Sul rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia

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Leggi il Progetto di iniziativa popolare ai sensi dell’art. 71 comma 2 della Costituzione e della legge 25 maggio 1970 n. 352 (G.U. 22 dicembre 2012 n. 298)

 

Recenti fatti di cronaca, al tempo stessi tragici e commoventi, hanno posto nuovamente l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema dell’eutanasia e sul diritto di rifiutare trattamenti sanitari in determinate situazioni.

Il dibattito è aperto da anni, tra i sostenitori di un orientamento liberale che ritiene universale il diritto all’autodeterminazione di ogni persona e i fautori, spesso condizionati da pregiudizi religiosi, che giudicano la vita un bene esclusivamente sociale e non individuale.

Da un punto di vista normativo, nonostante continui solleciti dalle aree politiche più radicali del Paese, in  Italia non esiste ancora una legislazione in materia.

E’ doveroso premettere il significato del termine eutanasia: di origine greca (letteralmente buona morte), dal XIX secolo questa parola indica l’azione di procurare intenzionalmente e nel suo interesse la morte di un essere umano, le cui condizioni di salute siano gravemente compromesse in modo irreversibile, senza causargli alcun dolore, al fine di porre fine alla sua sofferenza.

La ragione etica a favore dell’eutanasia è la concezione dell’individuo come essere libero e dotato di libertà di scelta, a cui è riconosciuto il diritto di autodeterminazione della propria sfera privata, compresa la decisione di porre fine al dolore e alla sofferenza che si provano durante una malattia inguaribile.

Secondo questo orientamento, è necessario disciplinare il c.d. testamento biologico (detto anche dichiarazione anticipata di trattamento), cioè un’espressione di volontà da parte del testatore a proposito delle terapie a cui intende o non intende sottoporsi qualora dovesse trovarsi nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di accettare o rifiutare le cure proposte per malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili o invalidanti che lo costringano a trattamenti permanenti con sistemi artificiali: asostegno di questa necessità, coloro che richiedono un intervento legislativo in materia ricordano che secondo l’art. 32 comma della CostituzioneNessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Nonostante già da anni diverse la società civile liberale abbia aperto un dibattito sull’argomento, al momento non sussiste alcuna legge specifica in materia di eutanasia e testamento biologico, anche a causa dell’inerzia di gran parte del mondo politico conservatore.

Premesso ciò, in questa sede si ritiene utile e interessante l’esame del progetto di iniziativa popolare ai sensi dell’art. 71 comma 2 della Costituzione e della legge 25 maggio 1970 n.352 e successive modificazioni (Gazzetta Ufficiale del 22 dicembre 2012 n. 298).

In materia di trattamenti sanitari e di trattamento di sostegno vitale e/o terapia nutrizionale sanitari, ai sensi dell’art. 1, ogni cittadino maggiorenne, capace di intendere e di volere o la cui volontà sia manifestata inequivocabilmente dall’interessato o, in caso di incapacità sopravvenuta, anche temporanea da soggetto c.d. fiduciario per la manifestazione delle volontà di cura, ha il diritto di rifiutare l’inizio o la prosecuzione di tali trattamenti.

Come precisa il successivo art. 2, il personale medico e  sanitario è obbligato a rispettare la volontà della persona: in caso contrario, oltre ad eventuali conseguenze penali e civili, il personale sarà tenuto al risarcimento del danno morale e materiale.

Per quanto riguarda l’eutanasia, ai sensi dell’art. 3 il paziente maggiorenne, capace di intendere e di volere e la cui richiesta sia attuale e inequivocabilmente accertata, informato congruamente ed adeguatamente delle proprie condizioni e di tutte le possibili alternative terapeutiche e dei prevedibili sviluppi clinici, può richiedere di essere sottoposto a trattamenti eutanasici presso una struttura sanitaria, nel rispetto della dignità  umana e senza sofferenze fisiche.

La richiesta, per essere ammissibile, deve essere motivata dal fatto che il paziente è affetto da una malattia produttiva di gravi sofferenze, inguaribile o con prognosi infausta inferiore a diciotto mesi.

Inoltre, i parenti entro il secondo grado e il coniuge, con il consenso del paziente, devono essere stati informati della richiesta e, con il consenso del paziente, devono avere avuto modo di colloquiare con lo stesso.

Resta inteso, come confermato dall’art. 4, che la domanda di applicazione dell’eutanasia deve essere chiara ed inequivoca e non può essere soggetta a condizioni: in più, deve essere accompagnata da un’autodichiarazione con cui il richiedente attesti di essersi adeguatamente documentato in ordine ai profili sanitari, etici ed umani ad essa relativi.

Qualora il paziente successivamente sia incapace di intendere e volere oppure di manifestare la propria volontà, altrettanto chiara ed inequivoca, nonché espressa per iscritto, deve essere la conferma del fiduciario nominato precedentemente con atto scritto, con firma autenticata dall’ufficiale di anagrafe del comune di residenza o domicilio, affinchè, ricorrendone le condizioni, confermi la richiesta.

Nel rispetto delle predette condizioni, al personale medico e sanitario che abbia praticato trattamenti eutanasici non sono applicabili le disposizioni degli artt. 575 (omicidio), 579 (omicidio del consenziente), 580 (istigazione o aiuto al suicidio) e 593 (omissione di soccorso) del Codice Penale.

Concludendo, si auspica al più presto un intervento normativo in materia per restituire libertà di scelta a tutte le persone vittime di sofferenze fisiche e psichiche insostenibili, ricordando che ogni individuo nasce libero di vivere la propria vita con dignità e secondo i propri valori. 

 

Genova –Savona, 28 febbraio 2017

Dott. Assenza Carmelo

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