Suprema Corte di Cassazione: mantenimento ridotto al minimo all’ex che non esercita la professione

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Spesso accade che persone che non lavorano, in seguito a una separazione, cerchino di farsi mantenere dall’ex coniuge, nonostante il diritto in questione non sia automatico.

Attraverso una recente ordinanza, la Suprema Corte di Cassazione  ha stabilito che il mantenimento spetta esclusivamente se il reddito di chi lo richiede non sia sufficiente a dare autonomia dal lato economico.

Se si è in grado di lavorare ci si deve impegnare per cercare un’occupazione.

Il mantenimento dell’ex coniuge professionista che non lavora può essere riconosciuto, esclusivamente entro ristretti limiti.

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Si deve anche verificare quale sia il contributo fornito dal coniuge che durante gli anni di matrimonio è rimasto a casa dedicandosi alla famiglia e lasciando libero il coniuge per un maggiore sviluppo professionale.

Se si sono verificate simili circostanze, la persona che si è sacrificata avrà diritto a un riconoscimento economico.

L’ordinanza della Suprema Corte del 10/03/2012 n. 6529, ha affermato che un’ex professionista (nello specifico un’avvocata che non aveva mai esercitato, né durante il matrimonio né dopo) può continuare a incassare l’assegno divorzile corrisposto dall’ex marito (un magistrato), però in misura molto ridotta.

Ne scriveremo in questa sede, cercando di capire il motivo per il quale il provvedimento sia stato adottato nel rispetto dei che regolano la complessa materia e che si sono consolidati negli ultimi anni.

Oggi il mantenimento non è più considerato come avveniva in un recente passato.

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In che cosa consiste l’assegno divorzile

L’assegno divorzile consiste nell’obbligo di uno dei coniugi di pagare all’altro coniuge un assegno in un determinato periodo, quando lo stesso non abbia i mezzi adeguati o on se li può procurare per motivi di carattere oggettivo.

Secondo le disposizioni contenute nell’articolo 5 della legge sul divorzio (L. 898/1970) il tribunale, quando pronuncia sentenze di divorzio, deve stabilire anche la misura dell’assegno divorzile, considerando determinati fattori, tra i quali, il principale è il reddito dei due coniugi, in base ai motivi della decisione e alla durata del matrimonio.

Il pagamento dell’assegno può essere mensile oppure in un’unica soluzione.

In presenza di simili circostanze anche con assegnazione di un bene.

La differenza tra assegno divorzile e di mantenimento

L’assegno divorzile è una delle principali conseguenze del divorzio relative al patrimonio, perché attraverso il divorzio il giudice stabilisce l’eventuale diritto di uno dei coniugi di percepirlo.

L’assegno divorzile deve essere distinto dall’assegno di mantenimento che, quando sono presenti le condizioni di legge,  spetta prima del divorzio, vale a dire, in seguito alla separazione personale dei coniugi, in una fase del rapporto ancora transitoria.

A questo proposito, deve essere segnalata una sentenza rivoluzionaria della Suprema Corte di Cassazione che ha evidenziato in modo più marcato la distinzione tra l’assegno di mantenimento e l’assegno divorzile.

L’assegno di divorzio e la sua funzione

Dopo alcune sentenze della  Suprema Corte di Cassazione (Cass. Sez. Un. sent. n. 8287/18 e Cass. sent. n. 11504/17) la funzione dell’assegno divorzile è cambiata rispetto al passato recente.

La legge dispone che debba essere pagato al coniuge che non ha adeguati mezzi economici (Cass. Sez. Un. sent. n. 8287/18 e Cass. sent. n. 11504/17) e non se li  può procurare per motivi di carattere oggettivo.

I Supremi Giudici hanno precisato che non si deve preservare con lo stesso tenore di vita del quale si era goduto durante il matrimonio, mentre il metodo del tenore di vita resta valido durante la fase di separazione coniugale.

Oggi l’assegno di divorzio ha una funzione perequativa e compensativa.

Viene concesso nella misura strettamente necessaria a garantire l’autosufficienza economica all’ex coniuge che non è in grado di raggiungere indipendenza e autonomia in modo autonomo, senza nessun riequilibrio delle rispettive condizioni economiche, vale a dire che non si deve rispettare una determinata proporzione tra l’importo riconosciuto al beneficiario e il reddito o patrimonio di chi è tenuto a pagare l’assegno, si deve esclusivamente riconoscere una somma adeguata per mantenersi.

L’assegno di divorzio e chi non lavora

Non lavorare dopo la fine del matrimonio può dipendere da diversi motivi.

La zona nella quale si abita, il livello di istruzione, i titoli che si possiedono, l’età raggiunta.

L’autosufficienza è il requisito essenziale per potere beneficiare dell’assegno, e la sua mancanza non deve essere colpevole.

Coloro che non riescono a rendersi economicamente indipendenti, dopo il divorzio possono sperare di essere mantenuti.

Si deve dimostrare di “meritare” l’assegno divorzile.

Un ex coniuge che ha più di cinquant’anni, o è in condizioni di salute cagionevoli, a causa di malattie e invalidità, o che vive in zone svantaggiate avrà la possibilità di ottenere il mantenimento, a differenza dell’ex coniuge che essendo in condizioni ottimali, non si è preoccupato di cercare un lavoro oppure ha rifiutato offerte e proposte.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione, e ne abbiamo scritto in questa sede,  prendendo in considerazione una vicenda  decisa in senso non favorevole a chi riteneva poco dignitoso, e inadeguato al suo grado di istruzione, svolgere lavori manuali e umili, come quello di assistenza alla persona, vale a dire il lavoro di badante.

Il professionista che non esercita e il mantenimento

Attraverso l’ordinanza della quale abbiamo sopra accennato (ord. n. 6529 del 10/03/2021) la Suprema Corte ha compiuto un altro passo avanti in questa direzione, perché riduce al minimo, ma non revoca interamente, il beneficio economico del mantenimento a una professionista che non aveva mai esercitato il suo lavoro, nonostante fosse in possesso del titolo di abilitazione.

La donna si era opposta alla domanda di eliminazione dell’assegno da parte dell’ex marito, ottenendo la ragione in modo parziale.

I Supremi Giudici hanno valorizzato “il contributo fornito alla vita familiare e alla realizzazione del coniuge, che era un magistrato, e non è bastato a riconoscere il suo diritto a ricevere l’assegno divorzile, ma sulla quantificazione dell’importo ha pesato il fatto che ella “pur essendo professionalmente qualificata, non si era attivata nel corso degli anni per l’inserimento nel mondo del lavoro, nonostante fosse ancora abbastanza giovane»: era dotata, quindi, di una «concreta capacità lavorativa» che però non ha sviluppato neppure dopo la fine del matrimonio.

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