Quando la coltivazione di stupefacenti non è penalmente rilevante?

Quando la coltivazione domestica di cannabis è non punibile? Analisi delle Sezioni Unite tra minime dimensioni, uso personale e confini del reato.

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La questione della rilevanza penale della coltivazione domestica di cannabis continua a rappresentare un nodo interpretativo centrale nel diritto degli stupefacenti. In questo articolo ne esamineremo alcuni degli aspetti più rilevanti. Per approfondire ulteriormente il tema della legislazione in materia di stupefacenti, consigliamo il volume Stupefacenti – Manuale pratico operativo, disponibile sullo Shop Maggioli e su Amazon.

Indice

1. La ratio giurisprudenziale delle “minime dimensioni svolte in forma domestica”


Sezioni Unite Caruso del 2019 (dep. 2020) hanno affermato la non punibilità penale di una coltivazione domestica riservata ad un uso meramente personale. Più nel dettaglio, nel proprio dispositivo, il Precedente qui in esame precisa che “non sono punibili le attività di coltivazione di minime dimensioni, svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile e la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”. Come si può notare, Sezioni Unite Caruso opta per la non punibilità sulla base di sei caratteristiche di “pochità” della coltura e sulla base della finalità strettamente “personale” del prodotto coltivato e debitamente maturato.
I lemmi “coltivazione di minime dimensioni svolta in forma domestica” stanno ad indicare la “personalità” dei luoghi in cui si svolge la coltura nonché la “minimalità” delle dimensioni, ovverosia il numero non elevato di piante messe a dimora.
Sezioni Unite Caruso, sia pure pervenendo a conclusioni diverse, riprende quella che, in Sezioni Unite Di Salvia del 2008, era la distinzione tra “coltivazione tecnico-agraria” e, dal lato opposto, “coltivazione domestica”. Ossia, nelle Motivazioni di Sezioni Unite Di Salvia del 2008, è “tecnico-agraria”, ex Art. 73 TU 309/90, la coltivazione “caratterizzata da un elevato coefficiente organizzativo desumibile dal tipo di coltivazione posta in essere (se in terreno o in vaso), dal tipo di semina e di governo della coltivazione, dalla disponibilità di attrezzi, strutture e sostanze da cui desumere un approccio chiaramente imprenditoriale nella coltivazione”. Viceversa, sempre in Sezioni Unite Di Salvia del 2008, è “domestica”, ex Art. 75 TU 309/90, la coltivazione “effettuata in via approssimativa e rudimentale e i cui frutti sono funzionali ad un utilizzo meramente personale; essa è equiparabile, sul piano del trattamento penale, alla mera detenzione [ex Art. 75, non 73 TU 309/90] e, come tale, non assume rilievo penale, attesa la destinazione ad uso personale della sostanza estraibile dalla pianta coltivata”. Orbene, in Sezioni Unite Caruso è ben presente la differenziazione tra la “professionalità” e la “rudimentalità” del tipo di coltura. In Dottrina, sono solitamente condivise le caratteristiche della “coltivazione domestica” indicate in Sezioni Unite Di Salvia del 2008, con la precisazione che, nella maggior parte dei casi, la “rudimentalità” è data da una coltura “approssimativa”, dunque non professionale, in vaso e con una semina ed un “governo” manuale della pianta.
Quanto alle modalità della semina, in Sezioni Unite Di Salvia è “domestica” la semina in vaso. P.e., Cass., sez. pen. VI, 26 settembre 2016, n. 40030 dichiara “non punibile [ex Art. 73 TU 309/90] la coltivazione, all’interno di un terrazzo ed in un contesto urbano, di una sola pianta di canapa indiana”. Tuttavia, si tenga presente che, nella Giurisprudenza di merito, rimane comunque “domestica” la coltivazione rudimentale e minimale in un piccolo giardino privato od in una altrettanto piccola porzione di terreno pubblico. P.e., non è raro rinvenire colture “domestiche” conformi all’Art. 75 TU 309/90 lungo i fossi ed i canali nascosti in piena periferia. Invece, scatta la piena precettività dell’Art. 73 TU 309/90 qualora venga utilizzato un terreno agricolo “professionalmente” coltivato. In ogni caso, tanto Sezioni Unite Di Salvia quanto Sezioni Unite Caruso applicano l’Art. 75 TU 309/90 solamente alle coltivazioni “di minime dimensioni svolte in forma domestica”; dunque, una coltura “vasta” rimane penalmente perseguibile ex Art. 73 TU 309/90 qualora essa sia finalizzata all’uso personale ma non sia “di minime dimensioni”. Per approfondire ulteriormente il tema della legislazione in materia di stupefacenti, consigliamo il volume Stupefacenti – Manuale pratico operativo, disponibile sullo Shop Maggioli e su Amazon.

