Spetta solo al sindaco il potere di rappresentare il Comune nel processo tributario

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Corte di Cassazione n.27579/2018 

a cura degli Avv. Maurizio Villani e Avv. Lucia Morciano

SOMMARIO: 1.Riferimento normativo; 2.Evoluzione giurisprudenziale della rappresentanza degli enti locali nel giudizio tributario; 3.Nel processo tributario solo il sindaco rappresenta l’ente (Cass.n.27579 del 30 ottobre 2018); 3.1 Principio di diritto;3.2 Caso di specie; 3.3 Motivazione della sentenza

1.Riferimento normativo

In via preliminare, prima di dare contezza dei recenti arresti della giurisprudenza di legittimità in riferimento ai soggetti rappresentanti degli enti locali nel processo tributario, occorre inquadrare tale istituto dal punto di vista normativo.

Preliminarmente, è bene soffermarsi sul concetto di parte, nell’ambito del contenzioso tributario, fissato dall’articolo 10 del D.Lgs. n. 546/1992. Tale norma individua i soggetti aventi la capacità di essere parte: oltre il ricorrente, l’ufficio del ministero delle Finanze,nonché il concessionario del servizio di riscossione e l’ente locale. Il successivo articolo 11, che disciplina la capacità processuale per le parti diverse dall’ufficio del ministero delle Finanze e dell’ente locale, prevedeva, al terzo comma, che l’ente locale potesse stare in giudizio solo mediante l’organo di rappresentanza, previsto dal proprio ordinamento ex articolo 50 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, abrogativo della precedente legge 8 giugno 1990, n. 142. Tale ultima disposizione individuava nel sindaco e nel presidente della provincia gli organi responsabili della rispettiva amministrazione comunale (comma 1), precisando, al comma 2, che gli stessi rappresentavano il rispettivo ente, convocando e presiedendo la giunta, nonché il consiglio.
Ciò significava che la rappresentanza in giudizio dell’ente locale era riconosciuta di diritto al sindaco pro-tempore, in quanto previsto dall’ordinamento dell’ente stesso (legge 8 giugno 1990, n. 142).

Il sindaco, comunque, così come previsto dall’articolo 15, comma 2-bis del D.Lgs n. 546/1992, poteva farsi assistere in giudizio dai propri dipendenti.
In questa sede, è bene evidenziare il panorama giurisprudenziale che, caratterizzando l’istituto della rappresentanza e costituzione in giudizio dell’ente locale, è divenuto sede privilegiata per l’elaborazione di novità legislative in materia.

E infatti, l’art. 3-bis della Legge n. 88 del 31/05/2005 ha modificato l’art. 11, comma terzo, del D.Lgs. n. 546/92. Come suesposto, tale disposizione, originariamente, attribuiva la capacità a stare in giudizio nei processi tributari all’organo di rappresentanza previsto dall’ordinamento dell’ente. La successiva formulazione, invece, ha stabilito che l’ente, cui è stato proposto il ricorso, può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’Ufficio tributi e, se privo di figure dirigenziali, mediante il titolare di posizione organizzativa in cui è collocato l’ufficio. Questa nuova regola è stata estesa ai giudizi in corso al 1° giugno 2005, data di entrata in vigore delle nuove disposizioni.

2.Evoluzione giurisprudenziale della rappresentanza degli enti locali nel giudizio tributario

Un primo arresto della giurisprudenza di legittimità affermava che, in base all’articolo 50 del TU delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 8 agosto 2000 n. 267, analogamente a quanto stabilito dall’articolo 36 della legge 8 giugno 1990 n. 142, la rappresentanza in giudizio del Comune si doveva ritenere riservata esclusivamente al Sindaco, escludendosi quindi, che la stessa potesse essere esercitata dal dirigente titolare della direzione di un ufficio o di un servizio (Cass n. 10787, 7 giugno 2004,).

