato, sez. V, 15 febbraio 2010, n. 808) secondo la quale in tema di contratti pubblici la possibilità che ad un’aggiudicazione provvisoria non segua quella definitiva del contratto di appalto è un evento del tutto fisiologico, disciplinato dagli artt. 11, comma 11, 12 e 48, comma 2, del d. lgs. n. 163 del 2006, inidoneo di per sé a ingenerare qualunque affidamento tutelabile con conseguente obbligo risarcitorio, qualora non sussista, come nella specie, nessuna illegittimità nell’operato della p.a..

Non spetta nemmeno l’indennizzo di cui all’art. 21 quinquies della legge n. 241/1990 poiché si è, nella specie, di fronte al mero ritiro di un’aggiudicazione provvisoria (atto avente per sua natura efficacia interinale e non idonea a creare affidamenti) e non ad una revoca di un atto amministrativo ad effetti durevoli come previsto dalla predetta norma per l’indennizzabilità della revoca

Si legga anche diversi commenti alla decisione numero 1554 del 17 marzo 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato

va affrontata la questione dell’azione di accertamento dell’esistenza del contratto spiegata dalla ditta appellata con ricorso di primo grado.

In proposito – in accoglimento del primo motivo di appello proposto da TRENITALIA – va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo per esservi su tale domanda di accertamento giurisdizione del giudice ordinario.

L’accertamento dell’ esistenza o meno del contratto di appalto – con efficacia di giudicato – esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo.

Il processo amministrativo è pur sempre , secondo una lettura costituzionalmente orientata della giurisdizione del giudice amministrativo – al di fuori dei casi di giurisdizione esclusiva – un processo su interessi legittimi, incentrato sull’azione di annullamento, di talché sull’ azione di accertamento su un rapporto giuridico paritetico come il rapporto giuridico contrattuale sia pur nascente da una procedura di evidenza pubblica, sussiste giurisdizione del giudice ordinario.

Né si tratta in questo caso di giudicare della sorte del contratto in dipendenza della validità degli atti della procedura di gara, quanto piuttosto dell’inverso dell’accertamento dell’esistenza del contratto dal quale ( nella prospettazione della ricorrente ) dovrebbe desumersi l’inesistenza e/o l’illegittimità dell’esercizio del potere amministrativo di autotutela amministrativa di revoca degli atti di gara.

L’oggetto della controversia – a tenore di questa parte della domanda del ricorrente – non è quindi la gara ma l’esistenza ed il dovere di esecuzione del contratto.

Correttamente è stato ritenuto nella giurisprudenza amministrativa di primo grado che “la controversia attinente alla validità ed efficacia del contratto di garanzia e, quindi, all’accertamento dell’esistenza o meno dell’obbligazione di restituzione in capo al garante ha una natura tipicamente civilistica, con la conseguenza che competente a conoscerla è il giudice ordinario.” (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 09 ottobre 2009 , n. 9848).

In senso analogo si è ritenuto che le controversie aventi ad oggetto la risoluzione o la cessazione del contratto con l’appaltatore, ovvero l’accertamento del diritto di quest’ultimo a proseguire il rapporto con l’Amministrazione committente, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, cui spetta di verificare la conformità alla normativa positiva delle regole attraverso cui i contraenti hanno disciplinato i loro contrapposti interessi e delle relative condotte attuative, e ciò anche nelle ipotesi in cui l’atto rescissorio della P.A. sia rivestito della forma dell’atto amministrativo. (T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I, 14 luglio 2009 , n. 511).

Nella giurisprudenza del Consiglio di Stato si è ritenuto che appartenga alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia il cui petitum sostanziale concerne l’accertamento relativo all’intervenuta cessazione di un contratto stipulato iure privatorum (nella specie trattavasi di convenzione per lo svolgimento di attività di riabilitazione), e coinvolge quindi posizioni di diritto soggettivo, e cioè il bene della vita consistente per il ricorrente nella prosecuzione della convenzione e nella validità della clausola contrattuale, e il diritto di recesso dell’Amministrazione (Consiglio Stato , sez. V, 19 marzo 2009 , n. 1623).

Si del pari ritenuto che la giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo deve essere identificata alla stregua del petitum sostanziale, con la conseguenza che la definizione della controversia, che verte sull’accertamento relativo all’intervenuta cessazione di un contratto stipulato iure privatorum dalla pubblica amministrazione e sul diritto di recesso da questa esercitati, attenendo a posizioni di diritto soggettivo (la prosecuzione della convenzione e la validità della clausola contrattuale) spetta al giudice ordinario (Consiglio Stato , sez. V, 07 gennaio 2009 , n. 8).

