Accesso agli atti: il cittadino non è costretto a sostenere i costi di un ricorso al Tribunale Amministrativo

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Non si può costringere un cittadino “a sopportare i costi di un processo per potersi vedere riconosciute le proprie ragioni, che un qualsiasi funzionario appena dotato di intelligenza ed umanità avrebbe subito compreso e soddisfatto (…) Il Collegio invia copia della presente sentenza alla Procura Regionale Toscana della Corte dei Conti in conseguenza del ben prevedibile (art. 26 c.p.a.) ed agevolmente evitabile danno erariale per condanna alle spese che il comportamento dell’amministrazione scolastica ha recato alla finanza pubblica”.

Sono queste le pesantissime parole con le quali i magistrati del Tribunale Amministrativo della Toscana chiudono la sentenza n. 200 del 10 febbraio 2017.

Vediamo nel dettaglio la sentenza, integrando i passaggi più significativi, che rimarcano l’assoluta legittimità del richiedente all’acquisizione dei documenti, con recentissima giurisprudenza.

Il partecipante di un concorso bandito dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca che chiameremo signor Rossi, avendo appreso dal sito web dell’amministrazione di non avere superato gli scritti, faceva richiesta d’accesso agli atti ai sensi della L. 241/1990 e s.m.i., per ottenere copia dei propri elaborati scritti, nonchè i criteri di valutazione della prova.

Il Ministero pensava bene di non rispondere, avvalendosi della possibilità di utilizzare il silenzio-rifiuto previsto dal comma 4 dell’articolo 25 della legge 241/90.

Quindi, il signor Rossi impugnava il silenzio-diniego dell’amministrazione al TAR della Toscana.

I magistrati del Tribunale Amministrativo toscano accoglievano il ricorso sottolineando che in forza dell’articolo 22, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il diritto di accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l’imparzialità e la trasparenza (cfr. T.A.R. Torino, Sez. I, 23 maggio 2014, n.932; TAR Lazio, Roma, Sez. II°-bis, 1 aprile 2015, n. 4909; Cons. Stato, Sez. VI, 3 ottobre 2016, n. 4067).

Quindi, i giudici del TAR puntualizzano che l’esercizio del suddetto diritto può essere compresso esclusivamente nelle ipotesi indicate dal legislatore, ovvero secondo quanto previsto dalle disposizioni contenute all’articolo 24 (Esclusioni dal diritto di accesso) della citata legge sul procedimento amministrativo.

Va da sé che il diritto del ricorrente ad accedere alla documentazione era più che legittimo, in quanto non era stata chiesta nessuna informazione che riguardasse documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale (dati sensibili ex d.lgs. n. 196 del 2003) relativi ad altri partecipanti (chiaramente esclusi dalla lett. d comma 1 dell’articolo 24), la richiesta era finalizzata ad acquisire i propri elaborati e le schede/griglie di valutazione, relative alla propria posizione.

Nondimeno, non può sfuggire che il silenzio dell’amministrazione era palesemente illegittimo, infatti, ai sensi dell’articolo 24, comma 7, della L. n. 241/90 deve essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici, a questo diritto va garantita piena tutela. La norma esprime il fondamento costitutivo del diritto all’accesso previsto dalla legge generale sul procedimento amministrativo (sul punto ex plurimis: Cons. Stato, Sez. VI, 30 marzo 2017, n. 1457; Cons. Stato, Sez. V, 29 agosto 2016, n. 3714; Cons. Stato, Sez. VI, 28 luglio 2016, n. 3409; Cons. Stato, Sez. VI, 11 luglio 2016, n. 3045; Cons. Stato, Sez. VI, 6 luglio 2016, n. 3003; Cons. Stato, Sez. IV,13 aprile 2016, n. 1435 ).

Dunque, dovrebbe essere scontato che va assicurato ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi, il tutto senza che l’Amministrazione si sforzi di valutare la fondatezza e l’attinenza delle azioni giuridiche che l’interessato voglia compiere. Infatti l’istante può semplicemente limitarsi a fornire elementi idonei per dimostrare l’interesse che ricolleghi l’istanza ai documenti richiesti (cfr. TAR Lombardia Milano, Sez. I, 10 settembre 2014, n. 2336; Cons. Stato, Sez. V, 23 febbraio 2010, n. 1067).

