Irricevibilità rinvio pregiudiziale alla CGUE: nesso causale

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Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea deve essere ben motivato da parte del Giudice interno, non può rinvenirsi la possibilità di decidere da parte della Corte di Giustizia qualora non sia riscontrabile il nesso di causalità tra la normativa ed i fatti di cui alla controversia relativa al procedimento principale e la normativa europea di riferimento.
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Corte di Giustizia dell’Unione Europea -sez. VII- causa C-70/22

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Indice

1. L’irricevibilità


La Corte di Giustizia (Settima Sezione) con sentenza del 27 aprile 2023 nella causa C‑70/22, è giunta a dichiarare la irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato (Italia), con decisione del 27 gennaio 2022, pervenuta in cancelleria il 1° febbraio 2022, nel procedimento Società V. contro Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM), nei confronti di: Società T.

2. I Fatti ed il Contesto Giuridico


1.      La domanda di pronuncia pregiudiziale verte, da un lato, sull’interpretazione degli articoli 3, 14 e 15 della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico») (GU 2000, L 178, pag. 1), letti in combinato disposto con l’articolo 56 TFUE, e, dall’altro, sull’interpretazione degli articoli 102 e 106 TFUE. 2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone la Società V., una società con sede a Ginevra (Svizzera), all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) (Italia) e all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) (Italia), in merito ad una sanzione pecuniaria di EUR 3 700 000 inflitta alla Società V. dall’AGCOM. Il Contesto giuridico: Accordo CE‑Svizzera: La Comunità europea e i suoi Stati membri, da un lato, e la Confederazione svizzera, dall’altro, hanno firmato il 21 giugno 1999 a Lussemburgo (Lussemburgo) sette accordi, tra cui l’Accordo sulla libera circolazione delle persone (GU 2002, L 114, pag. 6; in prosieguo: l’«Accordo CE‑Svizzera»). Mediante la decisione del Consiglio e, per quanto riguarda l’Accordo sulla Cooperazione Scientifica e Tecnologica, della Commissione, del 4 aprile 2002, relativa alla conclusione di sette accordi con la Confederazione svizzera (2002/309/CE, Euratom) (GU 2002, L 114, pag. 1), tali accordi sono stati approvati a nome della Comunità.
2.      Il Diritto dell’Unione statuisce che: Il considerando 19 della direttiva 2000/31 enuncia quanto segue: «Il luogo di stabilimento del prestatore va determinato in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, secondo la quale la nozione di stabilimento implica l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata mediante l’insediamento in pianta stabile. (…) Il luogo di stabilimento, per le società che forniscono servizi tramite siti Internet, non è là dove si trova la tecnologia di supporto del sito né là dove esso è accessibile, bensì il luogo in cui tali società esercitano la loro attività economica. (…)»
3.      Il Diritto italiano statuisce che: La legge dell’11 dicembre 2016, n. 232 – Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019 (supplemento ordinario alla GURI n. 297, del 21 dicembre 2016), nella versione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale (in prosieguo: la «legge del 2016»), contiene un articolo 1, il cui comma 545 dispone quanto segue: «Al fine di contrastare l’elusione e l’evasione fiscale, nonché di assicurare la tutela dei consumatori e garantire l’ordine pubblico, la vendita o qualsiasi altra forma di collocamento di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da soggetto diverso dai titolari, anche sulla base di apposito contratto o convenzione, dei sistemi per la loro emissione è punita, salvo che il fatto non costituisca reato, con l’inibizione della condotta e con sanzioni amministrative pecuniarie da 5.000 euro a 180.000 euro, nonché, ove la condotta sia effettuata attraverso le reti di comunicazione elettronica, secondo le modalità stabilite dal comma 546, con la rimozione dei contenuti, o, nei casi più gravi, con l’oscuramento del sito internet attraverso il quale la violazione è stata posta in essere, fatte salve le azioni risarcitorie. L’[AGCOM] e le altre autorità competenti effettuano i necessari accertamenti e interventi, agendo d’ufficio ovvero su segnalazione degli interessati. Non è comunque sanzionata la vendita o qualsiasi altra forma di collocamento di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da una persona fisica in modo occasionale, purché senza finalità commerciali».


