Acquisizione sanante – Scheda di Diritto

L’acquisizione sanante (o espropriazione sanante) rappresenta uno degli istituti più controversi del diritto dell’espropriazione per pubblica utilità.

Redazione 04/04/25

L’acquisizione sanante (o espropriazione sanante) rappresenta uno degli istituti più controversi del diritto amministrativo e, in particolare, del diritto dell’espropriazione per pubblica utilità. Si tratta di una forma di regolarizzazione ex post di un comportamento illegittimo della pubblica amministrazione, la quale, dopo aver occupato sine titulo un bene di proprietà privata e averlo irreversibilmente trasformato per scopi di pubblico interesse, può sanare l’illegittimità attraverso un provvedimento ablativo tardivo, accompagnato dal riconoscimento di un indennizzo.
La disciplina dell’istituto ha conosciuto una lunga evoluzione, scandita da interventi legislativi, sentenze della Corte costituzionale e orientamenti contrastanti della giurisprudenza amministrativa e civile. Oggi trova fondamento nell’art. 42-bis del D.P.R. n. 327/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), introdotto con D.L. n. 98/2011, convertito con modificazioni in L. n. 111/2011.

Indice

1. Fondamento normativo e ratio dell’istituto dell’acquisizione sanante


L’acquisizione sanante è regolata dall’art. 42-bis T.U. Espropri, che consente all’amministrazione, in caso di occupazione illegittima di un bene privato, di disporne l’acquisizione al proprio patrimonio indisponibile, se ritiene che il bene trasformato sia necessario per finalità di pubblico interesse.
L’articolo recita:
“Quando un bene immobile sia stato occupato sine titulo per scopi di interesse pubblico e sia stato irreversibilmente trasformato, l’autorità che utilizza il bene può disporne l’acquisizione al proprio patrimonio indisponibile, con decreto motivato, salvo che la restituzione del bene non risulti possibile o contraria all’interesse pubblico…”
La ratio dell’istituto è duplice:

  • da un lato, evitare che l’ente pubblico debba demolire opere pubbliche già realizzate su un bene privato, con grave pregiudizio per l’interesse collettivo;
  • dall’altro, garantire una tutela risarcitoria effettiva al privato espropriato, in ossequio all’art. 42, comma 3 Cost., che ammette l’espropriazione solo a fronte di un “giusto indennizzo”.

2. Presupposti applicativi


Per poter ricorrere all’acquisizione sanante devono sussistere specifici presupposti di fatto e di diritto, tassativamente previsti:

  • Occupazione sine titulo: l’occupazione del bene immobile da parte della PA deve essere avvenuta in assenza di un valido e legittimo provvedimento espropriativo.
  • Trasformazione irreversibile del bene: il bene deve essere stato modificato in modo tale da non essere più idoneo alla restituzione (es. edificazione, infrastrutture, urbanizzazione). La trasformazione dev’essere funzionale all’interesse pubblico.
  • Persistente interesse pubblico all’utilizzazione del bene: la PA deve motivare l’acquisizione con l’indicazione del perdurare di una utilità pubblica concreta e attuale derivante dalla conservazione dell’opera.
  • Impossibilità o inopportunità della restituzione: occorre che la restituzione risulti materialmente non attuabile o contraria all’interesse pubblico prevalente.
  • Emissione di un atto espresso e motivato: l’acquisizione deve avvenire tramite decreto adottato dall’autorità espropriante, che non può essere implicito né retroattivo.

3. Effetti giuridici e tutela del privato


L’adozione del decreto di acquisizione ai sensi dell’art. 42-bis comporta l’effetto traslativo della proprietà in favore della pubblica amministrazione, con contestuale obbligo di corrispondere un indennizzo al proprietario.
L’indennizzo deve essere congruo, e comprende:

  • il valore venale del bene alla data del decreto;
  • un eventuale risarcimento per ulteriori danni subiti (es. danno da perdita di frutti, spese legali, pregiudizi non patrimoniali in caso di beni culturali o affettivi).

Il proprietario può contestare la legittimità del provvedimento di acquisizione avanti al giudice amministrativo, eccependo, ad esempio, la mancata motivazione sull’interesse pubblico o l’omessa valutazione della possibilità di restituzione. Resta ferma la possibilità di agire per l’eventuale inadeguatezza dell’indennizzo offerto.

4. Profili critici e giurisprudenza


L’acquisizione sanante si pone come strumento residuale e straordinario, da utilizzare solo in presenza di circostanze eccezionali. La giurisprudenza, anche della Corte costituzionale (sent. n. 71/2015), ha sottolineato che l’istituto non può legittimare comportamenti arbitrari della PA, né surrogare una corretta procedura espropriativa.
Va ricordato che la precedente figura della “occupazione acquisitiva” (derivante da costruzione sine titulo e trasformazione irreversibile) è stata dichiarata incompatibile con i principi costituzionali e della CEDU, perché non garantiva il diritto di proprietà e il principio di legalità.
Oggi l’acquisizione sanante ex art. 42-bis è una scelta consapevole e motivata dell’Amministrazione, e non un effetto automatico della trasformazione del bene.

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