Tar Lazio Roma, I Sez., 10/10/2007, n° 10502/2007 riammissione in servizio del magistrato dimissionario, a causa di procedimento penale, poi prosciolto.

Scarica PDF Stampa

(1) Ordinamento Giudiziario – domanda di riammissione in servizio ex art. 3 l. 350/03 – magistrato dimissionario a seguito di procedimento penale –  proscioglimento con formula piena – diritto soggettivo perfetto al reingresso in magistratura – sussiste – scopo risarcitorio della norma.

 

(2) Ordinamento Giudiziario – domanda di riammissione in servizio a seguito di proscioglimento con formula piena – valutazione discrezionale dei requisiti da parte del CSM – inammissibile – valutazione limitata alla sussistenza dei requisiti formali – ammissibile.

 

(1) L’art. 3 comma 57 della legge 24 dicembre 2003 n. 350, come modificato dal decreto legge 16 marzo 2004 n. 66 (convertito in legge, con modificazioni, nella l. 11 maggio 2004 n. 126) ai sensi del quale “Il pubblico dipendente che sia stato sospeso dal servizio o dalla funzione e, comunque, dall’impiego o abbia chiesto di essere collocato anticipatamente in quiescenza a seguito di un procedimento penale conclusosi con sentenza definitiva di proscioglimento perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso o se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero con decreto di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, anche se pronunciati dopo la cessazione dal servizio, e, comunque, nei cinque anni antecedenti la data di entrata in vigore della presente legge, anche se già collocato in quiescenza alla data di entrata in vigore della presente legge, ha il diritto di ottenere, su propria richiesta, dall’amministrazione di appartenenza il prolungamento o il ripristino del rapporto di impiego, anche oltre i limiti di età previsti dalla legge, comprese eventuali proroghe, per un periodo pari a quello della durata complessiva della sospensione ingiustamente subita e del periodo di servizio non espletato per l’anticipato collocamento in quiescenza, cumulati tra loro, anche in deroga ad eventuali divieti di riassunzione previsti dal proprio ordinamento, con il medesimo trattamento giuridico ed economico a cui avrebbe avuto diritto in assenza della sospensione […]”  conferisce un diritto soggettivo perfetto al pubblico dipendente ad ottenere, per le ipotesi di proscioglimento con formula ampia il ripristino del rapporto di impiego.

Scopo della norma è infatti quello di apprestare effettivamente una tutela “reale” (attraverso la restitutio in integrum sia ai fini giuridici che economici) del dipendente illegittimamente allontanato dal servizio.

 

(2) Il perimetro di indagine consentito a CSM è esclusivamente quello riguardante la ricorrenza delle condizioni legittimanti l’emanazione del provvedimento favorevole, in funzione risarcitoria proprio di tale situazione di fatto, ingiustamente pregiudizievole delle aspettative professionali e di carriera del richiedente”. Non risulta pertanto ipotizzabile spazio alcuno per una valutazione di carattere discrezionale qual’è la formulazione di un giudizio sull’idoneità di un soggetto a svolgere nuovamente le funzioni magistratuali.

                                                                                                               

S. 10502/2007                                                                                                                                         

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio

Sede di Roma, Sez. I^

composto dai signori magistrati:

Pasquale de Lise                                                          Presidente

Silvia Martino                                                             Componente rel.

Roberto Caponigro                                                     Componente

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 1722/2007 proposto da G. S., rappresentato e difeso dagli avv. XX YY, XZ YZ, AA BB ed elettivamente domiciliato in  Roma, presso lo studio del primo, alla P.zza Conca d’Oro n. 25;

CONTRO

– Ministero della Giustizia e Consiglio Superiore della Magistratura, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale domiciliano ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

per l’annullamento

– del provvedimento del Ministro di Grazia e Giustizia del 20.11.2006 notificato in data 30.11.2006;

– del provvedimento del Consiglio Superiore della Magistratura del 25.10.2006 prot. n. 24188/2006 notificato in data 30.11.2006;

 – di ogni altro atto presupposto, successivo, collegato;

nonché per la riammissione in servizio per un periodo pari al periodo del servizio non espletato per anticipato collocamento in quiescenza.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e del C.S.M.;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti di causa;

Relatore alla pubblica udienza del 10.10.2007 la d.ssa Silvia Martino;

Uditi altresì gli avv.ti di cui al verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

1.         Il dott. XYZ, magistrato in pensione, espone di aver presentato domanda di riammissione in servizio ai sensi dell’art. 3, comma 57 della l.n. 350/2003, così come modificata dal d.l. n. 66 del 16.3.2004.

