Alle fonti del diritto romano. Alle radici dell’Europa

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Parte seconda

Basso Impero (Dominato)

            Nel Basso Impero i problemi che vennero a crearsi nei tribunali risalivano prevalentemente alla difficoltà di riferirsi a leggi certe, che escludessero, da un lato l’incertezza derivante dalla mancanza di sicure garanzie intorno all’autenticità delle costituzioni imperiali e alle contrastanti disposizioni di diversi imperatori; dall’altro gli inconvenienti derivanti dall’autenticità degli iscritti dei giuristi alto-imperiali.

Gli avvocati dovevano riportare in tribunale, a difesa dei propri clienti, la regola giurisprudenziale o la costituzione a essi favorevole. Questa pratica, che prendeva il nome di recitatio, dava luogo a molti abusi e quindi occorse stabilizzare e semplificare i testi nei loro aspetti materiali.

Diocleziano e Costantino

Nell’età dioclezianea e costantiniana si provvide alla canonizzazione dei testi principali, mediante una vasta attività di riedizione portata avanti dalla cancelleria imperiale, al fine di superare i problemi che si erano creati.

In questo compito, gli anonimi giuristi della cancelleria furono aiutati dalla diffusione, avvenuta proprio in questo periodo, dell’uso del codex al posto del volumen.  Il Codex inventato nel I secolo D.C., fu diffuso dalla produzione biblica che ne generalizzò l’uso, aveva la forma dei moderni libri e i suoi fogli erano di papiro o di pergamena, quest’ultima preferita per la sua resistenza.

Il passaggio dal volumen al codex determinò la stabilizzazione dei testi giuridici. Infatti, le ultime notevoli modifiche furono quelle degli archetipi (primi esemplari andati perduti) da cui risalgono, abbastanza fedelmente, i manoscritti a noi noti.

Sembra sicuro che, in questa occasione, fosse operata una selezione della letteratura giuridica alto-imperiale.

Vennero pubblicati i commentari ad Sabinum e ad Edictum dei giuristi Papiniano, Paolo, Ulpiano, Modestino ed una serie di opere scolastiche, il cui principale esempio sono le Istituzioni di Gaio.

L’esigenza di chiarezza dei testi giurisprudenziali è evidenziata da due disposizioni dell’imperatore Costantino: nella prima del 321 ordina che il giudice non consideri i commenti di Paolo e Ulpiano sull’opera di Papiniano, nella seconda del 327 raccoglie vari passi dai libri di Paolo e crea le Pauli Sententiae.

            Abbiamo finora parlato del problema dell’autenticità e validità dei testi-giurisprudenziali, ma analoghi problemi esistevano per le costituzioni imperiali e in speciale modo per i rescritti (risposte date dall’imperatore in modo privato per questioni giuridiche a lui sottoposte). L’applicazione dei rescritti poteva dar luogo a difficoltà ed abusi: 1) perché le questioni potevano non essere state sottoposte in modo corretto; 2)perché la risposta era affidata al richiedente; 3) perché il richiedente poteva essere persona influente che aveva ottenuto un rescritto a lui favorevole.

Nel Principato Traiano e Macrinio tentarono di superare le difficoltà non emettendo rescritti, mentre nel Dominato questi si imponevano per questioni di popolarità e propaganda. Quindi si tentò una soluzione mediante la raccolta e l’ordinamento dei rescritti imperiali in libri, che presero il nome di codex per antonomasia.

I primi furono i codex Gregorianus e quello Hermogenianus che, pubblicati nell’età dioclezianea, comprendevano i rescritti di questo imperatore. Sebbene siano indicati come raccolte “private”, in realtà nacquero per opera di funzionari della cancelleria imperiale ispirati dall’alto (imperatore o i suoi rappresentanti).

Dal IV al V secolo D. C.

I provvedimenti adottati per semplificare e stabilizzare i testi giuridici non furono sufficienti per rendere più agevole e sicura la loro utilizzazione. Nonostante la canonizzazione dei testi e la migliore tecnica libraria, all’epoca di Valente dovevano circolare già delle copie scorrette, se questi nel 372 dovette stipendiare sette esperti copisti per la trascrizione dei codices, deteriorati dal tempo, esistenti nella biblioteca di Costantinopoli.

Altro fattore d’incertezza era la recitatio stessa, che dava adito ad imbrogli e raggiri da parte degli avvocati, che approfittavano del gran numero di costituzioni imperiali contraddittorie e della antichità degli scritti giurisprudenziali. Come viene attestato da Ammiano, che fa rilevare l’assoluta impreparazione del diritto, a partire dalla fine del III secolo.

