Successioni e legge Cirinnà: la discriminazione delle coppie di fatto

Barbara Marini 14/03/19
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L’evoluzione della famiglia

La definizione di quale formazione sociale possa qualificarsi come famiglia è stata oggetto, per lungo tempo, di varie discussioni e teorie che sembrerebbero aver trovato un punto di accordo con l’entrata in vigore della legge Cirinnà.

Il concetto di famiglia si differenzia in base ai vari ambiti di riferimento: sociologico, ove ci si riferisce al legame sanguineo o di residenza, giuridico, o del sentire comune ove spesso si definiscono famiglie nuclei che non hanno né un legame di sangue né una relazione amorosa.

Dal punto di vista giuridico la famiglia trova una chiara definizione nell’art. 29 della Costituzione italiana ove si specifica che la famiglia è riconosciuta e tutelata dalla Repubblica come società naturale fondata sul matrimonio.[1] Per decenni la posizione interpretativa assunta, sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, era nel senso che la famiglia doveva essere concepita in una visione teologica: attraverso l’alterità data dall’unione di un uomo con una donna.[2] Tale interpretazione ha costituito per molto tempo l’ostacolo principale per il riconoscimento dal punto di vista giuridico delle convivenze more uxorio (etero e omosessuali) come veri e propri nuclei familiari.

Le esigenze sociali, tuttavia, dovute al mutare del costume e all’evoluzione hanno spinto nel tempo la giurisprudenza verso una parziale equiparazione delle coppie conviventi alle coppie sposate, ad esempio riconoscendo al partner supestite il diritto di subentrare nel contratto di locazione o equiparando la disciplina relativa alla filiazione: eliminando progressivamente le differenze di trattamento dei figli legittimi e dei figli naturali.

Una svolta è avvenuta con la Legge Cirinnà (Legge n. 76/2016) la quale ha cercato principalmente di dare un riconoscimento alle coppie di fatto e alle coppie omosessuali e di eliminare le differenze di trattamento tra le famiglie fondate sull’istituto del matrimonio e quelle formate sulla convivenza more uxorio.

La legge crea quindi tre categorie di formazioni familiari: la coppia sposata, formata in base ai criteri stabiliti dal citato articolo 29 della Costituzione, la coppia di fatto o convivente more uxorio, quale unione di coppie eterosessuali e, infine, l’unione civile quale coppia omosessuale.

Nonostante il nobile tentativo di uniformare la disciplina applicabile alle tre tipologie di famiglia la Legge 76/2016 lascia scoperti alcuni ambiti giuridici e pone in altri sostanziali differenze di trattamento, come ad esempio in ambito successorio.

L’eredità

Con l’espressione successione per causa di morte ci si riferisce al fenomeno giuridico secondo il quale alla morte di un soggetto, detto de cuius (persona della cui eredità si tratta) segue l’estinzione dei rapporti personalissimi e familiari, mentre i rapporti patrimoniali vengono trasmessi ad altri soggetti individuati in base alle norme del diritto ereditario.

Il Codice Civile definisce erede quel soggetto che è chiamato a succedere nell’universalità di beni o a una quota di essi; gli eredi possono essere legittimi o testamentari nel caso in cui sia presente o manchi in tutto o in parte un valido testamento. Gli eredi legittimi sono individuati direttamente dalla legge, sono coloro che vengono chiamati all’eredità nel caso in cui il de cuius non abbia lasciato testamento e  sono indicati nel Codice Civile all’art. 565; costituiscono eredi legittimi il coniuge, i discendenti, gli ascendenti, i collaterali, gli altri parenti sino al sesto grado, lo Stato.

Il nostro ordinamento prevede che il de cuius possa lasciare delle disposizioni testamentarie per disporre delle proprie sostanze e dei propri beni in un momento successivo alla sua morte (eredi testamentari); tuttavia, la libertà del de cuius è limitata in quanto le sue disposizioni non possono ledere la quota di legittima.[3]

La quota di legittima è quella porzione di patrimonio che spetta “di diritto” agli eredi legittimari (soggetti a cui la legge riserva una quota di eredità o di un altro diritto nella successione) e che non può essere ridotta o annullata nemmeno dal testamento del de cuius.

La successione per le coppie di fatto

La Legge Cirinnà estende ai partner dell’unione civile la disciplina delle successioni riguardante la famiglia contenuta nel Codice Civile, infatti, all’art. 21 della legge si prevede che alle parti dell’unione civile si applichino gli articoli relativi alla disciplina della successione legittima, della successione legittimaria e dell’indegnità. Ne consegue che ogni riferimento normativo al coniuge deve essere esteso anche al partner supestite dell’unione civile; a titolo esemplificativo per quel che concerne il concorso tra eredi nella successione è previsto che il coniuge superstite, o la parte dell’unione civile supestite, abbia diritto alla metà dell’eredità se nella successione concorre con un solo figlio e ad un terzo negli altri casi.

La Legge Cirinnà sul punto è chiara nell’equiparare le due situazioni, ma proprio a causa dell’esplicito riferimento all’unione civile (definita quale unione di due persone aventi lo stesso sesso) esclude totalmente dalla disciplina successoria le coppie more uxorio eterosessuali creando di fatto non solo una disparità di trattamento, ma una vera discriminazione. Per i conviventi, infatti, non sono previsti particolari diritti successori e tale vuoto normativo non è aggirabile nemmeno attraverso la disposizione di questioni patrimoniali mediante il contratto di convivenza in quanto la legge vieta espressamente i patti successori.

L’unica soluzione praticabile per i conviventi è quella di redigere apposito testamento; senonché il concetto di testamento nella cultura italiana è spesso legata alla vecchiaia e a particolari sostanze economiche, si rischia in tal modo che una coppia giovane in cui venga a mancare improvvisamente uno dei due partner sia completamente sprovvista di tutele dal punto di vista successorio. Ulteriore aspetto da tenere in considerazione è dato dal fatto che anche qualora vi sia un testamento l’atto è comunque limitato dalle disposizioni del Codice Civile, quali la sopra illustrata quota di legittima degli eredi.

Unica tutela prevista dalla Legge 76/2017 è quella disposta all’art. 1 comma 43 la quale prevede che in caso di morte del partner proprietario dell’immobile adibito ad abitazione della coppia il convivente supestite abbia diritto a continuare ad abitare l’immobile per due anni o per un periodo pari alla convivenza se questa è superiore a due anni, ma in ogni caso per un lasso di tempo non superiore a cinque anni.

Pertanto trascorso tale lasso di tempo l’immobile deve essere restituito all’erede.

Nel caso in cui il partner supestite non restituisse l’immobile o altri beni di appartenenza al compagno defunto si configurerebbe una vera a propria appropriazione indebita perseguibile penalmente.

Concludendo, attualmente l’ordinamento lascia completamente sprovviste di qualsivoglia tutela dal punto di vista successorio le coppia di fatto, unica soluzione per le stesse sembrerebbe essere quella di lasciare disposizioni testamentarie, restando tuttavia più che auspicabile un intervento volto a revisionare l’intera normativa e a porre effettivamente sullo stesso piano le varie formazioni familiari senza alcuna distinzione, eliminando ogni tipo di pregiudizievole differenziazione.

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Riferimenti bibliografici

Codice Civile Commentato, R. Giovagnoli, ed. Giuffré;

Costituzione esplicata, F. del Giudice, ed. Simone;

Istituzioni di diritto privato, P. Trimarchi, ed. Giuffré;

Legge n. 76/2016;

Manuale di diritto di famiglia, G. Bonilini; Utet.

Note

[1] F. DEL GIUDICE, Costituzione esplicata, p.82, Simone;

[2] G.BONILINI, Manuale di diritto di famiglia, p. 14 ss, Utet.

[3] P. TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, p. 737 ss., Giuffré.

Barbara Marini

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