TAR CATANIA , sentenza I sez. n. 1992 / 06 in tema di competenze e procedure per l’apertura di un cinema in Sicilia con riferimenti al sistema regionale della legislazione esclusiva ed alla tutela della concorrenza e del consumatore.

sentenza 29/03/07
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REPUBBLICA ITALIANA      Reg.Sent. 1992/06
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Reg. Gen. 2823/05
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania – Sezione Prima, composto dai ******************:
Dott. *****************          Presidente
Dott.ssa ***************         Giudice
Dott. ************************** Giudice rel.est.
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
Sul ricorso nr. 2823/05 R.G., proposto da
                           ..….omissis….
IN DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe e con i motivi aggiunti ad esso, la parte ricorrente impugna i provvedimenti inerenti il piano di lottizzazione per un centro commerciale della controinteressata e l’autorizzazione all’apertura del Cinema multisala in esso compreso, proponendo avverso i detti atti sia censure inerenti violazione delle norme urbanistiche, sia censure relative alla violazione procedimentale delle norme che disciplinano i presupposti per il rilascio dell’ autorizzazione all’apertura del Cinema.
1) Rileva, in primo luogo, il Collegio che le censure propriamente urbanistiche sono inammissibili per carenza di interesse (nr. I, V, VI, VII del ricorso) ed è pertanto improcedibile per carenza di interesse, il ricorso incidentale proposto dalla FINCOGERO contro il decreto assessorile di approvazione del PRG, in quanto è condizionato alla eventuale ritenuta fondatezza delle censure di cui sopra. La giurisprudenza, sul punto è prevalente (si confronti Consiglio di Stato, V, 30 gennaio 2003, n. 469 ed altresì Consiglio di Stato, sez. VI, 26 luglio 2001, n. 4123; TAR Piemonte – Torino, I, 16 dicembre 2003 n. 1802; TAR Abruzzo – L’Aquila, 13 maggio 2004, n. 607; Consiglio di Stato Ad. Plen. 19.10.1979, nr. 24). Al fine dell’ammissibilità dell’impugnazione di provvedimenti urbanistici, quali la concessione edilizia o un piano di lottizzazione, è necessario che il ricorrente deduca interessi omogenei a quelli cui tali norme sono poste a presidio. La giurisprudenza, nell’affermare il suddetto principio, lo tempera ammettendo la legittimazione di chi faccia valere interessi anche di natura familiare o commerciale o comunque differenti da quelli propriamente urbanistici, purché rigorosamente “radicati” nella zona, ossia avvinti da un nesso di “vicinitas” topografica e sostanziale alla medesima area nella quale si sarebbe realizzata  – o sarebbe in programma di realizzarsi – la trasformazione urbanistica illegittima di cui le parti si dolgono.
Nel caso in esame è intanto palese che la parte ricorrente non vanta un interesse urbanistico, ma meramente commerciale, in quanto tende a tutelare una propria posizione di mercato. Si tratta di vedere adesso se tale interesse può considerarsi sorretto da elementi sostanziali di fatto o di diritto che ne facciano comunque ritenere una rilevanza, ossia la eventuale sussistenza o meno della c.d. “vicinitas” al sito oggetto della lottizzazione impugnata.
A tali fini il Collegio ritiene di dover esaminare le altre censure del ricorso e dei motivi aggiunti, quelle rivolte contro l’ apertura del Cinema Multisala compreso nel piano di lottizzazione e che sostanziano il vero e proprio interesse in capo alle parti ricorrenti, con riserva di ritornare sul punto della legittimazione a ricorrere, alla fine della esposizione.
Del ricorso introduttivo residuano a questo punto, solo le seguenti cesure:
nr.II) con tale censura,variamentearticolata, si afferma che mancherebbe il nulla osta per l’inizio dei lavori, previsto dalla Legge 958/1949 art. 21, da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri (censura sub IIA); espone la parte ricorrente che nella Regione Sicilia, per effetto dell’art. 14 lettera “n” dello Statuto che attribuisce all’ARSA competenza esclusiva in materia di turismo e spettacolo, la materia è disciplinata dal d.lgs. 26 giugno 1950 nr. 35, ratificato dalla L.R. 2 novembre 1950 nr. 80 e successivamente modificato con d.lgs. Pres. Reg. Sicilia del 12 marzo 1952 n. 9, ratificato a sua volta con L.R. 21 luglio 1952 n. 45 che recepisce con modifiche la legge 958/1949, la quale ha disposto che il suddetto nulla osta è rilasciato dall’Assessorato; in seguito, la competenza al suddetto nulla osta è passata ai Comuni per effetto dell’art. 11 L.R. 2 gennaio 1979 nr. 1. Tale nulla osta dovrà essere preceduto dall’acquisizione del parere dell’apposita commissione consultiva ivi prevista. Confermerebbe la competenza dei Comuni al rilascio del nulla osta TAR Catania, 6 gennaio 1982, n. 16, appositamente citata dalla parte ricorrente.
La censura comprende anche il difetto di motivazione considerato il tenore dell’esposto del 7 febbraio 2005 con cui i ricorrenti hanno diffidato il Comune dal rilasciare alcuna autorizzazione alla costruzione del multisala, del quale, nel provvedimento, non si fornisce alcuna indicazione. In ogni caso (censura sub IIB), secondo i ricorrenti, anche il quadro normativo nazionale determinerebbe l’illegittimità dei provvedimenti impugnati. Si applicherebbe in materia la legge 1213/1965, vigente a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 19 luglio 2005 nr. 285. L’art. 2 di detta legge impone l’autorizzazione dell’Autorità centrale per i cinema con più di 1300 posti, autorizzazione da rilasciarsi previo parere di una commissione nominata dall’Autorità di Governo in materia di spettacolo.
