ADR sollecitate dal giudice e management della causa all’italiana: una riflessione alla luce dell’esperienza ADR in Northern California

Redazione 11/02/20
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di Caterina Pasini

Sommario

1. Introduzione

2. I fattori di crescita della mediazione nell’esperienza statunitense

3. E’ possibile anche in Italia un giudice manager del contenzioso?

4. La Multi door court-house

5. La ADR Unit di San Francisco

6. I benefici e i problemi risultanti dall’istituzionalizzazione delle ADR e della mediazione

7. Una Court Connected ADR anche per l’Italia?

1. Introduzione

Mi propongo con questo scritto di affrontare il tema delle tecniche alternative di risoluzione delle controversie nella loro funzione di strumenti di gestione del contenzioso civile.

Sistemi sì alternativi alla giustizia ma intesi nella loro funzione di supporto al funzionamento della stessa, a disposizione del giudice oltre che delle parti per una migliore e più rapida conclusione del processo.

E’ osservazione comune che una composizione amichevole delle controversie potrebbe portare, laddove diffusa in modo capillare nella società, alla soluzione di una parte considerevole del contenzioso[1].

Perché ciò avvenga, però, e dunque si verifichi un effettivo mutamento nell’approccio collettivo alla giustizia, è necessario considerare quali sono gli strumenti che meglio si prestano alla diffusione delle ADR[2] ivi compreso il ruolo del giudice, da tempo promosso dal legislatore italiano, in tale operazione di incremento della loro conoscenza e del loro utilizzo.

Mi propongo tale riflessione con uno sguardo comparatistico rispetto alla ben più radicata esperienza statunitense sul tema delle ADR, analizzando l’impostazione e i risultati di una tra le strutture dedicate alle ADR più famose e riuscite ossia quella della ADR Unit dello United States District Court Northern District of California.

La recente esperienza legislativa dimostra come anche in Italia si stia giungendo a una radicale – quanto discussa e perfettibile – realizzazione di quella che Mauro Cappelletti ha definito, riferendosi all’esperienza dei sistemi di common law degli anni ‘70 e ’80, la Third Wave nell’ampliamento delle modalità di accesso alla giustizia[3]. Lo sviluppo cioè di quella giustizia coesistenziale idonea a rafforzare l’accesso alla giustizia con forme di composizione della controversia che si sviluppano al di fuori delle strutture formali del processo, attraverso un accordo raggiunto dalle parti mediante l’aiuto non vincolante di un soggetto terzo[4].

Gli ultimi sei anni hanno, infatti, visto l’introduzione di tre istituti e altrettante discipline qualificabili come modi alternativi di risoluzione delle controversie.

Si tratta della mediazione obbligatoria, facoltativa o delegata dal giudice del d. lgs n. 28 del 2010 e successive modifiche[5], introdotta sulla spinta delle istanze dell’Unione Europea[6] e dell’art. 185 bis c.p.c. che introduce – o meglio reintroduce e rivisita – il tentativo di conciliazione da parte del giudice. Di recentissima introduzione è, poi, la negoziazione assistita da avvocati di cui al d.l. n. 132 del 12 settembre 2014.

Tali strumenti costituiscono a tutti gli effetti, sebbene con forme e modi discutibili – e penso alla previsione della mediazione come condizione di procedibilità della domanda per alcune materie previste dall’art. 5, comma 1, d. lgs n. 28 del 2010 – l’incarnazione italiana di quella visione della giustizia che rigetta la logica di una parte vittoriosa e di una perdente nel processo, orientandosi verso forme diversificate di tutela.

Una giustizia che, per tale ragione, a una decisione imposta dall’alto, e da un terzo, preferisce una risoluzione del conflitto elaborata dalle parti, esprimendo in piena libertà il proprio potere di autodeterminazione, fino a individuare un punto di convergenza delle rispettive posizioni che permetterà loro, in futuro, anche di mantenere o di riprendere il rapporto che le lega, qualunque sia la sua natura, riaprendo un canale di comunicazione che l’emergere della controversia aveva momentaneamente interrotto[7].

Spesso le parti, per il fatto di essere le uniche titolari dei diritti in contesa, appaiono in alcuni casi le più idonee a rappresentarsi secondo verità la configurazione generale e i particolari della relazione giuridica che le coinvolge e proprio sulla base di tale rappresentazione possono trarre i criteri per la disciplina del loro rapporto[8].

Lungi dal voler colorare di una nuance semplificatoria la riflessione circa la soluzione del contenzioso civile e commerciale, la mia riflessione parte da una considerazione di base.

Il processo classico, il migliore modello dal punto di vista teorico è uno schema che ha dimostrato sotto plurimi aspetti e per molte materie[9], di trovarsi in uno stato di crisi e comunque inadeguato[10].

I motivi del suo discutibile funzionamento, in effetti, sono da individuarsi in fattori prevalentemente esogeni rispetto al processo.

Chi chiede al giudice la tutela del diritto, e in particolare il singolo cittadino, s’introduce nella dinamica giudiziale spesso senza una conoscenza esatta degli estremi della propria situazione giuridica e convinto di ottenere una ragione assoluta che lo ristorerà dei torti subiti o che rigetterà in toto le pretese di controparte.

Tale certezza, a volte irrealistica, è data da un elemento emotivo tra i più umani, la necessità di vedersi riconosciuta la ragione contro la soccombenza del proprio avversario.

E’ statisticamente dimostrato[11] che, passata la fase aggressiva, quella di instaurazione della lite, o di difesa dalle pretese di controparte, ove vi è fiducia di ottenere ristoro del torto subito, colui che richiede la tutela o si difende in giudizio si trova spesso impigliato nella trama di meccanismi che non comprende e sui quali sente di non aver alcun controllo.

In tal senso è dunque attuale quella dottrina che riporta l’attenzione sul fatto che la composizione convenzionale della controversia, da un punto di vista teorico ma anche pratico, configura l’affermazione più piena della personalità del soggetto singolo e dunque la più piena attuazione di concreta giustizia, perché è l’ordinamento che si attua nell’affermazione di un suo valore costitutivo della singola personalità, la quale vince col suo autonomo atto di volontà l’incertezza giuridica e mette in essere con questa affermazione spontaneamente l’ordinamento nel caso concreto[12].

Un interessante studio dell’Istat ha analizzato statisticamente l’esperienza dei cittadini con la giustizia civile, la valutazione che ne danno e l’indicazione delle aree di possibile miglioramento, e i vantaggi e gli svantaggi delle cause in cui si è stati coinvolti (ad esempio l’esito, i costi, ecc.). Per i cittadini che invece non sono stati coinvolti in un processo, si chiede se avrebbero voluto intraprendere una causa e le ragioni che li hanno fatti desistere dal farlo[13].

Su questo dato fattuale, l’inidoneità del processo a coprire tutti e ogni tipo di controversia, s’incentra, a mio parere, l’utilità dello strumento della mediazione e della conciliazione di recente inserite e/o rinnovate nel panorama normativo italiano.

Si è ormai diffuso, infatti, anche a livello internazionale, un innovativo approccio teorico, organizzativo e gestionale volto a riqualificare in termini manageriali i servizi pubblici[14], tra i quali in primis la giustizia. Secondo tale riconfigurazione concettuale, l’interesse generale al buon andamento e alla correttezza formale delle procedure non può prescindere dalla misurazione della soddisfazione dei cittadini, intesi come utenti di un servizio.

In Italia, la soluzione concordata della lite viene raggiunta in modo del tutto autonomo nell’ipotesi della mediazione, ove il mediatore ha solo il compito di aiutare le parti nel comporre i propri interessi. È invece suggerita dal giudice nel suo contenuto nel caso di esercizio da parte del potere di conciliazione di cui all’art. 185 bis c.p.c.

I sopraccitati metodi di risoluzione mi paiono, laddove utilizzati con un approccio programmatico e organico, ottimi strumenti in mano al giudice per trovare una soluzione che non soltanto sia soddisfacente per le parti (a volte più di un provvedimento) ma anche poco costosa per il sistema giustizia e più rapida in tempi di transito nel sistema giudiziale e in termini di soddisfazione per le parti coinvolte nella controversia.

E’ un dato di fatto che la tendenza, soprattutto politica, non soltanto a livello nazionale ma anche sul piano europeo, è quella di promuovere l’utilizzo d’istituti altri rispetto alla giustizia formale, con una sostanziale fuga dal processo. I fattori caratteristici, quantomeno rispetto alla situazione italiana, sono da individuarsi principalmente nella situazione emergenziale relativa all’arretrato giudiziale.

Se, però, sulla mediazione e sulle tecniche alternative di risoluzione delle controversie si vuole tentare un discorso più ampio, che esca dalla contingenza del momento, è necessario mettere da parte l’attuale concezione delle ADR e della mediazione quali strumenti esclusivamente deflattivi per indagare se essi siano, e in che termini, dei mezzi in grado di migliorare il funzionamento della giustizia anche in un sistema ideale, funzionante in tempi congrui.

E’ fondamentale individuare, in altre parole, cosa le ADR e la mediazione potrebbero aggiungere a un meccanismo già funzionante, o comunque perfettibile, smettendo di considerare queste tecniche quali antibiotici ad ampio spettro per sconfiggere la diffusa malattia rappresentata dall’inefficienza del processo.

L’inserimento delle ADR quali strumenti per il miglioramento dell’amministrazione della giustizia, vanno analizzate a mio parere in conformità a valori più ampi e complessi rispetto all’utilità a ridurre il peso del contenzioso sul sistema giustizia.

Occorre verificare, infatti, se tali strumenti siano percepiti dalle parti e dagli avvocati come strumenti realmente utili e corretti e per questo idonei a porsi come valida alternativa rispetto al metodo giudiziale classico. Ciò, a prescindere dalla condizione patologica nella quale oggi la giustizia italiana si trova. In tal senso, ad esempio, analizzare se la mediazione incoraggi realmente la partecipazione delle parti nelle scelte, riducendo la sindrome da alienazione[15] che queste percepiscono quando inserite nella dinamica del contenzioso e verificare in che modo il sistema delle ADR contribuisca effettivamente a far capire alle parti la loro situazione giuridica e le diverse opzioni che il sistema offre per la protezione della stessa e quale sia la percezione delle parti rispetto ad un sistema della giustizia che, oltre ad offrire il processo classico, offre anche un sistema di mediazione.

Riprendendo l’idea di Wayne Brazil, uno dei massimi esperti statunitensi in materia di ADR, mi pare si debba resistere, quantomeno dal punto di vista dello studio teorico della materia, alla tentazione di appellarsi alle ADR come funzionali unicamente alla riduzione del carico dei tribunali. Educare alla comprensione del fatto che il successo della mediazione non può essere guidato – o quantomeno non solo – da un egoismo istituzionale ma solo dall’intenzione di offrire un servizio alle parti[16], tendenza che pare essere predicata anche in Italia.

[1] De Stefano G., Contributo alla dottrina del componimento processuale, Milano, 1959, pag. 2 per cui alle parti “non incombe il delicato e laborioso compito di ricostruzione storica, operato da un terzo, il giudice, il quale, mediante la realizzazione dei poteri che gli conferisce l’ordinamento giuridico, deve contentarsi di esplicare la sua attività sulle tracce che il passato ha lasciato, e di rievocare quel passato per mezzo della presentazione e della valutazione dei suoi equivalenti giudiziali”.