Ritiene tuttavia il Collegio che il giudizio possa continuare innanzi al g.a. per la domanda di annullamento ( e di risarcimento e/o di corresponsione dell’indennizzo da revoca ) degli atti impugnati.

Va infatti ritenuto fuorviante l’impostazione che vorrebbe far derivare dall’esistenza del contratto l’insussistenza del potere di revoca o non aggiudicazione ( con conseguente pregiudizialità del giudizio sull’esistenza del contratto rispetto a quello sulla legittimità del controllo esercitato sugli atti di gara ).

Il potere di eliminare gli atti amministrativi della serie di evidenza pubblica infatti sussiste anche in caso di esistenza del contratto, fermo restando che in tal caso sorge , per effetto della revoca legittima ( art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 ) un diritto all’indennizzo derivante dai principi generali sulla tutela dell’affidamento nei rapporti di durata ed affidato alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo, mentre , in caso di revoca dell’aggiudicazione provvisoria o non approvazione della stessa ( arg. ex art. 12 del d.lgs. n. 163 del 2006 ), tale diritto all’indennizzo – come si vedrà – non sussiste né è configurabile.

Sull’esercizio di tale potere di controllo in autotutela sugli atti di gara sussiste sempre la giurisdizione del giudice amministrativo indipendentemente dall’azione di accertamento sull’esistenza del contratto.

Inoltre sul punto dell’esistenza del contratto è sempre possibile una cognizione incidentale del giudice amministrativo per quanto necessario all’esercizio del proprio sindacato sulla legittimità dell’esercizio del potere amministrativo.

Ancora: va considerato che la stessa società TRENITALIA , dopo avere concluso per il difetto di giurisdizione, ha sostenuto in giudizio , per motivare sulla legittimità della non approvazione dell’aggiudicazione, che il contratto non è stato stipulato e che il provvedimento impugnato andava inquadrato come atto imperativo di ritiro dell’aggiudicazione provvisoria (e/o di revoca della gara), con allegazioni difensive pienamente riportabili alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Né può ritenersi sussistente – a ben vedere – alcuna pregiudizialità fra l’ accertamento eventuale dell’esistenza del contratto ( che attiene al piano civilistico del rapporto e della sua esecuzione ) e la domanda di annullamento dell’atto di revoca della gara che può essere scrutinata anche indipendentemente dalla questione relativa all’esistenza del rapporto.

Va affermata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sia in ordine alla domanda di indennizzo per revoca dell’atto di aggiudicazione e dello stesso bando di gara ai sensi dell’art. 21 quinquies, comma 1, ultima parte, l. n. 241 del 1990, sia con riguardo alla pretesa di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 7, comma 3, l. n. 1034 del 1971; il giudice amministrativo è infatti investito della riparazione patrimoniale del pregiudizio cagionato dall’esercizio del potere amministrativo sia attraverso un provvedimento legittimo di revoca, sia attraverso la lesione di una situazione soggettiva degradata con provvedimento poi caducato con effetti “ex tunc”.

La giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione che afferma la giurisdizione del giudice ordinario quando, contestandosi gli effetti della revoca dopo il sorgere del rapporto contrattuale, la controversia non investirebbe più il momento genetico del rapporto , ma solo i pretesi danni conseguenti alla sua cessazione, riguarda i casi nei quali la cessazione sia disposta iure privatorum nell’esercizio di un diritto di recesso e non iure imperii nell’esercizio di un potere di autotutela o di controllo della serie degli atti di evidenza pubblica ( della loro legittimità o rispondenza al pubblico interesse ).

La giurisdizione del giudice amministrativo sussiste sempre sulla revoca autoritativa degli atti di gara, in quanto l’esame della domanda risarcitoria non può che investire pregiudizialmente la legittimità dell’esercizio del potere discrezionale operato dell’amministrazione, ciò anche a seguito del comma 1 bis dell’art. 21 quinquies l. n. 241, come introdotto dal d.l. n. 7 del 2007, conv. in l. n. 40 del 2007, che fa salvo il potere di revoca del provvedimento successivamente alla nascita del vincolo negoziale.

Il riparto di giurisdizione come sopra delineato è perfettamente coerente con il criterio della separazione fra giudizio sull’efficacia del contratto e giudizio sulla validità degli atti di gara una volta prevalente in giurisprudenza ( prima del recepimento della recente direttiva ricorsi n. 66 del 2007 da trasporsi entro il 20 dicembre 2009 nell’ordinamento interno ) .

