Tribunale civile di Modica, Ordinanza del 16.3.04 ex art. 1168 c.c.

Redazione 08/04/04
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Tribunale civile di Modica, Ordinanza del 16.3.04 ex art. 1168 c.c. avente ad oggetto una nave ormeggiata, in materia di diritto di ritenzione in relazione al contratto (atipico) di ormeggio.

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TRIBUNALE CIVILE DI MODICA
(proc. n. 78/2004 R.G.)
Il giudice, dott.ssa Sandra Levanti,
letto il ricorso depositato in data 23 gennaio 2004 da ** **, elettivamente domiciliato a Modica, Corso Umberto n. 205, presso lo studio dell’avv. Salvo Maltese, rappresentato e difeso dall’avv. Aldo D’Avola, giusta procura a margine del ricorso;
letta la memoria di costituzione, depositata all’udienza del 23 febbraio 2004 da ** **, elettivamente domiciliato a Pozzallo, via La Montanina n. 3, presso lo studio dell’avv. Francesca Aprile, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Calcaterra, giusta procura a margine della comparsa di costituzione;
esaminati gli altri atti e documenti di causa e sciogliendo la riserva di cui al verbale di udienza del 23 febbraio 2004;
OSSERVA
Con ricorso depositato il 23.1.2004, ** ** esponeva:
che lo stesso era proprietario e possessore di un’imbarcazione modello Chris Craft della lunghezza di mt. 8,48, dotata di due motori Perkins da cento cavalli e cabina abitabile, del valore di € 35.000,00 circa;
che per tale imbarcazione esso ricorrente aveva stipulato un contratto di ormeggio con la Nautica ** di ** **, con sede in Pozzallo, c.da Palamentana s.n., con decorrenza dall’8.8.2003 all’8.8.2004;
che il canone annuo era stato pattuito nella misura di € 1.859,00, da pagarsi a trimestri posticipati e precisamente alle scadenze dell’8.11.2003, 8.2.2004, 8.5.2004 ed 8.8.2004;
che, nel mese di novembre del 2003, il ** aveva comunicato al ** la propria volontà di recedere dal predetto contratto, essendo suo intento vendere l’imbarcazione;
che il ** aveva accettato il recesso del ** ma, inspiegabilmente, con lettera raccomandata del 2.12.2003, aveva richiesto a quest’ultimo il pagamento di somme non dovute secondo contratto, pretendendo invero di applicare, in luogo della tariffa annuale – in conformità alle pattuizioni contrattuali – la tariffa mensile, ben più onerosa, per un importo di € 1.342,80;
che, dopo pochi giorni, il ** aveva ricevuto altra lettera proveniente dal legale del ** il quale, in contrasto con gli accordi intercorsi ed anche con il contenuto della precedente lettera a firma del ** medesimo, invocava una (asseritamente inesistente) decadenza dal beneficio del termine e chiedeva il pagamento dell’intero canone annuale (pari ad € 1.859,00);
che a tale missiva il ricorrente aveva risposto con lettera del 15.12.2003, con la quale aveva contestato le somme richieste sia dal ** che dal suo legale, aveva ribadito l’intervenuta risoluzione del contratto per avvenuta accettazione del suo recesso e fatto prontezza di provvedere al pagamento dei due trimestri a scadere sino all’8.2.2004, riservandosi di ritirare, entro tale data, l’imbarcazione;
che, in data 27.12.2003, il **, recatosi presso il pontile di c.da Palamentana insieme a tali ** e ** ** – interessati all’acquisto dell’imbarcazione – aveva trovato quest’ultima incatenata al pontile con una catena munita di catenaccio;
che, salito sull’imbarcazione, il ricorrente non aveva rinvenuto la chiave di accesso alla cabina, abitualmente riposta nel pozzetto di poppa, ed era riuscito ad entrare nell’imbarcazione solo perché aveva con sé una copia della relativa chiave, senza tuttavia poter consentire ai potenziali acquirenti di “fare un giro di prova”;
che, a quel punto, il ** aveva richiesto l’intervento dei Carabinieri della Stazione di Pozzallo (i quali redassero apposito verbale) ed il giorno successivo lo stesso aveva presentato denunzia-querela contro il ** per i fatti di cui sopra;
che, pertanto, il ** era stato arbitrariamente ed illegittimamente spogliato del possesso della sua imbarcazione;
che, nella specie, non poteva il ** invocare a proprio favore il diritto di ritenzione su quest’ultima, sia perché non ne ricorrevano i presupposti di legge, e sia perché, in ogni caso, vi era contrasto tra le parti circa la misura delle somme da corrispondere da parte del **;
che, peraltro, l’impossibilità di accedere all’imbarcazione aveva comportato ripercussioni fortemente negative per la vendita, con conseguenti danni.
