Stepchild Adoption, aperture della Corte Costituzionale?

Redazione 12/04/16
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Con sentenza n. 76 depositata in data 07 aprile 2016 la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile (per meri motivi procedurali) la questione di legittimità costituzionale promossa dal Tribunale per i minorenni di Bologna sulla c.d. stepchild adoption.

Due donne – sposate negli Usa – chiedevano il riconoscimento in Italia della sentenza straniera di adozione del Tribunale di Prima Istanza dello Stato dell’Oregon, Contea di Multnomah, negli Stati Uniti d’America, con la quale era stata disposta l’adozione piena di una minore – nata in seguito ad inseminazione artificiale – in favore della partner, con responsabilità genitoriale congiunta a quella della madre biologica.

Il giudice bolognese, nell’ordinanza di rimessione, evocava alcune decisioni in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo avrebbe affermato che la coppia formata da persone dello stesso sesso è da considerare “famiglia” (sentenza 24 giugno 2010, Schalk e Kopf contro Austria, e sentenza 19 febbraio 2013, X e altri contro Austria). Infine, il giudice citava la stessa Corte costituzionale, la quale avrebbe riconosciuto che la coppia omosessuale rientra tra le formazioni sociali tutelate dall’art. 2 Cost. (sentenza n. 170 del 2014).

Su questi presupposti, il Tribunale per i minorenni di Bologna riteneva che la disciplina «in materia di riconoscimento dell’adozione perfezionatasi all’estero» fosse censurabile sotto due distinti profili.

In primo luogo, gli artt. 35 e 36 della legge n. 184 del 1983 violerebbero gli artt. 2 e 3 Cost., in quanto, per la sola omosessualità dei genitori, esse impedirebbero in modo assoluto alla famiglia formatasi all’estero di continuare ad essere “famiglia” anche in Italia.

In secondo luogo, il giudice a quo riteneva che la disciplina censurata contrasti con gli artt. 2, 3, 30, 31 e 117 Cost., quest’ultimo in riferimento agli artt. 8 e 14 della CEDU, in quanto il divieto assoluto di riconoscimento della decisione straniera cancellerebbe «in modo netto e irrazionale» la possibilità, per il giudice italiano, di condurre un vaglio sull’effettivo interesse del minore, vanificando principi di matrice internazionale ed europea.

Secondo i giudici costituzionali, il giudice emiliano ha erroneamente ritenuto applicabile al caso oggetto del suo giudizio la disciplina in tema di riconoscimento delle sentenze di adozione internazionale di minori, riconducendo la fattispecie da cui origina il giudizio principale all’art. 36, comma 4, della legge n. 184 del 1983, che estende il controllo giudiziale del Tribunale per i minorenni ad una particolare ipotesi di adozione di minori stranieri in stato di abbandono da parte di cittadini italiani.

Il Tribunale per i minorenni di Bologna ha ritenuto evidentemente determinante il fatto che la ricorrente fosse – al momento del ricorso – cittadina italiana.

Tuttavia, la Consulta ha rilevato che, al momento dell’adozione, la ricorrente era solo cittadina americana e che l’adozione pronunciata negli Stati Uniti d’America nel 2004 riguardava una bambina di cittadinanza americana.

Pertanto, il Tribunale ha erroneamente ricondotto la fattispecie oggetto del proprio giudizio ad una disposizione – appunto il citato art. 36, comma 4 – volta ad impedire l’elusione, da parte dei soli cittadini italiani, della rigorosa disciplina nazionale in materia di adozione di minori in stato di abbandono, attraverso un fittizio trasferimento della residenza all’estero.

L’inadeguata individuazione, da parte del giudice rimettente, del contesto normativo determina, dunque, un’erronea qualificazione dei fatti sottoposti al suo giudizio, tale da riverberarsi sulla rilevanza delle questioni proposte (ex plurimis, ordinanze n. 264 del 2015 e n. 116 del 2014).

Attenzione: è una decisione procedurale, non di merito, che non cambia in nulla la situazione attuale per i giudici di merito. La Corte costituzionale ci sta dicendo che la domanda era sbagliata: bisognava prima andare all’ufficiale di stato civile non al tribunale”. Questo il parere del costituzionalista Stefano Ceccanti.

In conclusione, probabilmente il giudice bolognese avrebbe potuto riconoscere “in modo automatico” il provvedimento straniero, ai sensi del comma 1 dell’art. 41 della legge n. 218 del 1995, e dichiarare, dunque, inammissibile la domanda. In tale ipotesi, infatti, il provvedimento straniero sarebbe stato direttamente presentato all’ufficiale di stato civile per la trascrizione.

Redazione

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