[2] E’ nota la diffusione “forzata” attuata attraverso la mediazione obbligatoria di cui all’art. 5 comma 1 d. lgs. 28 del 2010, il cui tentativo è previsto a pena di improcedibilità per alcune materie. E’ interessante però interrogarsi sull’esistenza di altri strumenti che possano agire in tal senso senza incorrere nelle critiche, ben p>

[3] Mi riferisco alla c.d. Wave Metaphor introdotta da Cappelletti e Garth durante il Florence Access to Justice Project del 1970, Cappelletti (ed.), The Florence Access to Justice Project, Volume I-IV, Alphen aan den Rijn, Netherlands and Milan: Sijthoff and Noordhoff Int., 1978. Si tratta dell’individuazione di tre ondate sociali e giuridiche individuabili la prima nell’inserimento degli istituti come il gratuito patrocinio, finalizzati a migliorare l’accesso alla giustizia eliminando gli ostacoli economici nell’accesso alla stessa; la seconda ondata nelle azioni collettive o di classe, che hanno dato voce agli interessi di gruppo o interessi diffusi; la terza relativa all’introduzione delle ADR, finalizzate a superare l’inadeguatezza del sistema giudiziale tradizionale e garantire alle parti un reale accesso alla giustizia di natura non prettamente o unicamente giurisdizionale.

[4] Cappelletti, Foreward to the Acces-to-justice Project Series, in Access to justice a cura di Cappelletti, I. A world Survey, a cura di Cappelletti e Garth, t. 1, Milan-Alphen aan den Rijn, 1978, X s.

[5] Si tratta in particolare della rivisitazione e reintroduzione della norma a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale con il del D.L. 21.6.2013 n. 69 (Decreto del Fare) convertito, con modificazioni, dalla l. 9.8.2013 n. 98, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 20 Agosto 2013.

[6] Vedi la direttiva 2008/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio reperibile sul sito eur-lex.europa.eu

[7] Silvestri, Enciclopedia del diritto, voce Conciliazione e Mediazione, Milano, 2007. p. 278.

[8] Carrato, Le attività conciliative nel contenzioso civile, Milano, 1993, p. 1.

[9] Si pensi, innanzitutto alle controversie in materia di famiglia.

[10] Luiso, La risoluzione non giurisdizionale delle controversie, in Diritto processuale civile, vol. V, p. 84.

[11] Reperibile sul sito http://schedefontidati.istat.it/mediawiki/index.php/Indagini_sulla_giustizia_civile. L’Istituto Nazionale di Statistica, con il modulo ad hoc sulla Giustizia Civile inserito occasionalmente nell’Indagine Aspetti della Vita Quotidiana, rappresenta infatti rigoroso e approfondito strumento di conoscenza dell’esperienza soggettiva dei/delle cittadini/e con il Sistema Giustizia Civile: gli indicatori costruiti dalle batterie di domande dedicate alla valutazione soggettiva di tempistica, economicità, giustezza dell’esito del processo; come quelle volte a misurare la soddisfazione per gli aspetti immateriali della propria esperienza con la Giustizia (competenza, correttezza, disponibilità, imparzialità degli avvocati e dei Giudici), forniscono approfondito supporto a quella innovativa logica valutativa della Pubblica Amministrazione, che vede nella prossimità e nell’ascolto della cittadinanza un asse portante della qualità del Sistema Paese. Le statistiche specifiche in relazione al grado di soddisfazione rispetto al processo civile sono reperibili sul sito http://www.istat.it/it/archivio/106081. I dati riportati nelle tavole allegate si riferiscono al modulo sulla giustizia civile inserito nel 2013 nell’indagine multiscopo “Aspetti della vita quotidiana” condotta a marzo 2013. L’indagine campionaria fa parte di un sistema integrato d’indagini sociali – le indagini multiscopo sulle famiglie – e rileva le informazioni fondamentali relative alla vita quotidiana sia degli individui sia delle famiglie. Nei dati riportati è illustrata l’esperienza dei cittadini con la giustizia civile, la valutazione che ne danno e l’indicazione delle aree di possibile miglioramento, nonché vengono analizzati i vantaggi e gli svantaggi delle cause in cui si è stati coinvolti (ad esempio l’esito, i costi, ecc.). Per i cittadini che invece non sono stati coinvolti in un processo, si chiede se avrebbero voluto intraprendere una causa e le ragioni che li hanno fatti desistere dal farlo. Interessante è anche la conoscenza e l’utilizzo delle forme alternative di risoluzione delle controversie da parte dei cittadini. L’analisi è stata condotta prendendo in considerazione le caratteristiche anagrafiche, sociali e territoriali degli individui, in modo da restituire un’immagine la più possibile completa della relazione dei cittadini con la giustizia civile. Sono state raggiunte più di 19 mila famiglie, per un totale di oltre 46 mila individui.

[12] Capograssi, Intorno al processo, in Riv. internaz. filosofia del diritto, 1938, nota 1, riportata in De Stefano, Contributo alla dottrina del componimento processuale, Milano, 1959, p. 3-4.

[13] Risultati reperibili sul sito http://www.istat.it/it/archivio/106081.

[14] Sapignoli, Qualità della giustizia e indipendenza della magistratura nell’opinione dei magistrati italiani, Padova, 2009

[15] Tale opinione mi è stata comunicata da Wayne Brazil in un interessante colloquio avuto presso il centro di mediazione privata JAMS di San Francisco, nel settembre 2014.

[16] Brazil, Court ADR 25 years after Pound: Have we found a better way, 18 Ohio St. J. on Disp. Resol., 2002, 93.

2. I fattori di crescita della mediazione nell’esperienza statunitense

Alcuni studi della dottrina statunitense[17], che conosce il fenomeno delle ADR da molto più tempo rispetto all’esperienza europea, si sono soffermati sui fattori di crescita della mediazione, esplosa negli Stati Uniti a partire dagli anni ‘70 del 1900, oltre che sull’individuazione degli aspetti più problematici della stessa.

Per individuarne gli aspetti positivi, innanzitutto, sono stati analizzati gli obiettivi della mediazione (la mediation, forma più diffusa e applicata di ADR negli Stati Uniti)[18].

Di certo, tra gli obiettivi della mediazione e dunque tra le ragioni della sua opportunità di diffusione vi è anche la risoluzione efficiente delle controversie. Con efficienza s’intende la riduzione dei tempi della giustizia, del carico giudiziario, dei costi per le parti e per il sistema della giustizia così come la riduzione del tempo dedicato da ciascuna parte a risolvere la propria controversia.

Tali spinte, però, sono stigmatizzate con forza dalla dottrina americana[19] che osserva come l’utilizzo delle ADR come mero metodo per ridurre il carico di lavoro dei giudici porti con sé una serie di pericoli ulteriori quali la tendenza a spingere in modo generalizzato e acritico verso tali forme di tutela senza sondare la volontà delle parti stesse e rinunciando ad ogni controllo sulla reale qualità degli strumenti alternativi[20].

L’obiettivo primario della mediazione, individuato dalla famosa Wave Metaphor di Mauro Cappelletti e Bryant Garth[21] riguarda l’accesso alla giustizia, da intendersi quale concetto più ampio del diritto di accesso alla tutela giurisdizionale del diritto di adire un tribunale.

La mediazione, in effetti, si pone come uno tra i metodi che la parte, e il giudice, hanno a disposizione per permettere la soluzione di un conflitto.

In un’ottica fisiologica, dunque, non si dovrebbe trattare di uno strumento che obbliga le parti a scegliere una via forzata di tutela quanto di uno strumento che si aggiunge, senza eliderla, alla tutela giurisdizionale classica, che rimane sempre accessibile e garantita.

Su quest’obiettivo s’incentrano alcune tra le critiche più difficili da superare anche per il sistema statunitense ossia il fatto che la mediazione non offre le medesime garanzie procedurali di un tribunale e quindi si tratterebbe di una giustizia, per così dire, di seconda classe.

Tale obiezione, con riferimento al panorama normativo italiano, è particolarmente forte se si pensa all’impostazione della mediazione obbligatoria di cui all’art. 5 c. 1 del d. lgs. 28 del 2010 ove le parti sono in effetti obbligate a procedere ad un tentativo di mediazione con condizione di procedibilità per adire il foro competente, o anche nel caso di mediazione delegata dove il giudice, nella nuova formulazione dell’art. 5 c. 2 della medesima norma, impone alle parti un tentativo di mediazione, anche in questo caso quale condizione di procedibilità.

Altro obiettivo delle ADR è quello dell’autodeterminazione, permettere che le parti in conflitto abbiano una partecipazione attiva nella soluzione della disputa e un margine di decisione che non dipenda, come nelle ipotesi di tutela eteronoma del diritto, dalla decisione di un soggetto terzo[22].

Il rimedio della mediazione, appunto, è utile al fine di ridurre la sensazione di alienazione che le parti percepiscono qualora inseriti nella dinamica del processo. Spesso, infatti, il ruolo attivo del cliente nel determinare le proprie scelte è, nello schema del contenzioso, del tutto marginalizzato. La parte non comprende l’aspetto procedurale del processo, si sente emarginata rispetto a questioni che, a livello emotivo prima che economico, hanno un decisivo impatto sulla persona e percepisce di non avere potere di controllo sulle prospettive future della propria posizione[23].

Su questo tipo di obiettivo si concentra la mediazione c.d. facilitativa, modello base del sistema domestico di ADR, nella quale le parti sono incoraggiate a identificare i propri i bisogni ed interessi, senza la necessaria applicazione di parametri di stretto diritto, ed a valutare opzioni che compongano un assetto di interessi soddisfacente per tutti personalizzando la controversia[24]. La mediazione, e più in generale il sistema ADR potrebbe, ad esempio, trovare una collocazione specifica nella composizione di quelle controversie in cui vi siano differenze insormontabili o difficilmente affrontabili dovute, ad esempio, alla provenienza delle reciproche istanze da sistemi diversi[25]. Proprio per il fatto di non essere vincolata a un linguaggio specifico la mediazione permette di superare le difficoltà nascenti dal fatto che vi sono controversie tra soggetti provenienti da paesi regolati non solo da norme (e qui subentrano le regole di competenza nazionale, europea ed internazionale) ma anche da principi completamente diversi (penso, in generale, ai sistemi di civil law e di common law o ancora l’ipotesi di controversie in cui i principi sociali e morali dei diversi paesi in conflitto siano di difficile composizione).

In parte sovrapponibile all’obiettivo dell’autodeterminazione è quello della trasformazione delle modalità di rapporto tra le parti[26]. Si parla, in tal senso, di meta-interesse ossia quel nucleo che trascende l’interesse individuale per cercare un assetto risolutivo incentrato su ciò che lega una parte all’altra. Tale tipo di obiettivo è tipico, ad esempio, dei sistemi di mediazione in materia comunitaria o familiare. Qui, infatti, il fine principale della composizione del conflitto è la ricerca di una soluzione che individui un metodo di conservazione dei rapporti che continueranno inevitabilmente ad esistere a prescindere dal conflitto[27] e dei rapporti di cui urge assicurare una conservazione (si pensi alla disciplina relativa ai figli minori in ipotesi di separazione coniugale)[28].