Indi il ** chiedeva a questo Tribunale:
“reiectis adversis,
reintegrare e/o – alternativamente e non cumulativamente – mantenere il ricorrente nel possesso dell’imbarcazione di sua proprietà, ordinando alla resistente Nautica **, in persona del suo titolare e legale rappresentante ** **, di rimuovere senza indugio la catena che blocca l’imbarcazione e di riporre nel posto usuale la chiave di accesso alla cabina, il tutto con decreto ed inaudita altera parte, ricorrendone tutti i presupposti.
Con l’emissione di ogni altro consequenziale provvedimento.
Con espressa riserva di richiedere nell’instauranda fase di merito il risarcimento dei danni provocati dalla condotta antigiuridica del ** e di quelli subiti per il mancato esito delle trattative per la vendita”.
Con vittoria di spese e compensi.

Si costituiva ** ** e rilevava:
che il ricorso presentato dal ** doveva ritenersi improponibile, essendo già pendente azione esecutiva iscritta al n. 49/04 R.G. innanzi al giudice dell’esecuzione presso il medesimo Tribunale di Modica;
che, invero, con atto notificato a mezzo UNEP del Tribunale di Ragusa in data 22.1.2004 – antecedente, quindi, al deposito del ricorso ex art. 1168 c.c., avvenuto il 23.2.2004 – il creditore aveva iniziato azione esecutiva ai sensi dell’art. 2797, comma 1, c.c., intimando formalmente al debitore il pagamento della somma dovuta, oltre spese ed accessori;
che a tale atto il debitore, odierno ricorrente – a norma dello stesso art. 2797, comma 2, c.c. – avrebbe dovuto proporre opposizione entro i cinque giorni successivi innanzi al Giudice di Pace di Ragusa, competente per materia e territorio;
che, in difetto di opposizione, il creditore aveva avanzato istanza di vendita al giudice delle esecuzioni mobiliari presso il Tribunale di Modica il quale aveva nominato c.t.u. per la stima del bene ai fini della vendita, fissando per il 30.3.2004 l’udienza di comparizione delle parti innanzi a sé;
che, rilevato che il diritto di ritenzione di cui all’art. 2756 c.c. può essere esercitato solo finchè il soggetto che lo esercita detiene il bene, nella specie tale diritto era stato correttamente esercitato, come dimostrerebbe l’instaurazione del procedimento esecutivo di cui sopra, la quale presupporrebbe la detenzione dell’imbarcazione in capo al **;
che, del resto, poiché il contratto di ormeggio non poteva considerarsi risolto, atteso che il ** con la missiva del 2.12.2003 aveva inteso subordinare l’operatività del recesso da parte del ** all’adeguamento tariffario, il ** medesimo non aveva posto in essere alcun atto di spoglio ex art. 1168 c.c., costituendo il suo comportamento esercizio legittimo del diritto di ritenzione riconosciutogli dall’art. 2756 c.c.;
che detto diritto poteva senz’altro essere vantato dal **, provvedendo lo stesso alla cura ed al ricovero dell’imbarcazione, nonché alla custodia di quest’ultima, tanto che le chiavi di tutte le imbarcazioni ormeggiate nel pontile de quo erano tenute dal custode, in assenza del quale i proprietari delle imbarcazioni non potevano utilizzarle.