Inoltre, con riferimento alla forza normativa attribuita allo Statuto degli enti locali, la Suprema Corte ha affermato che, in base al combinato disposto dagli artt. 6, 50 e 107 del D.Lgs. 267/2000, gli statuti ed i regolamenti comunali si sarebbero dovuti uniformare al principio – vincolante per la normativa secondaria, ai sensi del citato art. 6 – della riserva sindacale della rappresentanza giudiziale del Comune e non potendo attribuire ad altri soggetti tale rappresentanza, pena la loro disapplicazione “in parte qua” ad opera del giudice ordinario, ex art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all.E.

Da siffatta impostazione discendeva che “i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente” , anche in giudizio, che il menzionato art. 6 consentiva di disciplinare mediante statuto, non attenevano all’individuazione del soggetto legittimato a rappresentare in giudizio l’ente, ma ad aspetti diversi, posto che competeva esclusivamente al Sindaco, quale capo dell’amministrazione comunale, poter conferire al difensore del Comune la procura alla lite. Doveva, pertanto, escludersi che il sindaco potesse altresì derogare a tale riserva di attribuzioni, delegando ad altri (dirigenti) il potere di rappresentanza processuale, atteso che il citato D.Lgs. 267/2000 esigeva una netta separazione tra detto potere, di esclusiva competenza del Sindaco, e la sfera di attribuzioni dei dirigenti delineata dal citato art. 107(Cass. sez. trib., 12 /12/2003, n.19082, Cass.sez.trib., 17/11/2003, n. 17360, Cass. 7/06/2004, n. 10787., Cass. 8/09/2004, n. 18087).

Successivamente con una pronuncia di rilevante importanza (Cass.S.U.n.12868/2005), la Suprema Corte ha mutato il pacifico precedente giurisprudenziale, volto a riservare esclusivamente in capo al Sindaco la rappresentanza in giudizio dell’ente locale.

Sul punto, le Sezioni Unite hanno statuito che lo statuto comunale “ha valore di norma fondamentale dell’organizzazione dell’ente locale, che non trova altri limiti che quelli imposti da principi espressamente connotati da inderogabilità”. In altri termini, la legge dello Stato, nell’ambito organizzativo dei Comuni, non costituisce più, secondo la sentenza, “un limite invalicabile all’attività statutaria”, se non per i principi inderogabili.

Sull’onda degli interventi normativi sull’art. 11 D.Lgs. 546/1992 e della succitata pronuncia delle Sezioni Unite, la giurisprudenza si è, ulteriormente, spinta affermando che “anche il funzionario può assistere nel giudizio tributario il Comune ed è anche legittimato a firmare tutti gli atti occorrenti per la difesa dell’ente, ovvero la costituzione in giudizio ed il ricorso in appello”.

In tal senso si è espresso il Supremo Consesso con la pronuncia n. 18419 del 16/09/2005, che nell’ interpretare l’art. 3-bis della L. n. 88/2005 di conversione del D. L. n. 44/2005, ha riconosciuto al dirigente dell’Ufficio tributi, oltre all’assistenza, anche la rappresentanza dell’ente; pertanto, gli enti che non possiedono tale figura, possono ricorrere al titolare di posizione organizzativa.

Sull’argomento la stessa Suprema Corte si era già pronunciata con le sentenze n. 139 del 09/01/2004 e n. 181 del 10/01/2004, chiarendo che non si verifica violazione ed erronea applicazione delle norme che disciplinano la rappresentanza in giudizio, quando i funzionari del Comune hanno svolto le funzioni di assistenza processuale o difesa tecnica, di cui all’art. 12 del D. Lgs. n. 546/92.

Siffatto intervento dei funzionari comunali, previsto dalla legge processuale, risponde all’esigenza di evitare il sistematico e costoso ricorso ad avvocati del libero foro e trova esplicita sanzione nell’art. 15, comma 2 bis D. Lgs. n. 546/92 cit., secondo cui “nella liquidazione delle spese a favore dell’ente locale, se assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del 20% degli onorari ivi previsti”.