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2. Gli “indici sintomatici” giurisprudenziali della “destinazione in via esclusiva all’uso personale”


La “destinazione” della coltura è il discrimine autentico tra la sua rilevanza penale o quella amministrativa. Una coltivazione finalizzata allo spaccio/cessione a terzi è sussumibile all’interno del campo precettivo dell’Art. 73 TU 309/90, mentre una coltivazione destinata al solo uso personale ricade sotto l’ambito amministrativo dell’Art. 75 TU 309/90. Più precisamente, Sezioni Unite Caruso indica quattro “indici sintomatici” del c.d. “uso personale del coltivatore”, ovverosia

  • le rudimentali tecniche utilizzate
  • lo scarso numero di piante
  • il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile
  • la mancanza di ulteriori indici di un inserimento [delle attività di coltivazione] nell’ambito del mercato degli stupefacenti

3. La “rudimentalità” delle tecniche di coltivazione


La coltivazione “rudimentale” non è penalmente rilevante. Come precisa Cass., sez. pen. VI, 10 maggio 2007, n. 17983, è, invece, “coltivazione in senso tecncio-agrario”, ovvero imprenditoriale, quella che è caratterizzata da una serie di presupposti, quali la disponibiltià del terreno, la sua preparazione, la semina, il governo dello sviluppo delle piante e la presenza di locali destinati alla raccolta dei prodotti. Da quanto asserito in Cass., sez. pen. VI, 10 maggio 2007, n. 17983 è possibile, pertanto, affermare che è rudimentale, quindi non professionale, la coltura nella quale:

  • il terreno non è “imprenditorialmente” preparato, tranne l’allestimento del vaso o la buca in un piccolo pezzo di terra privata o pubblica
  • la semina è manuale e non meccanica
  • il “governo” dello sviluppo delle piante è manuale e non ricercato. P.e., i concimi e gli antiparassitari utilizzati sono quelli acquistabili in qualunque negozio; l’irrigazione è manuale; le erbe infestanti sono, del pari, estirpate a mano; non sono impiegate macchine agricole; non vi sono concimazioni o altri trattamenti professionali; non vengono installati apparecchi per monitorare l’umidità; non si adoperano prodotti chimici appositi
  • non vi sono locali per la raccolta e la conservazione delle piante maturate; l’Art. 75 TU 309/90 rimane applicabile qualora i luoghi per l’essicazione siano anch’essi “rudimentali”, come il garage o la cantina della dimora privata del coltivatore domestico

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4. La ratio dello “scarso” numero di piante ed i suoi contorni quantitativo-numerici


Sezioni Unite Caruso parla di “scarso numero di piante”, ma non specifica oltre a cosa ed a quanto corrisponda tale “scarsità” numerica. Nella Giurisprudenza di legittimità degli ultimi decenni, vi sono pareri molto discordanti al fine di precisare quale sia esattamente un numero “scarso” di piante, tale da far scattare la precettività amministrativa dell’Art. 75 TU 309/90 anziché quella penale dell’Art. 73 TU 309/90.
 
In Consulta 360/1995, si configurava il reato di coltivazione di stupefacenti solo se il numero di piante coltivate fosse tale da cagionare la produzione di una notevole quantità di principio attivo, tale da mettere in pericolo la salute collettiva di un grande numero di assuntori. Addirittura, nello stare decisis della Suprema Corte, taluni Precedenti, peraltro rimasti minoritari, applicavano subito l’Art. 73 TU 309/90 guardando ai soli semi messi a dimora, senza nemmeno contare la cifra delle piante germogliate; ciò perché, in queste Sentenze, il seme sotterrato era già reputato come “sanitariamente pericoloso” ex comma 1 Art. 32 Cost. . Altri Precedenti della Cassazione applicano l’Art. 75 TU 309/90 a fronte di una “esiguità del numero delle piante coltivate”, ma, in definitiva, ciò che conta è la “minimalità del principio attivo contenuto o ricavabile”. Altre Sentenze ancora reputano che il numero di piante è “scarso” solo se coerente e compatibile con una detenzione per uso meramente personale. In buona sostanza, quello che non si comprende è se la coltivazione sia “scarsa” sulla base della scarsità del principio attivo ricavabile/ricavato, oppure se la scarsità del numero di arbusti sia funzionale all’”uso personale” e su tale base essa debba essere valutata per distinguere tra l’applicabilità dell’Art. 73 TU 309/90 e quella dell’Art. 75 TU 309/90.
 
Forse, aiuta l’Art. 131 bis CP applicato al tema della “esclusione della punibilità” della coltivazione di marjuana “per particolare tenuità del fatto”. Entro questa prospettiva, un numero “scarso” di piante è quello che non oltrepassa il limite non-penale dell’uso personalistico. Dunque, come si nota, l’Art. 131 bis CP risulta utile al fine di riempire di significato i lemmi “scarso numero di piante”, ma ciò non risolve il problema della predeterminazione esatta di tale “numero” scarso.
 
Tanto per “dare i numeri”, nella Giurisprudenza di legittimità non è penalmente rilevante la coltura di 3, 5 o 13 piante per uso personale. Invece, più restrittivamente, nella Giurisprudenza di merito, è escluso l’Art. 73 TU 309/90 a fronte della coltura di 1 o 9 piante per uso personale. Viceversa, per la Suprema Corte, l’Art. 75 TU 309/90 non è mai precettivo nella fattispecie di 26 piante, giacché tale numero elevato esclude l’uso personale in capo al solo coltivatore. Più nel dettaglio, Cass., sez. pen. IV, 10 maggio 2017, n. 27524 ritiene “applicabile la causa di esclusione della punibilità [ex Art. 73 TU 309/90] alla coltivazione di diverse piante di marjuana da cui si ricavavano grammi 92 di sostanza (con un principio attivo di THC pari a 3,66%) (quindi un peso lordo di 2.513 grammi, compatibile con un numero di piante fra le 3 e le 5). Da segnalare è pure Cass., sez. pen. IV, 10 maggio 2017, n. 30238, che ha scriminato, poiché “scarsa”, dunque finalizzata all’suo personale, “la coltivazione di 13 piante di cannabis indica nel giardino di casa”. All’opposto, Cass., sez. pen. VI, 9 novembre 2016, n. 51615 ha reputato “non scarsa”, dunque penalmente rilevante, “la coltivazione di 7 piantine di cannabsi già poste a dimora a di altre 19 pronte per essere impiantate”. Analogamente, Cass., sez. pen. IV, 21 maggio 2019 ha qualificato come “non scarsa”, ex Art. 73 TU 309/90, la coltura di 5 piante non destinate al solo uso personale. Invece, nella Giurisprudenza di merito, Tribunale S. Maria Capua Vetere, 11 ottobre 2018 ha applicato l’Art. 75 TU 309/90 a fronte della coltivazione di 9 piantine. Similmente, Tribunale Napoli, sez. fer., 4 settembre 2015 ha escluso la rilevanza penale della coltura di 1 pianta soltanto, poiché non lesiva del comma 1 Art. 32 Cost e poiché manifestamente destinata ad un uso personale. Sintetizzando, è “scarsa” una decina di piante coltivate per finalità individuali; questa cifra approssimativa emerge dall’analisi della Giurisprudenza tanto di legittimità quanto di merito.

5. La ratio del “quantitativo ricavabile”


Sezioni Unite Caruso asserisce che uno degli indici della finalità dell’uso personale è “il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile” dalla coltivazione. Il problema è che, a maturazione completata, la pianta produce un quantitativo certo, ma, prima della maturazione integrale, bisogna presupporre una quantità finale che è solo potenziale, pertanto difficilmente preventivabile

6. Il prodotto finale “modestissimo”


Come intuibile, il lemma attributivo “modestissimo” è eccessivamente indeterminato. Anche in tal caso, è di aiuto la Giurisprudenza, che ha fissato dei limit ponderali sul tema delle quantità detenibili per uso personale, anche se, in ogni caso, ciò che conta è il singolo contesto specifico.
 
Non esistono certezze assolute nemmeno in tema di marjuana e di haschisch, in tanto in quanto, come garantisticamente statuito da Cass., sez. pen. VI, 19 settembre 2013, n. 39977, “è certo che l’eventuale superamento dei limiti tabellari indicati dall’Art. 73 bis comma 1 lett. a) TU 309/90 (25 mg per la dose singola e 500 mg per il quantitativo massimo detenibile) non determina alcuna presunzione di destinazione della droga detenuta ad un uso non personale, potendo essere considerato [questo superamento] solo un mero indizio”. Alla luce di Cass., sez. pen. VI, 19 settembre 2013, n. 39977, nell’ultima decina d’anni, soprattutto con attinenza alla canapa, la Magistratura di merito ha applicato sanzioni puramente amministrative, ex Art. 75 TU 309/90, anche ben oltre i 25 mg di DMS ed i 500 mg di QMD. Inoltre, Consulta 360/1995 ha ulteriormente complicato il panorama, nel senso che, alla luce della prevalenza della quantità del principio attivo, il dato ponderale talvolta era predominante, mentre altre volte passava in secondo piano, con la conseguenza che non era chiaro il limite del prodotto finale “modestissimo”.
 
In sintesi, negli ultimi anni, l’uso esclusivamente personale, ex Art. 75 TU 309/90, è riconosciuto in:

  • Corte d’Appello Cagliari, sez. pen. II, 19 dicembre 2013, n. 1510: principio attivo di 363 mg di THC, pari a 14 DMS
  • Cass., sez. pen. IV, 21 giugno 2013, n. 27346: 7,5 grammi di eroina pari a 48 DMG
  • Cass., sez. pen. IV, 11 settembre 2012, n. 34758: 48 grammi di haschisch, pari a 161 DMS
  • Cass., sez. pen. VI, 12 febbraio 2009, n. 12146: 38,736 grammi di haschisch e marjuana contenenti 1,328 grammi di principio attivo, pari al 3,4 %, da cui potevano essere ricavate 53,1 DMG
  • Cass., sez. pen. VI,  3 giugno 2008, n. 28720: 11,711 grammi di haschisch, con principio attivo pari a grammi 1,312
  • Cass., sez. pen. III, 19 settembre 2019, n. 43262: 11,485 grammi di haschisch da cui era possibile ricavare 39 DMS
  • Cass., sez. pen. IV, 26 giugno 2019: 50 grammi circa di haschisch

Come si può notare, 6 delle 7 Sentenze or ora citate qualificano il quantitativo modestissimo coniugando dato ponderale e dato qualitativo, ossia incidenza del principio attivo
All’opposto, la finalità della cessione a terzi, ex Art. 73 TU 309/90, prevale nelle seguenti Sentenze-pilota:

  • Cass., sez. pen. III, 2 ottobre 2012, n. 43496: 50,360 grammi di haschisch da cui erano ricavabili circa 2.033 DMS
  • Cass., sez. pen. IV, 7 maggio 2019, n. 35963: 700 DMS con 17 grammi di principio attivo (THC)
  • Cass., sez. pen. VI, 17 gennaio 2013, n. 9723: 88 grammi netti di marjuana da cui erano ricavabili circa 200 DMS
  • Cass., sez. pen. IV, 8 giugno 2016, n. 34834: 353 grammi lordi di marjuana

Come si vede, anche nell’escludere la precettività dell’Art. 75 TU 309/90, 3 delle 4 Sentenze qui menzionate continuano nell’utilizzare congiuntamente la ratio quantitativa del dato ponderale e quella qualitativa dell’intensità del principio attivo rilevato.

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7. La ratio del “prodotto [potenzialmente] ricavabile”


In Dottrina, commentando Sezioni Unite Caruso, molti Dottrinari hanno fatto notare che, sotto il profilo della pratica quotidiana, è pressoché impossibile prevedere quale sarà il “prodotto finale” della/nella coltivazione di uno stupefacente vegetale. Ciò è particolarmente vero nella fattispecie della canapa, la cui maturazione finale sfugge a qualunque previsione prestabilita. Detto in altri termini, è difficile predeterminare quale sarà lo specifico tenore drogante di una pianta di marjuana non ancora matura, in tanto in quanto la concentrazione di THC dipende caso per caso. Tendenzialmente, nella coltivazione domestica ad uso personale, il tenore di THC sarà basso, poiché la coltura non beneficia di migliorìe agricolo-imprenditoriali. Viceversa, nella coltivazione tecnico-agraria, dunque professionale, dunque penalmente rilevante, il livello di THC tende ad aumentare, grazie a “premure” non rudimentali, quali le tecniche accurate della coltivazione, la preparazione del terreno, l’irrigazione elettronica e l’impiego di appositi prodotti chimici che aumentano la qualità delle infiorescenze finali.
 
Per questi motivi, Sezioni Unite Caruso invita il Magistrato del merito a valutare, caso per caso, l’effettivo tenore drogante della pianta, la quale è criminologicamente/sanitariamente/socialmente “offensiva” soltanto qualora essa produca un effetto psicoattivo concreto. Detto con i lemmi di Sezioni Unite Caruso, “si può verificare, ex post, che la coltivazione abbia [concretamente] prodotto una sostanza [finale] inidonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile […] Dunque, la verifica dell’offensività in concreto [ex comma 1 Art. 32 Cost.] dev’essere diversificata a seconda del grado di sviluppo della coltivazione al momento dell’accertamento [della PG], e, quindi,:

  • qualora il ciclo delle piante sia completato, l’accertamento dovrà avere per oggetto l’esistenza [o meno] di una quantità di principio attivo necessario a produrre un [concreto] effetto drogante
  • nelle fasi pregresse di coltivazione, rileva penalmente [ex Art. 73 TU 309/90] la coltivazione, a qualsiasi stadio della pianta, che corrisponda al tipo botanico, purché si svolga in condizioni tali da potersene prefigurare il positivo sviluppo [con un tangibile tenore drogante almeno potenziale]”.

Come si può notare, Sezioni Unite Caruso esorta a “contestualizzare” la concentrazione di principio attivo per ciascuna pianta analizzata. All’opposto, il rischio è quello di sconfinare nei reati a pericolosità astratta, giacché l’offensività, almeno potenziale, dell’Art. 73 TU 309/90 si fonda su una lesione concreta o, perlomeno, potenzialmente e verosimilmente concreta del diritto alla salute ex comma 1 Art. 32 Cost. .
Il nocciolo problematico della questione, tuttavia, non è la misurazione del tenore drogante nella pianta matura, bensì in quella ancora in fase di sviluppo. P.e., spesso, la PG si trova a dover sequestrare una coltura domestica rudimentale ove il germoglio, o la pianta appena sbocciata o l’arbusto non ancora fiorito produrranno, come esito finale, un vegetale munito di un tenore di THC prossimo allo zero o, addirittura, pari a zero. Tant’è che, in Dottrina, quando si valuta una pianta non ancora formata, gli Operatori invitano alla massima prudenza, poiché l’offensività “astratta” delle colture rudimentali non è un’ipotesi remota. P.e., in Giurisprudenza, si fa spesso notare che la “imperizia del coltivatore” sovente azzera la concentrazione finale di THC. Viceversa, una coltivazione professionale può cagionare un notevole aumento finale del tenore drogante, grazie a prodotti chimici, fertilizzanti specifici e tecniche non approssimative.
Tutto ciò premesso, tuttavia, rimane il problema del calcolo numerico del tenore drogante, specialmente con attinenza alla canapa. Sino ad una trentina d’anni fa, una pianta “ordinaria” di cannabis conteneva un tenore drogante medio del 2 %, tant’è che, nelle primigenie tabelle del TU 309/90, la canapa indica era qualificata anche come “2% Delta-9-THC”. Anche nella Convenzione Unica di New York del 1961, si affermava che la percentuale media di THC nelle infiorescenze della marjuana si aggirava attorno al 2 %. Del pari, una DMG di 50 grammi di canapa contiene un tenore di THC pari, almeno di solito, al 2 %; al di sotto di tale soglia, “il fatto non sussiste”, poiché la sostanza non è sufficientemente psicoattiva, dunque sanitariamente non offensiva ex comma 1 Art. 32 Cost. . Ciononostante, di recente, non è raro rinvenire marjuana con un grado drogante del 15 o 20 %. P.e., nel 2018/2019, in media, la marjuana è pura al 12 % e l’haschisch al 17 %. La causa dell’aumento medio del THC ha sede nelle raffinate tecniche di coltivazione contemporanee, che “migliorano” la qualità del prodotto finale. Ormai, tranne nel caso delle colture domestiche ad uso personale, le coltivazioni illecite, in Italia, Libano, Albania e Marocco, avvengono in serra, con mezzi assai sofisticati e con una specifica selezione genetica delle sementi. Per conseguenza, è normale che il contenuto di THC sia oggi più elevato.
Logicamente, sotto il profilo giuridico, una pianta munita di un tenore drogante infimo genera un allarme socio-criminologico inferiore rispetto ad un arbusto con un’elevata concentrazione di THC. Detto in altre parole, con l’aumentare della percentuale di THC, aumenta anche la probabilità di un’intransigente applicazione dell’Art. 73 TU 309/90.
È vero che il grado di THC contenuto si rivela con un’analisi chimica, ma si tratta di procedure costose e, soprattutto, matematicamente certe solo nel caso di un arbusto già maturo. Per cui, spesso si moltiplica il “dato grezzo”, ossia presuntivo, per il “valore di principio attivo medio”. A tal proposito, Cass., sez. pen. IV, 25 marzo 1992, n. 5355 statuisce che “in tema di sostanze stupefacenti da cannabis indica […] la dose media giornaliera (in grammi), riferita ad un dato prodotto grezzo, si determina moltiplicando lo standard tabellare (DMG in grammi) per il valore del titolo di principio attivo esemplificato in tabella (rispettivamente, 2% per la marjuana – foglie ed infiorescenze di cannabis indica – e 10 % per l’haschisch) e dividendo il prodotto per l’indice (valore percentuale) di Delta-9-THC repertato nella sostanza in indagine”.
Rimane la problematica del calcolo del tenore drogante per la pianta di canapa appena germogliata o, comunque, non matura. È necessario predisporre due “calcoli presuntivi”. Un primo calcolo presuntivo è di natura ponderale, ossia bisogna misurare quale peso avrebbe avuto la pianta se matura/una volta maturata, differenziando però tra coltivazione rudimentale e coltivazione tecnico-agraria. Un secondo calcolo presuntivo è di natura qualitativa, ossia bisogna ipotizzare il tenore di THC che la pianta avrebbe manifestato se matura/una volta maturata. Ora, nell’ambito del secondo calcolo presuntivo, la L. 162/1990 fissava un dato medio del 2 %, ma il DM applicativo della L. 49/2006, poi abrogato, prevedeva un dato medio pari al 10-12 %, il che è più conforme alla realtà botanico-tossicologica contemporanea, nonostante l’abrogazione. Inoltre, si tenga presente che, mediamente, una pianta rudimentalmente coltivata contiene sempre meno THC di una professionalmente coltivata.

8. La ratio della “mancanza di indici di inserimento nel mercato delle droghe”


In Sezioni Unite Caruso, l’Art. 75 TU 309/90 è applicabile se mancano, nella coltivazione, indici dell’inserimento della coltura nel mercato degli stupefacenti, quindi se l’uso è strettamente individuale. Nella Giurisprudenza di legittimità, la coltivazione è/non è domestica e per un utilizzo individuale:

  • sulla base di eventuali contatti telefonici o telematici con potenziali acquirenti
  • sulla base di dichiarazioni testimoniali di terzi: acquirenti, fornitori di semi e, più latamente, persone che conoscevano la destinazione personale/non (solo) personale dello stupefacente
  • sulla base di circostanze soggettive in capo al coltivatore: stato eventuale di tossicodipendenza, precedenti penali in materia di stupefacenti, presa in carico al Sert

9. Il problema del rapporto tra uso personale e coltivazione di gruppo


Nell’Ordinamento italiano, l’uso di gruppo di stupefacenti rileva ex Art. 75 TU 309/90 e non ex Art. 73 TU 309/90. Nello specifico, Cass., SS.UU., 31 gennaio 2013, n. 25401 ha affermato che “[anche all’esito delle modifiche apportate dalla L. 49/2006 all’Art. 73 TU 309/90] il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, sia nell’ipotesi di acquisto congiunto sia in quella di mandato all’acquisto collettivo ad uno dei consumatori, non è penalmente rilevante, ma integra l’illecito amministrativo sanzionato dall’Art. 75 TU 309/90, a condizione che:

  • l’acquirente sia uno degli assuntori
  • l’acquisto avvenga, sin dall’inizio, per conto degli altri componenti del gruppo
  • sia certa, sin dall’inizio, l’identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anche finanziariamente all’acquisto”.

Ora, secondo l’orientamento prevalente, ed alla luce di Sezioni Unite Caruso, Cass., SS.UU., 31 gennaio 2013, n. 25401 è precettiva anche nei confronti della coltivazione per uso di gruppo. È sufficiente sostituire il lemma “acquisto” con il lemma “coltivazione”

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

Giurista italo-svizzero che lavora in Brescia
Si occupa prevalentemente di diritto penitenziario svizzero.
Si occupa di tutti gli ambiti della Giuspenalistica elvetica (Diritto Penitenziario svizzero, Criminologia, Statistiche criminologiche di lungo periodo, stupefac…Continua a leggere

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