Nr. III) I provvedimenti adottati sarebbero illegittimi anche per contrasto con le disposizioni di dettaglio ed esecutive che sono state emanate in materia da ciascuna delle autorità competenti secondo la legislazione regionale (Assessorato reg.le al Turismo) e nazionale (Consulta territoriale presso il Dipartimento per lo spettacolo, Direzione Generale per il Cinema). Il primo ha emesso il decreto del 24 novembre 1977, a norma del quale ai fini del rilascio dei nulla osta di cui al punto II si richiede un determinato incremento nella frequenza degli spettatori nel biennio precedente ed una distanza non inferiore ai 2 Km tra il cinema più vicino ed il nuovo esercizio. La seconda ha emesso la determina del 3 maggio 2005 con cui ha disciplinato i presupposti per il rilascio dei nulla osta per nuove sale cinematografiche con più di 1800 posti che potranno essere aperte purchè distanti in linea d’aria almeno 2 Km da sale cinematografiche attive almeno 270 giorni l’anno e di dimensioni e struttura inferiore alle strutture multiplex e multisala con numero di posti oltre 1000 e numero di schermi superiore a 4.
Infine, l’art. 31 della legge 1213/1965, prevede, al comma 3, che per l’apertura di nuove sale si dovrà tenere conto del “rapporto tra popolazione e numero delle sale operanti nel territorio comunale della loro ubicazione…” in modo che il quoziente regionale (rapporto fra popolazione residente ed il numero dei posti delle sale presenti nella regione) sia inferiore al quoziente d’area (medesimo criterio riferito al Comune ed ai Comuni limitrofi). La mancanza di tale verifica escluderebbe quindi la sussistenza dei presupposti per il rilascio del nulla osta.
Nr. IV) Da ultimo,secondo i ricorrenti, a norma dell’art. 4 comma 2 del d.l. 8 gennaio 1988 nr. 3, la Commissione Provinciale di Vigilanza di Catania, ricevuto l’esposto degli stessi ricorrenti datato 7.2.2005, con il quale si denunciava l’insussistenza dei presupposti per il rilascio di qualsiasi autorizzazione per la multisala in esame, avrebbe dovuto non procedere all’esame dei requisiti tecnici. Infatti, l’assenza dei requisiti amministrativi secondo le censure esposte al punto III avrebbe di fatto dovuto impedire alla Commissione di entrare nel merito dei requisiti tecnici, con conseguente illegittimità del parere da essa rilasciato in favore dell’apertura del multisala.
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2) In merito alle tre censure appena indicate, osserva il Collegio che è necessario premettere a qualsiasi valutazione una ricostruzione esatta del quadro normativo vigente nella Regione Sicilia in materia di autorizzazione all’apertura di cinema. Le censure dei ricorrenti, infatti, sono articolate sia con riferimento alla legislazione nazionale, sia con riferimento a quella regionale, sebbene con i motivi aggiunti la difesa della parte ricorrente, ha optato con più chiarezza nel ritenere applicabile solamente la seconda alla fattispecie in esame.
Quest’ultima opzione è quella che il Collegio condivide, ma da essa deriva, come conclusione, che deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, per le ragioni che saranno esposte a breve, dopo aver riepilogato brevemente le opposte tesi sostenute dalle difese delle parti.
I ricorrenti, con la seconda censura esposta nei motivi aggiunti, affermano che la Direzione Centrale dei pubblici spettacoli è incompetente ad autorizzare l’apertura della multisala. A norma del combinato disposto degli artt. 14 e 17 dello Statuto della Regione, infatti, rientra nella legislazione esclusiva il turismo e l’urbanistica; la Corte Cost. con sentenza nr. 285 del 19 luglio 2005, ha affermato che l’apertura di sale cinematografiche rientra nel governo del territorio che i ricorrenti considerano equivalente all’urbanistica, attratta alla legislazione esclusiva. Illegittimo sarebbe pertanto il provvedimento di autorizzazione adottato dalla Direzione Centrale pubblici spettacoli ed altresì il parere dell’Ufficio Legislativo secondo il quale l’apertura delle multisala non potrebbe rientrare in nessuna delle materie previste dall’art. 14 del R.dlgs 455/1946 (Statuto regione Sicilia). Si confermerebbe quindi come applicabile alla fattispecie il solo quadro normativo esclusivo della regione di cui alla censura già esposta in ricorso al punto “IIa” con conseguente illegittimità dell’apertura del Multisala, per l’ assenza dell’autorizzazione comunale ex art. 11 L.R. 1/79. Quest’ultima norma, inoltre, prevede l’acquisizione del parere della Commissione consultiva di cui all’art. 25 della legge 958/49, come recepito dalla legge regionale 35/1950; in detta Commissione siedono rappresentanti degli esercenti e quindi il mancato coinvolgimento di essa avrebbe determinato il mancato coinvolgimento delle parti sociali nel necessario contraddittorio; in ogni caso, nella disciplina regionale non si prevedono deroghe all’accertamento dei quozienti d’area.