In seguito, con la sentenza n. 685/2007, la giurisprudenza di legittimità ha, ulteriormente, ribadito che il Comune nell’esercizio dei poteri statutari può – nell’ambito dei settori di competenza – affidare direttamente la rappresentanza a stare in giudizio ad esponenti apicali della struttura burocratica amministrativa, senza necessità di delega del Sindaco. Il Supremo Consesso ha chiarito che non sussiste, pertanto, alcuna nullità del procedimento svoltosi in tema ICI, innanzi alle Commissioni tributarie, ove gli atti del Comune siano stati sottoscritti, non già dal sindaco, ma da un funzionario comunale.

Tale nuova impostazione della giurisprudenza di legittimità ha ridisegnato il rapporto tra legge statale e statuto nel sistema della gerarchia delle fonti, definendo lo statuto “come atto normativo atipico, con caratteristiche specifiche, di rango paraprimario o subprimario, posto in posizione di primazia rispetto alle fonti secondarie dei regolamenti e al di sotto delle leggi di principio.”

Viene così definitivamente superata l’impostazione tradizionale che escludeva la legittimità di ogni previsione statutaria di conferimento della rappresentanza processuale a persona diversa dal Sindaco, dovendosi attribuire all’art. 50 del D.Lgs. 267/2000 una interpretazione costituzionalmente orientata, atta a non circoscrivere il potere rappresentativo meramente al Sindaco.

Ciò comporta, in ragione della riconosciuta natura di atto normativo dello Statuto, la soggezione al principio iura novit curia, per il quale la conoscenza dello statuto deve ora appartenere alla scienza ufficiale del giudice, che è tenuto a disporne l’acquisizione anche d’ufficio.

In buona sostanza, in ordine alla rappresentanza in giudizio dell’ente locale, si deve concludere col ritenere che essa possa sussistere anche in capo al funzionario comunale, in quanto abilitato a sottoscrivere tutti gli atti necessari per lo svolgimento della funzione di assistenza ad essi riconosciuta, ivi compreso, al fine di rendere effettivo l’esercizio del diritto di difesa dell’ente locale, il potere di sottoscrivere il ricorso introduttivo e la costituzione in giudizio, restando fermo che il sindaco, quale organo di rappresentanza dell’ente, può farsi assistere nel giudizio dai medesimi funzionari.

Difatti, proprio in virtù della facoltà riconosciuta all’ente locale di farsi assistere dai propri funzionari, si determina la legittimità anche della sottoscrizione dell’atto processuale di costituzione da parte dello stesso funzionario, in quanto, ai sensi dell’articolo 18, comma 3, del Dlgs 546/92 “il ricorso deve essere sottoscritto dal difensore” e, pertanto, al funzionario delegato dell’assistenza devono essere riconosciuti tutti i poteri che la legge processuale tributaria attribuisce al difensore tecnico.

Successivamente, la Cassazione ha ribadito tale orientamento giurisprudenziale, con sentenza n.3662/2015, sottolineando il principio che, in tema di contenzioso tributario, l’ente locale, nei cui confronti è proposto il ricorso, può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, o, in mancanza di tale figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa comprendente l’ufficio tributi.

La giurisprudenza di legittimità, nel suo iter logico, si è soffermata sul concetto di parte, nell’ambito del contenzioso tributario, fissato dall’art. 10, D.Lgs. n. 546/1992 e sugli interventi normativi dell’art. 11 D.Lgs. 546/1992, il quale ora stabilisce che l’ente, cui è stato proposto il ricorso, può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’Ufficio tributi e, se privo di figure dirigenziali, mediante il titolare di posizione organizzativa in cui è collocato l’ufficio

