E’ ammissibile la disposizione testamentaria in cui il de cuius conferisce l’usufrutto al coniuge?

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( cfr. Cass. 31/05/2018 n° 13868)

Con la sentenza in commento, la corte Regolatrice interviene nuovamente su una delicata materia e su questioni di importante rilevanza anche alla luce dei risultati interpretativi offerti dal Giudice di legittimità, non sempre pacifici in giurisprudenza ed in dottrina.

La giurisprudenza

Si pensi, solo per fare un esempio, alle conclusioni formulate dalla S.C. con sentenza 26/01/2010 n° 1557 laddove ha ritenuto “perentoriamente” che allorché il testatore attribuisca il solo diritto di usufrutto, il beneficiario non succede “in universum ius” del defunto e pertanto non acquista la qualità di erede”. Ma anche alla diversa conclusione cui è pervenuta in precedenza la S.C. opinando “che la disposizione testamentaria di attribuzione dell’usufrutto generale sui beni (mobili ed immobili) costituisce istituzione di erede e non legato (Cass. 24/02/2001 n° 4435). Costituisce assegnazione di legato una istituzione di erede comprendendo tale attribuzione la universalità dei beni ex art. 588 CC “(Cass. 12/09/2002 n° 13310).
Si è voluto sinteticamente anticipare quali siano le questioni che, per così dire, agitano dottrina e giurisprudenza, circa la natura da assegnare al testamento che dispone l’attribuzione di usufrutto su immobile, facente parte del patrimonio del testatore, a favore di un legittimario, perché trattasi di questioni sensibili che spesso necessitano del contributo nomofilattico della Corte Regolatrice.

