Alcune novità sulla proposta di direttiva “acquis”: breve analisi dei Capi I e II

Cecconi Lucia 28/05/09
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La proposta di direttiva sui diritti dei consumatori, presentata dalla Commissione nell’ottobre 2008[1], si propone come obiettivo quello di armonizzare e semplificare l’attuale acquis relativo alla tutela contrattuale dei consumatori, riformulando quattro direttive: Dir. 85/577/CEE, relativa alla tutela dei consumatori nei contratti negoziati fuori dai locali commerciali, Dir. 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti, Dir. 97/7/CE, riguardante i contratti a distanza, Dir. 1999/44/CE, inerente taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo.
Per quanto riguarda il contenuto della direttiva, il testo si divide in sette Capi, ciascuno concernete un aspetto dei rapporti contrattuali tra consumatori e "commercianti", in una sistematica del tutto diversa rispetto a quella del nostro Codice del Consumo[2].
 
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L’art. 1 della direttiva ne definisce l’oggetto spiegando che l’intervento "intende contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al conseguimento di un elevato livello di tutela dei consumatori". Grazie all’approccio dell’armonizzazione completa, infatti, il progetto si prefigge di smantellare l’attuale patchwork normativo, grave ostacolo per le imprese che intendono operare a livello transfrontaliero e fonte di pregiudizio per i consumatori, che non potranno godere appieno della competitività del mercato.
Tra le definizioni elencate all’art. 2, il consumatoreè individuato nella "persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisca per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale". La nozione è analoga a quella contenuta nel nostro Codice del Consumo, che definisce il consumatore come la persona fisica che agisce per scopi “estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta", mentre forte critica deve esprimersi circa l’utilizzo del termine "commerciante", quale controparte del rapporto di consumo. È davvero inspiegabile la ragione che può avere indotto il legislatore europeo a questa indebita restrizione, a meno che non si tratti di una svista nella traduzione della direttiva nella versione italiana. È certamente auspicabile un ritorno alla nozione di "professionista", già ampiamente utilizzata dal diritto comunitario e ripresa nel nostro Codice del Consumo ed, inoltre, anche la precisazione (ormai pacifica negli ordinamenti di molti paesi membri) che professionista può essere tanto una persona giuridica privata quanto una persona giuridica "pubblica"[3].
All’interno della definizione dei contratti di vendita, va invece apprezzato il riferimento ai "contratti misti", che consentirà di includervi anche quelli che hanno ad oggetto contemporaneamente la vendita di beni e la fornitura di servizi, colmando una lacuna che ha generato numerosi contrasti interpretativi.
Con riferimento alla definizione di “bene”, possiamo notare che l’espressione "qualsiasi bene mobile materiale" rischia invece di comprimere la tutela rispetto al nostro Codice del Consumo, che (ex art. 128 comma 2 lett. a)parla di "qualsiasi bene mobile", includendovi pertanto anche i software e altri prodotti digitali che restano invece esclusi dalla proposta di direttiva. Ad onor del vero, però, detto ampliamento di tutela era stato realizzato dal legislatore italiano, il quale (come gli era consentito fare grazie alla clausola di armonizzazione minima) aveva omesso l’aggettivo "materiali", pur previsto dalla Direttiva n. 1999/44/CE, così ampliando la tutela di consumo.
Va accolta con favore, invece, la definizione di "contratto a distanza" che sembra estendere la tutela rispetto al Codice del Consumo: quest’ultimo (art. 50, comma 1, lett. a) definisce il contratto a distanzacomequello concluso nell’ambito di un sistema di vendita o di prestazione di servizi a distanza "organizzato dal professionista". La proposta di direttiva, invece, ritiene sufficiente che "il commerciante ricorra all’uso di uno o più mezzi di comunicazione a distanza", ricomprendendovi pertanto anche le vendite a distanza di tipo occasionale, in quanto non effettuate nell’ambito di un sistema "organizzato" dal venditore.
Altra imperfezione, forse anch’essa dovuta soltanto a problemi di traduzione, la ritroviamo all’art. 8, lett. a, in merito alla nozione di "contratto negoziato fuori dei locali commerciali", dove la proposta lo identifica come qualsiasi contratto di vendita o di servizi negoziato "lontano" dai locali commerciali.
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Per quanto riguarda le informazioni che il consumatore deve ricevere da parte del commerciante "prima della conclusione di qualsiasi contratto di vendita o di servizi"[4], l’art. 5 della proposta di direttiva se, per un verso, stabilisce obblighi generali di informazione, dall’altro dà adito a possibili contrasti interpretativi, limitando la tutela precontrattuale nei casi in cui le informazioni siano "già apparenti dal contesto"[5].
Una grave lacuna si può rinvenire anche nella lettera "c"dell’art. 5 che consente, in particolari circostanze, di omettere il prezzo delle spese di consegna. Inoltre, il legislatore comunitario, ha trascurato di rendere obbligatoria l’informazione sul costo dell’utilizzo della tecnica di comunicazione a distanza,quale informazione che il consumatore deve ricevere in tempo utile, prima della conclusione di qualsiasi contratto a distanza. Dobbiamo infatti notare che, nel nostro Codice ex art. 52, comma1, lett. h (come pure nella direttiva[6]), viene elencato, fra le informazioni obbligatorie, "il costo dell’utilizzo della tecnica di comunicazione a distanza, quando è calcolato su una base diversa dalla tariffa di base".
Degna di rilevo è la sanzione che la proposta di direttiva indica nel caso di violazione degli obblighi informativi. L’art. 6, par. 1, stabilisce infatti che il "consumatore non paga tali spese aggiuntive", introducendo così, da una parte, il deterrente più efficace per le inadempienze del professionista e, dall’altra, la conseguenza migliore per il consumatore non informato.
Nell’intento degli estensori della proposta di garantire una più trasparente informazione del consumatore, l’art. 7, par. 1, prescrive che "prima della conclusione del contratto l’intermediario deve informare il consumatore che egli agisce a nome o per contro di un altro consumatore e che il contratto concluso non è considerato un contratto tra il consumatore e il commerciante ma un contratto tra due consumatori"[7]. Nonostante le buone intenzioni, questa prescrizione, ben lungi dal consentire l’emersione di pratiche scorrette, potrebbe arrecare un inatteso restringimento della definizione di professionista, nonché una riduzione dell’ambito di applicazione della direttiva, a tutto danno dei consumatori. Sarebbe perciò auspicabile che il legislatore europeo, onde evitare comportamenti elusivi, vada a precisare che in capo all’intermediario resta comunque salva la responsabilità professionale per l’attività di intermediazione svolta; diversamente ogni contratto di intermediazione (si pensi allo stesso mercato degli immobili) correrebbe il rischio d’essere sottratto dall’applicazione della direttiva per il solo fatto che il commerciante abbia dichiarato al consumatore di agire in qualità di intermediario tra due consumatori.
 
Lucia Cecconi
 


1Sul punto si veda M. DONA, "Il futuro della tutela contrattuale dei consumatori alla luce della Proposta di direttiva sui diritti dei consumatori", in www.diritto.it
[2]Il Capo I è dedicato all’ "oggetto, definizioni e campo di applicazione"; il Capo II affronta il tema delle "informazioni per i consumatori"; il Capo III riguarda le "informazioni per il consumatore" e il "diritto di recesso per i contratti a distanza e per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali"; il Capo IV prende in considerazione "altri diritti del consumatore specifici ai contratti di vendita"; il Capo V è relativo ai "diritti dei consumatori in materia di clausole contrattuali"; i Capi VI e VII delineano, rispettivamente, le "disposizioni generali" e le "disposizioni finali".
[3]Mi preme far notare, infatti, come ogni intervento comunitario fino ad ora (ed analogamente il nostro Codice di settore) non si sia posto il problema di estendere la nozione di "consumatore" anche alla persona giuridica, oltre a quella fisica, restringendo fortemente l’ambito di tutela per quelle aziende, associazioni, fondazioni etc. che si trovano, nei confronti della controparte, in un condizione analoga di debolezza economico-informativa, bisognosa ugualmente di una tutela di favore. 
[4]Contenute nel Capo II della proposta di direttiva in commento, rubricato "Informazioni per i consumatori".
[5]Tale inciso, infatti, potrebbe tradursi in un indebito vantaggio per il professionista: sarebbe più opportuno riferirlo alla sola lettera a dell’art. 5, che richiama in particolare "le caratteristiche principali del prodotto".
[6]E già nella direttiva 97/7/CE all’art. 4, lett. "g".
[7]In tal modo il consumatore saprà fin da subito che il contratto non rientrerà nei rapporti "B2C" e sarà pertanto al di fuori della disciplina contenuta nella proposta di direttiva. E’ diffusa, nella prassi, l’omissione da parte dell’intermediario della preventiva comunicazione circa il suo effettivo ruolo dell’affare, con la conseguenza che, nella fase patologica del rapporto, il consumatore si troverà ad esser privato della tutela di consumo. (si veda, ad esempio, gli acquisti effettuati su un sito di aste on-line o il caso del venditore di auto che offra agli acquirenti vetture che detiene "in conto vendita").

Cecconi Lucia

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