In buona sostanza,secondo il Supremo Consesso, in ordine alla rappresentanza in giudizio dell’ente locale, si deve concludere col ritenere che essa possa sussistere anche in capo al funzionario comunale, in quanto abilitato a sottoscrivere tutti gli atti necessari per lo svolgimento della funzione di assistenza ad essi riconosciuta, ivi compreso, al fine di rendere effettivo l’esercizio del diritto di difesa dell’ente locale, il potere di sottoscrivere il ricorso introduttivo e la costituzione in giudizio, fermo restando che il sindaco, quale organo di rappresentanza dell’ente, può farsi assistere nel giudizio dai medesimi funzionari. E infatti, proprio in virtù della facoltà riconosciuta all’ente locale di farsi assistere dai propri funzionari, si determina la legittimità anche della sottoscrizione dell’atto processuale di costituzione da parte dello stesso funzionario, in quanto, ai sensi dell’art. 18, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992 “il ricorso deve essere sottoscritto dal difensore” e, pertanto, al funzionario delegato dell’assistenza devono essere riconosciuti tutti ipoteri che la legge processuale tributaria attribuisce al difensore tecnico.

Per tale ragione, secondo la Corte di Cassazione, non si verifica la violazione ed erronea applicazione delle norme che disciplinano la rappresentanza in giudizio, quando i funzionari del Comune hanno svolto le funzioni di assistenza processuale o difesa tecnica(v. anche Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 20/03/2009, n.6807).

Con una recente sentenza( Cass.n. n. 577/2017) il Supremo Consesso ha, altresì, precisato che la rappresentanza del Comune in giudizio può dal regolamento dell’ente essere assegnata al dirigente del settore competente e non deve essere necessariamente assegnata al dirigente del settore tributi. Lo stesso principio si applica negli enti privi di dirigente relativamente al responsabile di posizione organizzativa, che come noto svolge i compiti assegnati al dirigente nelle amministrazioni locali che ne sono prive. Tali attribuzioni vanno coniugate con la previsione per cui la rappresentanza dell’ente spetta in linea ordinaria al sindaco.

Nel caso specifico è stato ritenuto legittimo che un Comune fossa rappresentato nel giudizio dinanzi alla commissione tributaria da parte del dirigente del settore affissioni e non da quello tributario. Il giudizio verteva sulla irrogazione da parte dell’ente di una sanzione per violazioni delle disposizioni impartite dal Comune che si sono registrate nelle affissioni.

La sentenza della Corte di Cassazione, sezione tributaria, ha rammentato, inoltre, le previsioni dettate dal D.Lgs. n. 546/1992, art. 11, comma 3, per come sostituito dal D.L. n. 44/2005, per il quale “l’ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche tramite il dirigente dell’ufficio-tributi ovvero, per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio”. Dal che non ne deve però essere tratta la conseguenza che si sia in presenza di un’ attribuzione che può essere svolta esclusivamente dal dirigente dell’ufficio tributi, trattandosi di una attribuzione che può essere assegnata ad un altro dirigente.
Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, “a seguito della riforma del Titolo 5 della Costituzione e del regime delle autonomie degli enti locali di cui al D.Lgs. n. 267/2000, i regolamenti comunali possono legittimamente prevedere che, nel contenzioso avanti alle commissioni tributarie, a rappresentare in giudizio l’ente sia un dirigente del servizio di competenza, ancorchè diverso da quello dell’ufficio-tributi; e ciò senza necessità di specifica delibera autorizzativa della giunta comunale”.

Per cui, conclusivamente, la sentenza ha fissato il seguente principio: il “potere di rappresentanza processuale dei dirigenti deve intendersi, dunque, assolutamente pacifico riguardo ai giudizi davanti alle commissioni tributarie”. Lo stesso principio si deve applicare, giova ricordare, anche alle posizioni organizzative nelle amministrazioni locali che sono prive di dirigenti.

3.Nel processo tributario solo il sindaco rappresenta l’ente (Cass.n.27579 del 30 ottobre 2018)

3.1.Principio di diritto

Spetta solo al sindaco il potere di rappresentare il Comune nel processo tributario, come ricorrente o parte resistente; pertanto, i dirigenti comunali non hanno alcun potere di agire o di resistere in giudizio in mancanza di un’espressa previsione contenuta nello statuto comunale o, in alternativa, nel regolamento dell’ente, ma solo se lo statuto contenga un rinvio espresso alla norma regolamentare.