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3. Procedimento principale e questioni pregiudiziali


La Società V., che ha la propria sede sociale nonché il domicilio fiscale in Ginevra, gestisce dei siti Internet che realizzano un’intermediazione tra consumatori per la rivendita di titoli di accesso ad attività di spettacolo e ad eventi sportivi. Dopo aver acquistato i loro biglietti presso operatori o venditori ufficiali, quali gli organizzatori dello spettacolo o dell’evento in questione o i distributori autorizzati («mercato primario»), alcune persone decidono talvolta di rivendere i biglietti acquistati. La Società V. è stata creata per far incontrare l’offerta e la domanda sul mercato della vendita dei biglietti di seconda mano («mercato secondario»). Tenuto conto della velocità con la quale i biglietti offerti sul mercato primario cessano di essere disponibili, segnatamente a causa del ricorso a programmi automatizzati di acquisto da parte di taluni utenti, il numero di persone alla ricerca di biglietti, in particolare per quanto riguarda gli spettacoli o gli eventi di grande richiamo, è continuamente aumentato e i siti Internet dedicati al mercato secondario in questione stanno riscuotendo un vero successo. In tale contesto, la Società V. effettua, sui siti Internet da  essa gestiti mediante una piattaforma ospitata negli Stati Uniti, una preselezione di un certo numero di spettacoli o di eventi. I possessori di biglietti, scegliendo lo spettacolo o l’evento corrispondente a tali biglietti, possono proporli in vendita sui suddetti siti Internet. La Società V. mette in contatto i venditori e gli acquirenti potenziali, offrendo servizi ausiliari come l’assistenza telefonica e a mezzo posta elettronica, il suggerimento di prezzi sulla base di un programma informatico e un sistema automatizzato di promozione dei biglietti per alcuni spettacoli o eventi. Poiché il fenomeno descritto nel procedimento interessato aveva raggiunto proporzioni giudicate inquietanti in Italia, segnatamente a causa della facilità di utilizzare la gestione di tali siti Internet per riciclare denaro derivante da attività illecite, e poiché il prezzo di vendita dei biglietti sul mercato secondario era ormai totalmente sproporzionato rispetto a quello al quale tali biglietti erano proposti sul mercato primario, il legislatore italiano ha messo in atto una politica volta ad arginare questo fenomeno, segnatamente mediante l’adozione dell’articolo 1, comma 545, della legge del 2016. A seguito di varie denunce depositate da società operanti nel settore dell’organizzazione di eventi musicali, da società di vendita di biglietti per eventi musicali sul mercato primario e da associazioni professionali, l’AGCOM ha effettuato un’attività di controllo sul sito Internet gestito dalla Società V.
Successivamente a tale controllo, l’AGCOM ha inflitto alla Società V., con la decisione n. 104/20/CONS del 16 marzo 2020, una sanzione amministrativa pecuniaria di EUR 3 700 000. Alla Società V. sono state addebitate 37 violazioni, commesse mediante detto sito Internet e attraverso un rinvio a tale sito contenuto su un social network, costituite dalla messa in vendita, tra il mese di marzo e quello di maggio 2019, di biglietti di concerti e di spettacoli a prezzi superiori ai prezzi nominali indicati sui siti di vendita autorizzati, senza che la Società V. fosse titolare dei sistemi di emissione di tali biglietti. La Società V. ha proposto un ricorso volto all’annullamento di detta decisione dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia), che lo ha respinto. Contro la sentenza del giudice di primo grado detta società ha proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato (Italia), giudice del rinvio. Tali sono le circostanze sulla scorta delle quali il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      Se la direttiva [2000/31], e in particolare gli articoli 3, 14 e 15, in combinazione con l’articolo 56 TFUE, ostino ad un’applicazione della normativa di uno Stato membro sulle vendite di biglietti per eventi sul mercato secondario che abbia l’effetto di precludere ad un gestore di una piattaforma di hosting operante nell[’Unione europea], quale è la ricorrente nel presente procedimento, di fornire a terzi utenti servizi di annunci di vendita di biglietti per eventi sul mercato secondario, riservando tale attività ai soli venditori, organizzatori di eventi o altri soggetti autorizzati da pubbliche autorità all’emissione di biglietti sul mercato primario con sistemi certificati.
2)      Se, in aggiunta, il combinato disposto degli articoli 102 TFUE e 106 TFUE osti all’applicazione di una normativa di uno Stato membro sulle vendite di biglietti per eventi che riservi tutti i servizi inerenti il mercato secondario dei biglietti (e in particolare l’intermediazione) ai soli venditori, organizzatori di eventi o altri soggetti autorizzati all’emissione di biglietti sul mercato primario con sistemi certificati, precludendo tale attività ai prestatori di servizi della società dell’informazione che intendono operare come hosting provider ai sensi degli articoli 14 e 15 della direttiva [2000/31], in particolare laddove, come nel caso di specie, tale riserva abbia l’effetto di consentire ad un operatore dominante sul mercato primario della distribuzione di biglietti di estendere la propria dominanza sui servizi di intermediazione nel mercato secondario.
3)      Se, ai sensi della normativa europea ed in specie della direttiva [2000/31], la nozione di “hosting provider passivo” sia utilizzabile solo in assenza di qualsiasi attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti pubblicati dagli utenti, intesi come indici esemplificativi e che non debbono essere tutti compresenti in quanto da ritenersi ex se significativi di una gestione imprenditoriale del servizio e/o dell’adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione, o se sia rimesso al giudice del rinvio l’apprezzamento della rilevanza delle predette circostanze in modo che, pur nella ricorrenza di una o più di esse, sia possibile ritenere prevalente la neutralità del servizio che conduce alla qualificazione di hosting provider passivo».

4. Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale


In primis, occorre ricordare che, per essere ricevibile, una domanda di pronuncia pregiudiziale deve essere necessaria ai fini della soluzione della controversia che il giudice del rinvio è chiamato a dirimere (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 30 e la giurisprudenza ivi citata), il che presuppone che le disposizioni del diritto dell’Unione su cui tale domanda verte siano applicabili a detta controversia.
A questo proposito, in primo luogo, la Corte rileva che le tre questioni sollevate dal giudice del rinvio vertono sull’interpretazione della direttiva 2000/31. Orbene, tale direttiva non è applicabile ratione personae alla controversia di cui al procedimento principale. Infatti, ai sensi del suo articolo 1, la direttiva 2000/31 si prefigge l’obiettivo di contribuire al buon funzionamento del mercato interno garantendo la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione «tra Stati membri». Dunque, ciò presuppone, perché tale direttiva sia applicabile ratione personae, che le prestazioni di servizi di cui trattasi vengano effettuate da prestatori di servizi stabiliti nel territorio di uno Stato membro, come ricordato dall’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva in parola.
A questo proposito, l’articolo 2, lettera c), della medesima direttiva definisce il «prestatore stabilito» come il prestatore che esercita effettivamente ed a tempo indeterminato un’attività economica mediante un’installazione stabile, precisandosi peraltro in detta disposizione che la presenza e l’uso dei mezzi tecnici e delle tecnologie necessarie per fornire il servizio in questione non costituiscono di per sé uno stabilimento del prestatore. In proposito, risulta dalla giurisprudenza che, poiché la possibilità di applicare l’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2000/31 è subordinata all’identificazione dello Stato membro nel cui territorio il prestatore del servizio della società dell’informazione in questione è effettivamente stabilito, spetta al giudice del rinvio verificare se tale prestatore sia effettivamente stabilito nel territorio di uno Stato membro. In mancanza di tale stabilimento, il meccanismo previsto dall’articolo 3, paragrafo 2, di detta direttiva non si applica (sentenza del 15 marzo 2012, G, C‑292/10, EU:C:2012:142, punto 71 e la giurisprudenza ivi citata).
Allo stesso modo, il divieto di applicare, per ragioni attinenti all’ambito regolamentato, restrizioni alla libera prestazione dei servizi di cui tratta la direttiva 2000/31 riguarda unicamente, secondo i termini espliciti dell’articolo 3, paragrafo 2, della medesima direttiva, i servizi «provenienti da un altro Stato membro».
Certamente, in applicazione dell’Accordo sullo Spazio economico europeo, del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3), il Comitato misto dello Spazio economico europeo (SEE) ha, con la decisione n. 91/2000, del 27 ottobre 2000, che modifica l’allegato XI (servizi di telecomunicazione) dell’Accordo SEE (GU 2001, L 7, pag. 13), esteso l’ambito di applicazione della direttiva 2000/31 al SEE, così che tale direttiva riguarda anche gli Stati che sono parti dell’accordo suddetto. Tuttavia, la Confederazione svizzera non figura tra questi ultimi. Inoltre, nessuna decisione è stata adottata dal Comitato misto UE‑Svizzera, istituito in applicazione dell’Accordo CE‑Svizzera, al fine di estendere l’applicazione di detta direttiva a tale Stato terzo.
