Informatori e interesse pubblico in relazione all’accesso abusivo a sistema informatico

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La Corte di Cassazione chiarisce il ruolo degli “informatori” e il riconoscimento della qualità di “sistema di interesse pubblico” in capo al PRA (Pubblico Registro Automobilistico) in relazione al reato di accesso abusivo a sistema informatico.

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Corte di Cassazione – Sez. V Pen. – Sent. n. 1161/2024, ud. 29/11/2023

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Indice

1. I fatti

La Corte d’appello di Napoli, confermando la condanna pronunciata in primo grado, aveva ritenuto responsabili i due imputati, in concorso tra loro, il primo quale istigatore e il secondo (nella sua qualità di pubblico ufficiale in servizio presso la sezione di polizia giudiziaria della Procura della Repubblica di Avellino) quale esecutore materiale, del reato, aggravato ai sensi del comma terzo dell’art. 615-ter cod. pen., di accesso abusivo alla banca dati del Pubblico Registro Automobilistico.
I due imputati hanno proposto ricorso per Cassazione affidandolo a due motivi.
Il primo deduceva l’insussistenza del reato, sia sotto il profilo oggettivo, mancando la prova del concorso, sia sotto il profilo soggettivo, mancando la consapevolezza del carattere abusivo dell’accesso; il secondo, invece, atteneva alla sussistenza dell’aggravante, deducendo l’inosservanza di norma processuale e del vizio di motivazione. Nello specifico, secondo la difesa, tale aggravante, essendo finalizzata a rafforzare la protezione di quegli archivi che contengono informazioni riservate e, quindi, non ostensibili a terzi, sarebbe ontologicamente incompatibile con la funzione di pubblicità propria del registro automobilistico, contenente solo informazioni inerenti alla proprietà e alle vicende circolatorie relative ai veicoli in esso iscritti.

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2. Accesso abusivo a sistema informatico, informatori ed interesse pubblico: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione analizza la questione, chiarendo fin dal principio che la condotta dell’imputato in qualità di pubblico ufficiale non è in contestazione: l’accesso abusivo all’interno del PRA per effettuare ricerche nell’interesse del suo investigatore è avvenuto.
La Corte territoriale ha ritenuto l’accesso abusivo (in quanto realizzato per una finalità estranea alla funzione svolta in ragione del suo ufficio) e il PRA un servizio d’interesse pubblico.
La Suprema Corte argomenta citando consolidata giurisprudenza a Sezioni Unite (n. 41210/2017), secondo cui “l’utilizzo di credenziali proprie dell’agente e l’assenza di espressi divieti, non escludono la possibilità che l’accesso o il mantenimento nel sistema informatico dell’ufficio possa comunque essere qualificato abusivo, quando, pur formalmente corretto, risulti effettuato per finalità estranee a quelle proprie della funzione esercitata“. In altri termini, per poter giudicare sulla liceità dell’accesso, occorre aver riguardo non solo alla titolarità astratta del potere esercitato, ma anche al suo concreto esercizio e, quindi, alla finalità perseguita dall’agente, che deve essere confacente alla ratio sottesa al potere di accesso.
Per quanto riguarda il Pubblico Registro Automobilistico, questo è un registro nazionale gestito dall’ACI nel quale vanno registrate tutte le operazioni che riguardano le vicende circolatorie (come ad esempio l’immatricolazione, la compravendita, la demolizione, il leasing, i fermi amministrativi o i pignoramenti) o gli elementi identificativi riguardanti un veicolo. Ebbene, ad avviso della Cassazione, “i dati riportati all’interno del registro, coerentemente con la funzione di pubblicità (notizia) svolta dal registro, sono pubblici (attenendo il pagamento del corrispettivo dovuto per l’accesso alla sola gestione economica del servizio), ma l’accesso e la relativa gestione, proprio in ragione della funzione pubblicistica svolta dal registro, è rimesso a soggetti qualificati, in quanto tali titolari del riconosciuto potere di accesso“.
Ciò premesso, nella gestione del rapporto con il suo informatore, il ricorrente ha offerto l’accesso al PRA (nella specie, il mancato pagamento della somma prevista per l’accesso pubblico) a titolo di corrispettivo per le informazioni in precedenza ricevute, acquisendo e comunicando le notizie richieste evitandogli un pagamento.
Ed è questo il punto in cui la Corte si ricollega al ruolo dell’informatore, chiarendo che, sebbene tale figura non sia estranea al nostro ordinamento (si veda, ad esempio, l’art. 203 cod. proc. pen. il quale legittima gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria a non rivelarne i nomi), “la gestione del (pur legittimo) rapporto con l’informatore non può giustificare, in assenza di una specifica regolamentazione, l’esercizio di un potere e un connesso atto di disposizione delle entrate pubbliche a titolo di corrispettivo per le informazioni dovute“.
Quindi l’accesso, avvenuto pacificamente nell’interesse dell’informatore, deve ritenersi abusivo, proprio perché avvenuto per finalità estranee a quelle proprie dell’ufficio.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha ritenuto, dunque, illecita la condotta degli imputati, chiarendo che “anche in assenza di violazione di specifiche disposizioni regolamentari e organizzative, l’accesso può essere ugualmente abusivo ove si concretizzi in un reale sviamento del potere che ricorre non solo quando l’attività concreta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l’esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti formalmente corretta, ma orientata alla realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito“.
Se, infatti, l’abusività dipende anche dalla finalità per la quale il potere viene esercitato e se, parallelamente, utilizzare il sistema informatico per soddisfare interessi diversi da quelli proprio dell’amministrazione ne sostanzia la condotta, la Corte sostiene che la relativa consapevolezza è ontologicamente presupposta nella stessa richiesta di acquisizione delle informazioni e nella successiva comunicazione dei dati e la richiesta di informazioni, da acquisire nell’interesse privato del richiedente, rappresenta una chiara condotta concorsuale nella successiva esecuzione materiale del reato, che della richiesta ne è l’attuazione.
In conclusione, proprio in ragione del principio di tassatività delle norme penali, la Corte ha aderito a una interpretazione restrittiva, fondata su criteri oggettivi, connessi all’effettivo interesse pubblico al quale l’attività (e, con essa, il sistema informatico) è finalizzata, indipendentemente dal soggetto che la espleta o al quale questa è istituzionalmente collegata.
Considerato quanto sopra, la Suprema Corte ha rigettato i ricorsi degli imputati condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Riccardo Polito

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