Indi, il ** chiedeva a questo Tribunale:
“1) dichiarare inammissibile o comunque improponibile il presente ricorso e per l’effetto
2) rigettare la richiesta di reintegra nel possesso avanzata da ** ** dell’imbarcazione DRAGUT ormeggiata presso il pontile della ditta Nautica ** di ** A. sito all’interno del porto di Pozzallo;
3) condannare ai sensi dell’art. 96 c.p.c. il ricorrente al risarcimento dei maggiori danni causati per la temerarietà della lite, da liquidarsi secondo equità”.
Con vittoria di spese e compensi.
All’udienza del 23 febbraio 2004, veniva sentito il ricorrente personalmente, nonché l’informatore ** ** e questo giudice si riservava di provvedere, assegnando alle parti termine di giorni dieci per il deposito di note.

Ciò posto in punto di fatto, si osserva che il citato ricorso merita accoglimento per le considerazioni di seguito svolte.

Preliminarmente, va esaminata l’eccezione di inammissibilità e/o improponibilità del predetto ricorso, sollevata da parte resistente e fondata sulla instaurazione, in epoca antecedente la proposizione del ricorso medesimo, di procedura esecutiva iniziata dal ** ed avente ad oggetto l’imbarcazione di cui il ** oggi lamenta lo spoglio ex artt. 703 c.p.c. e 1168 c.c..
Trattasi, precisamente, della speciale procedura di esecuzione coattiva prevista dall’art. 2797 c.c. per i creditori che godono di privilegio, nonché del diritto di ritenzione, sui beni detenuti per prestazioni e spese di conservazione e miglioramento inerenti i beni medesimi (v. art. 2756, comma 3, c.c. che rinvia alla procedura per la vendita del pegno, contemplata – per l’appunto – dall’art. 2797).
Nella specie, il ** – secondo la detta procedura – ha notificato al **, in data 22.1.2004, l’intimazione di pagare il debito (qui, € 1.859,00) e gli accessori, avvertendolo che in mancanza si sarebbe provveduto alla vendita.
Decorsi i cinque giorni previsti dal II comma della disposizione codicistica in parola per la proposizione, da parte del debitore, dell’opposizione, senza che il ** si fosse avvalso di tale rimedio giuridico, e precisamente in data 28.1.2004, il ** presentava al giudice dell’esecuzione istanza di vendita coattiva; il giudice medesimo, in data 5.2.2004, nominava il c.t.u. per la stima del bene da vendere e fissava per il 30 marzo p.v. l’udienza per la vendita.
Secondo l’assunto di parte resistente, l’azione di reintegrazione nel possesso esperita dal ** sarebbe inammissibile, atteso che lo stesso avrebbe dovuto e potuto far valere le sue eventuali doglianze esclusivamente attraverso lo strumento dell’opposizione all’intimazione, stante la pendenza del procedimento esecutivo di cui s’è detto.
Il descritto rilievo non appare fondato, ove si consideri l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, formatosi negli anni, in sede interpretativa dell’art. 2797 c.c..
In una pronuncia del 1987 (la n. 7179 dell’1.9.1987), il Supremo Collegio affermava che l’opposizione in discorso, a differenza dell’opposizione a decreto ingiuntivo, poteva essere proposta solo per motivi di rito e non anche di merito.
