L’economia della colpa

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Prolunghiamo nel futuro le esperienze del passato e quindi ci impigliamo nei lacci del passato” (Beck)

 

Nella individuazione della colpa il riferimento è la diligenza media che si esplica in un comportamento commissivo in generale od omissivo in alcune ipotesi precise, quello che è centrale risulta essere una capacità di previsione che si risolve in una prevedibilità non voluta ma accettata del danno, sulla cui percentuale presupposta si viene a rapportare la gravità della colpa.

Vi è quindi un rapporto non solo tra gli interessi di due individui ma tra gruppi sociali, ne consegue una ambivalenza tra tutela del singolo e quello dell’agire collettivo; è l’organizzazione sociale che nel focalizzare l’attenzione su alcune parti dell’ambiente influenza indirettamente i processi cognitivi, rendendo maggiormente accettabili schemi di comunicazione sociale come già osservato da Nisbett.

Se il comportamento e il processo cognitivo, per non parlare della fisiologia, influenzano e sono a loro volta influenzati dall’ambiente culturale, viene a porsi l’attenzione sul modello relativo alla costruzione della nicchia culturale in cui vi è una interazione bidirezionale, questo comporta dei cambiamenti ambientali che si risolvono in una selezione di sub-sistemi così che le pressioni sociali a livello comportamentale inducono a plasmare i processi cerebrali del singolo (Gazzaniga)-

Il concetto di responsabilità che è alla base del nostro sistema giuridico presuppone una variabilità psicologica individuale che rende plurimi i modi di risoluzione dei problemi, questa possibilità è anche una possibilità economica che nella suddivisione del lavoro e della conoscenza crea nello scambio sia il mercato che il progresso scientifico e tecnologico.

La possibilità delle azioni inibitorie rilevata da Brass e Haggard suggerisce l’esistenza di una predisposizione genetica all’autocontrollo dando fondamento al concetto di responsabilità contro il puro determinismo, si possono quindi recuperare i concetti di premeditazione, negligenza, conoscenza della propria condotta e pertanto anche quello di colpevolezza nell’accettazione consapevole di un rischio ingiustificato (Gazzaniga).

Sebbene siamo forniti fin dalla nascita di intuizioni morali sul senso di equità, di reciprocità e di punizione, che vengono successivamente rimodulate e miscelate fra loro a seguito delle diverse pressioni culturali (Sloane-Baillargeon-He), la cooperazione nei gruppi in presenza di “battitori liberi” fallisce per imitazione del comportamento opportunistico, se alcuni battitori possono servire per saggiare i punti deboli della coesione e porvi rimedio, migliorando il sistema, un loro successo comporterebbe la disgregazione dello stesso, una rinuncia alla responsabilità in favore di un individualismo asociale, in quanto se la natura umana rimane stabile il mondo sociale è in rapido cambiamento e con esso il comportamento (Gazzaniga), la responsabilità deve pertanto essere distribuita nelle regole che governano il sistema e recepita nei suoi comportamenti al fine di diminuirne la fragilità che la concentrazione comporta (Doyle).

La colpa è fondata sull’accettazione consapevole di un rischio che induttivamente riteniamo eccessivo e quindi ingiusto, in quanto addossato a terzi in violazione di divieti o di una sua accettazione cosciente, ma quale è la percentuale di rischio accettabile? Ecco intervenire l’aspetto culturale di chi giudica e delle stesse parti.

Il concetto di accettabilità del rischio si fonda sul valore che noi riconosciamo al bene oggetto del rischio, il quale non è altro che l’attribuzione di una determinata probabilità a ciascuno dei possibili “stati del mondo” che possono derivare quale conseguenza di una decisione, tale decisione secondo autori recenti non è altro che il riflesso dei “gradi di fiducia” posseduti da colui che valuta una volta che ha analizzato le informazioni in suo possesso (Lindley).

Nel rischio vi è un doppio livello quello individuale nel quale vi è una giustizia ripartiva e un livello collettivo nel quale emerge prepotentemente l’aspetto più strettamente economico della giustizia utilitaristica, tesa al bene della collettività, vi è quindi un intrecciarsi tra la logica emotiva del rapporto empatico e quella razionale, distaccata, dell’analisi dell’insieme, la quale a sua volta si fonda su una visione culturale della società.

Come ci ricorda Beck, “quanto maggiore e quanto più oggettivo appare un rischio, tanto più la sua realtà dipende dalla sua valutazione culturale. In altri termini, l’oggettività di un rischio è il prodotto della sua percezione e della sua (anche materiale) messa in scena”, ne consegue che l’accettabilità di un rischio è prevalentemente culturale.

La tecnologia dell’epoca attuale crea l’etica matematica del calcolo del rischio che si risolve in una richiesta di un “contratto sociale” contro le insicurezze che la mancanza di una rete sociale ristretta, familiare o di gruppo, crea nell’individuo il quale a sua volta è valorizzato di per sé nella società moderna in termini economici.

Beck parla di una impossibilità di assicurazione del rischio in una società globalizzata in cui il pericolo cresce con la velocizzazione e con l’accumulo di conoscenze e risorse economiche nonché tecnologiche, fino a indurre il sistema per l’impossibilità della misurazione e l’enormità delle cifre a creare una “irresponsabilità organizzativa”, ossia un occultamento funzionale al modello di sviluppo economico, si aggiunge quindi ad un livello collettivo percepibile un livello collettivo indefinito che è incalcolabile e non compensabile (Beck).

Habermas parla di “rapporti di definizione” e “rapporti di produzione”, i secondi fondati sul lavoro e pertanto relativi all’economia e alla produzione, i primi sulla interazione secondo una logica del conflitto, quindi relativi al diritto, alla politica e alla scienza, entrambi tuttavia poggiano in ultima analisi su un rapporto di potere definitorio come rilevato dallo stesso Beck.

 

Bibliografia

  • M. Bass-P.Haggard, The what, when, whether model of intentional action, Neuroscientist, 14 (4), 319-325;

  • U. Beck, Conditio humana, Laterza 2011;

  • M. Gazzaniga, Chi comanda? Scienza, mente e libero arbitrio, Codice ed. 2013;

  • R. E. Nisbett, Il tao e Aristotele. Perché asiatici e occidentali pensano in modo diverso, Rizzoli 2007.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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