In precedenza, egli aveva rassegnato le proprie dimissioni, in pendenza di un procedimento penale a suo carico per i reati di cui agli artt. 110 e 416 – bis del codice penale.

Successivamente all’accettazione delle dimissioni, il Tribunale di ZZZ, con sentenza del 12.11.1999, lo assolveva dai reati ascrittigli “perché il fatto non sussiste”.

Il C.S.M., pur ritenendo sussistenti in capo al ricorrente i requisiti formali previsti dalle disposizioni summenzionate, ne ha respinto l’istanza di riammissione, indicando, a fondamento dell’inidoneità alle funzioni magistratuali, l’esistenza di “comportamenti incompatibili – oltre che con le esigenze di professionalità, della necessaria diligenza, del riserbo e dell’equilibrio – direttamente con i valori di indipendenza, autonomia e imparzialità del magistrato, valori che debbono essere costantemente preservati nel corso dell’intera carriera da parte dei magistrati e la cui compromissione è lesiva del prestigio dell’ordine giudiziario”.

Avverso siffatte determinazioni il dr. XYZ deduce:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 57, della l.n. 350/2003, così come modificata dal d.l. n. 66 del 16.3.2004, conv. in l. 126/2004. Eccesso di potere per sviamento dal fine; eccesso di potere per violazione del principio di ragionevolezza.

La pretesa del magistrato ad essere riammesso in servizio, ricorrendone le condizioni, rappresenta un diritto soggettivo perfetto.

Nel caso di specie il C.S.M. si è invece erroneamente riservato di delibare il rilievo disciplinare dei fatti oggetto dell’azione penale conclusa con la piena assoluzione del ricorrente.

In via subordinata, deduce l’illegittimità del giudizio di inidoneità espresso dall’Organo di autogoverno in quanto fondato sul presupposti erronei e/o inesistenti e comunque viziato da eccesso di potere.

Si sono costituite, per resistere, le amministrazioni intimate.

Il ricorso è stato assunto in decisione alla pubblica udienza del 10.10.2007.

DIRITTO

1.         Il dr. XYZ impugna gli atti con i quali è stata rigettata la sua istanza di riammissione nell’Ordine giudiziario, prodotta ai sensi dell’art. 3 comma 57 della legge 24 dicembre 2003 n. 350, come modificato dal decreto legge 16 marzo 2004 n. 66 (convertito in legge, con modificazioni, nella l. 11 maggio 2004 n. 126).

Secondo tale disposizione, “Il pubblico dipendente che sia stato sospeso dal servizio o dalla funzione e, comunque, dall’impiego o abbia chiesto di essere collocato anticipatamente in quiescenza a seguito di un procedimento penale conclusosi con sentenza definitiva di proscioglimento perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso o se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero con decreto di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, anche se pronunciati dopo la cessazione dal servizio, e, comunque, nei cinque anni antecedenti la data di entrata in vigore della presente legge, anche se già collocato in quiescenza alla data di entrata in vigore della presente legge, ha il diritto di ottenere, su propria richiesta, dall’amministrazione di appartenenza il prolungamento o il ripristino del rapporto di impiego, anche oltre i limiti di età previsti dalla legge, comprese eventuali proroghe, per un periodo pari a quello della durata complessiva della sospensione ingiustamente subita e del periodo di servizio non espletato per l’anticipato collocamento in quiescenza, cumulati tra loro, anche in deroga ad eventuali divieti di riassunzione previsti dal proprio ordinamento, con il medesimo trattamento giuridico ed economico a cui avrebbe avuto diritto in assenza della sospensione […]”.

Nel caso di specie, il C.S.M., pur ammettendo che “sussistono i presupposti formali previsti dalla legge” per l’accoglimento dell’istanza del dr. XYZ, ha ritenuto necessario procedere ad un’ulteriore valutazione, in particolare sotto il profilo della “idoneità e delle attitudini” del richiedente ad esercitare nuovamente le funzioni magistratuali.

La Sezione ha già condotto un’analitica disamina delle disposizioni recate dall’art. 3, commi 57 e 57 – bis, della l. n. 350/2003, in particolare con le sentenze nn. 2746 del 13.4.2006,  6131 del 20.7.2006, e, da ultimo, 5352 dell’11.6.2007.

Anche nel caso in esame, il C.S.M. ha dato atto che la posizione azionata è di “diritto del pubblico dipendente ad ottenere, per le ipotesi di proscioglimento con formula ampia, il ripristino del rapporto di impiego, e che la norma non contiene alcun riferimento“ ai poteri e alle valutazioni da parte dell’Amministrazione competente”.