Gli obiettivi sopra individuati mi sembrano dimostrare come, di là dalle necessità deflattive, la mediazione e più in generale le ADR siano uno strumento che merita di essere inserito stabilmente tra i mezzi di tutela innanzitutto al fine di migliorare il servizio offerto al cittadino[29].

[17] Soprattutto studi statunitensi, considerato come in tal stato il dibattito intorno alle ADR non sia recente come in Italia e in Europa ma trovi il proprio inizio a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 del 1900. Stipanowich, ADR and the vanishing trial: the growth and impact of ADR, in Journal of Empirical Legal Studies, vol. 1, n. 3, 2004; Cappelletti, Alternative dispute resolution process within the framework of the World-Wide acces to justice, in Modern Law Review, vol. 56, Iss. 3, 1993, p. 282-286; Resnik, Managerial Judges, in Faculty Scholarship Series Paper 951, 1982, sul sito http://digitalcommons.law.yale.edu/fss_papers/951, Alexander, Global trends in Mediation, in Kluwer Law International, 2006, p. 5. In relazione allo sviluppo delle ADR all’interno dei tribunali e cioè della c.d. Multi Door Courthouse, Sander, A dialogue between professor Frank Sander and Mariana Hernandez Crespo, Exploring the evolution of the multi door court-house, in University of Saint Thomas Law Journal, 2008, vol. 5, iss. 3, art. 4, p. 665 ss.; Sander, Goldberg, Green, Negotiation, Mediation and other processes, 1985.

[18] Alexander, op. cit., p. 9.

[19] Brazil, op. cit., p. 94.

[20] Mi permetto un’osservazione sul punto, a seguito della mia pur breve esperienza di osservazione sia presso la ADR Unit presso la Federal Court of Northern California sia presso il provider privato JAMS di San Francisco, ossia la considerazione che nel sistema statunitense la volontà delle parti rispetto all’espletamento di un tentativo di mediazione o comunque di risoluzione alternativa delle controversie è sostituita per legge (quella del 1998) da una presumption circa il fatto che ogni corte statale debba predisporre un tentativo di ADR a scelta delle parti. Ciò a mio parere, tende a metter in secondo piano la necessità di un’indagine circa la reale volontà delle parti rispetto a una tecnica talmente diffusa da risultare tendenzialmente scontata nel suo espletamento, consideri i costi proibitivi della fase contenziosa del processo americano (trial) e l’altissima percentuale di cause che, proprio per questa ragione, vengono abbandonate prima di arrivare alla fase concretamente contenziosa di fronte al giudice.

[21] M. Cappelletti, Access to justice and the welfare state, vol., 4, 1981, p. 4 per cui “The organizational scheme for the first three div>; Cappelletti, Garth, Access to justice, The Newest Wave in the World Wide Movement to make right effective, in 27 Buffalo Law review, 1978, 181, p. 197-227, 1978.

[22] Sugli strumenti autonomi ed eteronomi del diritto si veda Luiso, Diritto processuale civile, vol. V, La risoluzione non giurisdizionale delle controversie, Milano, 2013, p. 13 ss.

[23] Brazil, op. cit., p. 109.

[24] Sulla mediazione facilitativa si veda Cuomo Ulloa, La mediazione nel processo civile riformato, Bologna, 2011.

[25] Alexander, op. cit., p. 7.

[26] Alexander, op. cit., p. 7.

[27] Sul punto mi permetto il mio contributo in materia di mediazione familiare nell’ambito dell’opera collettiva Trattato della separazione e divorzio, a cura di M.A. Lupoi, Rimini, 2015, p. 284 ss.

[28] Insieme a tali obiettivi va considerata peraltro la finalità di controllo sociale esistente rispetto a certi centri di interesse. Si pensi agli organismi di mediazione interni alle grandi società o ai monopoli delle telecomunicazioni ove viene offerto un centro di mediazione con servizio gratuito cui rivolgere i propri reclami permettendo così al soggetto destinatario degli stessi di controllare il ricorso al metodo giurisdizionale da parte di chi vanta una pretesa.

[29] Sui risultati qualitativi e quantitativi dell’utilizzo della mediazione si veda uno studio californiano effettuato da Stipanowich, ADR and the vanishing trial: the growth and impact of ADR, in Journal of Empirical Legal Studies, vol. 1, n. 3, 2004, p. 843 ss. che dimostra come la mediazione ed in particolare la Court related Mediation produca vantaggi qualitativi consistenti nell’aumento della soddisfazione di chi vi partecipa sotto il profilo dei risultati raggiunti ma sia difficile affermare in che termini la mediazione abbia vantaggi anche quantitativi poichè ciò dipende molto dal tipo di mediazione e dalla efficienza delle alternative alla strada giudiziale che vengono offerte.

3. E’ possibile anche in Italia un giudice manager del contenzioso?

Un segnale chiaro e ormai diffuso è quello per cui il processo, con i suoi tecnicismi, i tempi lunghi e i costi elevati, in un sistema reale e non ideale deve essere considerato quale una sorta di extrema ratio tra i diversi possibili metodi di risoluzione alternativa della controversia e non il principale, se non l’unico.

Per permettere un simile ampliamento di vedute nel panorama delle tecniche di soluzione dei conflitti è necessario, a mio parere, focalizzare l’attenzione sul ruolo del giudice in tal senso.

Capire cioè se, anche in Italia, sia possibile attivare o sia già attivato e vada solo migliorato, un sistema in cui il giudice riveste un ruolo di tipo manageriale nella gestione della causa.

Se, infatti, con la mediazione obbligatoria l’Italia ha fatto un passo fondamentale, in qualche senso forzato, verso la diffusione dei metodi di ADR, è vero anche che tale educazione all’alternatività nella scelta dei metodi di risoluzione delle controversie ed alla considerazione del processo giudiziale classico come via residuale non deve trovare la sua fonte esclusivamente nell’imposizione di un tentativo preliminare, extra-processuale ed a pena di improcedibilità della domanda giudiziale.

Anzi, sarei più propensa a ritenere che l’introduzione, salutata con favore dall’Unione Europea di un tentativo obbligatorio di conciliazione possa ritenersi una sorta di leva iniziale per forzare l’introduzione di strumenti che, in uno schema più avanzato e dopo un periodo di rodaggio, potranno forse considerarsi immanenti alla realtà giuridica.

Questi potranno essere gestiti autonomamente dalle parti, laddove del tutto volontari. Oppure saranno valutati in sede giudiziale dalle parti insieme a un giudice che possa fungere da filtro e da garanzia nell’opportunità di scegliere una via piuttosto che un’altra.

Ciò con l’obiettivo finale non tanto di evitare la via giudiziale (come si verifica nell’attuale contesto) quanto di selezionare lo strumento meglio in grado di soddisfare le parti in conflitto, abbandonando definitivamente il dogma per cui la migliore ed unica via per risolvere una disputa e soddisfare una sembianza di giustizia[30] sia sempre quella giudiziale e permettendo un accesso effettivo e reale alla via giurisdizionale laddove la natura della causa lo consigli.

Se è vero, infatti, che i modi per risolvere i conflitti riflettono la cultura del luogo in cui sono sorti, è anche vero, come argomentato dalla dottrina anglo-americana[31] che un ruolo importantissimo nel plasmare tali culture è svolto dal modo in cui tali controversie sono gestite.

Ebbene con riferimento al sistema italiano, il recente inserimento di un pacchetto massiccio di norme per la risoluzione alternativa delle controversie potrà costituire una base per avviare un meccanismo diverso, non più basato solo sulla dinamica del processo formale ma attuativa del concetto di Multi Door Courthouse coniato da Frank Sander nel 1976[32].

[30] Per sopravvivere ogni cultura richiede un metodo accettabile per risolvere i conflitti e prevenire che episodi di vendetta o di alienazione. Vedi Frankfurter per cui “Justice may satisfy the appearance of justice”, Opinion nella causa U.S. Supreme Court Offutt v. United States, 348 U.S. 11 (1954) Offutt v. United States reperibile sul sito www.justia.com.

[31] Chase, Law, Culture and Ritual: Disputing Systems in Cross-Cultural Context, 2005, New York University Press, Foreword ix.

[32] Il concetto è stato introdotto da Frank Sander, professore di Harvard, in occasione della Pound Conference del 1976 avente il seguente tema : Crisis in Access to Justice. Sul concetto si veda, nella letteratura americana, L.P. Senft, C.A. Savage, ADR in the Courts: Progress, Problems, Possibilities, in Penn State law Review, 2003, vol. 108, n. 1; T. Sourdin, Alternative Dispute Resolution and the Courts, in Law in Context, Special Issues, vol. 22, n. 1; Sander, F., A Dialogue Between Professors Frank Sander and Mariana Hernandez Crespo: Exploring the Evolution of the Multi-Door Courhouse, in University of St. Thomas Law Journal, 2008, vol. 5, iss. 3, Article 4 reperibile sul sito http://ir.stthomas.edu/ustlj/vol5/ iss3/4.

4. La Multi door court-house

In effetti, l’imposizione, per così dire, di una cultura della mediazione non è nuova ai sistemi di common law dove le ADR hanno ormai una diffusione capillare.

Il sistema Multi-Door è dovuto a un’intuizione del prof. Frank Sander della Harvard Law School trovatosi a riflettere nei propri studi su quanto il processo formalmente inteso fosse poco adatto alla soluzione dei conflitti familiari e quanto invece l’arbitrato fosse un utile strumento con riferimento, ad esempio, al diritto del lavoro negli Stati Uniti. Mandò le sue riflessioni a Harvard e queste furono inviate alla St Paul University del Minnesota dove in quel periodo era in corso di organizzazione la famosa Pound Conference[33]. Le sue riflessioni furono concentrate in un famoso scritto[34] che proponeva l’idea per cui fosse opportuno, ai fini di una migliore gestione della giustizia, analizzare le diverse forme di risoluzione delle controversie e creare una classificazione dei tipi esistenti per poi accoppiare ad ogni lite la migliore forma di composizione del conflitto, uscendo dal meccanismo dell’unicità della via contenziosa[35].

Affinchè questo concetto di giustizia “a più porte” funzioni, però, è necessario che l’abbinamento tra tipi di causa e tipi di soluzione della controversia sia modellato sulle caratteristiche del paese cui si riferisce (stili, bisogni, dinamiche politiche e sociali). Inoltre, pur adattandosi al luogo, tali metodi di risoluzione devono avere la capacità di regolarsi anche rispetto alle istanze sovranazionali.

Per certi versi, la previsione nella norma italiana dell’art. 5 comma 1 del d. lgs. n. 28 del 2010 si allinea al concetto sopra esposto, anche rispetto agli stimoli dell’Unione Europea che con criteri di decisione basati più sul dato quantitativo che sulle caratteristiche intrinseche della controversia impone il tentativo di mediazione solo per determinate e selezionate materie[36].

Nell’idea di Sander, in effetti, il tribunale rimane il luogo naturale per la soluzione della causa e il Multi-door Courthouse si colloca nel tribunale solo accidentalmente, per il semplice dato fattuale che è nel tribunale che si trovano le controversie e dunque il tribunale non può che essere una delle porte di questo sistema a diverse opzioni[37].