Precisamente, si legge nella relativa massima: “mentre l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un normale giudizio di merito che si svolge secondo le norme del procedimento ordinario (art. 645, secondo comma cod. proc. civ.), nel quale il creditore opposto, nella sua posizione sostanziale di attore, può proporre la domanda di accertamento della propria pretesa creditoria e di condanna dell’altra parte al relativo pagamento,tale disciplina non è affatto applicabile alla opposizione che venga proposta avverso la speciale procedura di esecuzione coattiva di cui agli artt. 2756 e 2797 cod. civ. sia perché l’intimazione di cui all’art. 2797 ha una funzione diversa da quella del decreto ingiuntivo, realizzando l’esercizio dello ius vendendi concesso al creditore pignoratizio o al titolare del credito privilegiato relativo a prestazioni e spese di conservazione o di miglioramento di beni mobili con funzione analoga al precetto, sia perché l’opposizione alla procedura coattiva può essere fatta soltanto per questioni attinenti alla regolarità dell’intimazione e al diritto di procedere alla vendita, oppure al fine di limitare la vendita ad alcune delle cose pignorate; tanto che, per l’opposizione in questione – a differenza di quanto espressamente disposto dall’art. 645, secondo comma cod. proc. civ. per l’opposizione a decreto ingiuntivo – non sono affatto richiamate le norme del procedimento ordinario e la medesima non può far luogo ad un autonomo giudizio di cognizione, nel quale il giudice possa accertare la fondatezza o meno, nel merito, delle contrapposte pretese delle parti e deliberare sulle relative domande. Ne consegue che la mancata opposizione alla speciale procedura ex art. 2797 cit. non comporta preclusione all’accertamento del titolo del venditore a mezzo di giudizio ordinario di cognizione” (già nello stesso senso Cass. 3383/1979).
Recentemente, i supremi giudici di legittimità sono tornati ad esaminare la questione e, rivedendo la posizione espressa con la citata sentenza del 1987, hanno ammesso che l’opposizione ex art. 2797 c.c. può essere proposta anche per motivi di merito, oltre che di rito.
La Corte regolatrice, nella sentenza n. 11893/1998, ha motivato tale nuovo principio osservando che
“1) pur trattandosi di procedura speciale, che mira al sollecito soddisfacimento del diritto del creditore privilegiato, la lettura della normativa in discorso non autorizza la limitazione dell’iniziativa del debitore alle sole questioni attinenti al rito (l’art. 2797 cit. parla soltanto di “opposizione”);
2) il rilievo che precede è avvalorato dalle seguenti osservazioni: a) la norma che prevede l’opposizione in discorso è prevista in un testo legislativo di diritto sostanziale (sedes materiae); b) in dottrina e giurisprudenza si propende per la tesi, secondo cui la inosservanza di alcuni pochi aspetti processuali della fattispecie in discorso (come la ritualità della intimazione al debitore, di cui all’art. 2797, primo comma) non comporta nullità alcuna (Cass. n. 1333 del 1976); per cui è difficile reperire ulteriori aspetti, che depongono a favore della tesi sostenuta dalla ricorrente (nel senso che la procedura de qua permetterebbe soltanto opposizioni di natura processuale);
3) infine, la tesi medesima non si concilia con il principio della economia processuale, perché, se fosse fondata, costringerebbe il debitore ad iniziare un altro processo, in cui fa valere tardivamente le sue ragioni”.
Non sembra, peraltro, che il più recente arresto della Suprema Corte importi di ritenere l’inammissibilità del ricorso presentato dal **, per il fatto che questi, potendo l’opposizione in discorso ospitare anche questioni di merito, avrebbe dovuto contestare la pretesa del ** necessariamente mediante tale rimedio.
Ed invero, proprio l’affermazione di cui al n. 3) della parte motiva – sopra riportata – della sentenza del 1998 fa agevolmente intuire che, se è vero che l’opposizione de qua può essere fondata anche su motivi concernenti il merito, tuttavia il debitore resta libero di scegliere lo strumento di tutela che preferisce, ed in particolare l’azione per l’instaurazione del giudizio di cognizione ordinaria.
Nella fattispecie sottoposta all’esame dei supremi giudici, il debitore, invero, piuttosto che esperire l’azione di cognizione ordinaria, aveva scelto l’opposizione in discorso quale sede per avanzare le sue doglianze di merito: una rigorosa adesione all’indirizzo espresso dalla Cassazione nel 1987 avrebbe comportato il rigetto dell’opposizione medesima e la necessità per il debitore medesimo di iniziare il giudizio di cognizione ordinaria, penalizzando ingiustamente il debitore.
In definitiva, il passo avanti compiuto dalla Cassazione nel più recente dictum consiste – secondo il modo di vedere di questo decidente – nella statuizione del principio per cui il debitore, per sollevare le questioni di merito di cui s’è detto, può, nel libero esercizio dei propri diritti di tutela giurisdizionale – ma non anche deve – avvalersi dell’opposizione di cui al II comma dell’art. 2797 c.c..