Il caso

Al centro della vicenda sottoposta al vaglio della S.C., il caso, invero non infrequente, di un uomo che aveva così disposto per testamento: 1) alla moglie, il conferimento dell’usufrutto generale vitalizio dell’intero suo patrimonio mobiliare ed immobiliare, comunque costituito e dovunque sito e che sarebbe risultato all’epoca del decesso nonché il lascito di tutti i macchinari ed attrezzi agricoli, trattori, motocoltivatori; 2) alla figlia ed al figlio, l’attribuzione, per ciascuno distinta, della nuda proprietà di alcuni beni immobili; 3) ai tre figli l’attribuzione in parti uguali di quanto non assegnato di beni immobili mercé il predetto testamento, gravato di usufrutto generale a favore della moglie; 4) l’assegnazione in parti uguali di tutti gli oneri e gravami in genere, comunque gravanti sulla proprietà una volta consolidato l’usufrutto.
Orbene, il principio affermato dalla Suprema Corte nella pronuncia in commento, è quello secondo cui deve qualificarsi “come legato (in conto di legittima, se il testamento non dispone diversamente) la disposizione testamentaria che attribuisca l’usufrutto generale del patrimonio del defunto salva l’ipotesi in cui il testatore oltre a disporre l’usufrutto, effettui altre attribuzioni di porzioni del proprio patrimonio, nel qual caso l’usufruttuario deve qualificarsi come erede”.
Dalla lettura della articolata decisione de qua si scorge chiaramente l’esigenza, sottolineata dalla S.C., di ricercare “tra le righe” del testamento la reale intenzione del testatore che costituisce, per così dire, la linea di demarcazione per distinguere quando, nel caso concreto, ricorra la figura del legato di usufrutto ovvero quella in cui il beneficiario della disposizione testamentaria è invece istituito erede succedendo, in tal caso, nell’universum ius del de cuius. Un compito, questo, ricordano gli Ermellini, che il Giudice di merito, chiamato a dirimere una controversia in subiecta materia, deve svolgere tenendo in debito conto che “l’interpretazione del testamento – cui, in linea di principio, sono applicabili le regole di ermeneutica dettate dal Codice in tema di contratti, con la sola eccezione di quelle incompatibili con la natura di atto unilaterale non ricettizio del negozio mortis causa – è caratterizzata, rispetto a quella contrattuale, da una più penetrante ricerca, al di là della dichiarazione, della volontà del testatore, la quale alla stregua dell’art. 1362 CC, va individuata con riferimento ad elementi intrinseci alla scheda testamentaria, sulla base dell’esame globale della scheda stessa e non di ciascuna singola disposizione (art. 1363 CC) e solo in via sussidiaria, ove cioè dal testo dell’atto non emerga con certezza l’effettiva intenzione del de cuius e la portata della disposizione, con il ricorso ad elementi estrinseci al testamento, ma pur sempre riferibili al testatore, quali ad esempio la personalità dello stesso, la sua mentalità, cultura, condizione sociale, ambiente di vita, ecc”.
Sullo sfondo della ribadita necessità, da parte del Giudice di merito, di indagare sulla reale intenzione del testatore, al di là della dichiarazione contenuta nella scheda testamentaria (in tal senso, vedasi, ex multis, anche Cass. 17/04/2001 n° 5604; Cass. 03/11/2014 n° 23371 nonché Cass. 29/07/2005 n° 16083 e Cass. 10/06/2011 n° 12854, la quale ha sottolineato come “tale intenzione non richieda formule sacramentali, potendo desumersi dal complessivo contenuto dell’atto in forza di un apprezzamento compiuto dal Giudice di merito insindacabile in sede di legittimità se correttamente motivato) si manifesta una rilevante “posta in gioco” considerato che l’attribuzione dell’usufrutto, effettuata con testamento, potrebbe rivelare una volontà tacitativa del de cuius che preclude la possibilità di reclamare la quota di eredità riservata al legittimario, beneficiato dal legato stesso: ipotesi, questa, che sostanzia la figura del c.d. legato in sostituzione della legittima la cui peculiarità, infatti, consiste proprio nel fatto che il legittimario viene privato della quota riservata, da intendersi ai sensi dell’art. 536 CC quale pars hereditas, in quanto in altro modo soddisfatto attraverso l’attribuzione di un bene specifico che gli impedisce di conseguire la qualità di erede.
Ed invero, il legato in sostituzione di legittima viene anche definito da autorevole dottrina (Mengoni) legato privativo o diseredativo in quanto riconducibile alla volontà del de cuius di escludere il legittimario dalla eredità e di privarlo della quota riservata, che non potrà in alcun modo essere conseguita una volta accettato il legato.
Lo snodo, nel percorso interpretativo della S.C., è rappresentato, come già accennato, dalla esigenza di una penetrante indagine sulla volontà del testatore dalla quale possa evincersi una inequivoca e chiara volontà che – a prescindere dall’utilizzo di formule sacramentali – denoti il c.d. scopo tacitativo, ossia quella di soddisfare il legittimario di determinati beni senza chiamarlo all’eredità (in questo senso vedasi anche, ex multis ,Cass. 15/11/1982 n° 6098, Cass. 29/07/2005 n° 16083, Cass. 10/06/2011 n° 12854, Cass. 09/09/2011 n° 18583, Cass. 16/01/2014 n° 824, Cass. 03/11/2014 n° 23371).
L’operazione ermeneutica intesa ad accertare la reale intenzione del testatore, deve essere rivolta attraverso una doppia indagine, l’una di carattere oggettivo, riferita cioè al contenuto dell’atto, l’altra di carattere soggettivo riferita alla intenzione del testatore.
Per fare degli esempi pratici, tratti dal consolidato indirizzo giurisprudenziale esplicitato in subiecta materia, si possono indicare le seguenti direttrici per fissare la distinzione tra erede e legatario: ai sensi dell’art. 588 CC, la assegnazione di beni determinati deve interpretarsi come disposizione ereditaria (institutio ex re certa), qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nella universalità dei beni od in una parte determinata di essi, considerata in funzione di quota del patrimonio relitto, mentre deve considerarsi come legato, se abbia voluto attribuirgli singoli individuati beni. In questo senso vedasi Cass. 10/10/2012 n° 17266 ed altri precedenti conformi come Cass. 12/07/2001 n° 94671, Cass. 01/03/2002 n° 3016, Cass. 04/03/2016 n° 4312, Cass. 16/11/2017 n° 2716, Cass. 06/10/2017 n° 23393.