Ma anche alla luce del recente revirement della Cassazione sul punto ( Cass. Sez. Un. ord. n. 2906 del 2010 ), dovuto proprio alla valutazione della portata della predetta Direttiva, la conclusione non muta poiché proprio la riaffermazione della giurisdizione del giudice amministrativo sulla sorte del contratto se non si estende alla domanda di accertamento del contratto su cui si declina la giurisdizione ( non trattandosi di valutare della sorte del contratto in dipendenza dell’annullamento dell’aggiudicazione ), per altro verso conferma la pregiudizialità delle valutazioni amministrative in ordine alla serie procedimentale .

Nella specie – in definitiva – sussiste una controversia che esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo essendo in questione l’esistenza ( non l’inefficacia o l’invalidità conseguente all’annullamento della gara ) del contratto non la domanda di un concorrente di essere reintegrato in forma specifica nell’esecuzione del contratto in dipendenza dall’annullamento della gara.

Tale questione – ossia la questione di fatto della conclusione del contratto ( che non può che essere scrutinata dal giudice civile ) – non influisce tuttavia sul giudizio che può svolgersi separatamente, innanzi al giudice amministrativo, sulla legittimità del ritiro ( o revoca ) dell’aggiudicazione provvisoria ( fermo restando che , una volta che, eventualmente , nel giudizio civile, fosse giudicato comunque esistente il contratto si porrà la questione della sua validità o efficacia in relazione all’esito del giudizio amministrativo sull’atto di revoca dell’aggiudicazione e sull’eventuale risarcimento dovuto al contraente per aver fatto incolpevolmente fatto affidamento su un contratto invalido o inefficace).

Va, per quanto qui rileva, condiviso quanto incisivamente rilevato anche nella sentenza di primo grado, ossia che il fatto che il provvedimento di annullamento o revoca di atti dell’aggiudicazione incida ( secondo il tradizionale collegamento fra provvedimento e contratto ricorrente nelle procedure di evidenza pubblica ) su un vincolo contrattuale eventualmente già formato non modifica la natura sostanziale del potere esercitato, che si sostanzia nel riesame del provvedimento di aggiudicazione e non nell’esercizio di un presunto diritto di recesso ( in realtà inesistente e non prospettato dall’amministrazione ) e , conseguentemente, non determina il venir meno, sul resto della domanda di annullamento e risarcimento , della giurisdizione del giudice amministrativo essendo in questione la serie procedimentale degli atti di evidenza pubblica ( sia pure nel prisma del potere di controllo sugli stessi ) ed al limite l’indennizzo da revoca ( su cui c’è giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 dl 1990 ) o il risarcimento da annullamento dell’atto di autotutela ( spettante alla cognizione del g.a come qualsiasi azione risarcitoria da lesione di interessi legittimi ).

Ne consegue che va dichiarata la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario sulla sola domanda di accertamento dell’esistenza del contratto.

La motivazione della revoca è articolata e circostanziata, né può il giudice amministrativo sostituirsi all’amministrazione nella valutazione dei presupposti che hanno portato i responsabili del servizio a ritenere non più utile l’esternalizzazione a favore dell’autoproduzione.

Va quindi rigettata anche la domanda risarcitoria proposta a fronte di un atto legittimo dell’amministrazione costituente specifica espressione del suo potere di controllo sugli atti di gara.

La scelta a favore dell’autoproduzione è sempre una possibilità per l’amministrazione valutabile in sede di controllo sull’aggiudicazione provvisoria ed idonea a sostenere la decisione di non aggiudicare.

Né l’amministrazione doveva provare di aver effettuato la manutenzione altrove, essendo sufficiente la decisione di internalizzare il servizio.

Tanto è avvenuto nella specie poiché l’amministrazione ha deciso di internalizzare il servizio né vi è prova che abbia poi contraddetto tale intento.

Residuano i motivi proposti avverso la revoca che ne denunciano l’illegittimità diretta sostanzialmente sotto due profili:

a) per mancata previsione dell’ indennizzo ;

b) per insussistenza di effettivi sopravvenuti motivi di pubblico interesse.

Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo di appello del Consiglio di Stato?

In ordine al primo profilo va rilevato che la revoca senza indennizzo non è illegittima, poiché la mancata previsione dell’indennizzo di cui all’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 in un provvedimento di revoca, non ha efficacia viziante o invalidante di quest’ultima, ma semplicemente legittima il privato ad azionare la pretesa patrimoniale innanzi al giudice amministrativo che potrà scrutinarne i presupposti .

In particolare tale indennizzo spetta sempre che la revoca , legittima ( altrimenti vi sarebbe materia per il risarcimento ) incida su rapporti di durata ( su un provvedimento amministrativo ad efficacia durevole ) , che sia determinata da sopravvenuti motivi di pubblico interesse, dal mutamento della situazione di fatto o da una nuova valutazione dell’interesse pubblico.