Ad aggravare la situazione intervenne la spartizione dell’Impero con la creazione di due cancellerie, che interferivano fra loro anche se nominativamente ognuna agiva per conto dei due Augusti in tutte e due le parti dell’impero.

Per capire a fondo il problema della decadenza della cultura giuridica occorre osservare la corrotta e incapace burocrazia del IV e V secolo.

La prima causa di questa situazione era la mancanza di una preparazione tecnica dei giudici che, secondo l’usanza repubblicana, non erano di carriera, ma, a differenza dei loro antichi predecessori, non avevano una uniforme ideologia che supplisse alla mancanza di professionalità mediante un interesse per il diritto e la sua corretta applicazione. Tuttavia la situazione non era uguale in tutte le province del’Impero.

            Una certa professionalità si era creata, prima mediante la progressiva centralizzazione della giustizia, dopo con la riforma di Diocleziano e la conseguente suddivisione del potere civile da quello militare. Ma questo, se nella parte orientale dell’Impero portò alla creazione della scuola di Berito e di una classe di funzionari studiosi di diritto, nella parte occidentale non ebbe influenza alcuna per la scarsità di personale creatasi a causa delle vicende politiche e militari, accompagnatesi alla progressiva espansione della burocrazia.

Gli inconvenienti sopra citati venivano accentuati dai vari tribunali particolari che prolificarono nel Basso Impero. Tale affermazione vale soprattutto per i tribunali militari, in cui giudicavano i magistri militum, militari di carriera, che, nel V secolo, erano spesso barbari digiuni di qualsiasi elemento di diritto romano, e nei tribunali amministrativi, in cui, tra l’altro, non vi era una chiara idea dei limiti giurisdizionali, il che portava spesso a interferenze paralizzanti.

Se nella cancelleria imperiale il livello di conoscenze giuridiche rimase abbastanza alto, non altrettanto si può dire  per i pratici del diritto. L’imperatore Leone poteva rispondere a un quesito sottopostogli da un magister militum con una citazione di Salvio Giuliano, non così avrebbe potuto fare un qualsiasi giudice. Ecco presentarsi la necessità di una raccolta di passi scelti tra gli autori dell’età dei Severi, non avendosi ora una produzione originale scientifica.

Talvolta il compendio fu fatto su scritti di singoli autori (Pauli Sententiae, Epitome Gai) altre volte raccogliendo brani di vari giuristi (Vaticana Fragmenta, Collatio). Questi compendi hanno il merito di poter fare stabilire il testo originale del giurista nell’età di mezzo e di documentare la decadenza della giurisprudenza.

            A questi problemi si può fare risalire la “legge delle citazioni”, contenuta in una costituzione imperiale del 426 emessa da Valentiniano III. Per ristabilire una certa gerarchia Valentiniano conferma l’autorità di tutti i giuristi alto-imperiali a patto che fossero citati in Papiniano, Paolo, Ulpiano, Gaio o Modestino e fossero documentati con la presentazione di un manoscritto. In caso di opinioni contrastanti prevaleva Papiniano, altrimenti il giudice era libero di scegliere, la prevalenza di Papiniano era assicurata dal divieto di usare commenti ai suoi scritti.

Infine venivano riportate le due regole, già citate, di Costantino. L’imposizione di presentare un manoscritto autorevole (Codex) è segno che circolavano manoscritti di seconda mano. Con Costantino le costituzioni imperiali vengono chiamate leges, un termine usato fino a tutto il principato per indicare le leggi votate dal popolo.

Durante il Principato gli imperatori controllavano il diritto mediante i rescritti, un modo indiretto e poco appariscente. Ma con Diocleziano l’imperatore divenne Dominus e acquista sempre più la caratteristica di “legge vivente”, venendo i rescritti sostituiti con gli editti più confacenti alla nuova visione dell’autorità imperiale. Simbolo di questa situazione è il “Codex Theodosianus”.

CODEX THEODOSIANUS: La prima codificazione su tentata da Teodosio II nel 429 e doveva comprendere tutte le leges generales (editti) emanate da Costantino in poi, anche se tale progetto non fu realizzato, sono interessanti alcuni punti programmatici realizzati nel nuovo programma del 435.

Secondo il progetto del 429 il nuovo codice doveva seguire il modello dei Codici Gregoriano ed Ermogeniano, i quali a loro volta seguivano quello delle opere chiamate dai giuristi romani Digesta. I quali sostanzialmente ripetevano le disposizioni degli argomenti dell’editto pretorio, con aggiunta delle regole più antiche dello ius civile e il commento delle leges pubblicae, senatus consulta, constituziones principum.

            I Digesta costituivano già nel II secolo D.C. piani per la trattazione di tutto il diritto vigente. Il riferirsi ai Codici Ermogeniano e Gregoriano deriva dal fatto di dovere semplificare la ripartizione delle costituzioni reperite negli archivi.

Altra disposizione era la distribuzione in ordine cronologico degli editti imperiali, in modo che fosse possibile vedere sia gli editti più antichi su una determinata materia, sia gli editti successivi che abrogarono i primi. Questo al fine pratico, per le controversie sorte al tempo in cui erano validi gli editti abrogati, e al fine di studio.

Quanto detto venne realizzato successivamente, non altrettanto per due altre disposizioni, in cui si faceva obbligo di trascrivere fedelmente le costituzioni e la creazione di un secondo codice, a fini pratici, in cui alle sole leggi vigenti dovevano essere affiancate le opinioni espresse dai giuristi romani.

Fallito il primo programma Teodosio lo riformulò con un’altra costituzione data a Costantinopoli nel 435, in cui non si parla più del secondo codice e si permette ai compilatori di manipolare i testi delle costituzioni al fine di coordinarli tra loro.

Tutte le altre disposizioni del 429 furono conservate e risultano compiute dai compilatori: lo si può rilevare confrontando le leges del codice con le stesse pervenute a noi attraverso altre vie e più precisamente con le Costituziones Sirmondianae, in cui le dizioni coincidono con il contenuto se non per la forma molto succinta del Codice. Infine vi è da ricordare il tentativo di semplificazione della scrittura al fine di renderne accessibile il senso, anche se non sempre riuscito.

Il Codice venne pubblicato nel 438, dovendo entrare in vigore il 1° gennaio 439. Con la legge di pubblicazione fu stabilito che si dovevano produrre in giudizio solo ed esclusivamente le leges contenute nel Codice.

            Questo non toglieva validità ai testi anteriori a Costantino e i Codici Ermogeniano e Gregoriano furono considerati testi autorevoli. Inoltre la disposizione sull’efficacia del Codice non eliminò dalla circolazione i testi preesistenti o privati.

Molti storici pensano che la prima compilazione fallì per l’incompetenza dei funzionari ad essa preposti, ma questo sembra in contraddizione con il fatto che Teodosio mantenne in carica, come presidente della commissione, il lodatissimo Antioco, lo stesso Questore del 429.

L’accoglienza che venne effettuata al Codice dal Senato romano fa vedere l’ideologia conservatrice che aleggiava nelle classi alte e nella stessa Corte d’Oriente i senatori acclamarono la stabilizzazione e la conservazione della legge ottenuta per mezzo del Codice, senza che formulassero alcuna proposta di rinnovamento.

Alcuni caratteri tipici della cultura cristiana spiegano l’ideologia conservatrice degli ambienti ufficiali:

  1. Il vero cristiano si fonda sulla perfetta conservazione delle “scritture”, quindi fu ampiamente usato il codex in luogo del volumen per i vantaggi innanzi detti. Quando le leggi imperiali acquisirono un accentrato carattere autoritativo venne introdotto il codex anche per i testi giuridici, finchè ne divenne naturale l’uso con l’accentuarsi della reverenza verso le costituzioni imperiali, parlanti “in nome di Dio”.
  2. Altro elemento è la differenza di concezione della storiografia tra gli storici classici e cristiani. I primi consideravano la storia come un’opera morale, lasciando ai filologi e grammatici le ricerche d’archivio, con i secondi ci fu l’unione tra le ricerche filologiche e archivistiche con la spiegazione morale delle vicende. Il primo esempio sembra essere stata la “Historia Ecclesiastica” di Eusebio di Cesarea. Quando i primi cristiani entrarono, all’inizio del IV secolo, nella Cancelleria imperiale portarono nella giurisprudenza e nelle raccolte di leggi imperiali la loro mentalità storiografica.
  3. Infine, con la possibilità venutasi a creare all’inizio del IV secolo di portare le controversie ideologiche in tribunale, acquistò anche nell’ambiente giuridico sempre più importanza la ricerca filologica per ristabilire i testi dei padri della Chiesa.

Queste tendenze erano già insite nella cultura pagana, ma furono portate a maturazione solo con l’affermarsi della cultura cristiana, di cui il Codice Teodosiano ne fu il primo frutto.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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