Questo è l’approccio che i tribunali in primis e le istituzioni intorno ad essi gravitanti devono avere per migliorare la gestione delle strutture della giustizia. Una giustizia che non offra una soluzione contenziosa al conflitto di default ma si interroghi sulla migliore composizione della controversia.

Nell’idea dell’autore è centrale la sensibilizzazione degli avvocati, prima fonte di contatto con il cliente, che devono presentare a quest’ultimo, tra le varie opzioni, la possibilità di scegliere la mediazione o negoziazione della controversia, soffermandosi sui pro e i contro della scelta. Negli Stati Uniti, non a caso, la materia delle ADR fa parte della formazione universitaria a partire da poco dopo il 1976, anno della Pound Conference[38].

E’ provato che l’uso delle varie possibilità di ADR porta a un uso più efficiente delle risorse dei tribunali, facendo risparmiare tempo e risorse alle parti (sia le parti in conflitto che i diversi soggetti coinvolti nella risoluzione della causa) e riduce il rischio di continuazione della lite in futuro. Aumentano anche, dal punto di vista qualitativo, il livello di soddisfazione per le parti e, come effetto per così dire collaterale nell’esperienza statunitense, la fiducia nei giudici e nei tribunali[39].

Nel tempo, però, nell’esperienza statunitense, si è creato un problema concernente la crescente istituzionalizzazione della mediazione che nel suo significato originario si poneva come facilitativa di una composizione del conflitto basata sull’individuazione degli interessi delle parti, su una tecnica problem-solving e un approccio focalizzato, appunto, solo sul rapporto tra le parti e sul suo mantenimento.

La crescente partecipazione degli avvocati ai tentativi di mediazione e la stretta connessione che nella Multi-Door Courthouse si determina tra mediazione svolta dal giudice e forma contenziosa ha creato un problema di tenuta dell’originaria concezione della mediation spostando in alcuni casi l’ago della bilancia verso un approccio valutativo in cui l’autodeterminazione delle parti assume un aspetto secondario rispetto alla necessità di trovare un accordo in tempi brevi.

Alcuna dottrina statunitense[40] ha osservato come le parti che optano per una mediazione deferita dalla corte continuino a pensare di raggiungere il risultato che si proponevano con l’instaurazione del contenzioso in una logica solo avversariale. Questo fraintendimento è una spia d’allarme di un difetto di specifica comunicazione e informazione tra le parti, i loro avvocati, ed anche i giudici che impongono la mediazione. Un difetto che può portare a un risultato poco soddisfacente per la parte che, pur avendo conciliato la lite, non era stata informata in modo completo della natura dell’accordo e dei parametri utilizzati, di certo diversi rispetto a quelli tipici del contenzioso. Ciò anche laddove, come molto spesso avviene, il risultato comunque sia stato ottenuto con maggiore velocità e risparmio di costi.

Negli Stati Uniti, peraltro, la maggiore anzianità di servizio delle ADR e in particolare della mediazione ha fatto emergere pericoli che potranno essere valutati ai fini di prevenire il verificarsi dello stesso problema nella più recente esperienza applicativa italiana, proprio con riferimento all’ipotesi di mediazione delegata dal giudice o di conciliazione ex art. 185 bis c.p.c. Si tratta, nello specifico, del fatto che la scarsa delimitazione del ruolo che il giudice ha nelle ADR interne al tribunale può portare confusione e lasciare spazio a forme di coercizione della volontà.

Nell’esperienza delle Court ADR statunitensi e in particolare in California, stato nel quale ho potuto approfondire le mie ricerche, si è registrata, infatti, una sorta di ambivalenza giudiziale a proposito delle ADR[41]. Alcuni giudici hanno opposto una severa resistenza allo sviluppo di tali forme alternative, giustificando tale comportamento con la preoccupazione che minacciassero la vitalità del sistema basato sulla giuria. Se si considera però che i processi su decisione popolare rappresentano meno del 2% dell’intero ammontare di controversie, non sembra che tali preoccupazioni, pur valide dal punto di vista teorico, possano ritenersi rilevanti dal punto di vista statistico[42].

Vi è poi una preoccupazione forse più interessante in una prospettiva di comparazione con l’esperienza italiana, ossia il fatto che la mediazione, soprattutto laddove facilitativa o interest-based, potrebbe essere povera dal punto di vista analitico. Si tratta, in altre parole, del rischio che la decisione presa dalle parti e dai loro avvocati si basi in realtà su dati non accuratamente verificati e su premesse legali non controllate o su un’incertezza nel pensiero o nel controllo delle emozioni che potrebbe portare le parti a decidere sull’onda di pressioni o cedimenti psicologici del momento anche laddove si tratti di decidere su aspetti che hanno un rilievo fondamentale in punto di diritto. Ciò con il pericolo che diritti fondamentali non siano protetti o non siano applicate norme di legge.

Ulteriormente rischiosa è poi la tendenza di alcuni mediatori a premere affinché la controversia sia chiusa nel più breve tempo possibile con un accordo, senza che, di là della retorica circa la purezza del processo di mediazione, sia data sufficiente protezione all’integrità morale e legale delle modalità con cui si è giunti all’accordo. Si è poi posto l’accento sull’atteggiamento di alcuni mediatori, appassionatamente legati a un sistema di valori che esalta le virtù dell’accordo, che possono attuare una pressione morale sulle parti, quasi colpevolizzandole di voler rigidamente insistere affinché i loro diritti vengano riconosciuti, oppure possa portare ad analisi fumose che esagerano i reali rischi di causa senza una spiegazione che permetta alle parti una decisione basata su dati realistici[43].

Con riferimento all’eventualità di accordi presi sull’onda dell’emozione o del cedimento del momento, è interessante notare come la dottrina americana s’interroghi sul problema del c.d. cooling-off period. In effetti, l’accordo preso in sede di settlement conference (la mediazione effettuata dal giudice) oppure in sede di mediazione è immediatamente esecutivo nel primo caso con la semplice registrazione dell’accordo letto in pubblica udienza dal giudice e nel secondo caso nel momento in cui tutte le parti sottoscrivono l’accordo. Proprio per l’immediata esecutività dell’accordo si è posto il problema di permettere alle parti un breve periodo di tempo per poter confermare o meno la propria decisione, decantato lo stress della sessione di mediazione[44].

[33] A. Leo Levin, Russell R. Wheeler, The Pound Conference: Perspectives on Justice in the Future, in West Publishing Co, St Paul Minnesota, 1979.

[34] Sander, Varieties on dispute proceedings, in The Pound Conference: Perspectives on Justice in the Future a cura di A. Leo Levin, Russell R. Wheeler, in West Publishing Co, St Paul Minnesota, 1979, p. 65 ss. E’ efficace la similitudine usata da Sander per cui se una persona si reca dal medico accusando mal di stomaco, salvo urgenza improrogabile il medico non propone un operazione chirurgica ma propone una serie di opzioni quali l’assunzione di medicine, il riposo, nessuna iniziativa o, come extrema ratio, l’intervento.

[35] Si veda sul punto Sander-Goldberg, Fitting the forum to the fuss: a user friendly guide to selecting ADR Procedure, in 10, Negotiation, j, 49, 1994; Sander-Rozdiczer, Matching cases and dispute resolution procedures: detailed analysis leading to a mediation center approach, in 11, Harv. Negot. Law. rev. 1, 2006.

[36] Cfr Parere allo schema di decreto legislativo: «Attuazione dell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali», Delibera del 4 febbraio 2010, reperibile sul sito www.consiglionazionaleforense.it. L’indicazione di cui al primo comma dell’art. 5 è di p>

[37] Sander, Frank (2008), A dialogue between professor Frank Sander and Mariana Hernandez Crespo, Exploring the evolution of the multi door court-house, University of Saint thomad Law Journal, vol. 5, iss. 3, Art. 4., p. 665 ss

[38] F. Sander discorso alla Pound Conference, The Causes of Popular Dissatisfaction with the Administration of Justice, (Sander 1976)

[39] W. Brazil, Court ADR 25 years after Pound: have we found a better way? 18, Ohio, St. J. on disp. resol. 93, 2002.

[40] Della noce (et al.), Assimilative, Autonomous or Synergic Visions: How Mediation programs in Florida Address the Dilemma of Court Connection, 3, Pepp. Disp. resol., L., J., 1, 13, 2003.

[41] Brazil, op. cit., p. 110 ss.

[42] Una parte della magistratura ritiene infatti che uno dei più grandi deterrenti rispetto alla violazione delle regole sia, nella società americana, proprio la paura di un processo di fronte ad una giuria, l’umiliazione pubblica che ne deriva ed i costi imprevedibili che l’espletamento del c.d. trial può generare. Una visione ancor più garantista pone l’accento sull’utilizzo in alcuni casi abusivo che alcune categorie di litiganti (produttori seriali, compagnie farmaceutiche, monopoli) potrebbero fare della mediazione, al fine di mantenere sotto traccia comportamenti che laddove portati di fronte ad una giuria comporterebbero conseguenze ben più devastanti dal punto di vista economico. Altri giudici temono che le ADR siano utilizzate per ridurre la possibilità che le corti e in generale il potere giudiziario sviluppi norme o trovi misure atte a neutralizzare le minacce alla salute o alla sicurezza pubblica, alla solidità economica o ai diritti individuali rappresentate da comportamenti scorretti tenuti da alcune compagnie. Ancora, è stata registrata la tendenza, da parte di alcuni studi legali di grandi dimensioni, a utilizzare la mediazione quale strumento per ottenere informazioni e prove in vista della discovery, con un utilizzo del tutto strumentale della mediazione.

[43] Tutte queste preoccupazioni sono ritenute da Brazil, op. cit., p. 110 ss., del tutto marginali in quanto l’intero sistema ADR si concentra nel formare dei mediatori sensibili proprio ad evitare questo genere di pericoli.

[44] Sussman, Weiner, Striving for a “Bulletproof” Mediation Settlement Agreement, in Alternatives to the High Cost of Litigation, 2015, Vol. 33, Issue 4, pp. 49 ss.

5. La ADR Unit di San Francisco

Nel mio periodo quale visiting Researcher presso UC Berkeley ho avuto modo di incontrare numerosi docenti nel campo della mediation e della negotiation ed altresì di partecipare ad alcune mediazioni sia presso la ADR Unit della United States District Court Northern District of California che presso il JAMS, più importante ente privato di mediazione degli Stati Uniti.

La ADR Unit della Federal Court di San Francisco costituisce da sempre un esempio pilota di efficienza nel panorama statunitense rispetto alle forme di mediazione e negoziazione Court Annexed. La California, in effetti, è storicamente uno tra gli stati più sensibili al tema della risoluzione alternativa delle controversie ed ha dedicato non soltanto studi ma soprattutto risorse, per creare un sistema funzionante.

Prima di entrare nel dettaglio intendo soffermarmi, seppure schematicamente, sui diversi strumenti offerti dall’ADR Unit[45].

Lo Alternative Dispute Resolution Act of 1998 [46] prevede (con l’istituzione di una presumption) che ogni Federal District Court si doti di un sistema di ADR in ambito civilistico.

La California, in tal senso, pur conoscendo il fenomeno ADR sin dai primi anni ’80, ha promulgato le ADR Local Rules effettive dal 1 dicembre 2009[47] che si applicano a tutte le cause civili instaurate nella District Court salvo sia diversamente indicato.

Da un punto di vista generale la Court è dotata di un ADR Unit e di un Magistrate Judge di riferimento.

La prima è composta di un direttore del programma ADR e da procuratori, case administrators con esperienza in campo ADR. Essa ha la responsabilità di gestire, implementare e amministrare oltre che valutare i risultati dei Court’s ADR Programs ossia, come visto, i programmi che la corte mette a disposizione dei cittadini in materia di ADR.

E’ interessante notare come queste responsabilità comprendano anche l’incarico di rendere edotte le parti, gli avvocati, i giudici e lo staff della Corte riguardo al programma ADR e le regole a esso connesse. La ADR Unit inoltre è tenuta ad osservare l’operato dei mediatori (c.d. neutrals) ed a provvedere alla loro formazione. In alcuni casi particolari anche il direttore della struttura così come lo staff legale dell’ADR Unit può operare quale mediatore.

L’altro perno fondamentale della struttura delle ADR, nella Federal Court, è la figura del ADR Magistrate Judge, nominato dalla Corte tra i propri giudici. Questi è il supervisore della ADR Unit, si consulta con il direttore della medesima e con lo staff legale per tutto ciò che riguarda la valutazione, l’implementazione e la programmazione dell’ADR Unit. Lo ADR Magistrate Judge decide di tutto ciò che riguarda l’applicazione delle ADR Local Rules così come eventuali ricorsi in relazione violazioni delle stesse ma è esonerato dal partecipare ai procedimenti di arbitrato non vincolante di ENE, Early Neutral Evaluation, o a sessioni di mediazione.

Una causa può essere indirizzata a un processo di Court ADR per ordine del giudice a seguito di una richiesta di una o tutte le parti o su iniziativa del giudice stesso. In tal caso, l’ordine della cancelleria di esperire un tentativo di ADR deve comunque riferirsi a quel procedimento che le parti hanno selezionato, specificare il periodo entro il quale il processo sarà completato e ogni altra informazione utile. E’ la stessa Corte a fornire un formulario da compilare in seguito al deposito della domanda nel quale è fissata la data della prima udienza di fronte al giudice. Le parti sono invitate (entro un termine) a indicare la loro opzione ADR. Naturalmente, la competenza delimitata della Federal Court comporta che siano trattati solo alcuni casi di rilevanza importante, escludendo i c.d. small claims (dove si annida peraltro il peso maggiore per il sistema giustizia) di competenza delle Corti Statali[48].

E’ interessante notare come la scelta delle ADR non sia obbligatoria ma basata su una presumption che le parti scelgano, a prescindere dall’espletamento dello stesso, un processo di ADR che eventualmente saranno disponibili a intraprendere senza che, in questa fase preliminare, siano fissati termini o modalità per l’espletamento dello stesso.

Ciò che è vincolante, ed è rilasciata un’apposita dichiarazione in tal senso, è che gli avvocati informino le parti in modo corretto ed esaustivo circa le loro possibilità.

L’obiettivo del c.d. ADR Multi Option Program è, in effetti, quantomeno in prima battuta, quello di incoraggiare le parti in conflitto a considerare i metodi di risoluzione alternativa quale valido strumento per chiudere la controversia. Per tale motivo, proprio in questa fase iniziale, la ADR Unit mette a disposizione un servizio di assistenza particolarmente qualificato che aiuta le stesse a identificare il processo di ADR che più addice al tipo di controversia in corso.

E’ prevista una conference call tra gli avvocati delle parti e lo staff legale della ADR Unit al fine di individuare la migliore opzione ADR: lo spostamento dalla logica avversariale a quella consensuale, nelle intenzioni del sistema californiano comincia proprio in questa fase, dove le parti (o meglio gli avvocati) sono sostanzialmente forzati a discutere tra loro e in stretta connessione con gli esperti della ADR Unit circa una ipotesi di chiusura consensuale della controversia.

Questo primo contatto telefonico può essere considerato la cartina di tornasole di quanto dagli anni ’80 a oggi il concetto di risoluzione alternativa della controversia sia entrato nelle mentalità dei cittadini e dei professionisti del settore legale californiano. Ed infatti, se nei primi anni di applicazione il feedback degli avvocati era pressoché esclusivamente negativo, oggi è quasi dato per scontato che, salvo particolarità del caso, un metodo di mediazione sarà certamente utile per comporre il conflitto.

Nel caso in cui le parti e gli avvocati si rivelino ostici rispetto alla selezione di un’ipotesi di ADR, il giudice titolare della causa in occasione della Case Management Conference discuterà con le parti la soluzione più consona selezionando un metodo ADR e valutando altresì l’opportunità di un Settlement Conference, ossia un tentativo di mediazione di fronte ad un giudice. Ciò qualora non si persuada che la natura del caso o il comportamento delle parti sia tale che un tentativo di carattere conciliativo non porterebbe alcun beneficio e non sarebbe idoneo a giustificare alcun investimento di risorse nel tentativo di cercare un accordo.

L’incontro di ADR, in ogni caso, deve tenersi entro 90 giorni dalla comunicazione di cancelleria (order) che destina il caso allo specifico processo scelto dalle parti.

Quanto ai tipi di ADR promossi nell’ambito dell’ADR Multi Option program essi includono a) Non Binding Arbitration; b) Early Neutral Evaluation c) Mediation.

Una menzione a parte ha la mediazione privata che rimane estranea alla struttura della ADR Unit pur potendo essere preferita dalle parti. Le parti, infatti, possono partecipare al processo ADR non vincolante offerto dalla Court oppure, con l’autorizzazione del giudice titolare della causa, rivolgersi a un provider privato.

Vi è poi il sopra menzionato caso dell’Early Settlement di fronte ad un Magistrate Judge appositamente nominato, ipotizzabile solo laddove la fonte sia un ordine del giudice titolare della causa, non essendo tra le opzioni delle parti nella fase preliminare del contenzioso.

Non è nelle mie intenzioni soffermarmi in profondità sulla Non Binding Arbitration e sull’Early Neutral Evaluation volendo invece incentrare lo studio sull’istituto della Mediation, al fine di effettuare una riflessione comparatistica rispetto allo speculare strumento di recente istituito nel panorama legislativo italiano.

La Mediation è definita come un processo flessibile, non vincolante e confidenziale in cui un mediatore imparziale, Neutral, facilita le parti nel raggiungimento di un accordo che risolva la controversia prima del Trial.

Il mediatore ha lo specifico compito di aumentare la comunicazione tra le parti, asserragliate, soprattutto nella fase introduttiva della lite, sulle rispettive linee difensive. Nello svolgere tali funzioni il Neutral aiuta le parti ad articolare meglio i propri interessi e a focalizzare quelli dell’avversario lasciando alle stesse la possibilità di valutare e mettere alla prova, una volta ampliato il panorama delle reciproche posizioni, i punti di forza e di debolezza delle posizioni giuridiche delle stesse. Il mediatore, inoltre, identifica alcune aree di possibile accordo e aiuta a generare opzioni per soluzioni consensuali che soddisfino entrambe le parti.

Di solito non fornisce alcuna valutazione generale del caso ma si limita a permettere alle parti una valutazione interest-based segnalando l’importanza di trovare una soluzione che concluda la vicenda prima di entrare nel trial, il pronostico dei cui esiti, considerata la centralità della giuria, è del tutto imprevedibile.

Nel sistema californiano in esame l’obiettivo della mediazione è espandere l’area di discussione riguardo a un possibile accordo e ampliare il range di opzioni sullo stesso. Ciò, andando a esplorare i bisogni e gli interessi delle parti che spesso sono solo collateralmente legati o addirittura indipendenti dalle questioni di diritto che radicano il contenzioso dal punto di vista legale.

Tale strumento ha avuto una progressiva e sempre crescente diffusione tanto da mettere in ombra gli altri ADR[49] e può considerarsi ad oggi lo strumento alternativo maggiormente utilizzato. Le cause civili possono essere mandate in mediazione su ordine del giudice titolare della causa, a seguito di una richiesta congiunta delle parti, su istanza di una delle parti oppure per ordine diretto del giudice. In tali casi la ADR Unit, salvo le parti, come avviene sovente, non si rivolgano ad un centro di mediazione privato, individua e mette a disposizione un mediatore volontario il quale offre la propria competenza gratuita per le prime quattro ore e successivamente presta il proprio servizio a pagamento[50].

Il mediatore nominato deve organizzare un primo incontro preliminare alla mediazione e dopo essersi consultato con tutte le parti fissare data e luogo del tentativo di mediazione individuando le scadenze da rispettare per permettere lo svolgersi fluido dello stesso[51]. In questa fase, come più in generale nell’intero svolgersi della mediazione, gli avvocati delle parti hanno un obbligo di cooperazione reciproca e con il mediatore.

Prima dell’incontro di mediazione, la ADR Unit prevede che il mediatore debba organizzare un breve incontro telefonico al fine di discutere le materie così come l’organizzazione del procedimento di mediazione in modo condiviso: si discute preventivamente delle procedure che verranno seguite, della natura del caso e del contenuto delle memorie scritte che le parti destinano al mediatore affinché possa comprendere le reciproche pretese. In tale conferenza telefonica preliminare, inoltre, le parti preavvertono il mediatore circa i soggetti che parteciperanno alla mediazione e i loro poteri di rappresentanza.

Quanto alle memorie scritte di cui sopra, è previsto che entro sette giorni prima della prima sessione di mediazione ogni parte debba inviare al mediatore e rendere nota alle altre parti la propria memoria scritta.

Al fine di mantenere la confidenzialità, il giudice titolare della causa non ha accesso alle informazioni che le parti e il mediatore si scambiano in questa fase[52]. Le memorie, in questa sede, sono dei report concisi che oltre a contenere le informazioni che possono essere utili per il mediatore devono riportare obbligatoriamente a) l’identificazione della persona che oltre all’avvocato parteciperanno alla mediazione quali rappresentanti della parte; b) una breve descrizione della lite; c) l’indicazione di eventuali soggetti connessi con la parte avversaria che potrebbero incrementare l’utilità della mediazione; d) l’identificazione di informazioni che potrebbero contribuire al buon esito della mediazione; e) la descrizione di eventuali tentativi di negoziazione già posti in essere e il loro stato di avanzamento; f) copia di documenti che potrebbero rendere produttiva la mediazione.

Interessante, nell’ambito dell’indagine riguardo ai poteri del giudice nel raggiungimento di accordi conciliativi è la Settlement Conference poco sopra solo accennata.

Si tratta del caso in cui sia proprio un giudice a facilitare le parti nella negoziazione di un accordo.

Nel sistema californiano e più in generale statunitense esiste una figura di giudice detta Settlement Judge.