3.2.Caso di specie

Il Comune di T. appellava la sentenza della CTP che aveva disapplicato la delibera di determinazione delle tariffe TARSU e, quindi, annullata l’ingiunzione di pagamento emessa dal Comune di T. Inoltre, il giudice di prime cure, ordinava all’ente locale di applicare la tariffa in ragione del costo di smaltimento dei rifiuti,come determinato per l’anno 2001.

La CTR dichiarava inammissibile il gravame del Comune di T. e affermava che, il primo giudice avrebbe dovuto limitarsi all’annullamento dell’ingiunzione di pagamento, non potendosi sostituire all’ente impositore nella determinazione della tariffa.
Avverso predetta sentenza il Comune di T. proponeva ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte, a tal proposito, ha chiarito nuovamente la questione sulla rappresentanza dell’ente locale nel processo tributario.

3.3 Motivazione della sentenza

La Suprema Corte nel suo iter motivazionale ha messo in evidenza , in primo luogo, come nel caso di specie, il Comune di T. al comma 3 dell’art. 22 dello suo statuto prevede che “Il sindaco ha la rappresentanza politico istituzionale dell’ente. In tale veste può esprimere valutazioni di opportunità a promuovere o resistere alle liti in quei giudizi che coinvolgono interessi generali dell’Ente. In ogni altro procedimento la rappresentanza processuale dell’ente è conferita al Dirigente pro tempore degli AA.LL, il quale acquisito il parere del dirigente della Direzione ha curato l’attività amministrativa sfociata in controversia, provvede a sottoscrivere il mandato previa adozione degli atti amministrativi presupposti”.

Successivamente, il Supremo Consesso, in conformità ai suoi ultimi precedenti giurisprudenziali, ha ribadito che, qualora sussista una specifica previsione statutaria o regolamentare, il Comune può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del loro potere gestionale, ovvero a esponenti apicali della struttura burocratico- amministrativa del Comune, fermo restando che “…ove una specifica previsione statutaria non sussista, il sindaco conserva l’esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale del Comune, ai sensi del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con il D.lgs 18 agosto 2000, n.267…”.

La Corte di Cassazione ha precisato che, nell’ipotesi in cui lo statuto o, nei limiti predetti, il regolamento affidi la rappresentanza del Comune a stare in giudizio al dirigente dell’Ufficio legale, quest’ultimo, qualora abbia i requisiti, “può costituirsi senza bisogno di procura, ovvero attribuire l’incarico a un professionista legale interno o del libero foro(salve le ipotesi, legalmente tipizzate, nelle quali l’ente locale può stare in giudizio senza il ministero di un legale) e, ove abilitato alla difesa presso le magistrature superiori, può anche svolgere personalmente attività difensiva nel giudizio di cassazione(Cass.S.U.n.12868/2005;Cass.n.4556/2012;Cass.n.7402/2014)”.

Per di più, ai sensi dell’art. 23, comma 1 L. n. 247 del 2012, è prevista l’iscrizione in un elenco speciale annesso all’albo per gli avvocati degli uffici legali specificatamente istituititi presso gli enti pubblici, iscrizione obbligatoria per compiere le prestazioni(assistenza, rappresentanza e difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali abituali).

Tale iscrizione nell’elenco speciale è prescritta, come poc’anzidetto, per l’esercizio dell’attività di assistenza, di rappresentanza e difesa dell’ente pubblico presso il quale l’avvocato presta, in via esclusiva, la propria opera, attività che nel caso di specie, non è riferibile all’avvocato A., poiché in virtù della posizione apicale ricoperta, ossia del rapporto organico che lo lega all’ente,è soggetto munito del potere rappresentativo del Comune di T. e della correlata facoltà di nomina dei difensori; sicchè la nomina dell’Avv.C. è stata validamente conferita.

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Avv. Villani Maurizio

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