Orbene, non è contestato che la Società V. è stabilita a Ginevra, ivi ha la propria sede ed ivi centralizza la propria attività economica, malgrado il fatto che essa gestisca i propri siti Internet in versioni accessibili in vari Stati membri dell’Unione e, segnatamente, in Italia. Le prestazioni di servizi di cui si tratta vengono dunque fornite a partire da uno Stato terzo ad opera di una società disciplinata dal diritto di tale Stato terzo.
La Corte di Giustizia ritiene pertanto che ne consegue che, contrariamente a quanto presuppone il giudice del rinvio, la direttiva 2000/31 non è invocabile dalla ricorrente di cui al procedimento principale. Poiché l’insieme delle questioni sollevate da detto giudice si ricollega a tale direttiva, la domanda di pronuncia pregiudiziale risulta, per tale motivo, interamente irricevibile.
In secondo luogo, la Corte ha precisato che riguardo alla prima questione, neppure l’articolo 56 TFUE è invocabile dalla Società V.. Infatti, tale articolo, salvo diversa previsione di un trattato o di un accordo internazionale, non è applicabile ad una società stabilita in uno Stato terzo rispetto all’Unione, quand’anche tale società fornisca servizi che i cittadini di taluni Stati membri o le società stabilite nel territorio di questi ultimi possono procurarsi (v., in tal senso, sentenza del 21 maggio 2015, Wagner‑Raith, C‑560/13, EU:C:2015:347, punto 36 e la giurisprudenza ivi citata).
Nel caso di specie, l’ambito di applicazione dell’Accordo CE‑Svizzera non permette alla Società V. di invocare l’applicazione dell’articolo 56 TFUE, dato che la particolarità di tale accordo è di prevedere, per quanto riguarda l’equiparazione dei prestatori di servizi stabiliti in Svizzera a prestatori stabiliti nel territorio di uno Stato membro, una limitazione temporale fissata a 90 giorni per ciascun anno civile.
Nel caso di specie, risulta dal fascicolo a disposizione della Corte che la Società V. fornisce prestazioni di servizi di durata superiore a quella prevista dall’Accordo CE‑Svizzera.
Anzitutto, per forza di cose, il fatto che un prestatore di servizi eserciti la propria attività esclusivamente per il tramite di siti Internet conferisce a quest’ultima un carattere quasi ininterrotto, o addirittura permanente. In particolare, riguardo ad un’offerta concernente l’annuncio della vendita di biglietti per un determinato spettacolo o evento, i potenziali acquirenti avranno la possibilità di manifestarsi in qualsiasi momento attraverso il sito Internet in questione. A questo proposito, non risulta dagli elementi forniti dal giudice del rinvio che il sito Internet gestito dalla ricorrente di cui al procedimento principale abbia, successivamente alla sua creazione, cessato in qualsivoglia momento la propria attività, il che viene confermato dal governo italiano, che fa presente che «il servizio di intermediazione sul mercato secondario è prestato [dalla Società V.] in via continuativa per l’intero anno civile».
Inoltre, risulta dagli elementi addotti dinanzi al giudice nazionale di primo grado che la Società V. è già stata sanzionata nel 2016 dall’AGCOM e che la sua attività non appariva limitata nel tempo.