Alcuni giudici usano, infatti, le tecniche di mediazione nell’ambito della Settlement Conference per migliorare la comunicazione tra le parti e assisterle nella formulazione d’ipotesi di accordo. Questi, comunque, dotati di poteri più stringenti rispetto ai mediatori, possono prospettare anche valutazioni circa il merito della controversia, con un approccio più valutativo che facilitativo rispetto alla ricerca di un accordo e possono meglio isolare i punti di forze a debolezza nelle posizioni giuridiche delle parti.

Di norma le parti sono inviate a tale tipo di procedimento su iniziativa della Corte stessa, laddove nella fase preliminare non siano riuscite ad accordarsi rispetto a una scelta condivisa di ADR. E’ comunque possibile che laddove il caso sia stato assegnato a un programma ADR Multi-Option, in un qualsiasi momento dopo la conferenza telefonica preliminare con lo staff legale della ADR Unit, una parte chieda al giudice titolare della causa di provare una Settlement Conference. Le parti, in tal caso, possono indicare la preferenza rispetto a uno dei giudici della Corte[53] e questa, compatibilmente con la disponibilità del Magistrate Judge indicato, può (ma non è vincolata) ad inviare le parti di fronte al giudice prescelto per effettuare tale incontro finalizzato all’accordo.

Il giudice nominato, a questo punto deve notificare alle parti la data e il luogo in cui si terrà la Settlement Conference, e le richieste specifiche proprio a proposito dell’incontro, eventualmente ordinando alle parti di partecipare personalmente allo stesso.

E’ intuitivo come un elemento fondamentale nell’ambito della Settlement Conference sia il mantenimento della confidenzialità rispetto alle informazioni che in quella sede sono scambiate.

Chiunque partecipi a tale incontro, infatti, deve considerare le informazioni delle quali viene a conoscenza come strettamente confidenziali[54]. Queste non possono in alcun modo essere riferite a soggetti che non sono coinvolti nel contenzioso, né riferite al giudice titolare della causa. Tali informazioni, in sostanza non possono essere utilizzate a nessuno scopo.

Vi sono alcune, limitate, eccezioni rispetto alla confidenzialità di cui sopra. Sono possibili, con l’accordo di tutte le parti, delle finestre di disclosure. Alcune informazioni possono essere esternate, a scopo di valutazione e monitoraggio del funzionamento del sistema di ADR a soggetti interni alla Federal Court. Il divieto di esternazione delle informazioni suddette viene altresì superato laddove vi sia un superiore interesse della Federal Court di assicurare l’applicazione della legge o punire condotte ad essa contrarie.

Vi sono poi numerosi provider privati di mediazione e di servizio di ADR[55] cui le parti si rivolgono, concordemente, nella maggioranza dei casi. Tali centri forniscono un servizio in tempi particolarmente rapidi e a costi piuttosto elevati.

Nella mia esperienza presso la ADR Unit[56] di San Francisco ho potuto partecipare ad alcune Settlement Conference e discutere della natura della mediazione con alcuni mediatori appartenenti a provider privati.

[45] La descrizione degli strumenti ADR forniti dalla District Court of Northern District of Califronia è reperibile sul sito http://www.cand.uscourts.gov/adr.

[46] ADR Act of 1998, 28 U.S.C., par. 651-58, sul sito http://www.adr.gov/ADR%20ACT%201998.pdf.

[47] U.S. District Court, Northern District of California, ADR Local Rules, sul sito http://www.cand.uscourts.gov/adr

[48] La competenza federale è limitata alla Diversity jurisdiction (i casi in cui le parti sono cittadini di due diversi stati) e alla Federal question jurisdiction (le materie cui è riconosciuta intrinseca rilevanza processuale). Nel sistema statunitense le small claims sono di competenza delle corti statali e non si può tacere come la maggior parte del peso giudiziale si concentri proprio nelle controversie di minor valore.

[49] Brazil, op. cit., p. 110, rileva che Non Binding Arbitration e ENE sono progressivamente diminuiti nel loro utilizzo a favore di un sempre più crescente ricorso alla Mediation.

[50] Il neutral nominato dalla ADR Unit viene pagato 300$ l’ora dopo le prime quattro ore gratuite di mediazione.

[51] La scadenza principale è quella che prevede che il tentativo di mediazione si debba svolgere entro 90 giorni dalla comunicazione di cancelleria che individua il tipo di ADR prescelto dalle parti. E’ possibile chiedere una proroga della scadenza con un’istanza motivata diretta al giudice, alle altre parti, ed eventualmente al Neutral, oltre che alla ADR Unit.

[52] Ciò permette di tutelare l’interesse alla confidenzialità del procedimento di Mediation.

[53] Non quello titolare della causa.

[54] Il c.d. Confidential Treatment.

[55] I provider privati offrono, oltre alla mediazione, i servizi di Arbitration, Fact-Finding, Neutral Evaluation e Private Judging. Gli esperti privati possono essere avvocati, professori di diritto, giudici ritirati o altri professionisti con esperienza provata nel settore delle tecniche di risoluzione alternativa delle controversie. Tali prestazioni sono a pagamento e la Corte, tendenzialmente, non ricorre a tali enti private salvo richiesta esplicita delle parti. In ogni caso, il giudice titolare della causa, si assicura che la scelta di un provider privato di ADR non danneggi in alcun modo una delle parti imponendo un peso economico irragionevole o che quest’ultima non è in grado di affrontare. Il centro leader in materia di ADR è il JAMS. per maggiore approfondimento si rimanda al sito http://www.jamsadr.com/files/Uploads/Documents/JAMS-Rules/JAMS-ADR-Clauses.pdf.

[56] Esistono inoltre processi minori di mediazione quali il Non binding summary bench or Jury Trial, un processo finalizzato a fornire una proiezione del trial dopo una discovery condensata effettuata dagli avvocati occasionalmente con l’audizione di alcuni testimoni. Questa procedura per come strutturata dà alle parti la possibilità di porre questioni e ascoltare le reazioni della giuria o del giudice. Il verdetto della giuria o del giudice non è vincolante e le reazioni all’argomentazione dei fatti o del diritto sono usate come base per procedere, successivamente, d una negoziazione finalizzata all’accordo. Le parti che scelgono questo tipo di procedura sono incoraggiate a contattare la ADR Unit proprio per avere assistenza nella strutturazione di un trial sommario che si adatti alla particolarità del caso. Un altro metodo di ADR è il c.d. Special Master, La Corte può mettere a disposizione una serie di esperti che permettano alle parti di gestire la discovery o trovare fatti centrali. Per una panoramica più completa si consiglia il sito http://www.cand.uscourts.gov/otherprocesses

6. I benefici e i problemi risultanti dall’istituzionalizzazione delle ADR e della mediazione

Quali sono allora, quanto alla più radicata esperienza statunitense, i benefici risultanti dalla ormai avvenuta istituzionalizzazione delle ADR e della mediazione nei Tribunali? Quali i problemi sorti? Quali le soluzioni proposte? Quali i progressi ed i problemi connessi a tali progressi? E quali strategie risolutive?[57]

Quanto ai benefici pare necessario partire da un dato di fatto: l’aver permesso che i tribunali imponessero, in alcuni casi, la mediazione, ne ha accresciuto la diffusione e l’utilizzo. In tal senso la discutibile scelta di forme impositive ha avuto una funzione antagonista e propulsiva rispetto al fatto che storicamente la mediazione volontaria ha (anche negli Stati Uniti) attecchito poco. Gli avvocati, infatti, preferiscono comunque la familiarità del contenzioso e le parti, nella concitazione delle posizioni, vogliono un sistema di carattere avversariale piuttosto che propenso alla cooperazione o alla considerazione degli interessi della controparte. Permane infine la convinzione che suggerire la mediazione sia una forma di debolezza nella strategia difensiva.

In tal senso, dunque, si può affermare come rispetto al sistema italiano non vi sia un diverso approccio sociale al problema del contenzioso quanto un sistema impositivo maggiormente persuasivo perché proveniente da un soggetto, il giudice, dotato del potere di valutare l’opportunità o meno di portare a processo la causa.

E’ anche vero che solo con l’imposizione delle forme di ADR la popolazione ha cominciato ad acquisire consapevolezza dell’esistenza di tali tecniche e del potenziale connesso al loro utilizzo, accettandone l’esistenza come alternativa tipica al processo. In assenza di una capillare diffusione, altrimenti, lo strumento sarebbe rimasto valido ma sostanzialmente inutilizzato.

Si può affermare, pur con le dovute differenziazioni, che il sistema obbligatorio di mediazione domestico, previsto a pena d’improcedibilità per certe materie, unitamente alla nuova formulazione dei poteri di conciliazione del giudice, rappresenta il primo passo, quanto all’Italia, per una diffusione delle ADR. Solo il tempo potrà dire se questa prima fase, di attacco, comporterà una accettazione sociale delle ADR ed uno spontaneo utilizzo delle stesse.

Elemento di diffusione e miglioramento del sistema delle ADR interne ai tribunali è dato dalla ormai acquisita padronanza da parte di giudici e avvocati delle tecniche di mediazione e dell’impostazione necessaria affinchè il cliente entri in una simile mentalità abbandonando l’istintivo approccio contenzioso alla controversia.

Peraltro, l’idea embrionale partorita da Sander nel 1976 è stata, grazie ad anni di applicazione empirica, nettamente migliorata, giungendo a una sempre più raffinata corrispondenza tra il tipo di controversia da trattare e la corrispondente tecnica di risoluzione della controversia (il giusto procedimento per la giusta causa).

Anche i soggetti che offrono il servizio di mediazione peraltro sono oggi sempre più preparati e diversificati: esistono infatti le strutture c.d. court-annexed ma anche soggetti pubblici o privati tra i quali scegliere con diversi prezzi, specializzazioni, professionalizzazioni.

Tutti questi elementi in definitiva hanno portato a un mutamento della cultura non solo delle parti in causa, focalizzate ormai sulla soluzione del contenzioso più che sul contenzioso in sé ma anche un mutamento da parte degli stessi tribunali nella concezione del proprio ruolo. Il giudice non è più un soggetto che decide la lite con approccio passivo rispetto a ciò che le parti portano nel processo ma un soggetto attivo, manager del caso e problem solver, in alcuni casi catalizzatore di un cambio di mentalità e di una trasformazione dell’accezione di conflittualità.

Anche i giudici, oggi, ritengono che il processo sia l’ultima e non la prima scelta, quantomeno per alcuni tipi di casi.

E’ evidente che una simile impostazione ormai radicata porta con sé altrettanti problemi di natura teorica ed anche pratica.

Tali problemi si concentrano tutti sulla mediazione Court-Connected o Court-Administrated.

La mediazione negli Stati Uniti è cresciuta grazie all’autorità esercitata dai giudici. Il fenomeno, infatti, trova origine nell’istituzionalizzazione della mediazione nei tribunali che ha permesso di conoscere lo strumento a milioni di cittadini che altrimenti non l’avrebbero conosciuta.

La ragione del suo successo, dunque, come spesso accade, è anche la ragione dei problemi a essa connessi.

Originariamente, infatti, la mediazione era intesa come uno strumento mirante a neutralizzare i dati negativi del sistema avversariale. Una tecnica che permettesse alle parti di confrontare le varie circostanze ipotizzando delle soluzioni. Un conflitto cioè che non fosse alienante ma in grado di rafforzare le connessioni umane.