Il diritto di accesso va riconosciuto a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell’accesso siano idonei a produrre effetti diretti o indiretti nei propri confronti (Cfr. ex multis: Cons. Stato, Sez. IV, 3 agosto 2010 n. 5173; Cons. Stato, Sez. VI, 9 marzo 2011, n. 1492; Cons. Stato A. P. 24 aprile 2012, n. 7).  In sostanza, l’amministrazione che ha formato o detiene la documentazione amministrativa richiesta non può negare o limitare l’ostensione se non per motivate e congrue esigenze di riservatezza (cfr. ex multis Tar Lazio, Roma, Sez. III, 5 novembre 2009 n.10838; Cons. Stato, Sez. 254 febbraio 2014, n. 863; Cons. Stato, Sez. III, 16 maggio 2016, n. 1978; Cons. Stato, Sez. V, 24 aprile 2015, n. 2096), che nel caso in esame, non sussistevano minimamente.

Ciò posto, i giudici amministrativi accolgono la domanda del signor Rossi di condanna delle spese, e ammoniscono fermamente il comportamento dell’amministrazione: “Si tratta di acquisizioni consolidate ed ormai note (o almeno dovrebbero esserlo secondo criteri di perizia ed intelligenza) dopo quasi un ventennio di esperienze e affermazioni giurisprudenziali, che qui è inutile ripetere e dalle quali emerge un principio di fondo che dovrebbe guidare tutti i funzionari e dirigenti pubblici, la cui osservanza eviterebbe una mole cospicua di inutile contenzioso, come quello presente. Tale principio può sintetizzarsi in ciò: l’accesso è la regola ed il rifiuto è l’eccezione, da dimostrare sempre e comunque con chiara, esauriente e convincente motivazione. Corollario di tale regole è che il silenzio serbato su istanze d’accesso è ipotesi ancor più eccezionale, da circoscrivere in ambiti limitatissimi di domande palesemente pretestuose, incerte, vaghe, emulative.

Regole semplici e fondamentali, ispirate, secondo l’ormai noto insegnamento dei giudici amministrativi, a valori fondanti di qualsiasi vera democrazia in cui la burocrazia è al servizio del cittadino e non di se stessa, secondo una logica perversa di autoreferenzialità in base alla quale il cittadine è suddito e non referente dell’azione amministrativa”.

Per di più, mi sia consentito aggiungere, non si può non considerare l’intervenuto irrobustimento del diritto di accesso per effetto del principio di portata assolutamente generale recato dall’art. 1, co. 1 e 2, del d.lgs. n. 33/2013 secondo il quale la trasparenza è intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, e la trasparenza (…) concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione. Essa è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 3 ottobre 2016, n. 4067).

Nel caso in esame, redarguiscono severamente i Giudici del TAR toscano, “il diritto del richiedente ad ottenere la documentazione necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici, è stato inspiegabilmente e slealmente violato dall’amministrazione scolastica con un silenzio tanto più inspiegabile a fronte dell’oggetto della richiesta, riguardante esclusivamente gli elaborati del solo richiedente e non quelli di altri, addirittura le stesse norme interne dell’amministrazione prevedevano l’immediata accessibilità. La violazione del principio di correttezza e lealtà, nonché la sussistenza degli elementi, costitutivi della colpa, di negligenza, imprudenza e imperizia non è certo affievolita dall’accoglimento tardivo della richiesta in corso di causa, il quale anzi evidenzia ancor di più l’intollerabile superficialità dell’azione amministrativa e del suo autore, il quale ha costretto senza ragione alcuna un cittadino a sopportare i costi di un processo per potersi vedere riconosciute le proprie ragioni, che un qualsiasi funzionario appena dotato di intelligenza ed umanità avrebbe subito compreso e soddisfatto.

E’ per quanto detto che la richiesta di domanda alla condanna alle spese formulata dalla difesa del ricorrente va accolta nella misura coerente anche con il grado della colpa della parte soccombente virtualmente e per le stesse esposte ragioni il Collegio invia copia della presente sentenza alla Procura Regionale Toscana della Corte dei Conti in conseguenza del ben prevedibile (art. 26 c.p.a.) ed agevolmente evitabile danno erariale per condanna alle spese che il comportamento dell’amministrazione scolastica ha recato alla finanza pubblica”.

 

Albanese Fulvio

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