Ciò può valere, in particolare, nel caso in scrutinio, in cui tra l’altro il debitore, ricevuta in data 22.1.2004 la notifica dell’intimazione da parte del creditore, il giorno successivo, ossia il 23.2.2004, e quindi nella pendenza del termine di cinque giorni per proporre l’opposizione, piuttosto che spiegare quest’ultima, ha depositato ricorso per azione possessoria ex art. 1168 c.c., azione rispetto alla quale il ** è sicuramente in termini, non essendo ancora decorso l’anno dallo spoglio, collocabile nel dicembre del 2004.
Né, d’altro canto, il superiore principio può considerarsi inapplicabile nella specie, ove il debitore non ha incoato un giudizio di cognizione ordinaria, bensì un giudizio possessorio a tutela del proprio potere di fatto sul bene, sia perché si è al cospetto del tipico caso in cui l’azione di reintegra è strumento di tutela anche della proprietà (spettante allo stesso **), e sia perché, in ogni caso, il giudizio possessorio, contraddistinto – secondo il più recente orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione – dall’unitarietà tra fase sommaria e fase di merito, si conclude proprio con una cognizione piena, che, nella specie, ha ad oggetto – come si vedrà oltre – l’accertamento della sussistenza di un diritto di ritenzione in capo al convenuto, e quindi della fondatezza della pretesa dallo stesso posta a base dell’iniziata procedura di vendita coattiva.
Ciò posto, va per l’appunto esaminato il merito della controversia, nel senso che va accertata la ricorrenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione di reintegra nel possesso, primo fra tutti il lamentato spoglio.
Al riguardo, è necessario verificare se la condotta posta in essere dal ** (incatenamento dell’imbarcazione) costituisca o meno legittimo esercizio del diritto di ritenzione – se così fosse egli avrebbe agito nell’esercizio di un diritto, con conseguente esclusione dell’antigiuridicità del suo comportamento -; a tal fine, occorre stabilire se il ** avesse derivato un tale diritto dal contratto di ormeggio stipulato con il **.
Sul punto, giova innanzitutto qualificare tale contratto, alla luce del contenuto che lo stesso ha assunto nella fattispecie che ci occupa.
In generale, in una assai chiara sentenza del 1994, la Corte di Cassazione, ripercorrendo, in certa misura, l’iter logico-argomentativo seguito per l’inquadramento del contratto (atipico) di parcheggio di autovetture, ha affermato che “il c.d. contratto di ormeggio non trova alcuna specifica regolamentazione né nel codice civile né in quello della navigazione, che si limita a dettare norme sulla professione di ormeggiatore (art. 116 c. 1 n. 4 c.n. e 208 e ss. reg. nav. mar.), sicchè costituisce un contratto atipico, che il diritto non può non riconoscere, in quanto diretto a realizzare un interesse meritevole di tutela (art. 1322 c. 2 c.c.).
Tale contratto atipico non può, tuttavia, essere equiparato, sic et simpliciter, analogamente a quanto è stato ritenuto per il contratto di parcheggio delle autovetture, al deposito, sì da doversi ritenere applicabili analogicamente le disposizioni di cui agli artt. 1766 ss. c.c.,potendo avere un oggetto più vario ed articolato, in dipendenza delle attrezzature e dell’organizzazione del porto turistico ed, alla fine, degli accordi tra le parti, nell’espletamento della propria autonomia contrattuale”(Cass. 21.10.1994 n. 8657).
Si è, pertanto, affermato che il contratto di ormeggio si qualifica in termini di locazione, quando appaia caratterizzato “da una struttura minima essenziale (in mancanza della quale non può dirsi realizzata la detta convenzione negoziale), consistente nella semplice messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture portuali, con conseguente assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo”; è, invece, riconducibile alla figura del deposito, allorché il suo contenuto si “estenda anche ad altre prestazioni (sinallagmaticamente collegate al corrispettivo), quali la custodia del natante e/o quella delle cose in esso contenute”: così si è espressa Cass., sent. n. 10118, sez. III del 2.8.2000, facendo applicazione dei principi delineati dal medesimo Collegio nel 1994.
