Quando si ripete che “l’oro è del popolo italiano” come se questa formula bastasse a trasformare le riserve auree in un portafoglio spendibile dal Tesoro, si confonde la dimensione politica del consenso con la dimensione giuridica della disponibilità del bene, perché nel nostro ordinamento la sovranità popolare si esercita “nelle forme e nei limiti della Costituzione”, e quei limiti includono i vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea, che il legislatore nazionale non può aggirare con una mera dichiarazione identitaria; è precisamente in questo senso che l’idea della “riappropriazione” immediata si rivela una scorciatoia retorica, non una tesi giuridica, poiché la materia monetaria e la disciplina delle funzioni di banca centrale sono state collocate, per scelta costituzionale e per scelta europea, in un circuito di regole(1) che prescinde dalla volontà contingente del Governo di turno (Cost., art. 11; Cost., art. 117, co. 1 + 130 TFUE). Per approfondimenti, consigliamo il volume La disciplina del Golden Power, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.
Indice
1. L’istituzione Banca d’Italia e le riserve auree
La Banca d’Italia non è un “forziere parallelo” sottratto allo Stato, ma un soggetto istituzionale cui l’ordinamento attribuisce compiti e responsabilità coerenti con la partecipazione dell’Italia al SEBC, e proprio in questo quadro la gestione delle riserve ufficiali, incluse le riserve auree, non è una prerogativa politica liberamente riassegnabile a colpi di slogan, bensì una funzione da esercitare(2)secondo regole predeterminate; lo dice in modo netto la stessa disciplina interna di adeguamento al SEBC, quando affida alla Banca d’Italia la gestione delle riserve ufficiali “nel rispetto” dello Statuto del SEBC e della BCE (d.lgs. 10 marzo 1998, n. 43, art. 7, co. 2). Per approfondimenti, consigliamo il volume La disciplina del Golden Power, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.
La disciplina del Golden Power
Il volume offre un’analisi completa e aggiornata della disciplina italiana del c.d. golden power (D.L. 15 marzo 2012, n. 21), lo strumento attraverso il quale lo Stato tutela gli interessi strategici nazionali nei settori più sensibili dell’economia.Con un taglio sistematico e operativo, l’opera approfondisce l’evoluzione interpretativa della disciplina, anche alla luce della progressiva estensione del perimetro, e ne esamina l’applicazione concreta nei più recenti interventi della Presidenza del Consiglio dei Ministri e nelle pronunce giurisprudenziali italiane ed europee in tema di esercizio dei poteri speciali.Un’attenzione particolare è dedicata ai rapporti tra golden power e altri ambiti del diritto inevitabilmente interessati, quali, ad esempio, l’antitrust e la normativa sulle sovvenzioni estere. Attraverso i contributi di Autori provenienti da esperienze istituzionali, accademiche e professionali il volume propone una ricognizione completa dello stato dell’arte del golden power in Italia. Carlo Edoardo CazzatoAvvocato, senior partner di Orsingher Ortu – Avvocati Associati, professore a contratto di Diritto antitrust presso l’Università Mercatorum. Sergio FiorentinoAvvocato dello Stato e Agente del Governo presso la Corte di giustizia e il Tribunale dell’Unione europea.
Carlo Edoardo Cazzato, Sergio Fiorentino | Maggioli Editore 2025
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2. Indipendenza contabile
Il punto che i sostenitori della tesi “oro al popolo, dunque oro allo Stato” tendono a eludere è che qualunque manovra volta a rendere quelle riserve direttamente funzionali alla copertura del fabbisogno pubblico urta contro due pilastri dell’Unione economica e monetaria: il divieto di finanziamento monetario(3) e il principio di indipendenza delle banche centrali; da un lato, infatti, il diritto dell’Unione vieta alla BCE e alle banche centrali nazionali di concedere scoperti di conto o altre facilitazioni creditizie agli Stati e agli enti pubblici, e vieta anche l’acquisto diretto di titoli di debito pubblico (TFUE, art. 123), dall’altro, sancisce che né le istituzioni dell’Unione né i governi nazionali possono cercare di influenzare le banche centrali nell’assolvimento dei loro compiti (TFUE, art. 130), cosicché l’idea di “prendere” l’oro per metterlo a disposizione dell’Esecutivo non è un dettaglio tecnico, ma una compressione dell’indipendenza funzionale, che è la ragione stessa per cui la gestione delle riserve non è trattata come un capitolo della contabilità politica.
3. Bilancio
Qui si innesta l’equivoco contabile: l’iscrizione a bilancio, o l’etichettatura proprietaria, non coincide con la trasformazione di un bene in mezzo di copertura della spesa pubblica, perché la Costituzione impone un assetto di equilibrio e responsabilità finanziaria che non consente scorciatoie narrative, richiedendo che ogni maggiore onere trovi mezzi di copertura e che l’indebitamento segua regole e condizioni definite (Cost., art. 81).
In altri termini, anche a voler immaginare una riclassificazione contabile, resterebbe intatto il problema giuridico decisivo: la funzione delle riserve di banca centrale non è quella di “fare cassa”, e la loro gestione non è liberamente piegabile a finalità di bilancio senza collidere con la trama costituzionale ed europea che disciplina finanza pubblica e politica monetaria.
4. Vincoli
Se si volesse affrontare il tema in modo serio, bisognerebbe dirlo con franchezza: per rendere l’oro immediatamente utilizzabile come strumento di politica fiscale nazionale occorrerebbe mettere mano non a un comunicato, ma al quadro dei vincoli sovranazionali che l’Italia ha accettato, e che la Costituzione impone di rispettare, perché la potestà legislativa si esercita anche “nel rispetto” dei vincoli dell’Unione (Cost., art. 117, co. 1), e l’Italia consente limitazioni di sovranità per un ordinamento internazionale che assicuri pace e giustizia (Cost., art. 11).
Sul versante europeo, poi, va ricordato che tra i compiti fondamentali del SEBC rientra il “detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri” (TFUE, art. 127, par. 2), formula che, al netto delle discussioni definitorie, fotografa un punto essenziale: le riserve ufficiali non sono un magazzino fiscale, ma un segmento della funzione di banca centrale in un sistema unitario.
5. Conseguenze dei vincoli sulla monetizzazione dell’oro
Una politica che pretendesse di “monetizzare” l’oro per esigenze di bilancio, oltre a porsi in tensione con il divieto di finanziamento monetario (TFUE, art. 123) e con l’indipendenza (TFUE, art. 130), aprirebbe un fronte di frizione istituzionale e reputazionale che i mercati e i partner non valutano con categorie emotive, ma con categorie di rischio giuridico e politico, perché la credibilità di un ordinamento finanziario dipende dalla tenuta delle sue regole, e la tentazione di trasformare una riserva in liquidità pubblica è letta come segnale di instabilità, non come atto di “giustizia popolare”.
6. Diritto internazionale dell’economia
In una prospettiva di diritto internazionale dell’economia, la questione è ancora più semplice di quanto la propaganda faccia credere: le riserve delle banche centrali sono parte del linguaggio della stabilità nei rapporti finanziari globali, e il loro trattamento si intreccia con regole, prassi e reazioni che non dipendono dalla buona fede soggettiva di chi proclama “è nostro”, ma dall’affidabilità oggettiva del Paese nel rispettare i propri impegni e il proprio assetto istituzionale; proprio l’esperienza contemporanea delle misure restrittive e dei congelamenti di attività mostra che il sistema economico internazionale risponde in modo immediato quando percepisce condotte che alterano unilateralmente l’ordinato funzionamento delle istituzioni finanziarie: è un terreno in cui la sovranità non è un talismano, ma un equilibrio tra potere e responsabilità, e quel che si guadagna in consenso interno può essere pagato in costo esterno, sotto forma di sfiducia, premio per il rischio, irrigidimento dei canali finanziari.
7. Conclusione
Alla fine, il punto non è negare che l’oro appartenga, in senso lato, alla sfera pubblica e all’interesse collettivo, ma ricordare che nel diritto moderno la domanda vera non è “di chi è”, bensì “chi può disporne, come, per quali fini, e con quali limiti”, perché la disponibilità giuridica è funzione dell’assetto costituzionale ed europeo, e se si vuole cambiare quell’assetto bisogna dirlo apertamente, assumendosi l’onere di un percorso che incide su Costituzione e Trattati, non promettendo scorciatoie contabili; finché si resta dentro quel quadro, sostenere che basti affermare “oro del popolo” per convertirlo in copertura del bilancio equivale a scambiare il diritto per un atto di fede, dimenticando che i vincoli esistono proprio per impedire che le riserve monetarie diventino l’ennesimo strumento di spesa politica immediata (Cost., art. 81; Cost., art. 117; TFUE, artt. 123 e 130).
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