La società controinteressata oppone che non sussiste la competenza esclusiva della Regione Siciliana. Invero, l’art. 14 lett. “n” non prevede né la disciplina del cinema e né quella degli spettacoli; tale competenza quindi rientrerebbe nella previsione residuale di cui alla lettera “i” dell’art. 17. Infondato apparirebbe poi il richiamo all’urbanistica o al turismo: secondo Corte Cost. nn. 255 e 256 del 21 luglio 2004 lo spettacolo, pur non essendo espressamente citato all’interno del nuovo art. 117 Cost, non è da ricondursi alla competenza residuale delle Regioni, ma rientra a pieno titolo nella promozione ed organizzazione di attività culturali di cui alla competenza di tipo concorrente disciplinata dall’art. 117 comma 3. Ne dovrebbe conseguire, secondo la controinteressata, che anche per il territorio regionale siciliano la materia sarebbe da ricondursi alle previsioni della legislazione concorrente che comprende, appunto, la materia della cultura. Secondo questa impostazione, la procedura sarebbe così disciplinata dalla legge 1213/65 e dal decreto ministeriale 391/98, in quanto il decreto legislativo 28/2004 art. 27 fa salve le normative previgenti fino all’entrata in vigore nelle Regioni delle normazioni locali. Per tale ragione, a norma dell’art. 5 del regolamento di cui al DM 391/98, la società FINCOGERO ha presentato la prevista istanza in data 12 ottobre 2005, riscontrata dalla Direzione Generale per il Cinema con protocollo 1151 del 14.11.2005 e successivamente autorizzata con i provvedimenti oggetto di gravame con i motivi aggiunti; sotto il profilo sostanziale, a norma dell’art. 3 comma 5 del citato DM 391/98, le ritenute violazioni dell’accertamento dei quozienti di area e di distanza non sussisterebbero perché si prescinde dai quozienti d’area se la Multisala insiste in un centro commerciale, il numero dei posti non è superiore a 2.500 e ci siano più di 2 km dalla più vicina sala con numero di posti superiore a 1.300 (il multisala in questione ha soli nr. 2.472 posti).
Chiare sono dunque le posizioni delle due parti contrapposte: i ricorrenti invocano, come prima tesi difensiva, l’applicazione esclusiva della normazione regionale siciliana, perché ritengono che per effetto di essa sia applicabile a tutt’oggi solamente il decreto assessorile del 24 novembre 1977, quanto alla disciplina sostanziale dei criteri per la concessione delle autorizzazioni all’apertura dei cinema, e l’art. 11 L.R. 2 gennaio 1979 nr. 1, secondo il quale l’autorizzazione in esame deve essere rilasciata dai Comuni. La controinteressata, invece, sostiene l’applicabilità della normativa nazionale, perché essa, nel D.M. 391/98 citato, contiene norme sostanziali che consentirebbero l’apertura del Multisala in deroga ai criteri di distanza e di incremento dell’utenza altrimenti richiesti (anche per l’effetto della normativa regionale siciliana).
Come anticipato sopra, ritiene il Collegio che la materia relativa ai requisiti amministrativi per l’apertura di sale o multisale cinematografiche è regolata in Sicilia solamente dalle fonti normative regionali, senza che la successiva normazione nazionale possa trovarvi ingresso, poiché tale è – necessariamente – l’interpretazione degli artt. 14 e 17 dello Statuto regionale, sia in base ai principi che sono stati affermati dalla Corte Costituzionale e sia, soprattutto, alla luce del “diritto vivente”, ossia della effettiva prassi normativa che si è osservata nella Regione sino ad oggi, anche alla luce della analisi giurisprudenziale.
Appare opportuno, a questo punto, premettere il contenuto delle norme statutarie regionali che disciplinano gli ambiti legislativi esclusivo e concorrente della Regione.
A norma del RDLT 15/05/1946 n. 455 – Art. 14 – “L’Assemblea, nell’ambito della Regione e nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato, senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente del popolo italiano, ha la legislazione esclusiva sulle seguenti materie: a) agricoltura e foreste; b) bonifica; c) usi civici; d) industria e commercio, salva la disciplina dei rapporti privati;e) incremento della produzione agricola ed industriale: valorizzazione, distribuzione, difesa dei prodotti agricoli ed industriali e delle attività commerciali; f) urbanistica; g) lavori pubblici, eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale; h) miniere, cave, torbiere, saline; i) acque pubbliche, in quanto non siano oggetto di opere pubbliche d’interesse nazionale; l) pesca e caccia; m) pubblica beneficenza ed opere pie; n) turismo, vigilanza alberghiera e tutela del paesaggio; conservazione delle antichità e delle opere artistiche; o) regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative; p) ordinamento degli uffici e degli enti regionali; q) stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della Regione, in ogni caso non inferiore a quello del personale dello Stato; r) istruzione elementare, musei, biblioteche, accademie; s) espropriazione per pubblica utilità. A norma del successivo art. 17, inoltre, “Entro i limiti dei princìpi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato, l’Assemblea regionale può, al fine di soddisfare alle condizioni particolari ed agli interessi propri della Regione, emanare leggi, anche relative all’organizzazione dei servizi, sopra le seguenti materie concernenti la Regione: a) comunicazioni e trasporti regionali di qualsiasi genere; b) igiene e sanità pubblica; c) assistenza sanitaria; d) istruzione media e universitaria; e) disciplina del credito, delle assicurazioni e del risparmio; f) legislazione sociale: rapporti di lavoro, previdenza ed assistenza sociale, osservando i minimi stabiliti dalle leggi dello Stato; g) annona; h) assunzione di pubblici servizi; i) tutte le altre materie che implicano servizi di prevalente interesse regionale”.