Afferma che, comunque, il silenzio della legge sui poteri accertativi riservati all’amministrazione non escluderebbe, ma, anzi, legittimerebbe la verifica del possesso dei requisiti attitudinali, garantendo così che le funzioni magistratuali vengano svolte da soggetti idonei.

La tutela risarcitoria in forma specifica, prosegue il C.S.M., non potrebbe essere accordata in tutti quei casi in cui “al di là del giudizio di responsabilità penale, l’accertamento giudiziale consegni all’area della certezza storica la sussistenza di condotte che siano passibili di valutazione in termini di rilevanza disciplinare”.

Nel caso di specie, sono state individuate quali ragioni di inidoneità del dr. XYZ, una serie di condotte, accertate dalla sentenza del Tribunale di Messina in data 12.11.1999, le quali “pur non rilevanti ai fini dell’imputazione contestata […] sono state ritenute “incompatibili – oltre che con le esigenze di professionalità, della necessaria diligenza, del riserbo e dell’equilibrio – direttamente con i valori di indipendenza, autonomia e imparzialità del magistrato, valori che debbono essere costantemente preservati nel corso dell’intera carriera da parte dei magistrati e la cui compromissione è lesiva del prestigio dell’ordine giudiziario”.

Al riguardo la Sezione ha però già osservato che, una volta sancito normativamente il “diritto al ripristino del rapporto interrotto”, conseguente all’accertata sussistenza di una complessa situazione di fatto, puntualmente e specificamente individuata dalla norma stessa, “appare evidente che il perimetro di indagine consentito all’organo deliberante è esclusivamente quello riguardante, appunto, la ricorrenza delle condizioni legittimanti l’emanazione del provvedimento favorevole, in funzione risarcitoria proprio di tale situazione di fatto, ingiustamente pregiudizievole delle aspettative professionali e di carriera del richiedente” (sentenza n.5352/2007, cit.).

A fronte di una posizione soggettiva “piena”, non risulta pertanto ipotizzabile spazio alcuno per una valutazione di carattere discrezionale qual’è la formulazione di un giudizio sull’idoneità di un soggetto a svolgere nuovamente le funzioni magistratuali.

L’Organo di autogoverno ha peraltro giustificato la propria impostazione interpretativa con l’esigenza di rendere l’art. 3, comma 57, della l.n. 350 cit., compatibile con i precetti costituzionali.

In merito a tale aspetto è sufficiente richiamare le conclusioni raggiunte dalla Sezione nella cit. sentenza 13 aprile 2006 n. 2746, in cui si confutano le eccezioni di illegittimità della norma primaria, che il C.S.M. aveva già proposto alla Corte costituzionale con lo strumento del conflitto di attribuzione (dichiarato da quest’ultima inammissibile).

La mancata previsione di spazi discrezionali in sede decisoria non comporta la lesione delle prerogative dell’Organo di autogoverno in materia di gestione della carriera dei magistrati, tenuto conto dell’ordine delle competenze fissato dall’art. 105 Costituzione.

Intanto, l’art. 3 comma 57 della legge n. 350 cit. trova il suo fondamento nell’art. 24 ultimo comma della Costituzione, disposizione che affida al legislatore ordinario il compito di determinare “le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”.

In secondo luogo, l’attribuzione al C.S.M. delle competenze in punto di assunzioni, assegnazioni e trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati presuppone pur sempre che sia la legge ordinaria a stabilire le caratteristiche dei singoli istituti giuridici, sicché non incide sulle prerogative del C.S.M. la circostanza che la normativa primaria abbia introdotto una riammissione a titolo risarcitorio, collegandola alla sussistenza di precisi ed obiettivi presupposti.

Soprattutto, ha osservato la Sezione, le disposizioni in esame non arrecano il paventato vulnus alle prerogative costituzionali dell’Organo di autogoverno “laddove si consideri […] che il ripristino del rapporto di servizio comporta ovviamente la reviviscenza di tutti gli inerenti poteri di gestione attribuiti dalla legge all’Organo di autogoverno.”.

In particolare, se il magistrato abbia nel frattempo perduto l’idoneità all’esercizio delle funzioni giudiziarie, ovvero sia passibile di incolpazione per episodi non coperti dal giudicato penale, il C.S.M. senz’altro potrà, una volta riammessolo, provvedere di conseguenza, “conservando intatte e piene le proprie prerogative”.