Se il ritiro dell’atto è dipeso unicamente da un palese errore materiale o il danno è stato prodotto da un colpevole comportamento del privato allora nessun indennizzo può ritenersi dovuto.

Né l’indennizzo è dovuto per il caso di non approvazione dell’aggiudicazione provvisoria oggetto di una specifica disciplina nell’ambito della normativa sull’evidenza pubblica ( arg, ex art. 12 del codice dei contratti pubblici d.lgs. n. 163 del 2006).

Ne deriva l’infondatezza del motivo 2.a del ricorso per motivi aggiunti proposto in primo grado e riproposti in appello con ricorso incidentale ( pag. 29-35 del controricorso e ricorso incidentale in appello) trattandosi di fatto non avente effetto invalidante dell’atto amministrativo.

Circa l’adeguatezza delle giustificazioni fornite dalla società TRENITALIA e poste a base dell’atto impugnato osserva il Collegio che la società ha allegato ragioni sufficienti e non sindacabili nel merito perché espressione di una scelta discrezionale non irragionevole né tecnicamente erronea.

In particolare il provvedimento è basato su una motivazione ampia, che sottolinea che, dopo l’aggiudicazione provvisoria a favore di CONTROINTERESSATA, si è determinata una significativa e non prevedibile carenza di disponibilità di vetture di I classe della tipologia a 200 km/h ( Z1 e Gran Confort ) per l’esercizio commerciale dei treni IC plus , determinata da ritardi nella restituzione all’esercizio delle carrozze della suddetta tipologia comprese in progetti di ristrutturazione in corso”.

Tale criticità – secondo la società appellante – avrebbe comportato ripercussioni sulla qualità dell’offerta per i treni IC plus causando la soppressione di servizi, ovvero avrebbe costretto TRENITALIA ad utilizzare per i servizi in questione , carrozze con un minor grado di confort e con arredi interni non rispondenti alla tipologia del servizio.

Inoltre TRENITALIA evidenziava, quanto alla consegna del materiale rotabile, che essi dovevano essere consegnati al punto di raccolta rolling più vicino allo stabilimento designato ad eseguire le operazioni di bonifica e che i rotabili dovranno essere riconsegnati , a cura e spese dell’appaltatore, al punto di raccolta, almeno 90 minuti prima della partenza del treno dedicato ( punto 6.9.2 ).

Lamentava il pericolo di ritardi nelle consegne delle carrozze revisionate e rappresentava la necessità di esercitare la propria attività nei ristretti e tassativi termini imposti dalle esigenze dle servizio ferroviario.

Rilevava che il Piano di qualità trasmesso da CONTROINTERESSATA conteneva alcune rilevanti difformità rispetto a quanto richiesto contrattualmente ( per la prevista consegna dei rotabili a Trepuzzi e non a Torre Annunziata ).

Comunicava che per tali ragioni aveva deciso di internalizzare le attività richieste presso il proprio stabilimento di S.Maria la Bruna.

La motivazione della revoca è articolata e circostanziata, né può il giudice amministrativo sostituirsi all’amministrazione nella valutazione dei presupposti che hanno portato i responsabili del servizio a ritenere non più utile l’esternalizzazione a favore dell’autoproduzione.

Si è ritenuto che in materia di revoca dell’aggiudicazione, ancorchè intervenuta nel corso dell’esecuzione del contratto, e quindi quando il rapporto è ormai giunto alla fase meramente privatistica, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di atto di esercizio di poteri pubblicistici di matrice provvedimentale (C. Stato, sez. V, 28/5/2001, n. 2895).

 

Appurata l’esistenza di ragioni giustificatrici della mancata aggiudicazione definitiva alla impresa appellata e dell’adottato atto di revoca

 

In via generale va anche ricordato che in materia di contratti della p.a., il potere di negare l’approvazione dell’aggiudicazione per ragioni di pubblico interesse ben può trovare fondamento, in via generale, in specifiche ragioni di pubblico interesse e non trova ostacoli nell’esistenza dell’avvenuta aggiudicazione definitiva o provvisoria; pertanto è illegittimo l’atto di revoca dell’aggiudicazione di un appalto di lavori che non sia motivato in base ad un pubblico interesse idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto diritto dell’aggiudicatario nei confronti dell’amministrazione (C. Stato, sez.V, 30/11/2000, n. 6365).

 

In sostanza l’aggiudicazione di un appalto pubblico è suscettibile di riesame nell’esercizio della potestà di autotutela della p.a., fermo restando che alla revoca può pervenirsi con atto successivo, adeguatamente motivato con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico (C. Stato, sez.V, 20/9/2001, n. 4966).

 

Nella specie, il Collegio osserva che : 1) l’atto denominato revoca ( poi vedremo avente quale natura ) è motivato in modo specifico; 2) l’amministrazione si era limitata ad aggiudicare provvisoriamente l’appalto ( non avendo la nota del 28 agosto 2006 valore di aggiudicazione definitiva in quanto in essa era precisato che si trattava di comunicazione di aggiudicazione provvisoria ); 3) la e mail del 31 ottobre 2006 non ha valore decisivo ed incontrovertibile nel provare l’avvenuta esecuzione del contratto ( sia perché essa si riferisce con sicurezza sia pure parzialmente, a carrozze non comprese nell’appalto sia perché per il resto non v’è certezza alcuna che si riferisca alla procedura in contestazione cfr. indicazioni della matricola dei rotabili) ed appare proveniente da un soggetto non legittimato a concludere il contratto ; 4) non risulta adottato un provvedimento formale di aggiudicazione definitiva ai sensi dell’art.8.4 delle C.G.C.

 

In tali condizioni va considerato assolutamente fisiologico che all’aggiudicazione provvisoria, naturalmente temporanea, possa non far seguito, in ragione della valutazione negativa sulla permanente utilità del contratto, l’affidamento definitivo del contratto.

Ciò perché il controllo sull’aggiudicazione provvisoria è un evento del tutto fisiologico e positivamente disciplinato dagli artt. 11 comma 11, 12 e 48 comma 2, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163, inidoneo di per sé a ingenerare un qualunque affidamento tutelabile – qualora difetti, ovviamente, l’illegittimità dell’operato dell’amministrazione aggiudicatrice – e un obbligo risarcitorio. (Consiglio Stato , sez. V, 15 febbraio 2010 , n. 808).

Va quindi accolto sul punto l’appello principale e , nel contempo, vanno rigettati i motivi dell’appello incidentale condizionato concernenti la questione della esistenza di ragioni giustificatrici della mancata aggiudicazione definitiva alla impresa appellata e dell’adottato atto di revoca.

Va quindi rigettata anche la domanda risarcitoria proposta a fronte di un atto legittimo dell’amministrazione costituente specifica espressione del suo potere di controllo sugli atti di gara.

 

Revoca di un’aggiudicazione:invero l’impresa appellata ha chiesto, cumulando le azioni, sia il risarcimento che l’indennizzo.

 

Sul punto della legittimità del cumulo delle azioni di risarcimento e di indennizzo per gli effetti della revoca nello stesso processo va osservato che esso deve ritenersi consentito.

L’azione risarcitoria è fondata sul presupposto dell’illegittimità dell’azione amministrativa (nella specie non sussistente ).

 

Ovviamente, dopo la novellazione della legge n. 241 del 1990 con l’introduzione dell’indennizzo di cui all’art. 21 quinquies per la revoca, in caso di revoca ( supposta ) illegittima possono darsi due casi :

1)il privato inciso dalla revoca ( supposta illegittima ) la contesta in sede giurisdizionale e chiede il risarcimento;

2) il privato non la contesta e chiede l’indennizzo ( in tal caso non deve provare né illegittimità , né dolo né colpa ).

Se il privato – come nella specie – contesta la legittimità della revoca e chiede il risarcimento, tuttavia può anche formulare ,in via subordinata, una domanda per l’indennizzo , in caso di infondatezza della domanda risarcitoria, avendo l’indennizzo natura residuale.

Ne consegue l’ammissibilità del cumulo delle domande nello stesso processo ( risarcitoria sul presupposto dell’illegittimità della revoca e indennitaria sul presupposto dell’avvenuta lesione da fatto lecito dannoso).

Nella specie la domanda di liquidazione dell’indennizzo è stata proposta con motivo 3.B 6 dei motivi aggiunti che non risulta specificamente riproposto in sede di appello.

Tuttavia, anche a voler considerare tale domanda riproposta ( implicitamente nel primo dei motivi del ricorso incidentale condizionato ) essa è infondata poiché si è , nella specie, di fronte al mero ritiro di un’aggiudicazione provvisoria ( atto avente per sua natura efficacia interinale e non idonea a creare affidamenti ) e non ad una revoca di un atto amministrativo ad effetti durevoli come previsto dall’art. 21 quinquies per l’indennizzabilità della revoca.

Sussistono gravi ed eccezionali motivi per la compensazione delle spese processuali attesa la complessità della controversia.

decisone numero 808 del 15 febbraio 2010 emessa dal Consiglio di Stato

I superiori rilievi consentono di escludere pacificamente l’applicabilità alla fattispecie degli artt. 1337 e 1338 c.c., non essendosi la stazione appaltante comportata in mala fede né avendo la stessa omesso di comunicare alla ricorrente una causa di invalidità del contratto bandito

una stazione appaltante ben possa, ricorrendo un’urgenza, imporre l’esecuzione anticipata del contratto, nondimeno di tale scelta ogni aggiudicatore è chiamato a sopportare le eventuali conseguenze economiche: invero, l’obbligo di anticipata esecuzione imposto ai concorrenti può ingenerare, in capo alla amministrazione, qualora l’esecuzione già intrapresa debba essere successivamente interrotta per qualunque causa, una responsabilità contrattuale

la possibilità che ad un’aggiudicazione provvisoria, naturalmente temporanea, possa non far seguito, in ragione del negativo riscontro sui requisiti posseduti dall’aggiudicatario, l’affidamento definitivo del contratto è un evento del tutto fisiologico e positivamente disciplinato (si vedano gli artt. 11, comma11, 12 e 48, comma 2, del Codice dei contratti pubblici), inidoneo di per sé a ingenerare un qualunque affidamento tutelabile (qualora difetti, ovviamente, l’illegittimità dell’operato dell’amministrazione aggiudicatrice).

Gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale sono notoriamente l’elemento soggettivo (dolo o colpa), l’elemento oggettivo della condotta, omissiva o commissiva, e del danno (quest’ultimo inteso sia come danno-evento sia come danno-conseguenza), il nesso di causalità, materiale o legale, tra la condotta e il danno e, infine, l’antigiuridicità

Il Tribunale però ha accolto in parte l’ulteriore domanda risarcitoria, con la quale la ricorrente aveva chiesto la condanna della stazione appaltante al ristoro dei danni cagionati alla ricorrente a titolo di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., avendo ritenuto ascrivibile a negligenza della Acam l’errore contenuto negli atti di gara dal quale era scaturita, in un primo momento, la ridetta aggiudicazione provvisoria.

In particolare, il primo Giudice ha opinato che la stazione appaltante avesse violato i doveri legali di lealtà e correttezza, avendo posto in essere comportamenti lesivi dell’affidamento riposto dalla ricorrente nell’aggiudicazione definitiva. L’applicazione (diretta) delle regole civilistiche discende, secondo il ragionamento decisorio che sorregge la sentenza impugnata, dall’assimilabilità delle procedure di evidenza pubblica (e, quindi, dell’intera fase amministrativa prodromica alla stipulazione del contratto) ai contatti preliminari tra le parti che normalmente avvengono nell’ambito delle trattative.

Una volta accertata la sussistenza della responsabilità precontrattuale dell’Acam, il T.a.r. ha determinato il quantum del danno risarcibile nei limiti dell’interesse negativo correlato alla lesione della libertà contrattuale consistita nel coinvolgimento in trattative non finalizzate alla conclusione del contratto (e, quindi, inutili)

Contro le riferite statuizioni è insorta in appello la Acam, contestando – con plurimi mezzi di gravame, ma limitatamente al capo di decisione recante l’accoglimento della domanda risarcitoria – sia la sussistenza dei presupposti per configurare la ravvisata responsabilità precontrattuale sia la quantificazione del danno risarcibile.

Qual è il parere dell’adito giudice di appello del Consiglio di Stato?

occorre verificare se effettivamente ricorressero nella fattispecie i presupposti per configurare, a carico della Acam, la responsabilità precontrattuale ravvisata dal T.a.r. della Liguria.

A questo proposito il primo Giudice ha correttamente ricondotto la responsabilità precontrattuale nell’alveo di quella aquiliana. Altrettanto condivisibilmente ha assimilato quoad effectum lo svolgimento di una procedura di evidenza pubblica alle trattative disciplinate, ai fini risarcitori, dal codice civile.

Gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale sono notoriamente l’elemento soggettivo (dolo o colpa), l’elemento oggettivo della condotta, omissiva o commissiva, e del danno (quest’ultimo inteso sia come danno-evento sia come danno-conseguenza), il nesso di causalità, materiale o legale, tra la condotta e il danno e, infine, l’antigiuridicità.

In particolare, il T.a.r. della Liguria ha ritenuto provata la sussistenza di detti elementi sulla base delle seguenti considerazioni: “(n)ella fattispecie in esame è positivamente riscontrato che la lesione della libertà negoziale della parte appellante, che si è vista indotta ad avviare un servizio a seguito della richiesta della stessa amministrazione ed a confidare quindi in buona fede nella validità della procedura poi bloccata e revocata in via di sostanziale autotutela, è avvenuta per colpa dell’amministrazione, la quale è incorsa in un evidente errore, imputabile alle carenze della lex specialis ed alla negligenza con cui si è svolto l’esame dei documenti e dei titoli in sede di gara: da ciò è scaturito il legittimo affidamento della odierna ricorrente, tratta in errore dalla lex specialis, dall’esito positivo della gara con la aggiudicazione in proprio favore e dalla contestuale richiesta della stazione appaltante di avviare subito il servizio in questione.

Quanto alla sussistenza del nesso di causalità e dell’effettiva esistenza di un danno patrimoniale, appare del tutto evidente che, per effetto del comportamento tenuto nello svolgimento della gara, la società ricorrente ha dovuto sostenere – inutilmente – le spese di partecipazione alla gara poi rimossa nonché quelle di avvio della procedura.”.

13.3. – Il Collegio non condivide in parte qua il riferito argomentare del T.a.r.. In sostanza, il Tribunale ha ritenuto che la responsabilità della Acam poggi sulla lesione dell’affidamento formatosi nella Ricorrente e fondato, per un verso, sull’incidenza decettiva delle carenze della lex specialis e della negligenza con cui si è svolto l’esame dei documenti e dei titoli in sede di gara, e, per altro verso, sull’esito positivo della gara conclusasi con l’aggiudicazione provvisoria in favore della Ricorrente e la contestuale richiesta della stazione appaltante di avviare subito il servizio.

13.4. – L’attento esame degli atti di causa e le osservazioni sopra riportate rivelano però l’erroneità dell’approdo ermeneutico del primo Giudice.

13.5. – Innanzitutto, in capo alla Ricorrente, non si era formato alcun affidamento tutelabile o, meglio, tale affidamento non poteva fondarsi sulla sola aggiudicazione provvisoria (si veda invece, infra, quanto considerato a proposito della clausola di immediata esecuzione del contratto). Va, invero, precisato che la Acam non è intervenuta in autotutela sulla precedente aggiudicazione provvisoria, ma semplicemente non ha disposto quella definitiva.

A prescindere dai superiori rilievi è tuttavia dirimente rilevare che, nel caso in disamina, la Acam aveva comunicato esattamente alla Ricorrente quale fosse il codice di riferimento del multimateriale, con la sunnominata nota del 18 dicembre 2007. Risulta, pertanto, assolutamente inconferente rispetto alla presente controversìa ogni questione in ordine alla specificità, o no, degli atti inditivi: la Ricorrente fu tempestivamente messa a conoscenza del codice richiesto, mentre sarebbe stato onere dell’aggiudicataria provvisoria verificare che la sua autorizzazione semplificata consentisse il trattamento dei rifiuti, corrispondenti a detto codice, ancorché provenienti dalla raccolta differenziata.

Merita di essere segnalata la decisione numero 808 del 15 febbraio 2010, emessa dal Consiglio di Stato ed in particolare il seguente passaggio:

< Tanto è sufficiente per la riforma in questa parte della sentenza impugnata.

15. – Quanto testé considerato non conduce tuttavia al pieno accoglimento dell’appello principale.

15.1. – Si è statuito invero che l’appello incidentale della Ricorrente è irricevibile, nondimeno ciò non esonera il Collegio dal verificare se lo stesso atto (ed eventualmente gli ulteriori atti difensivi della Ricorrente) possano assumere il valore di un c.d. “appello incidentale semplificato”. È noto, difatti, che, sulla scorta del principio scolpito dall’art. 346 c.p.c., il giudice amministrativo è tenuto a considerare come validamente devoluto in appello tutto il materiale cognitorio non esaminato, per qualunque motivo, dal primo Giudice; tale devoluzione non richiede forme particolari o solenni e può avvenire, secondo un indirizzo pretorio consolidato e risalente, anche con semplice memoria (oltre ai numerosi precedenti in tal senso, va segnalata la sicura esistenza dell’orientamento citato fin dal lontano arresto della Sezione del 10 luglio 1981, n. 345). Non vi è dubbio infatti che un atto che non presenti i requisiti prescritti per una valida impugnazione conservi nondimeno la sostanza di un atto difensivo e, quindi, sia esaminabile alla stregua di una memoria di parte (nella quale è automaticamente convertito).

15.2. – Calati i surrichiamati principi alla presente lite, il Collegio non può astenersi dal rilevare che la Ricorrente ha richiesto (v., tra l’altro, le conclusioni rassegnate nell’appello incidentale, in fine, a pag. 51) l’accoglimento di tutte le istanze risarcitorie proposte in primo grado.

15.3. – Orbene, dall’esame del ricorso di primo grado, il cui contenuto in questa parte è, per effetto del richiamo contenuto nell’appello incidentale (qualificato come memoria difensiva), automaticamente transitato in appello, emerge che, a pag. 22, la Ricorrente aveva richiesto la condanna della Acam non soltanto a titolo di responsabilità extracontrattuale (sub species della responsabilità precontrattuale), ma anche a titolo di responsabilità “… contrattuale, poiché si è improvvisamente interrotto lo svolgimento di un appalto di servizio, in corso di esecuzione già da un mese e mezzo.”.

Su questa seconda domanda la sentenza tace e, avendone il T.a.r. completamente obliterato l’esame, allo scrutinio della relativa fondatezza è tenuto il giudice d’appello.

16. – Ebbene, il Collegio ritiene che il mezzo di gravame “incidentale” semplificato sia fondato nei limiti di seguito specificati.

Le stazioni appaltanti sono certamente autorizzate dalla legge ad adottare atti inditivi in deroga alla regola generale dell’esecuzione del contratto aggiudicato soltanto dopo l’intervenuta efficacia dello stesso. In dettaglio, l’art. 11, comma 12, consente tale esecuzione anticipata nei soli casi di urgenza, nei modi e alle condizioni previste dal regolamento. Il D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 (Regolamento di attuazione della L. 11 febbraio 1994, n. 109 legge quadro in materia di lavori pubblici, e successive modificazioni) stabilisce inoltre, all’art. 109, comma 4, disposizione applicabile nella fattispecie nei limiti compatibilità delle relative previsioni con un contratto di servizi, che: “(s)e è intervenuta la consegna dei lavori in via d’urgenza, l’impresa ha diritto al rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione dei lavori ordinati dal direttore dei lavori ivi compresi quelle per opere provvisionali.”.

Esula poi dall’ambito oggettivo della controversia, non essendosi sviluppato alcun contraddittorio sul punto, verificare se effettivamente sussistesse nel caso in disamina una reale urgenza tale da imporre un avvio anticipato del servizio.

16.2. – Discende dalle riferite previsioni che una stazione appaltante ben possa, ricorrendo un’urgenza, imporre l’esecuzione anticipata del contratto, nondimeno di tale scelta ogni aggiudicatore è chiamato a sopportare le eventuali conseguenze economiche: invero, l’obbligo di anticipata esecuzione imposto ai concorrenti può ingenerare, in capo alla amministrazione, qualora l’esecuzione già intrapresa debba essere successivamente interrotta per qualunque causa, una responsabilità contrattuale. La preesistenza dell’obbligazione pecuniaria di ristoro (la preesistenza, o no, dell’obbligo riparatorio distingue, come noto, le due forme di responsabilità civile) delle spese sostenute dalla controparte è difatti certamente riconducibile alle citate disposizioni settoriali, nonché al principio generale ricavabile dal secondo periodo dell’art. 1328, primo comma, c.c..

Non è pertanto contestabile che, in forza delle prestazioni obbligatoriamente eseguite nell’arco temporale tra il 1° gennaio 2008 e il 13 febbraio 2008, la Ricorrente abbia diritto a ottenere una riparazione, stante la correlativa responsabilità contraria responsabilità contrattuale della Acam.

Sicuramente non compete alla ricorrente il rimborso delle spese affrontate per la partecipazione alla gara ( tre cui la cauzione provvisoria) e per la relativa assistenza legale che pure il T.a.r. ha riconosciuto.

Il capo di decisione, sul punto, è errato, anche a prescindere dalla non condivisa cornice aquiliana in cui la statuizione è inserita. Le spese di partecipazione ad una gara (e, tanto più, le ulteriori volontariamente assunte, agli stessi fini, da un concorrente), in assenza di una specifica previsione di legge, non sono mai rimborsabili, a nulla rilevando se l’impresa che ne pretenda la restituzione sia risultata, o no, aggiudicataria.

Dette spese sono infatti un onere ordinariamente affrontato da ogni impresa interessata a procacciarsi un affare e, quindi, esse rimangono a carico dei concorrenti in conseguenza della sola partecipazione a una procedura di evidenza pubblica e del tutto indipendentemente dal relativo esito; in termini economici si tratta del “prezzo” dell’acquisito di una opportunità di guadagno e, come tale, si ribadisce, esso va considerato non alla stregua di un indennizzo, ma di un costo sopportato a fronte dello stesso svolgimento dell’attività imprenditoriale, non suscettibile di risarcimento o di indennizzo.

Riportiamo qui di seguito il testo integrale della decisione 195 del 19 gennaio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato.

Sentenza collegata

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Lazzini Sonia

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