Società partecipate da enti pubblici e responsabilità 231

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 Sommario: 1. I destinatari del D. Lgs. n. 231/ 2001; 2. L’ adozione dei modelli ex art. 6 del D. Lgs. n. 231/ 2001; 3. I l rapporto con la Legge n. 190 / 2012 .

1.    I destinatari del D.lgs. n. 231/2001

I destinatari del Decreto Legislativo n. 231 / 2001 sono individuati all’ art. 1 che, al secondo e terzo comma, testualmente recita:

“1 . […]

  1. Le disposizioni i n esso previste s i applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità
  2. Non s i applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzione d i r i l i evo costituzionale .”

Dal tenore letterale della norma possono evincersi chiaramente gli  intenti  del   Legislatore   che,   da   un   lato,   utilizzando l’ espressione “ enti ” piuttosto che “ persone giuridiche ” ricomprende nel novero dei soggetti passibili di responsabilità ex decreto 231 anche quelli privi di personalità giuridica; dall’ altro lato emerge ancor più chiaramente la volontà di escludere dai destinatari di detta disciplina tutti quei soggetti giuridici che rivestono un ruolo di carattere pubblico: oltre allo Stato e gli enti pubblici territoriali ( regioni, provincie, comuni) anche gli enti pubblici non economici e gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

Sin dalle prime applicazioni s i sono posti dubbi sull’ effettiva portata applicativa di quest’ assunto, in particolare sul rilievo che la locuzione “ enti pubblici” dovesse intendersi in maniera estensiva o restrittiva.

Un chiarimento viene fornito dalla stessa legge delega n.  300/ 2000  che,  all’art.  11,  stabilisce  che  i l  decreto  disciplini  la responsabilità amministrativa delle “persone giuridiche e delle società, associazioni od enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo costituzionale “; e ancora, i l comma 2 del medesimo articolo dispone che “per persone giuridiche s’intendono gli enti forniti di personalità giuridica, eccettuati lo Stato e gli altri enti pubblici che esercitano pubblici poteri “.

Va da sé che, per logica conseguenza, i l decreto legislativo avrebbe dovuto escludere anche le regioni, i comuni e le provincie.

Ebbene, mentre non possono nutrirsi dubbi sull’ esenzione dalla responsabilità per lo  Stato e  gli  altri enti pubblici territoriali, l’ espressione “ enti che esercitano pubblici poteri ” ha destato non pochi problemi interpretativi. In particolare per quanto riguarda quegli enti che erogano un servizio pubblico e per le società partecipate da enti pubblici.

Quanto alla prima di queste categorie la questione è stata abilmente risolta dal legislatore delegato con la chiara esclusione degli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale; così rimangono escluse dall’ ambito di applicazione del decreto in commento le aziende ospedaliere, le scuole, le università, ma anche gli ordini o i collegi professionali.

Maggiori dubbi esegetici s i sono posti, invece, per tutte gli enti che, pur svolgendo attività economica a scopo lucrativo, hanno in modo diretto o indiretto una presenza pubblica nella compagine sociale e che svolgono un’ attività di pubblica utilità.

Taluno, al fine di escluderne l ’ assoggettabilità al decreto 231 ha sostenuto il rilievo costituzionale dell’ attività svolta da questi soggetti giuridici a partecipazione pubblica, non dovevano essere ricomprese tra i soggetti passibili di responsabilità ex d. lgs. n. 231/ 2001.

Lo scrivente, invece, ritiene di dover aderite ad un altrettanto autorevole filone di pensiero che al contrario ritiene di estendere l’ applicabilità a questi enti, ancorché aventi un carattere pubblico (seppur indiretto), in ragione del fatto che, comunque, svolgono un’ attività di tipo economico- lucrativa; invece il decreto, assai chiaramente, esclude dai destinatari soltanto quei soggetti pubblici non economici.

La Suprema Corte di Cassazione le  sent.  n.  28699 / 2010  e  234/ 2011 ha affermato un importante principio in forza del quale il D.lgs. n. 231 / 2001 è applicabile anche agli enti economici partecipati da soggetti pubblici. Detto principio s i  fonda  su  un’ interpretazione letterale della norma di cui all’ art. 1 e, segnatamente, si basa sull’ esclusione di quegli enti che, oltre allo stato e agli enti pubblici territoriali, svolgono attività di carattere non economico o di rilievo costituzionale.

“La  ratio   dell’ esenzione  è  infatti   quella   d i   escludere dall’ applicazione delle misure cautelari e delle sanzioni previste dal d. lgs. n. 231/ 2001 enti non solo pubblici, ma che svolgano funzioni non economiche, istituzionalmente rilevanti, sotto i l profilo dell’ assetto costituzionale dello Stato amministrazione.

In questo caso, infatti, verrebbero in considerazione ragioni dirimenti che traggono la loro origine dalla necessità di evitare la sospensione di funzioni essenziali nel quadro degli equilibri dell’ organizzazione costituzionale del Paese. […]”( Cass. Pen. n . 234/ 2011 )

Sulla base del contributo offerto dalla Suprema Corte deve necessariamente leggersi in modo restrittivo la disposizione di cui al terzo comma dell’ art. 1 D. lgs. n. 231/ 2001. Invero non ci sono ragioni di opportunità pubblica per escludere dal novero dei soggetti passibili di responsabilità amministrativa dipendente da reato le società partecipate da enti pubblici qualora questi svolgano attività di carattere economico.