Tenendo presente il superiore quadro normativo, rileva il Collegio che Corte Cost. nr. 255 del 21 luglio 2004 ha affermato che ”Non è fondata, in riferimento agli art. 117, 118 e 119 cost., la q.l.c. dell’art. 1 d.l. 18 febbraio 2003 n. 24, conv., con modificazioni, in l. 17 aprile 2003 n. 82, nella parte in cui disciplina i criteri e le modalità di erogazione dei contributi alle attività dello spettacolo e le aliquote di ripartizione annuale del Fondo unico per lo spettacolo previsto dalla l. 30 aprile 1985 n. 163, affidandone la determinazione a "decreti del Ministero per i beni e le attività culturali non aventi natura regolamentare". Premesso che, anche se nel catalogo di materie di cui al nuovo art. 117 cost., non si fa espressa menzione delle attività di sostegno degli spettacoli, da ciò non può dedursi che tale settore sia stato affidato alla esclusiva responsabilità delle regioni, rientrando invece esso nella materia "valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali", affidata alla legislazione concorrente di Stato e regioni, ricomprendendo questa, nell’ambito delle più ampie attività culturali, anche le azioni di sostegno degli spettacoli, deve escludersi l’automatica sopravvenuta incostituzionalità della legislazione statale vigente in materia…..”.   
Successivamente, con Sentenza nr. nr. 285 del 19 luglio 2005, la Corte dopo aver “premesso che il d.lg. n. 28 del 2004 riguarda, per la maggior parte delle sue disposizioni, la materia di competenza legislativa concorrente, nella quale la legislazione statale è di regola chiamata a dettare i principi fondamentali, e le funzioni amministrative sono normalmente attribuite alle regioni, salvo che ricorrano i presupposti per la chiamata in sussidiarietà delle funzioni amministrative, e che tuttavia tale attrazione richiede una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ossia le intese che devono essere condotte in base al principio di lealtà…” ha dichiarato costituzionalmente illegittime una serie di disposizioni contenute nel d.lgs. 28/2004, in quanto contrastanti con tale principio; tra queste, ha dichiarato “costituzionalmente illegittimi gli art. 22 comma 5 e 4 comma 5 d.lg. 22 gennaio 2004 n. 28. Tali disposizioni, che riservano al direttore generale competente del Ministero l’autorizzazione all’apertura "di multisale con un numero di posti superiori a milleottocento", attribuendo alla Consulta territoriale un potere consultivo in materia, violano la competenza regionale in materia di governo del territorio, di cui all’art. 117 comma 3 cost., giacché non sussistendo esigenze unitarie tali da legittimare l’intervento del legislatore statale allo svolgimento della funzione amministrativa, non risulta giustificata l’attrazione di tale funzione in favore degli organi amministrativi dello Stato”. Inoltre, ha affermato che “Non sono fondate le q.l.c. dell’art. 1 commi 2 e 4, dell’art. 3 commi 1, 2 e 3, dell’art. 4, ad eccezione del comma 5, degli art. 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 10 e 22 commi 1 e 4 d.lg. 22 gennaio 2004 n. 28, censurati, in riferimento all’art. 117 comma 4 cost., sul presupposto della riconducibilità della materia disciplinata alla competenza residuale esclusiva delle regioni. Le attività cinematografiche sono infatti riconducibili alla materia, affidata alla legislazione concorrente di Stato e regioni, "promozione ed organizzazione di attività culturali", che riguarda tutte le attività riconducibili all’elaborazione e diffusione della cultura, senza che vi possa essere spazio per ritagliarne singole partizioni come lo spettacolo, e da questa non sono scorporabili, senza che possa in contrario valere il richiamo alle materie dell’industria e del commercio, stante il carattere strumentale della disciplina in esame rispetto alla natura delle attività medesime inerenti al settore della cultura. Non sono fondate, in riferimento all’art. 117 comma 3 cost., le q.l.c. dell’art. 1 comma 4, dell’art. 3 commi 1, 2 e 3, dell’art. 4, ad eccezione del comma 5, dell’art. 6 comma 7 e degli art. 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18 e 19 d.lg. 22 gennaio 2004 n. 28, concernenti la disciplina dell’apertura di sale cinematografiche. Tale disciplina va infatti ricondotta alle materie espressamente contemplate tra quelle di competenza ripartita fra Stato e regioni, quali il "governo del territorio", anche in ragione di profili attinenti alla "promozione ed organizzazione di attività culturali", nonché inerenti alle attività commerciali, non essendo invece configurabile una materia definibile come regolazione della presenza dei cinema sul territorio”.
Da questa (necessariamente articolata) esposizione degli aspetti di maggiore rilievo delle pronuncie della Corte emerge con chiarezza che i giudici costituzionali hanno usato un metodo di esame “parcellare” o analitico delle norme contenute nella disciplina in esame, riconducendole, volta per volta, all’interesse pubblico sottostante per il cui presidio e soddisfacimento esse sono state emanate e comparando quest’ultimo con gli specifici contenuti del “decalogo” contenuto nell’art. 117 della Costituzione. In tal senso, negli esempi sopra riportati, i contributi alla cinematografia sono stati ricondotti alla materia del sostegno e della diffusione della cultura, mentre la competenza ad autorizzare l’apertura delle multisala con più di 1.800 posti è stata considerata rientrante nel “governo del territorio”.