In tal modo la tutela “reale” congegnata dal Legislatore per rendere pienamente operante il principio della restitutio in integrum sia ai fini giuridici che economici del dipendente illegittimamente allontanato dal servizio (cfr. sul punto la cit. sentenza n. 6131/2006), viene assicurata realizzando un equo contemperamento tra i diritti del singolo e l’interesse pubblico al corretto esercizio della funzione giurisdizionale.

Così, anche nel caso in esame, – se, come afferma il C.S.M., l’accertamento giudiziale ha consegnato all’area della “certezza storica” la sussistenza di condotte del dr. S. passibili di valutazione in termini di rilevanza disciplinare – è in tale, naturale, sede (e con le garanzie proprie di siffatto procedimento), che dovrà essere valutata l’idoneità del magistrato reintegrato a permanere nell’Ordine giudiziario.

Per quanto appena argomentato, assorbita ogni altra censura, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento della delibera impugnata.

Vi sono però giusti motivi per l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.

PQM

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. I^, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in premessa, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 10.10.2007.

Pasquale de Lise              Presidente

Silvia Martino                 Estensore

 

 

La nota

 

Dopo le sentenze nn. 2746 del 13.4.2006 (c.d. caso Carnevale), 6131 del 20.7.2006, e, da ultimo, 5352 dell’11.6.2007, La I sezione del TAR Lazio, presieduta dal dott. De Lise, torna ad esprimersi sulla portata e sul significato dell’art. 3 comma 57 della legge 24 dicembre 2003 n. 350, come modificato dal decreto legge 16 marzo 2004 n. 66 (convertito in legge, con modificazioni, nella l. 11 maggio 2004 n. 126)

 

La vicenda contenziosa.

 

Il dott. XYZ, rivestiva la qualifica di magistrato di Cassazione idoneo alle funzioni superiori, svolgendo le mansioni di Consigliere di Corte di Appello, allorché in data 20.05.1997, presentava le sue dimissioni.

Il 17 luglio 1997 il Consiglio Superiore della Magistratura accettava le dimissioni.

Nei confronti del ricorrente veniva esercitata azione penale in data 14.05.1997 per i reati di cui agli articoli 110 e 416 bis codice penale.

Il Tribunale di ZZZ, con sentenza del 12.11.1999, su conforme richiesta del Pubblico Ministero assolveva il dott. XYZ “perché il fatto non sussiste”. La sentenza diventava irrevocabile in data 26/03/2000.

In data 13.5.2004 XYZ avanzava domanda di riammissione in servizio per un periodo pari al periodo di servizio non espletato per anticipato collocamento in quiescenza, ai sensi dell’art. 3 comma 57 Legge 350/2003 per come modificato dal D.L. 66 del 16/03/2004 poi convertito nella legge 126/2004.

In data 20/11/2006, il Ministro della Giustizia, vista la deliberazione del 25/10/2006 del Csm che rigettava l’istanza di riammissione in servizio, la rendeva esecutiva.

Il provvedimento del Ministro richiamava per relationem le statuizioni del CSM, il quale, pur ravvisando in capo al dott. XYZ la sussistenza dei requisiti formali previsti dalla legge per la riammissione in servizio, riteneva di sottoporre lo stesso ad un ulteriore vaglio di meritevolezza e di idoneità attitudinale. A valle di tale accertamento, il CSM riteneva di individuare nella condotta dell’odierno ricorrente “comportamenti incompatibili con i valori di indipendenza, autonomia ed imparzialità del magistrato” deliberando così il rigetto dell’istanza di riammissione nell’Ordine Giudiziario ai sensi dell’art. 3 comma 57 della legge 350/03 e succ. mod.

Avverso tale provvedimento il dott. XYZ ricorreva al TAR Lazio deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 comma 57 Legge 350/2003 per come modificato dal D.L. 66 del 16/03/2004 poi convertito nella legge 126/2004, l’eccesso di potere per sviamento dal fine; l’eccesso di potere per violazione del principio di ragionevolezza.

 

La soluzione adottata

Con la sentenza che si annota Il Tar Lazio accoglie le censure mosse al provvedimento del CSM.

In particolare la I sezione chiarisce preliminarmente che La controversia verte esclusivamente sulla portata sostanziale della pretesa alla riammissione (di cui all’art. 3 comma 57 L 350/03) che l’interessato possa vantare nei confronti dell’amministrazione, e, in particolare, se sia consentito a quest’ultima di effettuare una valutazione in punto di idoneità del richiedente ad espletare nuovamente le funzioni magistratuali, oltre alla valutazione della sussistenza o meno dei presupposti formali previsti dalla legge per l’accoglimento della domanda di parte. Tale ultima soluzione sarebbe caldeggiata dal CSM che nel silenzio della legge sui poteri accertativi riservati all’amministrazione individuerebbe la possibilità di verificare il possesso dei requisiti attitudinali in capo al richiedente, garantendo così che le funzioni magistratuali vengano svolte da soggetti idonei.