Nel caso a mano, occorre allora interpretare la volontà negoziale manifestata dalle odierne parti in causa nel contratto c.d. di ormeggio stipulato in data 9.8.2003, con decorrenza dall’8.8.2003, in ciò guidati dai canoni di ermeneutica contrattuale, primo fra tutti quello contemplato all’art. 1362 c.c., che impone la ricerca della “comune intenzione delle parti”, alla luce, innanzitutto, del “senso letterale delle parole” del testo contrattuale ed inoltre, ad ulteriore supporto, del “comportamento complessivo” delle stesse “anche posteriore alla conclusione del contratto”.
Il tenore letterale del contratto in esame, alla luce di una valutazione complessiva delle clausole che lo compongono (art. 1363 c.c.), fa senz’altro deporre per la sua riconduzione alla fattispecie negoziale della locazione, in quanto:
a) l’art. 4 dello stesso individua quale precipuo oggetto della convenzione “il posto barca”, cui si aggiungono servizi collaterali, legati pur sempre alla utilizzazione delle strutture portuali, quali “l’assistenza durante le operazioni d’arrivo e partenza; il prelievo d’acqua dolce dalle colonnine del pontile (in quantità ragionevole)”, mentre si specifica che “sono esclusi i servizi d’alaggio, tecnico-meccanici (n.d.r., così escludendo eventuali servizi, e correlativi obblighi, di manutenzione) e la fornitura d’energia elettrica”;
b) il medesimo articolo 4 si preoccupa, inoltre, di escludere l’“assunzione di responsabilità di custodia per danni o furti subiti dalle imbarcazioni per qualsiasi causa o ragione”;
c) la non previsione di qualsiasi obbligo di custodia concernente la singola imbarcazione è, poi, confermata dal fatto che è contemplato un servizio di “sorveglianza”, che però è riferito a “tutta l’area di ormeggio delle imbarcazioni” (trattasi dell’assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo, di cui parla la citata sentenza del 2000 della Cassazione), nonché dalla disposizione che correla il dovere di consegna, alla ditta, delle chiavi dell’imbarcazione esclusivamente a “motivi di sicurezza” o ad “esigenze di servizio”, che autorizzano il personale nautico a spostare l’imbarcazione medesima ormeggiata, ed all’evenienza di “assenza di equipaggio” (art. 9);
d) elemento di rilievo, di per sé non decisivo, ma integrativo rispetto ai precedenti, è infine l’espresso richiamo che le parti, all’art. 13, fanno, “per quanto non espressamente previsto dal contratto”, “alle disposizioni contenute negli artt. 1571-1606 c.c.”, disciplinanti per l’appunto il contratto di locazione.
Quanto detto appare confermato anche dal comportamento delle parti successivo alla stipulazione del contratto, essendo emerso dall’assunzione delle informazioni, all’udienza del 23.2.2004, che detentore delle chiavi delle barche era tale Antonio, ausiliario del **, incaricato della sorveglianza dell’area portuale (lo stesso ** parla, nella comparsa di costituzione, di ‘custode del pontile’ ed anche la Cassazione, nella sentenza del 1994, precisa che alla qualificazione in termini di locazione “non osta la presenza di personale del concedente, al fine di regolare gli arrivi e di riscuotere i corrispettivi”).
Orbene, la Suprema Corte e la migliore dottrina insegnano che “in claris non fit interpretatio”: l’interprete può ricercare un significato diverso da quello letterale in base ad altri criteri ermeneutici soltanto nell’ipotesi di ambiguità della clausola contrattuale e subordinatamente alla rigorosa dimostrazione dell’insufficienza del mero dato letterale ad evidenziare in modo soddisfacente la volontà negoziale (ex multis, Cass. 5082/92; Cass. 7895/94).
Applicazione specifica di detto generale principio è costituita dall’altro, secondo il quale – come evidenziato dai giudici di legittimità nella più volte citata pronuncia del 1994 -, quando l’unitario esame del testo contrattuale, o comunque l’accordo delle parti siccome manifestatosi nei loro rapporti concreti, depone nel senso della sussunzione nella figura della locazione, “incombe a colui che fonda un determinato diritto (o la responsabilità dell’altro contraente) sulla struttura del contratto, fornire la prova dell’oggetto e del contenuto, la prova, cioè, che il contratto ha avuto ad oggetto non la semplice utilizzazione delle strutture, ai fini dell’attracco e della sosta, ma altresì la custodia dell’imbarcazione. Trattandosi di contratto (o di contratti) per il quale non è richiesta alcuna forma, la relativa prova può essere data anche attraverso testimoni e può, eventualmente, essere tratta da presunzioni che presentino i connotati della gravità, della precisione e della concordanza (art. 2729 c.c.)”.
Nel caso di specie, sarebbe stato onere del ** provare la sua titolarità di un diritto di ritenzione in virtù, non certo dell’esecuzione di miglioramenti, di cui non si discute affatto, bensì di un obbligo di ‘conservazione’ in capo a sé medesimo, obbligo cui si aggancia il dovere di custodia del depositario, tenuto a restituire la cosa nel medesimo stato di fatto e di diritto rispetto a quello iniziale: dovere, quello di custodia del depositario, per l’appunto assistito dal potere di ‘autotutela privata’ – diritto di ritenzione -, che l’art. 2761 c.c., in applicazione dell’art. 2756, comma 3, c.c., espressamente gli attribuisce.
In definitiva, mancando la prova della sussistenza di un “debitum cum re iunctum”, presupposto indispensabile per l’esercizio del diritto di ritenzione, che – giova ricordarlo – spetta solo nelle ipotesi espressamente previste, costituendo eccezione al principio generale della tutela giurisdizionale dei diritti e del conseguente divieto di “farsi giustizia da sé” e che la stessa Cassazione disconosce “al comodatario e al locatario che abbiano fatto spese straordinarie sugli immobili tenuti in godimento” (v. sent. n. 2871/54), l’incatenamento, da parte del **, dell’imbarcazione del ** al pontile di c.da Palamentana in Pozzallo integra un vero e proprio atto di spoglio, ricorrendone tutti gli elementi oggettivi e soggettivi, tutelabile, senz’altro, ai sensi dell’art. 1168 c.c..
Va, pertanto, ordinata la reintegrazione del ricorrente nel possesso dell’imbarcazione di sua proprietà, attraverso la rimozione della catena che blocca la stessa al pontile predetto e la collocazione, nel posto usuale, della chiave di accesso alla cabina.
Per Questi Motivi
ACCOGLIE il ricorso presentato, ex artt. 703 c.p.c. e 1168 c.c., in data 23 gennaio 2004 da ** **, nato a Ragusa il 4.4.1957 ed ivi residente in Viale Leonardo Da Vinci n. 24, elettivamente domiciliato a Modica, Corso Umberto n. 205, presso lo studio dell’avv. Salvo Maltese, rappresentato e difeso dall’avv. Aldo D’Avola, nei confronti di ** **, elettivamente domiciliato a Pozzallo, via La Montanina n. 3, presso lo studio dell’avv. Francesca Aprile, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Calcaterra.
ORDINA, per l’effetto, a ** ** la rimozione della catena che blocca l’imbarcazione di proprietà di ** ** al pontile di c.da Palamentana in Pozzallo, nonché la collocazione, nel posto usuale, della chiave di accesso alla cabina, entro giorni 3 dalla notificazione del presente provvedimento.
DISPONE che, in caso di mancato spontaneo adempimento, provveda all’esecuzione dell’ordinanza il competente Ufficiale Giudiziario.
RINVIA all’udienza del 28.6.2004, ore 9.30 e ss., per la trattazione del merito possessorio, assegnando alle parti termine sino a venti giorni prima, per eventualmente integrare le difese.
Modica, 16 marzo 2004.
Il Giudice
dott.ssa Sandra Levanti

Redazione

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