Sul piano costituzionale si osserva, a questo punto, che l’art. 117 Cost. cui le pronuncie della Corte Costituzionale fanno riferimento, ha una formulazione delle materie affidate alla competenza ripartita ed a quella esclusiva, alquanto diversa dal combinato disposto di cui agli artt. 14 e 17 dello Statuto regionale *********. Più precisamente, secondo queste ultime disposizioni a rango costituzionale, la materia del commercio rientra nella legislazione esclusiva (art. 14 lett. “d”) al pari dell’urbanistica (art. 14 lett. “f”); mentre, per quanto riguarda l’aspetto della cultura, si deve negare che essa, come materia, sia considerata unitariamente dal legislatore Statutario regionale (e quindi rientrante in quanto tale nella voce generale e residuale di cui alla lettera “i” dell’art. 17 Statuto), perché risulta scomposta in più parti, rientranti a vario titolo alcune nell’art. 14 ed altre nell’art. 17. Più precisamente, sono affidate alla legislazione esclusiva l’istruzione elementare, i musei, le biblioteche, le accademie e la conservazione delle antichità e delle opere artistiche; mentre risultano ascritte alla sfera di legislazione concorrente, la istruzione media ed universitaria. Quindi, come si vede, la “materia” cultura risulta scomposta in più profili, ciascuno con una propria autonoma rilevanza e differente regolamentazione. Pertanto, da un lato non è decisivo ricondurre la disciplina amministrativa dell’apertura delle sale cinematografiche a tale settore per affermarne la sottoposizione alla legislazione concorrente; mentre, dall’altro, la (pure affermata dalla Corte Costituzionale) riferibilità dell’istituto ad altri settori-materie, e precisamente sia quello afferente il governo del territorio, sia, soprattutto, quello commerciale e produttivo, finisce con l’imporne l’attrazione alla sfera esclusiva di legislazione regionale.
Utilizzando pertanto il medesimo metodo di analisi e ponendolo quindi in relazione al quadro Statutario-costituzionale regionale siciliano, si arriva a dover concludere che la regolamentazione dei “presupposti amministrativi” (a natura di contingentamento sia esso territoriale o commerciale) per il rilascio delle autorizzazioni all’apertura delle sale cinematografiche sono interamente ascritti alla legislazione esclusiva della Regione. Si tenga presente, infatti, che i c.d. quozienti d’area, o i presupposti in generale relativi all’incremento della utenza, o la distribuzione delle sale sul territorio (con particolare riferimento ai criteri della distanza), sono evidentemente elementi che, disciplinando la diffusione delle sale sul territorio, non possono che rientrare nella materia della “urbanistica” ed, in quanto volti a tutelare sia pure in via mediata, la concorrenza, devono ascriversi in quella del “commercio” (lett. “d” ed “f” dell’art. 14 dello Statuto).
Conforto a questa ricostruzione deriva poi, all’interprete, dal c.d. “diritto vivente: si consideri infatti che, nel territorio regionale siciliano, la procedura inerente l’apertura delle sale cinematografiche è stata ed è rimasta disciplinata dalle norme di cui al D.Lgs.P.Reg. 26 giugno 1950, n. 35 (recante “Applicazione nel territorio della Regione siciliana della legge 29 dicembre 1949, n. 958, contenente disposizioni per le sale cinematografiche e per l’esercizio degli spettacoli cinematografici”, pubblicato sulla Gazz. Uff. Reg. sic. 8 agosto 1950, n. 29, ratificato con legge regionale 2 novembre 1950, n. 80, e successivamente modificato con D.Lgs.P.Reg. 12 marzo 1952, n. 9, a sua volta ratificato con legge regionale 21 luglio 1952, n. 45), pur successivamente alla riforma nazionale della materia avvenuta con la legge 1213/65.
In attuazione della sola normativa regionale è stato, infatti, adottato il decreto assessorile 24 novembre 1977, sopra richiamato, che ha disciplinato i criteri per l’autorizzazione all’apertura delle sale cinematografiche; e ciò è quindi avvenuto in un tempo in cui, a livello nazionale, la legge 29 dicembre 1949 n. 958, era già stata sostituita dalla successiva norma di riforma del settore di cui alla legge 1213/65, (in attuazione della quale è stato emanato quel D.M. 391/98 che la odierna controinteressata FINCOGERO vorrebbe applicabile alla fattispecie). Inoltre, la medesima norma del 1950 è stata poi oggetto di una successiva ed importante modifica legislativa, quella contenuta nella L.R. 1/79, il cui art. 11 ha riservato ai Comuni tutte le competenze in materia previste dalla L.R. 35/1950, eccetto quelle di controllo che sono rimaste in capo all’Assessorato e fatto salvo comunque il parere della Commissione di cui all’art. 25 della L. 958/1949, nel testo di essa riformulato dalla legge regionale di recepimento.
Si consideri infine che la giurisprudenza di questo Tribunale ha affermato, in proposito, che in Sicilia la competenza ad autorizzare l’apertura dei cinema è dei Comuni e segue esclusivamente la legislazione regionale (TAR Catania, 6 gennaio 1982, n. 16), anche se, si osserva, in detta pronuncia si è ritenuto che la materia rientra nella voce “industria” dell’art. 14 dello Statuto (mentre con le pronuncie più recenti della Corte Costituzionale, si è visto che il collegamento funzionale con la materia della industria è stato fortemente svalutato).
