Ampiezza e diversità dei soggetti abilitati ad esercitare i poteri gestori sociali

Calabrò Arles 30/03/17
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Onde addivenire ad un corretto inquadramento delle questioni problematiche concernenti la tematica in esame, appare opportuno, preliminarmente, individuare, nell’ambito della compagine societaria, i soggetti che, in base alla legge e all’atto costitutivo della società, siano legittimati ad esercitare i poteri gestori sociali. Successivamente sarà poi necessario soffermarsi sui requisiti di ordine generale, richiesti dalla vigente normativa, ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, servizi o forniture. In tale fase dell’indagine, occorrerà procedere all’inquadramento dogmatico della figura del procuratore ad negotia, onde interrogarsi se quest’ultimo debba o meno essere annoverato tra quei soggetti su cui incombe l’obbligo di dimostrare il possesso dei requisiti morali di partecipazione. Più nel dettaglio, si dovrà verificare, anche alla stregua delle coordinate ermeneutiche tracciate dal massimo consesso giurisdizionale amministrativo, se incomba o meno su tale procuratore l’onere di attestazione dei predetti requisiti, così come previsto espressamente per il titolare della società, per il direttore tecnico, nonché per gli altri soggetti esplicitamente indicati dalla vigente normativa di riferimento.

Principiando dall’individuazione dei soggetti abilitati ad esercitare i poteri gestori sociali, preme rilevare come, alla stregua di quanto statuito dall’art 2380 bis cc, la gestione dell’impresa spetti esclusivamente agli Amministratori, i quali, pertanto, compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale. Se lo Statuto non indica il numero degli Amministratori, ma ne indica solamente un numero massimo e minimo, la determinazione spetta all’assemblea. Ove lo Statuto o l’Assemblea lo consentano espressamente, a tenore dell’art 2381 comma 2°, il Consiglio di Amministrazione può delegare tutte o parte delle proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti, ovvero anche ad uno solo di tali soggetti, il quale, in virtù di tale delega conferitagli, ricoprirà il ruolo di Amministratore unico delegato.

Per quanto di interesse in questa sede, ed entrando più nello specifico, giova precisare come, in forza delle prescrizioni enucleate dall’art. 2384 cc, gli amministratori godano di un potere di rappresentanza generale. La predetta disposizione codicistica soggiunge, inoltre, che le limitazioni dei poteri degli Amministratori, risultanti dallo Statuto o da una decisione degli organi competenti, non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi che questi ultimi abbiano intenzionalmente agito a danno della società.

Tra i soggetti deputati alla gestione sociale, alla figura dell’Amministratore di diritto va equiparato (anche ai fini che qui rilevano) il cd. amministratore di fatto, cioè vale a dire quel determinato soggetto che, anche se non formalmente investito della qualifica di Amministratore, ugualmente esercita in modo continuativo e significativo i poteri e le funzioni tipiche di quest’ultimo.

A tal proposito, giova evidenziare come l’orientamento maggioritario propenda ad equiparare le due figure dianzi evocate anche in relazione ai poteri di rappresentanza, consentendo, anche all’ Amministratore di fatto, la possibilità, tra l’altro, di rappresentare la società in occasione di eventuali partecipazioni a gare pubbliche.

Un’ulteriore figura, cui spettano poteri gestori e rappresentativi, è individuata nel Direttore generale, al quale, a tenore dell’art 2396 cc, si applicano le medesime disposizioni normative che regolano la responsabilità degli Amministratori.

Orbene, dopo questa breve panoramica in ordine ai soggetti facenti parte della compagine societaria a cui sono affidati poteri gestori sociali, giova evidenziare come l’individuazione analitica e specifica di tali poteri e delle competenze ad essi spettanti esula, probabilmente, dall’economia della presente analisi: per quanto qui di interesse, in relazione alla tematica oggetto d’esame, basti rammentare come i poteri di rappresentanza della società (finanche in riferimento alle partecipazioni alle gare pubbliche) siano di pertinenza esclusiva di tali soggetti. Solo costoro, pertanto, possono essere legittimamente investiti del ruolo di rappresentanti della società, a meno che, in determinate circostanze e secondo le modalità ed i limiti enucleati nello Statuto o nell’Atto costitutivo, essi non intendano delegare tale potere-dovere a determinati soggetti espressamente individuati ed indicati nell’atto di conferimento della delega: si allude, come è ovvio, ai cc.dd. procuratori ad negozia.