Infine, da un lato, la decisione dell’AGCOM del 16 marzo 2020 che riguarda specificamente i mesi da marzo a maggio 2019, vale a dire 92 giorni, riguarda un periodo eccedente la durata massima di 90 giorni prevista dall’Accordo CE‑Svizzera. Dall’altro lato, risulta dalla sentenza emessa dal giudice nazionale di primo grado che l’ultima vendita sottoposta all’ispezione dell’AGCOM ha avuto luogo il 7 settembre 2019, ossia, in ogni caso, molto oltre i 90 giorni previsti dall’Accordo CE‑Svizzera.
Pertanto, la Società V. non rientra nell’ambito di applicazione ratione personae dell’articolo 56 TFUE e non può, di conseguenza, far valere la violazione di tale articolo nell’ambito della controversia di cui al procedimento principale, di modo che la prima questione, in quanto vertente sull’interpretazione dell’articolo summenzionato, è irricevibile anche sotto questo aspetto.
In secundis, la seconda e la terza questione inducono la Corte a ricordare la propria giurisprudenza secondo cui una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è irricevibile qualora quest’ultimo non fornisca alla Corte gli elementi di fatto e di diritto necessari per permettere a quest’ultima di rispondere in maniera utile (sentenza del 2 luglio 2015, Gullotta e Farmacia di Gullotta Davide & C., C‑497/12, EU:C:2015:436, punto 26).
Più specificamente, in nessun punto della domanda di pronuncia pregiudiziale il giudice del rinvio indica, in riferimento alla seconda questione, le ragioni che lo hanno portato a interrogarsi in merito all’interpretazione degli articoli 102 e 106 TFUE, né il nesso che esso stabilisce tra tali articoli e, in particolare, la legge del 2016, in contrasto con le prescrizioni risultanti dall’articolo 94, lettera c), del regolamento di procedura della Corte.
In particolare, per quanto riguarda gli articoli 102 TFUE e seguenti, e più specificamente l’esistenza di un eventuale abuso di posizione dominante, nessun riferimento viene fatto dal giudice del rinvio agli elementi costitutivi di una posizione dominante, ai sensi del citato articolo 102, nel contesto del procedimento principale (v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2013, Ragn‑Sells, C‑292/12, EU:C:2013:820, punto 41). Nulla viene detto riguardo a ciò che costituirebbe tale abuso di posizione dominante, né riguardo al modo in cui la legge del 2016 sarebbe suscettibile di condurre a un tale abuso (v., in tal senso, sentenza del 2 luglio 2015, Gullotta e Farmacia di Gullotta Davide & C., C‑497/12, EU:C:2015:436, punto 25).
Quanto alla terza questione, la Corte ricorda che la giustificazione del rinvio pregiudiziale non è la formulazione di opinioni a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche, bensì la necessità inerente alla risoluzione effettiva di una controversia (v., segnatamente, sentenze del 16 dicembre 1981, Foglia, C‑244/80, EU:C:1981:302, punto 18, e del 20 gennaio 2005, García Blanco, C‑225/02, EU:C:2005:34, punto 28 nonché la giurisprudenza ivi citata).
Pertanto, alla luce dell’insieme delle considerazioni esposte, la Corte di Giustizia (Settima Sezione) con sentenza del 27 aprile 2023 nella causa C‑70/22 giunge a dichiarare l’irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato (Italia), con decisione del 27 gennaio 2022.

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