 

Il Tar Lazio non accoglie la tesi formulata dal C.S.M., e specifica che pur ammettendo che essa risponde ad un’esigenza di tutela dell’interesse pubblico, non solo non trova un addentellato nella normativa di riferimento, ma si pone altresì in palese contrasto tanto con la natura sostanziale della pretesa azionata, quanto, e ancor di più, con il fondamentale principio di legalità dell’azione amministrativa, applicabile anche quando ad agire sia un organo di rilevanza costituzionale.

Difatti, in proposito è sufficiente osservare che la l’art. 3 comma 57 della legge n. 350 cit.nulla dice in ordine all’esistenza di tale potere discrezionale in capo al C.S.M.

Ubi lex tacuit ibi noluit!

Illegittima, pertanto, è la conseguenza che l’Organo trae da tale silenzio, atteso che, una volta sancito normativamente il "diritto al ripristino del rapporto interrotto", conseguente all’accertata sussistenza di una complessa situazione di fatto, puntualmente e specificamente individuata dalla norma stessa, appare evidente che il perimetro di indagine consentito all’organo deliberante è esclusivamente quello riguardante, appunto, la ricorrenza delle condizioni legittimanti l’emanazione del provvedimento favorevole, in funzione risarcitoria proprio di tale situazione di fatto, ingiustamente pregiudizievole delle aspettative professionali e di carriera del richiedente.

Tale conclusione è in linea con la natura sostanziale che lo stesso art. 3 comma 57 della legge n. 350 cit. ha inteso attribuire alla pretesa di parte: il termine "diritto", in altre parole, è usato senza ombra di dubbio in senso tecnico; ne discende che, a fronte di una posizione soggettiva "piena", non risulta ipotizzabile spazio alcuno per una valutazione di carattere discrezionale della P.a., qual’è la formulazione di un giudizio sull’idoneità di un soggetto a svolgere nuovamente le funzioni magistratuali.

In proposito, va ancora considerato che il nostro ordinamento, basato sul principio di legalità, esclude che possano essere esercitati poteri autoritativi che non trovino una loro specifica legittimazione in un’espressa norma di legge.

E soggetti al principio di legalità sono anche gli Organi a rilevanza Costituzionale.

Del resto la mancata previsione di spazi discrezionali in sede decisoria non comporta la lesione delle prerogative dell’Organo di autogoverno in materia di gestione della carriera dei magistrati, tenuto conto dell’ordine delle competenze fissato dall’art. 105 Costituzione. Intanto, l’art. 3 comma 57 della legge n. 350 cit. trova il suo fondamento nell’art. 24 ultimo comma della Costituzione, disposizione che affida al legislatore ordinario il compito di determinare "le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari". In secondo luogo, l’attribuzione al C.S.M. delle competenze in punto di assunzioni, assegnazioni e trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati presuppone pur sempre che sia la legge ordinaria a stabilire le caratteristiche dei singoli istituti giuridici, sicché non incide sulle prerogative del C.S.M. la circostanza che la normativa primaria abbia introdotto una riammissione a titolo risarcitorio, collegandola alla sussistenza di precisi ed obiettivi presupposti. Il vulnus paventato non ha vieppiù ragion d’essere – e la discrezionalità del legislatore non risulta esercitata in modo illegittimo – , laddove si consideri, a tacer d’altro, che il ripristino del rapporto di servizio comporta ovviamente la reviviscenza di tutti gli inerenti poteri di gestione attribuiti dalla legge all’Organo di autogoverno. Sicché, se il magistrato abbia nel frattempo perduto le attitudini all’esercizio delle funzioni giudiziarie, il C.S.M. senz’altro potrà, una volta riammessolo, provvedere di conseguenza, conservando intatte e piene le proprie prerogative.

 

In conclusione il TAR Lazio, confermando il proprio orientamento, sul punto, conferisce al magistrato cessato che si trovi nelle condizioni prevista dall’art. 3 comma 57 L 350/03, un diritto soggettivo perfetto alla riassunzione in magistratura.

La parola ora spetta al Consiglio di Stato.

 

Giancarlo Pompilio

 

avvocato in Castrovillari

 

giancarlo.pompilio@libero.it

Pompilio Giancarlo

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento