TAR Catania I Sezione sentenza nr. 236 – 30 gennaio 2007 in materia di conflitti interorganici

sentenza 28/02/08
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REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO  

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania – Sezione Seconda, composto dai ******************:
Dott.ssa ***************   Presidente
Dott.ssa M.Stella Boscarino  Giudice
Dott. ************************** Giudice rel.est.
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso n 3429/06 R.G. proposto da ********* *** rappresentato e difeso dall’ Avv. *************** con domicilio eletto in CATANIA *** Corso delle Provincie, 205 presso il suo studio;
contro  
il CONSIGLIO COMUNALE DI SANTA MARIA DI LICODIA (CT), in persona del suo rappresentante;
l’ *************  FAMIGLIA, POLITICHE SOCIALI, AUTONOMIE LOCALI, la PRESIDENZA DELLA REGIONE SICILIANA,   rappresentato e difeso dall’ AVVOCATURA DELLO STATO, con domicilio eletto in CATANIA VIA VECCHIA OGNINA, 149 presso la sua sede;
il COMUNE DI SANTA MARIA DI LICODIA (CT), in persona del Sindaco, legale rappresentante p.t.
e nei confronti di
**, non costituiti;
** rappresentato e difeso dall’Avv. ***************** e dall’Avv. Santi **********, con domicilio eletto presso lo studio di entrambi in Catania, viale XX Settembre n. 28; 
per l’annullamento
della deliberazione del Consiglio Comunale di Santa  ***** di Licodia nr. 54 del 26.09.2006, pubblicata il 02.10.2006, con la quale è stata approvata la mozione di sfiducia contro il ricorrente, Sindaco del Comune; di ogni provvedimento connesso e consequenziale, tra cui il decreto del Presidente della Regione Siciliana n. 669 del 31.10.2006 di nomina del dott. ************ *** a Commissario straordinario del Comune; di ogni atto esecutivo;
Visto il ricorso ed i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura di Stato e del sig. ** Luigi;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore per la Camera di Consiglio del 21.12.2006 il Referendario Dr. Salvatore Gatto Costantino;
Uditi gli avvocati delle parti come da verbale;
Visto l’art. 21 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, nel testo modificato dall’art. 3 della L. 21 luglio 2000, n. 205, in base al quale, nella camera di Consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare, il Tar può definire il giudizio nel merito, a norma dell’art. 26 della stessa legge n. 1034/1971 (nel testo modificato dalla L. n.205/2000);
Accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria e sentite sul punto le parti presenti alla camera di Consiglio;
Ritenuto, in fatto ed in diritto, quanto segue;
IN FATTO ED IN DIRITTO
Parte ricorrente, Sindaco del Comune di Santa Maria di Licodia, impugna la deliberazione con la quale il Consiglio Comunale ha approvato la mozione di sfiducia, determinandone la decadenza dalla carica con conseguente scioglimento dell’Amministrazione comunale e nomina del commissario regionale, di cui pure si chiede l’annullamento.
L’Avvocatura dello Stato ed uno dei controinteressati (consiglieri comunali votanti) sig. *** Luigi, si sono costituiti resistendo al gravame di cui chiedono il rigetto.
Il Collegio rileva che la decisione della lite dipende interamente dalla interpretazione dell’art. 10, comma 2,  della LR. 15/09/1997 n. 35a norma del quale “la mozione di sfiducia deve essere motivata” (analoga disposizione è contenuta nell’art. 52 del Dlgs 267/2000).
Il ricorrente, infatti, espone che la decisione del Consiglio Comunale di procedere alla revoca è stata adottata per motivi che sono tutti infondati ed allega puntuale dimostrazione delle sue tesi (non smentita, in punto di fatto, dal controinteressato o dall’Amministrazione regionale).
La difesa del controinteressato si limita ad affermare, dal canto suo, che le motivazioni della revoca sono soggette al giudizio del giudice amministrativo solamente nei ristretti limiti della esistenza di vizi logici o palesi incongruenze, rimanendo per il resto insindacabili – in quanto attinenti al merito – le ragioni della volontà “politica” o altamente discrezionale dell’organismo deliberante.
Osserva il Collegio che secondo la giurisprudenza di questo Tribunale La mozione di sfiducia rientra tra i provvedimenti caratterizzati da un’elevatissima discrezionalità, per cui sono sindacabili soltanto in caso di manifesta illogicità od evidente travisamento dei fatti, conseguentemente la norma dell’art. 10 comma 2 l. reg. Sicilia 15 settembre 1997 n. 35, laddove prescrive che la mozione di sfiducia nei confronti del sindaco deve essere motivata, va letta nel contesto in cui viene in rilievo il collegamento politico tra sindaco e Consiglio comunale, nel senso che, in mancanza di qualsiasi qualificazione legislativa circa il contenuto di tale motivazione, deve ritenersi idonea a tal fine anche una motivazione incentrata su una diversità di orientamenti politici del sindaco e della maggioranza consiliare; pertanto, la mozione di sfiducia non deve essere motivata con riferimento a precise inadempienze del sindaco rispetto al programma sulla cui base era stato eletto“(cfr. T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 01 aprile 2003 , n. 572; T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 07 dicembre 2004 , n. 3641).
Di tali precedenti è ben consapevole la difesa del ricorrente, la quale, infatti, rappresenta che, nel caso di specie, ci si trova in presenza di una serie di affermazioni che sono relative o a presupposti infondati o a rilievi non riconducibili alla responsabilità o alla competenza del Sindaco.
Non si tratterebbe, dunque, di eccedere i limiti della consueta tipologia del sindacato del giudice sugli atti discrezionali o, latamente, politici, ma, riconfermandone gli aspetti caratteristici, le censure proposte al Collegio sarebbero dunque tutte riferite alla esistenza di palesi vizi logici della “motivazione” riconducibili ad errori sui presupposti e travisamento dei fatti.
Osserva il Collegio che la difesa del ricorrente si affida ad argomenti condivisibili.
Bisogna premettere innanzitutto che, ad avviso del Collegio, laddove la norma di legge richiede una delibera “motivata” si deve intendere tale motivazione come un elemento giuridico dell’atto o del provvedimento, con conseguente obbligo per il giudice di sindacare la coerenza tra la motivazione e la decisione, in quanto entrambi elementi strutturali del provvedimento.
Vero è che la giurisprudenza si “autolimita”, ritenendo la decisione di sfiduciare il Sindaco come l’espressione di una “amplissima” discrezionalità.
Tuttavia, questa discrezionalità incide pur sempre su una posizione giuridica di vantaggio, costituitiva di un preciso status politico elettivo, nonché incide, ancora più gravemente, sulla permanenza in carica di tutti gli organi elettivi del Comune, dato che, all’atto dell’approvazione, lo stesso Consiglio Comunale si scioglie.
Quindi la motivazione della revoca possiede una doppia valenza. Nei confronti del singolo destinatario è garanzia di tutela della posizione di interesse legittimo che quest’ultimo vanta alla permanenza in carica. Ma al contempo, nei confronti dell’elettorato, assolve allo scopo di interesse pubblico di rendere palesi le ragioni della “crisi” politica, consentendo ai cittadini ed alla comunità di trarne le dovute conseguenze sul piano della valutazione politica degli eletti.
A questo proposito, osserva il Collegio che i consiglieri comunali hanno a disposizione uno strumento  ulteriore per esprimere il loro disaccordo politico con la gestione dell’Ente, determinando la cessazione dalla carica dell’Amministrazione, ossia le dimissioni ultradimidium, che producono l’effetto estintivo del mandato in maniera del tutto analoga  alla mozione di sfiducia.
E’ stato, a tale proposito, efficacemente osservato che “non sussiste identità di effetti tra l’ipotesi di presentazione di un atto di dimissioni contestuali della metà più uno dei consiglieri comunali e l’ipotesi di presentazione da parte degli stessi di una mozione di sfiducia al Consiglio comunale. Difatti, mentre le dimissioni sono immediatamente efficaci ed irrevocabili e non necessitano di alcun atto ricognitivo da parte del consiglio, producendo l’effetto dello scioglimento del predetto organo solo se il numero dei dimissionari sia pari alla metà più uno; la mozione di sfiducia dà, invece, vita ad un dibattito in seno all’organo assembleare, al termine del quale chi l’ha presentata può anche, eventualmente, mutare opinione e confermare la propria fiducia al sindaco” (T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 18 dicembre 2001 , n. 7955).
Ciò premesso, se nel Consiglio Comunale, la maggioranza, disponendo dei necessari voti, preferisce la mozione di sfiducia alle dimissioni, ciò significa che intende sottoporre la propria decisione alla pubblicità di un dibattito che, dunque, implica necessariamente la sussistenza di una “motivazione” espressa. Se si volesse sottrarre la scelta di far cadere l’Amministrazione al giudizio di terzi, specialmente al sindacato giudiziale, lo strumento delle dimissioni sarebbe pacificamente molto più adeguato allo scopo.
Se si considera dunque che sussistono due differenti strumenti, per il medesimo fine, dei quali uno è sicuramente insindacabile, allora, ad avviso del Collegio, il “self restraint” della giurisprudenza sull’istituto della mozione di sfiducia non deve essere spinto fino a produrre un arretramento di tutela, cosa che si verificherebbe se il giudice amministrativo, pur in presenza di una espressa prescrizione normativa, si spingesse (come vorrebbe la difesa del controinteressato) a verificare solo la “esistenza” di una motivazione e non la logicità e coerenza del suo “contenuto” .
A tali fini si osserva che laddove la legge impone una delibera motivata, non ci sono ragioni formali per ritenere che tale motivazione non sia sindacabile da parte del giudice; ciò che differenzia la motivazione di una delibera di sfiducia da quella di qualsiasi altro atto o provvedimento amministrativo è solo che la sfiducia è un atto il cui contenuto ed i cui presupposti non sono normati.
In altre parole, pur non sussistendo un paradigma legale che consenta di sindacare la legittimità o meno della relativa decisione, ciò non comporta che la sfiducia sia un atto assolutamente discrezionale.
La motivazione di un atto discrezionale è infatti sindacabile entro i consueti canoni della logicità, ragionevolezza ed assenza di contraddizione: ossia la misura della legittimità della motivazione sta nella motivazione stessa, ossia nella sua logicità, o coerenza di contenuto tra fatti, considerazioni e conclusioni che quindi laddove siano riferite o riferibili a circostanze “di fatto”, queste devono essere “effettive” ossia reali; laddove siano riferiti a giudizi o analisi o valutazioni di determinati accadimenti, questi ultimi devono essere, oltre che realmente accaduti anche riferibili a fatto dell’interessato e le prime devono essere “proporzionate” ai secondi, secondo un criterio di adeguatezza e verosimiglianza.
In difetto, la motivazione della revoca, per quanto formalmente articolata, si rivela essere uno schermo che cela un diverso intento della deliberazione e che, come tale, va censurato.
Nel caso odierno, il gravame è proposto contro una sfiducia affidata, nelle sue ragioni, a motivi che il ricorrente dimostra essere del tutto insussistenti o comunque non riconducibili alla sua responsabilità.
Nessuna contestazione a tali giustificazioni è poi pervenuta, né nel dibattito consiliare e né, tantomeno, in giudizio, posto che la tesi dei controinteressati si affida essenzialmente all’affermazione della insindacabilità di una motivazione espressa, costituente “volere politico“.
Il Collegio ribadisce, dunque, che la tesi del ricorrente è ammissibile, perché con essa non si contesta il merito delle ragioni “politiche” anche implicitamente connesse alla revoca: non si afferma, cioè, che le ragioni di essa sono “non condivisibili”, ma si afferma, ben diversamente, che sono “inesistenti” o “insussistenti” o comunque riferite ad episodi o avvenimenti del tutto estranei alla responsabilità ed al potere amministrativo del Sindaco.
E’ evidente, dunque, che il ricorso introduce una questione ammissibile, anche alla luce dei consueti canoni di giudizio in ordine agli atti discrezionali e ciò anche sotto un altro e differente profilo.
Infatti, proprio attraverso la motivazione dell’atto, il Consiglio Comunale ha “scelto” di affidare la sfiducia a circostanze di fatto ben determinate, come se fossero contestazioni amministrative di  inadempimento di obblighi legali, più che politici, e quindi si è esso stesso autolimitato: le ragioni della revoca avrebbero ben potuto essere, invece, ragioni di vera e propria convenienza oppure opportunità politica ed in questo senso, sarebbero sicuramente rimaste insindacabili da parte del Giudice amministrativo.
E’ quindi ammissibile la contestazione della loro inesistenza; non essendo quest’ultima censura contestata nel merito, deriva un giudizio di illegittimità dell’atto per eccesso di potere dovuto a travisamento dei fatti.
Quanto al contenuto delle singole motivazioni della revoca e relative giustificazioni che sono contenute in atti, considerato che, in punto di fatto, non sorge contestazione su di esse (delle quali, come detto, si invoca soltanto l’inammissibilità, per le ragioni esposte), il Collegio ritiene che non è necessario riportare analiticamente ciascuna delle contestazioni contenute nella deliberazione, unitamente alle relative “difese” del ricorrente, dal momento che queste ultime sono fondate sulla documentazione versata in atti e non sono comunque contestate.
E’ opportuno quindi evidenziare solamente quelle specifiche motivazioni della revoca che, apparentemente, potrebbero considerarsi come ascrivibili a giudizi di merito al fine di evidenziare come, invece, anch’esse sfuggono ai precetti della logica e della proporzionalità rispetto al contenuto della decisione (facendo così mancare l’indissolubile legame che deve sussistere tra dispositivo e motivazione dell’atto).
Più precisamente, tra le varie argomentazioni che la delibera del consiglio comunale ha fatto proprie, si rilevano le seguenti.
     I) Uno dei punti apparentemente più a contenuto “politico” è la contestazione del “verificarsi del mutamento delle appartenenze politiche” legato al fatto che il Sindaco, alle ultime elezioni europee, si è candidato nella lista dell’UDC, mentre per le elezioni amministrative venne presentata una lista civica con presenze pluripolitiche o apartitiche”.
     Sul punto, condivisibilmente il ricorrente si duole della mancanza di proporzionalità tra tale “giudizio” e la revoca, perché, secondo il senso comune, minima o nessuna influenza politica possiede la candidatura in una lista presentata da un partito politico, rispetto all’appartenenza ad una lista civica formata da esponenti di più partiti.
     Proprio su questo aspetto che avrebbe potuto avere una insindacabile connotazione politica, il Consiglio Comunale avrebbe dovuto esaustivamente motivare le ragioni della esistenza dell’asserito contrasto “politico” e, soprattutto, quelle della sua rilevanza, ossia dell’ importanza che gli si attribuisce, tale da condurre ad una conseguenza così grave come quella dell’autoscioglimento dell’Amministrazione.
     II) Priva di valore, in quanto apodittica e meramente tautologica, è poi l’affermazione secondo cui i Consiglieri “rilevano il venir meno dei presupposti sui quali si era determinato il consenso”.
     III) La “continuata assenza”da S. Maria di Licodia del Sindaco che “avrebbe casa a Roma” è del pari affermazione inconferente, ai fini delle ragioni “politiche” dell’atto, in quanto è puramente rivolta a questioni personali del ricorrente, peraltro smentita in punto di fatto da quest’ultimo che dimostra la sua presenza in Comune.
     Il Collegio osserva che quest’ultima “difesa” del ricorrente non era neppure necessaria, perché la contestazione in sé è da considerarsi gravemente inaccettabile, in quanto espressione di un “campanilismo” localista assolutamente censurabile alla luce dei valori costituzionalmente garantiti della solidarietà sociale e della promozione umana che sono sanciti dall’art. 2 della Costituzione.
     IV) Generiche e come tali prive di rilievo sono poi le contestazioni secondo cui il Sindaco avrebbe  “revocato e nominato posizioni organizzative apicali” e avrebbe inteso rilasciare una “concessione dei servizi cimiteriali” “senza gara” e “per un prezzo esorbitante (circa 5 milioni di euro)!”.
     Anche sul punto, il ricorrente ha comprovato di non aver revocato alcuna nomina di Capo settore, limitandosi, alla scadenza dei rispettivi incarichi, ad applicare il criterio della rotazione, che, osserva il Collegio, è ordinariamente deputato ad escludere che nell’organizzazione del Comune si creino situazioni di “monopolio” degli  uffici.
Quanto ai servizi cimiteriali, laddove  i Consiglieri censurano il fatto che il Comune abbia considerato una proposta di finanza di progetto, il ricorrente comprova che la Giunta si è occupata di una proposta del genere, ma solo per respingerla (deliberazione n. 135 del 2-11-2004).
     V) La mozione si conclude rinviando alla mancata approvazione, da parte del Consiglio, con voti 8 su 14, del bilancio di previsione per il corrente esercizio finanziario. Tuttavia, quest’ultimo è stato approvato e con ciò la motivazione è gravemente contraddittoria in sé stessa, quando afferma che “l’attuale Sindaco non dispone più della maggioranza   consiliare”.
     Condivisibilmente, la difesa del ricorrente rileva che “la coerenza logica di tale affermazione conclusiva  non è afferrabile”.
     Infatti, laddove il Consiglio approvi il bilancio, pur apponendovi emendamenti, esercita prerogative riconosciutegli dalla legge ed esprime comunque una maggioranza solidale con il Sindaco, altrimenti già in quella fase si sarebbe determinato l’effetto estintivo del mandato che la legge prevede espressamente al verificarsi della mancata approvazione del bilancio nei termini e dopo diffida.
      VI) Conclusivamente, deve affermarsi, dunque, che laddove il Consiglio comunale deliberi la mozione di sfiducia al Sindaco, determinando così l’effetto dell’autoscioglimento dell’amministrazione in carica, la relativa delibera deve essere motivata con riferimento a circostanze e fatti effettivamente accaduti o esistenti, riconducibili ad una esistente responsabilità o ascrivibili alla mancanza di un esigibile comportamento del Sindaco, nonché logicamente proporzionati all’effetto della decadenza dalla carica del Sindaco e se, quest’ultimo, offre in aula opportune controdeduzioni, personalmente o per il tramite dei suoi assessori, la  decisione che scaturisce dal dibattito consiliare deve comprendere espressamente anche le specifiche ulteriori motivazioni del rigetto delle “controdeduzioni” suddette.
Il ricorso è dunque fondato e come tale deve essere accolto.
La complessità del caso costituisce tuttavia giusta ragione per compensare integralmente le spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania – Sezione prima ACCOGLIE il ricorso in epigrafe e per l’effetto annulla gli atti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Catania, nella Camera di Consiglio del 21.12.2006.
        L’ESTENSORE
Dr. Salvatore Gatto Costantino
      IL PRESIDENTE
      Dr.ssa ***************
Depositata in Segreteria il 08 febbraio 2007

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