All’Adunanza Plenaria le questioni connesse alla proroga delle concessioni marittime per finalità turistico-ricreative

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v. decreto di rimessione in calce

Il Consiglio di Stato, decreto 24 maggio 2021, n. 160 ha chiesto all’Adunanza plenaria di pronunciarsi su diverse questioni connesse alla proroga della durata delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative di cui alla legge n. 145 del 2018 ed al d.l. n. 34 del 2020.

In particolare, visto il complesso contesto applicativo delle norme in materia di concessioni demaniali marittime ed alla luce dei principi europei oramai granitici sulla necessità della gara e delle contrapposte disposizioni nazionali, sono rimesse all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato le seguenti questioni:

1) se sia doverosa, o no, la disapplicazione, da parte della Repubblica Italiana, delle leggi statali (art. 1, comma 683, l. n. 145 del 2018) o regionali che prevedano proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative; in particolare, se, per l’apparato amministrativo e per i funzionari dello Stato membro sussista, o no, l’obbligo di disapplicare la norma nazionale confliggente col diritto dell’Unione europea e se detto obbligo, qualora sussistente, si estenda a tutte le articolazioni dello Stato membro, compresi gli enti territoriali, gli enti pubblici in genere e i soggetti ad essi equiparati, nonché se, nel caso di direttiva self-excuting, l’attività interpretativa prodromica al rilievo del conflitto e all’accertamento dell’efficacia della fonte sia riservata unicamente agli organi della giurisdizione nazionale o spetti anche agli organi di amministrazione attiva;

2) nel caso di risposta affermativa al precedente quesito, se, in adempimento del predetto obbligo disapplicativo, l’amministrazione dello Stato membro sia tenuta all’annullamento d’ufficio del provvedimento emanato in contrasto con la normativa dell’Unione europea o, comunque, al suo riesame ai sensi e per gli effetti dell’art. 21-octies, l. n. 241 del 1990 e s.m.i., nonché se, e in quali casi, la circostanza che sul provvedimento sia intervenuto un giudicato favorevole costituisca ostacolo all’annullamento d’ufficio;

3) se, con riferimento alla moratoria introdotta dall’art. 182, comma 2, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, come modificato dalla legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77, qualora la predetta moratoria non risulti inapplicabile per contrasto col diritto dell’Unione europea, debbano intendersi quali “aree oggetto di concessione alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” anche le aree soggette a concessione scaduta al momento dell’entrata in vigore della moratoria, ma il cui termine rientri nel disposto dell’art. 1, commi 682 e seguenti, l. 30 dicembre 2018, n. 145.

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La necessità di espletare una selezione pubblica nel rilascio delle concessioni demaniali marittime

Nel corso degli anni, i rapporti tra ordinamento interno e ordinamento europeo hanno costituito oggetto di un lungo processo evolutivo ed al risultato della disapplicazione si è giunti a seguito di un dialogo tra la Corte di Giustizia e la Corte costituzionale. A partire dalla sentenza n.170/1984 della Corte cost. il criterio di risoluzione dei contrasti è la disapplicazione. La Consulta ha affermato che in caso di sopravvenienza di una norma comunitaria contrastante con una norma nazionale preesistente quest’ultima deve intendersi automaticamente caducata. Inoltre, con la sentenza n. 384/1994, la Corte cost. ha mostrato apertura alla tesi monistica sostenuta dalla Corte di Giustizia, che vede i due ordinamenti come legati da un rapporto di integrazione e non invece come ordinamenti separati.

La nota sentenza della Corte di giustizia del 14 luglio 2016 (in cause riunite C-458/14, Promoimpresa S.r.l., e C-67/15, Mario Melis e altri) ha chiarito la corretta interpretazione in tema di rilascio delle concessioni demaniali marittime alla luce delle Direttive europee, formulando il granitico principio in conformità del quale L’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati.

La Corte di giustizia chiamata a pronunciarsi sulla portata dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE (c.d. Direttiva Bolkestein o Direttiva servizi), ha affermato che le concessioni demaniali marittime a uso turistico-ricreativo rientrano in linea di principio nel campo di applicazione della direttiva, restando rimessa al giudice nazionale la valutazione circa la natura “scarsa” o meno della risorsa naturale attribuita in concessione.

Le spiagge sono beni naturali il cui numero è ontologicamente limitato in ragione della scarsità delle risorse naturali (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 febbraio 2021, n. 1416).

Le concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative hanno come oggetto un bene/servizio limitato nel numero e nell’estensione a causa della scarsità delle risorse naturali la spiaggia è infatti un bene pubblico demaniale (art. 822 c.c.) e perciò inalienabile e impossibilitato a formare oggetto di diritti a favore di terzi (art. 823 c.c.), sicché proprio la limitatezza nel numero e nell’estensione, oltre che la natura prettamente economica della gestione (fonte di indiscussi guadagni), giustifica il ricorso a procedure comparative per l’assegnazione.

I nodi applicativi da chiarire

La problematica del contrasto tra le norme nazionali che consentono una proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico ricreative e la norma europea che invece è perentoria nell’affermare la necessità di procedere tramite procedure di evidenza pubblica, viene aggravata ulteriormente dalle differenti applicazioni determinate dalla pubblica amministrazione ai casi concreti sottoposti alla sua attenzione. Per tale motivo occorre comprendere se per l’apparato amministrativo e per i funzionari sia doveroso disapplicare la norma nazionale confliggente col diritto dell’Unione europea.

Nel caso in cui l’Adunanza Plenaria fornisse una risposta affermativa al primo quesito e dunque nel caso in cui fosse doverosa la disapplicazione, sorge un ulteriore nodo da chiarire, ovvero se l’amministrazione dello Stato membro sia tenuta all’annullamento d’ufficio del provvedimento emanato in contrasto con la normativa dell’Unione europea o, comunque, al suo riesame ai sensi e per gli effetti dell’art. 21-octies, l. n. 241 del 1990.

Le proroghe dovute all’emergenza

Quanto, infine, alle disposizioni collegate all’emergenza epidemiologica da COVID-19, occorre individuarne la natura e definire se si tratta di una situazione contingente o se tale disposizione abbia portata più ampia. L’articolo 182, comma 2, del d.l. n. 34/2020 convertito con modificazioni dalla l. 17 luglio 2020, n. 77, prevede che per le aree e le relative pertinenze oggetto di riacquisizione già disposta o comunque avviata o da avviare, oppure di procedimenti di nuova assegnazione, gli operatori proseguono l’attività nel rispetto degli obblighi inerenti al rapporto concessorio già in atto.

Si chiede all’Adunanza Plenaria se debbano intendersi quali “aree oggetto di concessione alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” anche le aree soggette a concessione scaduta al momento dell’entrata in vigore della moratoria, ma il cui termine rientri nel disposto dell’art. 1, commi 682 e seguenti, l. 30 dicembre 2018, n. 145.

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Dott.ssa Laura Facondini

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