A quanto esposto non può poi opporsi l’argomento contrario desunto dalla intervenuta emanazione del d.lgs 28/2004. La norma transitoria in esso contenuta, all’art. 27, secondo cui fino all’emanazione delle leggi di riforma, continuano a trovare applicazione le norme previgenti non può essere di tale portata da rendere per la prima volta applicabile nella Regione Sicilia le norme nazionali di cui alle leggi  1213/65 e di conseguenza del DM 391/98, a pena di evidenti ed inconciliabili contraddizioni logiche e giuridiche. Quindi anche sotto questo profilo deve sempre concludersi per la perdurante validità nel territorio regionale delle norme di cui alla L.R. 1/79.
Premessa questa ricostruzione del quadro normativo applicabile, si deve adesso esaminare il contenuto e la natura del Decreto Assessorile del 24 novembre 1977.
Intanto, l’ analisi del combinato disposto dell’art. 11 della LR 1/79 e 25 della LR 35/1950 pone all’interprete il problema di comprendere se l’Assessorato sia – dopo la riforma del 1979 – competente all’adozione dei criteri generali per il rilascio dei nulla osta da parte dei Comuni.
Al Collegio la risposta pare chiaramente negativa. Il decreto di cui all’art. 25 ultimo comma l.cit. è finalizzato all’esercizio in via di autoregolamentazione preventiva dei poteri di rilascio dei nulla osta e quindi, in quel contesto, è parte integrante del potere che, traslato ai Comuni, non appartiene più all’Assessorato.
Inoltre, il decreto in esame ha validità solo annuale (“Con decreto dell’Assessore delegato per il turismo e lo spettacolo, sentita la commissione, sono annualmente determinati i criteri per la concessione del nulla osta di cui agli artt. 21 e 22 del presente decreto”) e quindi se ne deve escludere la natura regolamentare (che, oltretutto, spetterebbe all’ARSA o al governo regionale, non certamente ad un Assessorato) per affermarne la natura di atto di autorganizzazione, ossia di provvedimento amministrativo generale o di alta organizzazione con termine di efficacia legalmente predeterminato ad un anno. In questo contesto si deve osservare che il termine legale di efficacia del decreto assessorile è da considerarsi perentorio anche in relazione alla previsione di analogo termine per la durata in carica della Commissione consultiva prevista dalla stessa fonte (“I componenti la commissione sono nominati con decreto dell’Assessore designato per il turismo e lo spettacolo e durano in carica un anno”) e che deve pronunciarsi sui criteri che sono oggetto dispositivo del decreto, con ciò esprimendosi quindi una valutazione rafforzata da parte del legislatore sulla necessità che l’Assessorato rinnovi a scadenze prestabilite sia la composizione dell’organismo consultivo che l’autodisciplina dei presupposti amministrativi per il rilascio delle autorizzazioni all’apertura delle sale cinematografiche, entrambe evidentemente avvinte da un medesimo nesso funzionale, volto allo scopo di adeguarne il contenuto alla (presupposta come mutevole) realtà commerciale e produttiva del settore.
Ciò conduce quindi a dover ritenere che il decreto assessorile che la ricorrente afferma essere stato violato è provvedimento amministrativo decaduto sin dall’anno successivo alla sua emanazione e, comunque, del tutto superato dalla successiva attribuzione delle competenze ai Comuni posto che gli stessi hanno piena competenza e potestà autorganizzativa e altresì posto che essi non sono tenuti, nella assenza di qualsivoglia previsione nel più volte citato art. 11 in tal senso, a disciplinare preventivamente il rilascio delle autorizzazioni con criteri di contingentamento di qualsiasi genere (ed anzi, come si vedrà tra poco, se lo facessero violerebbero l’art. 41 della Costituzione). Tale conclusione si impone anche in considerazione del fatto che la norma attributiva della suddetta competenza agli enti locali fa salve espressamente in capo all’Assessorato solamente le funzioni di cui all’art. 23 della legge regionale 958/1949 come recepito dalla L.R. 35/1950 (relative alla vigilanza sul rispetto dei requisiti tecnici, igienici e di sicurezza delle sale già autorizzate, da esercitarsi tramite le commissioni provinciali di vigilanza e nella quale, dunque, non rientra la possibilità di continuare ad emettere il suddetto decreto a disciplina dei presupposti territoriali e di concorrenza di apertura delle sale).
Accertato quindi che la natura non regolamentare del suddetto decreto e la predeterminazione del suo termine di efficacia ne impediscono l’ultrattività, all’interprete si propongono due alternative.
O si procede a ricercare i suddetti criteri sostanziali nella normativa regionale di rango legislativo (che, però, non ne contiene), o in quella di rango legislativo nazionale e/o in quella di rango regolamentare nazionale sulla prima fondata; oppure si deve concludere che la disciplina regionale come in atto vigente affida solamente ai Comuni il rilascio delle autorizzazioni all’apertura delle sale cinematografiche, rientrando quindi queste ultime nell’esercizio dei più generali poteri di pianificazione commerciale degli Enti e, soprattutto, senza predeterminazione di criteri territoriali o di concorrenza come i quozienti regionali che erano indicati nella normativa assessorile di dettaglio o altre norme sulle distanze.