Nell’impostazione dei tribunali la mediazione offre ai litiganti la possibilità di parlare senza vincoli o regole, acquisire informazioni mancanti e avere sempre un conflitto ma con cognizione di causa su tutto, senza particolari segreti.

La mediazione non è, però, nella sua logica originaria, solo un accordo.

Il valore fondamentale della mediazione può essere raggiunto anche se, in ipotesi, l’accordo non è raggiunto e si decide di continuare per le vie legali.

Diversamente che in causa, nella mediazione acquistano peso diversi elementi, non solo il risultato finale ma anche il meccanismo che ha permesso alle parti di esprimere liberamente il proprio parere.

Bisogna quindi fare attenzione a identificare il risultato finale (la conciliazione, nella logica della legge italiana, per azzardare un paragone) che è il focus primario nella composizione Court connected con la mediazione in sé che è un procedimento nel quale alcuni aspetti possono essere chiarificati, ad esempio un mantenimento dei rapporti, senza per forza chiudere un accordo e magari continuando per le vie giudiziali per quanto riguarda l’aspetto economico della vicenda.

Nella logica statunitense i tribunali che hanno promosso la mediazione hanno avuto, al pari dell’esperienza legislativa italiana, il fine primario di migliorare l’efficienza della giustizia valutando dunque primariamente l’aumento degli accordi conciliativi e la riduzione dei costi, tanto che in molte Courts la conciliazione raggiunta in sede di mediazione ha perso i suoi connotati di processo alternativo alla giurisdizione formale.

In sostanza non una mediazione interest based ma un procedimento in cui si compongono le pretese (con un linguaggio di carattere prettamente normativo) senza però andare a processo.

Il sistema legale, in effetti, si deve occupare di chi ha ragione e non dell’aspetto emozionale della vicenda, non vi è ricerca di consenso ma autorità della legge, e questi sono valori completamente differenti da quelli della mediazione.

Si può dunque osservare che la Court annexed mediation ha perso il suo ruolo di strumento alternativo finendo per essere assorbita tra gli strumenti giudiziali utilizzati dal tribunale.

Sono coinvolte le compagnie di assicurazione, gli avvocati parlano al posto delle parti e spesso le parti nemmeno presenziano agli incontri, i tempi per la chiusura sono contati e sono i giudici e gli avvocati a condurre la mediazione, peraltro senza una particolare formazione.

Queste circostanze portano alla convinzione per le parti che qualcun altro stia decidendo le sorti del loro accordo.

Quale strategia, allora, per mantenere la mediazione quale processo alternativo di risoluzione delle controversie e soddisfare le necessità di contenimento dei costi e deflazione dei tribunali?

La dottrina statunitense ritiene debbano essere individuati dei supervalori condivisi da tutte le parti come la fiducia nel metodo alternativo di risoluzione della controversia, l’efficienza dell’accordo a lungo termine; l’incoraggiamento affinché le parti risolvano consensualmente il conflitto piuttosto che adire il tribunale; la consapevolezza delle parti circa cosa è richiesto loro nell’ambito di un tentativo di mediazione.

Gli interessi esclusivi del tribunale invece includono la velocità della soluzione, un migliore utilizzo di risorse limitate, il mantenimento di una posizione di autorità.

Chi propone la mediazione come strumento alternativo ha invece a cuore i seguenti valori: l’autodeterminazione delle parti; la protezione del potere delle parti di determinarsi nelle scelte e il mantenimento o miglioramento del rapporto umano-sociale.

Il pericolo, laddove, come si adombra nella Court annexed mediation, il tribunale non aderisce alla mediazione come strumento del tutto alternativo alla giurisdizione mentre le parti sono educate e informate in tal senso, si crea confusione e sospetto che porta ad un’erosione prima nella fiducia nella mediazione e poi nella corti stesse.

L’obiettivo dei tribunali dunque deve essere l’efficienza non a stretto termine, con il rischio di coercizione della volontà delle parti, bensì a lungo termine. Bisogna cioè evitare che le parti tornino a discutere.

I valori del tribunale e della mediazione, che rimangono per natura diversi si intersecano proprio nel reperimento di un accordo di lunga durata.

Quali sono dunque le strategie per avvicinare lo strumento della mediazione all’impostazione dei tribunali?

Innanzitutto, un allineamento di teoria e pratica con una chiarificazione della terminologia della mediazione e di altri ADR. Inoltre, è necessario neutralizzare il rischio di coercizione nel processo di mediazione: poteri limitati ai giudici, una confidenzialità totale e assicurata per le informazioni scambiate nella mediazione, un’informativa alle parti circa l’assenza di alcun obbligo a mediare, procedure disciplinari severe per giudici, avvocati, mediatori che in qualche modo spingano le parti a chiudere minacciando una disclosure delle strategie.

Le parti devono avere chiaro, e così dovrebbe essere anche in Italia, che obbligo di mediazione non significa obbligo di giungere a un accordo.

E’ essenziale, poi, una migliore educazione alla mediazione di parti, giudici, avvocato anche tramite formazione da parte del tribunale. Diffusione maggiore soprattutto per le parti, che altrimenti si trovano in balia di decisioni altrui, un miglioramento del controllo di qualità con formazione in standard deontologici e uso di misure basate sulle performance; assicurare la disponibilità della mediazione quale alternativa al processo e dunque diversamente da altre adr bastato sull’interazione e può anche essere esterna al tribunale (mediatori privati). In tal senso differenziarla rispetto ad arbitrato e settlement conference). Negli Stati Uniti, inoltre, si propone di incorporare ADR e corsi di mediazione nella educazione scolastica.

[57] L.P. Senft, C.A. Savage, ADR in the Courts: Progress, Problems, Possibilities, in P enn State law Review, 2003, vol. 108, n. 1.

7. Una Court Connected ADR anche per l’Italia?

L’esperienza statunitense può essere molto utile nella riflessione rispetto all’esperienza italiana poiché permette di esaminare con uno sguardo diverso le ipotesi di ADR all’interno di un processo già iniziato. In Italia, ciò può avvenire a seguito dei poteri riconosciuti al giudice dal diritto positivo, di recente incrementati con l’introduzione dell’art. 185 bis c.p.c. o nella mediazione sollecitata dal giudice, nell’esercizio di quello che può essere avvicinato un potere di gestione manageriale della causa[58].

L’art 77, comma. 1, lett. a) del D.L. 21.6.2013 n. 69 (Decreto del Fare) convertito, con modificazioni, dalla l. 9.8.2013 n. 98 ha introdotto nel codice di procedura civile l’art. 185 bis, rubricato proposta di conciliazione del giudice[59].

Secondo tale nuova norma, il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l’istruzione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice.

Si aggiunge così un altro strumento, con le dovute differenziazioni, all’insieme di metodi offerti al giudice per stimolare verso una soluzione della controversia alternativa alla giurisdizione. Il giudice non soltanto può ai sensi dell’art. 185 c.p.c. disporre la comparizione personale delle parti per interrogarle liberamente[60]; oggi può anche, fermi i poteri in caso di mediazione delegata, formulare direttamente una proposta che la norma definisce conciliativa o transattiva[61].

Ad un primo esame emerge una certa contraddittorietà della norma[62] per la sua assenza di coordinamento con le norme già esistenti in materia.

La nuova norma prevede la formulazione da parte del giudice di una proposta transattiva o conciliativa ponendosi in modo del tutto autonomo rispetto alla posizione delle parti, diretta ai difensori anzichè direttamente alle parti. Ciò con il risultato di rendere la proposta verosimilmente meno incisiva poiché è proprio l’autorità e la posizione del giudice a influire maggiormente sulle parti, come visto, al fine di una composizione del conflitto[63]. Sul punto, fermo il dato, positivo, di affidare a un giudice il tentativo di comporre il conflitto tra le parti, v’è da osservare come queste ultime non siano considerate centrali dalla norma che permette la formulazione di una proposta transattiva o conciliativa a prescindere dall’indagine circa la volontà di queste.

La formulazione di una proposta transattiva o conciliativa a opera del giudice impone inoltre di soffermarsi maggiormente sugli aspetti teorici dell’istituto della conciliazione e della transazione per meglio comprendere e delineare come si attua tale intervento del giudice che sembra, ad una mera lettura, entrare “a gamba tesa” in prerogative che, quantomeno da un punto di vista terminologico sembrerebbero configurare poteri riservati in via esclusiva alla libera determinazione delle parti. Ciò per comprendere se il giudice, in questa sede, abbia un ruolo esterno rispetto alle due figure negoziali oppure svolga, con tale attività propositiva, una attività qualificabile come giurisdizionale[64].

Ci si potrebbe chiedere, quindi, se la facoltà di conciliazione del giudice possa essere considerata a tutti gli effetti uno strumento di management [65] per la migliore gestione del processo ed un metodo alternativo di risoluzione delle controversie oppure debba qualificarsi come una attività essenzialmente giurisdizionale[66].

Non si può, poi, sottovalutare l’identità soggettiva tra chi espleta il tentativo di conciliazione tra le parti nel processo e colui che, in caso di fallimento di tale tentativo, giudicherà la controversia secondo legge[67].

Tale identità, infatti, può incidere non soltanto sulla natura della cognizione del giudice ma anche sul problema della confidenzialità e riservatezza delle informazioni ossia, in sostanza, sull’approccio più o meno disinvolto che le parti potranno avere nello svelare i propri punti di forza (e di debolezza) nell’ambito del tentativo di conciliazione, condizionando così l’esito e il successo della conciliazione stessa e la qualità dell’accordo eventualmente raggiunto. Si consideri, infatti, che nei casi di court annexed mediation statunitense, il giudice che si occupa del tentativo di accordo negoziale non è mai il giudice titolare della causa e ciò, innanzitutto, per un problema di riservatezza[68].

Lo strumento, al pari della mediazione è stato peraltro inserito in una precisa ottica politica volta a deflazionare il contenzioso giudiziario che altrimenti si riverserebbe in toto sul carico dei tribunali. Punto di partenza dell’inserimento di tali strumenti di ADR nell’ambito del contenzioso italiano è, infatti, la considerazione della situazione di crisi della giustizia tradizionalmente intesa soffocata dal carico dell’arretrato[69].V’è però da notare la contraddizione tra la finalità di economia processuale dello strumento e il fatto che la conciliazione può essere chiesta sino all’udienza di p.c., fermi i pericoli di un tentativo di conciliazione che, così vicino alla sentenza, potrebbe sembrare quasi un’anticipazione del giudizio che andrà a finire nel provvedimento.

E’ infine interessante notare come nella formulazione originaria della norma il rifiuto senza giustificato motivo della proposta transattiva e conciliativa formulata dal giudice costituisse comportamento valutabile da quest’ultimo ai fini del giudizio (indipendentemente dalla coincidenza tra proposta conciliativa e decisione del giudice).

In effetti, una simile pressione sulla volontà delle parti è risultata eccessiva tanto che non si ritrova tale previsione nel testo finale ove si è concluso per non prevedere allora nessuna sanzione, nemmeno in assenza di un giustificato motivo non incorrendo in nessuna conseguenza sul piano processuale e sanzionatorio e non potendo il giudice desumere nessun argomento idoneo ai fini della decisione della causa dal comportamento delle parti in questa sede[70].