In tale contesto, merita di essere segnalata la decisione della Cass. 24/06/2014 n° 14315 in quanto il caso esaminato e la soluzione adottata rappresentano un esempio, spesso ricorrente nelle aule di giustizia, di come gli indicati e consolidati principio possano essere calati nella fattispecie concreta , a motivo di orientamento dell’interprete.
Nel caso di specie la S.C., dopo aver richiamato gli anzidetti principi, ha evidenziato come il Giudice del merito abbia giustamente valorizzato, nella fase di verifica obiettiva della disposizione testamentaria, l’espressione “nomino mio erede” adoperata dal testatore prima di articolare in concreto le relative attribuzioni testamentarie.
Ritornando alla sentenza della S.C. in commento (13868/2018) è da aggiungersi che essa si pone sul solco del consolidato orientamento giurisprudenziale appena citato affermando che laddove il testatore effettui altre attribuzioni di porzioni del proprio patrimonio, l’usufruttuario deve essere qualificato come erede.
Il legato sostitutivo di usufrutto rappresenta una deroga al principio delle intangibilità della legittima ed il successore è titolare di un diritto sostanzialmente temporaneo in contrasto con la regola semel heres semper heres.
Purtuttavia il legatario usufruttuario attraverso il negozio abdicativo della rinuncia può esprimere la scelta di preferire la quota di legittima in luogo del legato che si risolve, con efficacia retroattiva, come se non fosse stato mai disposto. Trattasi di una facultas alternativa, configurabile più esattamente alla stregua di un diritto potestativo che conferisce al legatario una condizione analoga all’erede legittimario pretermesso, il quale partecipa alla comunione ereditaria dopo aver esperito utilmente l’azione di riduzione della disposizione testamentaria lesiva della quota di legittima.
La rinuncia, che trova la sua ratio nella esigenza di prevedere una sorta di “contrappeso” all’eccezionale potere “diseredativo” del de cuius, presuppone l’acquisto del legato, che, a norma dell’art. 649 CC , avviene automaticamente al momento della apertura della successione senza bisogno di accettazione.
Il principio di irresponsabilità del legatario per i debiti ereditari giustificherebbe detto automatismo, caratteristica peculiare del lascito a titolo particolare.
Nonostante la lettera dell’art. 649 CC, gran parte della dottrina (Trabucchi, Giordano Mondello, Cicu, Mengoni, Ferri, Santoro Passarelli) ritiene necessaria la manifestazione della volontà acquisitiva del legato da parte del beneficiario – considerato che la rinuncia al legato stesso non avrebbe natura di vera rinuncia, ossia di atto con cui si dismette un diritto già acquisito, ma piuttosto di atto ostativo o impeditivo dell’acquisto. In questo senso, quindi, la rinuncia impedirebbe il perfezionarsi della fattispecie dell’acquisto, come sarebbe confermato dall’inciso “salvo la facoltà di rinunciare” contenuto nell’art. 649, I° co. CC, che invero altrimenti non avrebbe senso, atteso che ogni acquisto di un diritto privato, e perciò disponibile, fa sorgere nell’acquirente una tale facoltà.
Sta in contrario l’indirizzo giurisprudenziale assolutamente consolidato e costante del Giudice di legittimità secondo cui l’inciso “il legato si acquista senza bisogno di accettazione salva la facoltà di rinunciare” depone inequivocabilmente per l’automaticità dell’acquisto, con la conseguenza che l’esercizio della facoltà di rinuncia comporta la dismissione di una attribuzione già acquisita al patrimonio del legatario.
Tali conclusioni sono estese al legato in sostituzione della legittima sulla base del rilievo che anche in questa ipotesi il legato si acquista di diritto alla apertura della successione e la automaticità dell’acquisto non è esclusa dalla facoltà alternativa , attribuita al legittimario, di rinunciare al legato e chiedere la quota di legittima; tale possibilità infatti dimostra soltanto che l’acquisto del legato a tacitazione della legittima è sottoposto alla condizione risolutiva costituita dalla rinuncia del beneficiario. Detta rinuncia, laddove riguardi beni immobili, non si sottrae alla regola della forma scritta richiesta dalla esigenza fondamentale della certezza dei trasferimenti immobiliari (in tal senso vedasi ex pluribus Cass. 26/01/1990 n° 459, Cass. 02/02/1995 n° 1261, Cass. 03/07/2000 n° 8878, Cass. 22/07/2004 n° 13785, Cass. 22/06/2010 n° 15124, Cass. 29/03/2011 n° 7098).