Si consideri che la seconda opzione ermeneutica è suffragata dal fatto che entrambe le tesi delle parti oggi in causa (che in vario modo tentano di “praticare” la prima via), se applicate nella loro rigida prospettazione, finiscono per produrre evidenti antinomie.
Infatti, le norme di dettaglio nazionali si applicano fino alla emanazione di quelle regionali, solo nell’ambito della legislazione concorrente e quindi solo in tal senso potrebbe trovare applicazione il DM del 29 settembre 1998, nr. 391 (che fa salvi i cinema nei centri commerciali dai quozienti d’area e dalle distanze dei 2 km) o la determina della consulta del 3 maggio 2005. I ricorrenti stessi, però, sostengono che tale decreto non possa trovare applicazione per due ragioni collegate: a) è stato emanato prima del dlgs 28/04, sulla base della legge 1213/ 1965; b) quest’ultima legge non può trovare applicazione nel territorio della Regione Sicilia perché lì era (ed è) in vigore quella del 1949 come recepita nel 1950 e quindi la clausola di salvezza della normativa preesistente di cui all’art. 27 comma 4 non si applicherebbe, ma si dovrebbe al più fare salva la legge regionale del ’50. Quindi, seguendo il ragionamento sub “b”, per ammettere la vigenza del DM del 1998 (favorevole alla FINCOGERO) si dovrebbe sostenere la difficile tesi della vigenza di una norma regolamentare nazionale nella Regione Sicilia che è emanata per dare attuazione ad una norma legislativa non applicabile. I ricorrenti, dal canto loro, sostengono che, in alternativa alla normativa di dettaglio contenuta nei decreti dell’Assessorato regionale, potrebbe trovare applicazione la determina della Consulta del 2005: ma, quest’ultima, per le medesime considerazioni di cui sopra, sicuramente non può trovare applicazione perché è emanata sulla base del dlgs 28/04 che, a sua volta, non trova applicazione perché non sono state emanate le leggi regionali di cui al primo comma dell’art. 22 di esso ( a tacere dei rilevanti dubbi sulla sua efficacia nel territorio della Regione Sicilia).
Pertanto, appare evidente che in Sicilia i presupposti amministrativi per il rilascio delle autorizzazioni all’apertura delle sale cinematografiche sono disciplinati esclusivamente dall’art. 11 della L.R. 1/79, e, salva la normativa in tema di requisiti tecnici, igienici e di sicurezza, non trova applicazione, allo stato, alcuna ulteriore normativa di dettaglio che disciplini il rilascio delle autorizzazioni con riferimento a presupposti di contingentamento o predeterminazione territoriale o commerciale o di concorrenza con la previsione di particolari requisiti di utenza, frequenza o distanze territoriali o di ambito. I Comuni possono, con propri atti e provvedimenti amministrativi, di pianificazione o anche regolamentari, disciplinare i presupposti per il rilascio dell’autorizzazione, con l’avvertenza, però, che, mancando nella legge regionale qualsiasi riferimento a contingentamenti o limitazioni numeriche delle autorizzazioni, non possono essere inserite, in via regolamentare o per provvedimento amministrativo, restrizioni o deroghe alla libera concorrenza tra gli esercenti, attesa l’evidente prevalenza dei principi comunitari di tutela del mercato, derivanti dal rispetto del Trattato di Roma e la necessità di assicurare il rispetto del diritto costituzionalmente garantito alla libertà di impresa (art. 41 Cost.). A tal proposito, si deve qui rinviare alla consolidata esperienza giurisprudenziale di questo Tribunale che ha avuto già modo di affermare come “Il fondamentale principio della libertà di iniziativa economica, sancito dall’art. 41 Costituzione, può subire compressioni soltanto ove i limiti siano espressi e rispondano a criteri oggettivi” (TAR Catania, III, 10 settembre 2001, n. 1542; cfr. anche TAR Catania, III, 10 settembre 2001 nr. 1565; TAR Catania, II, 1217/2002 e 17 febbraio 2003, nr. 242 in cui si è “Ritenuto che solo il legislatore (in questo caso regionale) può stabilire l’eventuale contingentamento delle attività commerciali nonché le distanze minime tra un esercizio e l’altro, non potendo, invece, tale limite, essere introdotto da una fonte subordinata”; TAR Palermo, II, 11 dicembre 2003, nr. 3900, che ha riaffermato il medesimo principio).
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3) A questo punto, il Collegio deve riprender l’esame della questione inerente la legittimazione a ricorrere. In questa sede, l’esame della sussistenza della legittimazione a ricorrere è da riferirsi, dunque, sia alle censure esaminate sub “1”, per gli aspetti residuali rimasti appunto da esaminare alla luce della esistenza o meno della c.d. “vicinitas”, sia alle altre censure sollevate in atti.
La parte ricorrente non ha in proposito fornito alcun elemento sostanziale atto a fare presumere sussistente un concreto interesse legittimo di natura territoriale a presidio della sua posizione di esercente del Cine Centrale (quindi a tutela del suo interesse oppositivo alla concorrenza), perché ha incentrato le proprie censure sull’interesse asseritamente tutelato dalle norme sulla concorrenza, sulle distanze e sui quozienti di area, che si è visto non essere più in vigore (norme regionali di secondo livello) o comunque non trovare applicazione nella Regione (norme nazionali).
In altre parole, mancando nella normativa regionale alcun tipo di presupposto “territoriale” o “commerciale” per il rilascio delle licenze in esame, nell’istituto in esame manca anche alcuna considerazione (tutela) dell’interesse azionato in giudizio, mentre si rivela fortemente tutelato l’interesse del consumatore alla massima concorrenza possibile, nei limiti ordinari dell’andamento del mercato, secondo gli ordinari meccanismi della libera concorrenza. Si ritiene di dover specificare che, ai sensi dell’art. 41 della Costituzione, l’interesse tutelato, in questi casi, non è tanto l’interesse della “grande” impresa a discapito dei “piccoli” produttori o commercianti, ma è soprattutto quello dei consumatori o degli utenti a poter “scegliere”, ossia a poter usufruire di una offerta differenziata, arricchita dalla diversità e dalla qualità delle proposte, a nulla rilevando, se non ad interessi praticamente “protezionistici”, la tutela di posizioni acquisite che non sottostanno – o comunque si vogliono sottrarre – al “vaglio” del mercato. Eventuali deroghe o restrizioni a tale principio, traducendosi in un indebolimento della posizione del cittadino-consumatore-utente ed alla stessa “qualità” e forza del settore produttivo nel suo complesso, in quanto favorenti una riduzione ed un irrigidimento degli spazi di confronto concorrenziale tra le imprese, devono quindi trovare fondamento in una norma di legge esplicita e diretta, fondata su chiare finalità di tutela nei casi in cui ciò sia imposto da particolari condizioni del settore (a pena di evidenti contrasti con l’art. 41 della Cost.).
Vero è che il legislatore nazionale ha accolto nella normativa su richiamata tali istanze di regolamentazione (salvo poi superarle nella recentissima riforma di cui al D.L. 223/06, art. 3); ma la differenza tra tali norme e quelle regionali spinge l’interprete a dover ritenere che il legislatore regionale ha chiaramente optato per la scelta ben più liberale. In tal senso, osserva il Collegio quindi che, mancando per espressa voluntas legis ogni predeterminazione territoriale o commerciale al rilascio delle autorizzazioni per l’apertura di un cinema, diviene irrilevante la concreta distanza tra il ricorrente ed il controinteressato, in quanto solo nella previsione di un indicatore normativo espresso questa si poteva qualificare ed assurgere a giuridico rilievo (altrimenti, si dovrebbe pervenire alla inaccettabile conclusione che anche l’esercente di un Cinema di altro Comune, per esempio Messina, poteva trovare legittimazione a ricorrere contro l’autorizzazione in esame, arrivando a dover quindi così postulare una sorta di azione popolare).
L’irrilevanza “astratta” della situazione territoriale della parte ricorrente, diviene anche “concreta” se si considera che, come accennato, non sono stati allegati elementi o ragioni di fatto sufficienti a far emergere comunque ed aliunde un interesse differenziato rilevante ai fini dell’impugnazione: al contrario, la distanza di poco meno di due chilometri esistente (come emerge in atti) tra il Cine Centrale e il Multisala di prossima apertura è già di per sé tale da fare apparire inesistente la c.d. “vicinitas” tra le parti in causa ed inoltre si inserisce in un contesto urbanistico (quello del comprensorio della città di Catania) connotato da una tale densità di popolazione ed abitativa da non poter fare ragionevolmente ritenere in alcun modo sussistente in capo ai ricorrenti quella posizione di “specialità” territoriale che potrebbe legittimare un ricorso in materia urbanistica a tutela di interessi commerciali, come anche ritenuto dalla giurisprudenza che in apertura è stata richiamata.
Anzi, addirittura, si deve porre in dubbio la effettiva lesione di un interesse giuridico rilevante alla tutela della concorrenza per i ricorrenti.
Il Comune di San Giovanni La Punta è infatti urbanisticamente contiguo all’abitato della città di Catania ed a quest’ultimo connesso in maniera radicale (in pratica senza soluzione di continuità tra gli impianti urbani), quindi tale da rendere irrilevante la ubicazione “amministrativa” del nuovo Multisala (che, come eccepito dalla controinteressata, “si propone” quanto a clientela ed inserimento territoriale, nel più ampio contesto cittadino intercomunale esistente), poiché la distanza in linea d’area (già, come detto, comunque cospicua di per sé) si inserisce in una ben maggiore ampiezza di contesto e di mercato circostante. Pertanto il Cine Centrale, se sconterà una effettiva perdita di clientela, attualmente non sussistente e solo prospettata dai ricorrenti, potrà solo adeguarsi alle condizioni esistenti dell’offerta dei prodotti cinematografici secondo le consuete leggi del mercato, ossia migliorando la propria offerta con nuove opportunità o convenienze o specializzazioni, anche di qualità.
Per tutte queste ragioni, quindi, il ricorso è inammissibile e come tale è da respingersi, in quanto le parti istanti sono prive di legittimazione a ricorrere.
La particolare complessità della ricostruzione giuridica degli istituti normativi applicabili, costituisce giusta causa per la compensazione integrale delle spese tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, sez. interna prima, dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe.
Dichiara improcedibile, per carenza di interesse, il ricorso incidentale proposto dalla società FINCOGERO.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
La presente sentenza è depositata in Segreteria, che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 06.07.2005
L’ESTENSORE                                   IL PRESIDENTE
 
 
                      Depositata nella Segreteria
                       del T.A.R.S. Sez. di Catania
                        26 ottobre 2006
 

sentenza

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