A conforto di una simile interpretazione è sufficiente ricordare che tra i reati presupposto del D. lgs. n. 231 /2001 vi sono i delitti di corruzione passiva del pubblico ufficiale e dell’ incaricato di pubblico servizio, nonché di corruzione.

In quest’ottica restrittiva la normativa de qua non risulterà, invece, applicabile agli enti, ancorché sotto forma di società di diritto comune, che svolgono attività di rilievo costituzionale ( es. ASP), proprio in ragione della rilevanza costituzionale dell’ attività svolta.

In definitiva la disciplina contenuta nel D. lgs. n. 231 / 2001 sarà applicabile nei confronti delle società controllate dagli enti pubblici ex art. 2359 c. c. e, più in generale, alle società c. d. in house .

2.     L’adozione dei modelli organizzativi ex art. 6 del D.Lgs. n. 231/2001

In ragione delle suesposte argomentazioni la società partecipata che abbia adottato ed efficacemente applicato un modello di  organizzazione, gestione e controllo ex art. 6 , D. lgs. n. 231 /2001 non sarà chiamata a r i spondere per i l reato commesso ad interesse e vantaggio della stessa da parte di uno dei soggetti individuati negli artt. 6 e 7 del decreto.

La redazione e l ’ applicazione del modello, tuttavia, deve essere attenzionata proprio in ragione della partecipazione pubblica alla società cui si r i ferisce sicché sarà indispensabile, nella mappatura dei rischi, prestare particolare attenzione alla possibile commissione di reati contro la P. A. con riferimento alle novità introdotte dalla L. 190 / 2012 .

Ulteriore aspetto di particolare rilevanza riguarda i l codice etico e i l codice disciplinare.

Il codice etico dovrà essere integrato con la normativa relativa al corretto comportamento della pubblica amministrazione e dovrà, inoltre attenzionarsi la sinergia con il Comitato Etico delle società a partecipazione pubblica poiché, in caso contrario, s i rischierebbe di creare delle duplicazioni di funzioni.

Quanto al codice disciplinare, benché riferito a società partecipate da enti pubblici e non ad una pubblica amministrazione, s i r i t iene auspicabile che lo stesso venga comunque predisposto in applicazione della normativa sulla  trasparenza dell’azione amministrativa ( l . n. 241 / 1990 e ss. aggiornamenti).

3.    Il rapporto con la Legge n. 190/2012

La Legge n. 190 / 2012 prevede l ’ obbligo per le pubbliche amministrazioni di predisporre un piano triennale di prevenzione della corruzione al f ine di prevenire i l r i schio di commissione dei suddetti reati ( art. 1 , comma 5 ) .

La circolare n. 1 del 25 gennaio 2013 del Dipartimento della Funzione Pubblica, chiarisce i l concetto di corruzione, ai f ini dell’ ambito di applicazione della legge (ndr. L. n. 190 / 2012 ) , che deve essere inteso in senso lato, “ come comprensivo della varie situazioni in cui, nel corso dell’ attività amministrativa, s i riscontri l’ abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati ”.

Dall’ introduzione della Legge n. 190 / 2012 s i è posto i l problema del coordinamento del modello ex D. lgs. n. 231 / 2001 con i l Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione.

Sul punto s i è espressa l ’ Autorità Nazionale Anticorruzione che ha chiarito, con i l PNA, che non vi è alcuna incompatibilità tra il modello 231 e i l PTPC. Nello specifico nel PNA s i legge:

“Gli enti pubblici economici e gli enti d i diritto privato in controllo pubblico, d i livello nazionale o regionale/ locale sono tenuti ad introdurre e ad implementare adeguate misure organizzative e gestionali e per evitare inutili ridondanze qualora questi enti adottino già modelli di organizzazione e gestione del rischio sulla base del d . l gs. n . 231 del 2001 nella propria azione di prevenzione della corruzione possono fare perno su essi, ma estendendone l ’ ambito d i applicazione non solo a i reati contro l a pubblica amministrazione previsti dalla l . n . 231 del 2001 ma anche a tutti quelli considerati nella l . n. 190 del 2012 , dal lato attivo e passivo, anche in relazione al tipo di attività svolto  dall’ ente ( società strumentali/ società di interesse generale). Tali parti dei modelli d i organizzazione e gestione, integrate a i sensi della l . n. 190 del 2012 e denominate Piani di prevenzione della corruzione, debbono essere trasmessi a l l e amministrazioni pubbliche vigilanti ed essere pubblicati sul  sito istituzionale”

Adeguatamente chiaro appare sul punto l ’ Autorità Nazionale Anticorruzione e pertanto non sono necessari ulteriori approfondimenti.

Quanto infine al coordinamento tra la figura del Responsabile della Prevenzione della Corruzione ex L. n. 190 / 2012 e l ’ OdV ai sensi del D. lgs. n. 231/ 2001, s i pone i l problema della composizione dell’ Od V atteso che i membri di quest’ ultimo organo ( non nel senso tecnico del termine) devono avere i requisiti di autonomia e indipendenza e, conseguentemente, privi di qualsiasi subordinazione con l ’ ente mentre i l RPC è un organo monocratico e deve essere un dirigente di prima linea incardinato nel contesto organizzativo e dotato di compiti prettamente operativi.

Ragioni pratiche e di opportunità inducono ad escludere la netta sovrapponibilità tra queste due figure.

Una soluzione di compromesso, e nel contempo ossequiosa della legge e delle esigenze di  prevenzione, sarebbe quella di prevedere un OdV collegiale misto all’ interno del quale viene inserito un membro interno della società partecipata inquadrato come dirigente che svolgerà anche la funzioni di responsabile anticorruzione.

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