In conclusione, la conciliazione ex art. 185 bis c.p.c. rappresenta un interessante strumento nell’ottica di un ampiamento dei poteri di gestione della causa ad opera del giudice. L’individuazione di quest’ultimo quale filtro dell’opportunità di un tentativo di chiusura consensuale della controversia porta con sé inevitabili effetti, alcuni positivi, altri più discutibili.

Da una parte, infatti, la conoscenza del petitum della causa permette al giudice una valutazione approfondita delle possibilità di riuscita della soluzione conciliativa. E’ spesso il giudice, quale soggetto super partes a poter responsabilmente spingere verso metodi di uscita dal processo, ad esempio, per le controversie seriali, ove il giudice si sia già pronunciato in casi speculari, o nelle controversie di modesto valore ove è del tutto sufficiente la dinamica cliente/avvocato per trovare un nuovo assetto che sia soddisfacente per i litiganti. Ancora, di grande utilità potrà essere la conciliazione giudiziale per le materie in cui il meccanismo processuale risulta addirittura punitivo[71]. Dall’altra, però il riconoscimento al giudice di un forte potere-dovere conciliativo, l’informalità della metodologia con la quale si svolge il tentativo di composizione, con l’unico limite del coinvolgimento paritario delle parti, la tendenziale ricaduta sul regime delle spese in caso di proposta conciliativa fallita, porta con sé l’antico rischio che a scegliere la conclusione conciliativa della controversia siano parti economicamente deboli rispetto a controversie di valore relativo e ciò a discapito della liberta di determinazione idealmente propria di ogni forma di ADR[72].

[58] Silvestri, Enciclopedia del diritto, voce Conciliazione e Mediazione, Milano, 2007. p. 278.

[59] Ferrari, sub art. 185 bis c.p.c., in Codice di procedura civile, diretto da Consolo, Milano, 2013, p. 2299 ss. Il tentativo di conciliazione giudiziale non costituisce una vera e propria novità poiché si ritrovava già nella versione originaria del c.p.c. In una parabola progressivamente crescente esso è stato reso obbligatorio innanzitutto nel rito del lavoro e successivamente nel processo ordinario di cognizione con la l. 26.11.1990 n. 353. IL medesimo è stato abolito con la l. 80 del 14.5.2005 (1.3.1006), di attuazione del d.l. n. 35 del 14.03.2005 che, intervenendo sull’art. 183 c.p.c. ha abrogato il previsto espletamento di un tentativo di conciliazione quale adempimento da effettuare obbligatoriamente in prima udienza.

[60] Sebbene sia venuta meno l’obbligatorietà del tentativo rimane nel contesto dell’art. 185 c.p.c. la possibilità per il giudice di interrogare liberamente le parti sulla base di una sua iniziativa oppure in caso di “richiesta congiunta” delle parti. L’esperienza applicativa del tentativo di conciliazione, infatti, ha dimostrato come solo una richiesta ad opera di entrambe le parti possa rendere in qualche modo utile l’espletamento del tentativo, evitando così allo stesso tempo tattiche dilatorie ad opera di una delle parti.

[61] Lupoi, Le novità processuali dell’estate 2013, Riv. trim. dir. proc. civ., fasc. 1, 2014, p. 329.

[62] Finocchiaro, Rischio di incertezza sulla conciliazione giudiziale, in Guida al diritto, 2013, fasc. 28, p. 86.

[63] Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, vol. II, Profili Generali, II ed. Torino, 2012, p. 106.

[64] Si veda in materia di conciliazione il contributo di Carrato, Le attività conciliative nel contenzioso civile, Milano, 1993.

[65] In realtà il giudice, nella proposta ex art. 185 bis c.p.c. non potrà prescindere totalmente dal contraddittorio delle parti e così dal previo interrogatorio libero delle stesse. La proposta dovrà “comunque nascere dall’oralità, una volta sentite le parti, e non quale astratto provvedimento autoritario, calato ex abrupto dall’alto sulle parti, senza un previo contatto tra di esse e il giudicante” Consolo, Per una vocazione e dirittura ad un tempo tecnica e politica della organizzazione meno stentata della giustizia civile o comunque non penale, in Rassegna forense, 2012 , 45, 3/4 p. 473 ss.

[66] La proposta di transazione o di conciliazione del giudice nell’originaria formulazione prevedeva l’obbligo per il giudice di formulare alle parti una proposta. Tale obbligatorietà non si ritrova nella legge di conversione ove è stata mantenuta per il giudice la possibilità e non l’obbligo di formulare tale proposta. La previsione di cui all’art. 185 bis c.p.c. è dedicata ad ogni tribunale, anche ai giudici di pace. In tal senso va coordinata con la previsione di cui all’art. 320 c.p.c. dove è previsto per il Giudice di pace l’obbligo di tentare la conciliazione delle parti in prima udienza e l’art. 322 c.p.c. per cui l’istanza per la conciliazione in sede non contenziosa, che costituisce titolo esecutivo a norma dell’articolo 185 c.p.c. u. c. se la controversia rientra nella competenza del giudice di pace, altrimenti ha valore di scrittura privata riconosciuta in giudizio, è proposta anche verbalmente al giudice di pace competente per territorio.

[67] Dittrich, L’incompatibilità per il giudice derivante dalla precedente cognizione della controversia, RDProc, 1987, 51; Dittrich, Incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice, Padova 1991. Contra sul punto Consolo, Una benvenuta interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 51 n. 4 (in relazione all’art. 28 St. lav.) ed i suoi limiti per i casi futuri, CG 2000, 56; Scarselli, Terzietà del giudice e processo civile, FI, 1996, I, 3616.) Nessuna difficoltà a che il giudice proponga conciliazione nel corso del giudizio per altri autori Pagni, La riforma del processo civile: la dialettica tra il giudice e le parti (e i loro difensori) nel nuovo processo di primo grado, CG, 2009, 1320; Potetti, Novità della l. 69/2009 in tema di spese di causa e responsabilità aggravata, G Merito, 2010, 938; Dalfino, Mediazione, conciliazione e rapporti con il processo, FI, 2010, 105). Vi è chi sottolinea come il giudice, in quanto figura volta istituzionalmente a dirimere il contenzioso attraverso il giudicato ovvero con un provvedimento di tipo aggiudicativo volto ad attribuire un bene della vita in via definitiva ad una parte o all’altra debba manifestare il proprio convincimenti in merito alla controversia solo nella fase decisoria e non nel corso del processo. Secondo parte della dottrina inoltre il giudice”cumula una natura promiscua: quella di mediatore dell’accordo conciliativo, contenente la regolamentazione transattiva della lite e quello di titolare del potere di decidere della controversia, in caso di fallimento della conciliazione, Scarpa, Ruolo del giudice e potere delle parti nell’udienza di trattazione, CMerito, 2010, 905 per cui sono infondate le “diffuse resistenze di carattere ideologico e arretratezze di natura culturale, che paventano il rischio di indebite anticipazioni del convincimento del giudice, rilevanti come motivo di astensione, ogni qual volta il giudice stesso, nel dirigere il tentativo di conciliazione, o anche nel decidere motivatamente sulle istanze di tipo anticipatorio o sulla ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova, esprima le sue valutazioni preventive sull’esito della lite” e che tali occasioni siano piuttosto “espressione del principio di collaborazione del giudice con le parti, e in quanto tali non possono mai pregiudicare l’esito del giudizio”. Altra interpretazione sostiene che la mera formulazione della proposta dovrebbe determinare l’incompatibilità con la funzione decisoria: il giudice dovrebbe astenersi dal decidere (ovvero rischierebbe di essere ricusato dalla parte) quando “abbia dato consigli o prestato patrocinio nella causa” oppure quando vi siano “gravi ragioni di convenienza che consigliano al giudice di astenersi”. La posizione di assoluta equidistanza del giudice dalle posizioni delle parti deve assurgere ad elemento caratteristico strutturale dell’attività che il giudice stesso svolge e, pertanto, bisogna “evitare che giudichi una controversia chi s’è già formato un’opinione”, Dittrich, La precognizione del giudice e le incompatibilità nel processo civile, RDProc, 2002, 1145). Per altri autori la ratio della disciplina dell’astensione del giudice ha ad oggetto “l’amor proprio del giudice che difficilmente recederebbe da da una soluzione della controversia data in anticipo, in termini concreti, Romboli, Astensione e ricusazione del giudice, (dir. proc. civ.) voce, EGT, III, Roma; 1980, Mattirolo, Trattato di diritto giudiziario civile italiano, Torino, 1902-1906, V, ed. vol. I., p. 950.

[68] Il problema dell’imparzialità e della terzietà del giudice in siffatte ipotesi è ben noto nella dottrina italiana, Dittrich, La precognizione del giudice e le incompatibilità nel processo civile, RDProc, 2002, 1145; nel caso della conciliazione ex art. 185 bis c.p.c. il giudice con la sua decisione anticipa di fatto il suo convincimento in merito alla controversia che difficilmente potrà cambiare laddove l’istruttoria si conclusa, Breggia, I l tentativo di conciliazione e l’imparzialità del giudice GM, 2008, 571; Comoglio, La durata ragionevole del processo e le forme alternative di tutela, RDProc, 2007, 599; Cuomo Ulloa, La Conciliazione, Modelli di composizione dei conflitti, Padova, 2008; Scarselli, Terzietà del giudice e processo civile, FI, 1996, I, 3616.

[69] Da un punto di vista comparatistico: G. De Palo-L. Cominelli, Mediation in Italy: waiting for the Big Bang, in N. Alexander, Global Trends in Mediation, Kluwer Law, International, Chapt. X, p. 259 ss.

[70] De Cristofaro, Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione statale (ADR) nel contenzioso del lavoro , LG, 2011, 57; De Angelis, Collegato lavoro e diritto processuale: considerazioni di primo momento, www.astridonline.it) secondo cui in merito alle sanzioni derivanti dal rifiuto senza adeguata motivazione della proposta di cui all’art. 420 c.p.c. la sanzione si dovrebbe rinvenire nell’art. 91 c. 1 per. 2 (modificato dall’art. 45 della l. n. 69/2009) per cui il giudice laddove abbia accolto la domanda in misura non superiore a un’eventuale proposta conciliativa rifiutata senza motivo, condanna la parte rifiutante al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dall’art. 92. A ciò si potrebbe aggiungere il disposto dell’art. 96 comma 3, per cui “in ogni caso” il giudice quando pronuncia sulle spese, può condannare ex officio la parte soccombente nei confronti della controparte al pagamento di una somma di denaro, determinata in via equitativa, a titolo di risarcimento. Lo scopo preminente non è quello di scoraggiare il ricorso alla tutela giurisdizionale di un diritto ma evitare forme di abuso del processo rafforzando il ruolo conciliativo del giudice. Ad ora non c’è sanzione e il mancato coordinamento tra la norma in commento e l’art. 91 c. 1 parte 2 rischia di diluire lo scopo della norma (deflazionare il contenzioso) e far debuttare uno strumento processuale che in questo modo è poco incisivo.

[71] Si pensi alle divisioni immobiliari.

[72] Sul punto è interessante Trib. Fermo, sez. civ., 21 novembre 2013 (Est. Cesare).

Redazione

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