Costoro hanno un potere più o meno ampio a seconda dello spatium decidendi oggetto di delega e le loro competenze, nonché le rispettive funzioni ricoperte all’interno della società, variano, più in generale, a seconda del ruolo specifico di cui sono investiti all’interno della compagine societaria.

Orbene, le considerazioni finora svolte consentono di addentrarsi nella disamina di una questione problematica di ampio spessore che, sul punto specifico, ha finito per sollecitare, con stimolo ineguagliabile, l’elaborazione accademica ed operativa.

Ed infatti, come è noto, l’art 80 del Codice degli appalti (d.lgs 50/2016) enuclea i requisiti di ordine generale che determinati soggetti devono possedere onde poter legittimamente partecipare alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavoro, forniture e servizi, nonché ai fini della stipulazione dei relativi contratti.

Segnatamente, come si è già avuto modo di anticipare all’inizio della presente trattazione, l’art 80 statuisce che l’esclusione o il divieto dalla procedura di evidenza pubblica operano se la pendenza dei procedimenti penali (ovvero delle ulteriori cause di esclusione ivi espressamente contemplate) riguardi il titolare o il Direttore tecnico, nonché gli ulteriori soggetti esplicitamente indicati, i quali, pertanto, non risultano possedere tali requisiti di ordine morale.

Ebbene, tra i soggetti esplicitamente indicati dalla predetta disposizione normativa non figura il Procuratore della società, cioè colui il quale sia stato delegato, nell’ambio della procedura di evidenza pubblica, a rappresentare l’intera compagine societaria.

Il quesito che si pone all’attenzione dell’interprete è, allora, rappresentato dalla verifica dell’obbligo o meno, per il procuratore ad negotia, di attestazione della titolarità dei requisiti di ordine morale, così come espressamente previsto per tutti gli altri soggetti individuati dalla disciplina più volte richiamata.

Più nel dettaglio, ci si è chiesti se la stazione appaltante abbia o meno l’obbligo di farsi attestare dal procuratore il possesso di tali prerequisiti e quali siano le relative conseguenze applicative ove la lex specialis (i.e., il bando di gara) nulla disponga in tal senso.

Un primo orientamento, muovendo dal carattere dell’eccezionalità della disciplina in esame, propende per l’esclusione di tale onere procedurale da parte del procuratore: i propugnatori di tale tesi rilevano come non si possa applicare analogicamente l’art 80 del Codice degli appalti, ostando, in tal senso, l’art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile.

Un’autorevole voce dottrinale soggiunge che alla stessa conclusione si perviene, altresì, mediante un’interpretazione a contrariis della norma medesima: laddove il legislatore avesse voluto contemplare il Procuratore tra i soggetti  aventi l’obbligo di dimostrare tali requisiti di ordine morale, lo avrebbe fatto espressamente. Ma nulla avendo disposto in tal senso, non può che prediligersi, secondo tale dottrina, un’interpretazione più conforme alla littera legis.

Pertanto, alla stregua di tale tesi minoritaria, ove il bando di gara enucleasse un siffatto onere procedurale solo per i soggetti espressamente indicati dalla legge, ma non anche per il Procuratore, tale clausola non potrebbe essere considerata illegittima (sub specie di violazione di legge), con conseguente rigetto di un eventuale ricorso, ex art 21 octies, L. 241/90.

Come già si è avuto modo di anticipare, il punto nodale, attorno cui ruota l’intero impianto argomentativo dell’orientamento in esame, è incentrato sulla riscontrata eccezionalità della disciplina de qua: una disposizione normativa che, in determinate circostanze, precluda la partecipazione alle gare pubbliche, rappresentando una deroga alla regola generale enucleata dall’art 41 della Carta fondamentale, dovrebbe necessariamente essere oggetto di un procedimento esegetico di stretta e rigorosa interpretazione.

Tale ricostruzione, ancorché pregiata, nonché autorevolmente sostenuta, a ben vedere, presta il fianco a diversi rilievi critici.

Non può in questa sede sottacersi, infatti, come l’art 80 del d.lgs. 50/2016 costituisca diretta proiezione, nel nostro ordinamento, della disciplina contemplata dall’art 45 della direttiva 2004/18.

Giova evidenziare, allora, come la Corte di Giustizia Europea, tra le varie opzioni interpretative riferite alla predetta direttiva, abbia quasi sempre prediletto una soluzione che si informi, non tanto al dato formale, quanto, piuttosto, alla ratio legis sottesa alla disciplina medesima.

Orbene, non pare potersi revocare in dubbio come il fondamento della disposizione normativa oggetto d’ indagine affondi le sue radici, tra l’altro, nella necessità di scongiurare il rischio che determinati appalti o concessioni di lavori, servizi e forniture vengano affidati a soggetti collusi a determinate organizzazioni criminali o che, comunque, non posseggano quei requisiti indispensabili di ordine morale; requisiti che devono necessariamente rappresentare una sorta di garanzia sull’ affidabilità dei soggetti appaltatori o concessionari.

Tale argomentazione di carattere teleologico appare vieppiù apprezzabile se sol si ponga mente al rischio che potrebbe discendere ove si accedesse ad una mera interpretazione letterale della norma: si pensi, a mero titolo esemplificativo, all’eventualità in cui determinati soggetti, collusi con la criminalità organizzata, onde aggirare il dato formale di tale disposizione normativa, si avvalessero di determinate “società schermo”, pervenendo, in tal guisa, alla sottoscrizione del contratto con la stazione appaltante, pur non possedendo affatto i requisiti di ordine morale richiesti dalla vigente normativa.

Le riflessioni testè formulate inducono, allora, a ritenere maggiormente apprezzabile quell’orientamento che considera annoverabile anche il Procuratore tra i soggetti su cui incombe l’obbligo di cui all’art 80 del Codice degli appalti). D’altro canto, anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in un recentissimo arresto e con argomentazioni molto convincenti, ha ritenuto di dover abbracciare tale ordine di considerazioni.

Ne discende che la lex specialis della procedura di evidenza pubblica (cioè il bado di gara) dovrà prevedere, a pena di illegittimità (sub specie di violazione di legge), l’onere per i Procuratori di dimostrare il possesso di tali requisiti.

Si discute, però, su quali siano le conseguenze applicative nell’ipotesi in cui il bando non contempli una siffatta clausola.

Più nel dettaglio, ci si è chiesti quali debbano essere le sorti del provvedimento di aggiudicazione di un appalto al cui procedimento abbiano partecipato determinati Procuratori a cui la stazione appaltante non abbia provveduto a richiedere l’attestazione del possesso dei requisiti di ordine morale.

Sul punto specifico, l’Adunanza Plenaria ha rilevato come, nella predetta evenienza, il provvedimento di aggiudicazione sia da considerarsi legittimo, in quanto, nulla prevedendo il bando in ordine ad un siffatto onere procedurale anche per il Procuratore, non può pretendersi che lo stesso provvedimento debba considerarsi inficiato da violazione di legge.

Tale conclusione, ancorché promanante dal massimo consesso giurisdizionale amministrativo, non pare cogliere nel segno: infatti, ai fini della valutazione della legittimità di un eventuale provvedimento di aggiudicazione di un determinato appalto, occorre verificare se quest’ultimo si informi o meno al parametro normativo di riferimento.

E allora, un provvedimento di aggiudicazione adottato in contrasto con il Testo Unico degli appalti (così come interpretato, del resto, dalla stessa Adunanza Plenaria), non può che considerarsi illegittimo, a nulla rilevando il fatto che il bando sia rimasto silente sul punto e che, quindi, non abbia contemplato, per lo stesso Procuratore, l’obbligo di presentare l’attestazione di cui alla predetta disposizione normativa.

D’altro canto, una siffatta conclusione, oltre a sembrare maggiormente rispettosa della ratio sottesa alla disciplina in esame, appare, sul punto specifico, più conforme alla consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea.

 

Milano, 17 marzo 2017

Calabrò Arles

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