L’orientamento giurisprudenziale prevalente

Ciò posto, benché non serva, secondo la giurisprudenza dominante, un atto di accettazione per dirsi perfezionato l’acquisto del legato, va ricordato che il comportamento del legatario, esplicito o per facta concludentia, può assumere un significato confermativo in direzione di una volontà acquisitiva del legatario che precluda la facoltà di rinuncia da parte dello stesso. Ed, invero, in giurisprudenza si è affermato il principio che la facoltà di rinunciare al legato deve escludersi quando il legatario abbia compiuto atti di esercizio del diritto oggetto di legato, manifestando una volontà incompatibile con quella dismissiva (v. Cass. 27/05/1996 n° 4883) come, ad esempio, nel caso del legatario di usufrutto il quale, godendo del bene e consumandone i frutti, abbia esercitato la facoltà spettanti all’usufruttuario a norma dell’art. 981 CC (v. Cass. 10/09/2013 n° 20711, v. anche Cass. 16/05/2007 n° 11288).
Sotto altro profilo, è stato sostenuto che in materia di diritti riservati ai legittimari e poiché il legato si acquista senza bisogno di accettazione, la semplice acquisizione, da parte del legittimario, dell’oggetto del legato in sostituzione della legittima, così come la proposizione dell’azione di riduzione non costituiscono manifestazione chiara ed inequivoca di rinunciare al legato, essendo ipotizzabile un residuo duplice intento di conservare il legato e di conseguire la legittima (Cass. 11/11/2008 n° 26955, ma anche Cass. 15/03/2006 n° 2006 n° 5779, Cass. 22/06/2010 n° 15124).
La rinuncia deve, dunque, atteggiarsi in modo chiaro ed inequivoco, requisiti indispensabili anche quando essa possa ricavarsi da fatti concludenti, con l’avvertenza, comunque, che il legittimario, destinatario di un legato in sostituzione di legittima, avente ad oggetto un bene immobile, deve rinunciare al legato in forma scritta (come già accennato), ove intenda esercitare la riduzione. Tale onere formale, concretizzandosi in una condizione può essere assolto fino al momento della decisione di una eventuale causa all’uopo intentata (Cass. 04/08/2017 n° 19646).
Mette conto di rilevare, a tale ultimo riguardo, che la rinuncia al legato immobiliare, da effettuare in forma scritta ad substantiam, può essere dichiarata con lo stesso atto di citazione – per sua natura atto ricettizio con effetti anche sostanziali – che, provenendo dalla parte, la quale con il rilascio della procura a margine o in calce ne ha fatto proprio il contenuto, soddisfa anche il requisito della sottoscrizione, sicché l’atto risponde alle prescrizioni formali di cui all’art. 1350 CC in relazione al quale non assume alcun rilievo la sua trascrizione, che ha soltanto funzione di renderlo opponibile a terzi (Cass. 07/05/2013 n° 10605, Cass. 09/06/2017 n° 14503, ma vedasi anche Cass. 10/06/2003 n° 9262 secondo cui il requisito della forma scritta della rinuncia di un legato immobiliare può dirsi assolto attraverso la sottoscrizione della citazione da coloro che intendono porre in essere l’atto abdicativo).
È bene ricordare che la mancanza della rinuncia al legato in sostituzione di legittima, è rilevabile d’ufficio senza necessità di eccezione di controparte (v. Cass. 18/04/2000 n° 4971, Cass. 16/05/2007 n° 11288, Cass. 29/03/2011 n° 7098).
Inoltre, trattandosi di facoltà, la rinuncia al legato non si prescrive (salvo la decadenza prevista dall’art. 650 cc) ma si prescrive l’azione di riduzione conseguente alla scelta del legittimario di conseguire la legittima, nel termine di 10 anni decorrenti dalla apertura della successione.
Ritornando alla sentenza in commento, la Corte Regolatrice chiarisce ulteriormente, in ipotesi di legato di usufrutto a favore del coniuge (come nella vicenda processuale sottoposta al suo esame), se nella concreta fattispecie debba applicarsi il modello normativo del legato “in sostituzione di legittima” ovvero “in conto di legittima”, indicandone le ragioni.
La differenza dei due istituti è di facile comprensione laddove il primo si caratterizza, come sopra si è accennato, per la intenzione del testatore di escludere il legittimario da ogni partecipazione alla divisione ereditaria (c.d. legato tacitativo o privativo) mentre nel secondo prevale nel testatore l’intendimento di fare una attribuzione particolare di beni al legittimario , con la possibilità da parte di quest’ultimo di chiedere un supplemento se i beni attribuitigli non raggiungono l’entità della legittima.
Pertanto, mentre in presenza di un legato in sostituzione della legittima il beneficiario insoddisfatto economicamente dovrà rinunciarvi per poter chiedere la legittima con l’azione di riduzione, in presenza di un legato in conto di legittima può trattenere il legato e chiedere un supplemento se questo è di valore inferiore.
Sul punto v’è da dire, per concludere, che spetterà al Giudice valutare, sulla base del riscontro della effettiva intenzione del testatore, da verificare tanto oggettivamente quanto soggettivamente, la ricorrenza, nel caso concreto, dell’una o dell’altra figura negoziale, con la precisazione – come ricordato dalla pronuncia in commento (Cass. 13868/2018), collocantesi nel solco di precedenti conformi, come Cass. 6098/1982, 5232/1958, 16083/2005, 12854/2011, 18583/2011, 824/2014 – che “la qualificazione di un legato come in sostituzione di legittima, pur non richiedendo formule sacramentali né una espressa menzione del testatore sulla alternativa offerta fra conseguimento del legato stesso e richiesta della legittima, postula che, dal complessivo contenuto delle disposizioni testamentarie, risulti la chiara ed inequivoca volontà del de cuius di tacitare il legittimario con l’attribuzione di determinati beni, precludendogli la possibilità di mantenere il legato e di attaccare le altre disposizioni per far valere la riserva, sicché, in difetto di tale volontà, il legato deve ritenersi in conto di legittima”.
E ciò sempreché dalla scheda testamentaria non si evinca la volontà del defunto di istituire il legittimario (nella specie l’ex coniuge) come erede: nel qual caso è ammessa direttamente la azione di riduzione delle disposizioni lesive, senza necessità di rinunciare preventivamente al lascito (v. in tal senso Cass. 20/11/2017 n° 27413).

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