Sicurezza pubblica: quando è punibile l’istigazione a delinquere?

Redazione 04/05/17
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La fattispecie penale mira a tutelare l’ordine pubblico, il cui significato è ancora oggi discusso in dottrina, in quanto, generalmente, tutti i reati producono in astratto un perturbamento dello stesso, inteso, dunque, come “allarme sociale” (clicca sul link per approfondire i delitti contro l’ordine pubblico).

Il tentativo dottrinale di enucleare un bene giuridico che fosse protetto specificamente dai delitti di cui al titolo V della parte speciale, e, di conseguenza, dall’articolo de quo, si è concluso con la distinzione tra ordine pubblico ideale e sostanziale: in particolare, se si avvalorasse la prima accezione, intesa come insieme dei principi e delle istituzioni poste a base dell’ordinamento per la sua sopravvivenza, c.d. ordine legale costituito, si adotterebbe un concetto eccessivamente manipolabile, in funzione della contingente politica criminale, non avendo un contenuto concretamente riscontrabile nella realtà materiale.

D’altro canto, invece, avvalorando la seconda accezione, si intenderebbe ordine pubblico come pace e sicurezza sociale, facendo riferimento al diritto fondamentale soggettivo a vivere in un ambiente sicuro: “complesso di valori e beni funzionali alla pacifica convivenza sociale, empiricamente apprezzabile”, “senso di tranquillità e sicurezza collettiva in relazione al regolare andamento del vivere civile”, (Cass. pen. n. 67/1979). Ciò risulta coerente anche con la peculiare finalità che i delitti in questione si propongono di realizzare, ossia una tutela anticipata ed improntata alla prevenzione (ne sono riprova i numerosi “pacchetti sicurezza” emanati di volta in volta dai governi, per fronteggiare, appunto, questioni di ordine pubblico – l. 128/2001, d.l. 181/2007). Nonostante ciò, non mancano pronunce della Corte Costituzionale che facciano riferimento al concetto di ordine pubblico ideale, come “insieme dei principi fondamentali che conformano l’ordine legale di una società ispirata ai valori della Carta Costituzionale”, sent. n. 19/1962 e sent. n. 168/1971.

 

Istigazione a delinquere: quando è punibile?

Per la configurazione dell’istigazione a delinquere, è sufficiente la mera condotta istigatoria, essendo irrilevante l’effettivo accoglimento della stessa, caso in cui avrà luogo un concorso di persone nel reato. Si tratta, infatti, di un reato di pericolo, giustificato dall’esigenza di tutela preventiva dei beni giuridici in questione, in deroga all’articolo 115 c.p. Da ciò consegue la non configurabilità del tentativo. Il pericolo, in seguito alla pronuncia costituzionale n. 65/1970, non è più configurabile come presuntivo, ma come concreto in quanto il giudice è tenuto ad esperire una prognosi postuma a base totale, volta a verificare il pericolo di adesione al programma illecito, sprigionatosi con l’istigazione. La valutazione sarà poi parametrata al contesto spazio-temporale ed economico sociale e in riferimento al target dei destinatari del messaggio.

Allo stesso modo, l’esaltazione di un fatto di reato o del suo autore, finalizzata a spronare altri all’imitazione o almeno ad eliminare la ripugnanza verso il suo autore, non è di per sé punibile, a meno che le sue modalità non integrino un comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti (Cass.pen. n. 26907/2001).

 

Chi commette reato?

Il delitto in questione è realizzabile potenzialmente da chiunque e autonomamente (reato comune monosoggettivo). Non è necessario che l’istigazione sia rivolta a persona determinata. In quel caso, infatti, ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 302 c.p. Il soggetto passivo del reato è lo Stato, titolare dell’interesse al mantenimento dell’ordine pubblico entro il quale ciascun individuo possa esercitare i propri diritti fondamentali.

 

Quale condotta integra reato?

Per la punibilità, è richiesta la mera condotta attiva, di per sé sufficiente alla configurazione della fattispecie, senza che sia necessaria la verificazione di un evento conseguente (reato commissivo di mera condotta).

Il comportamento assunto consiste nell’istigazione, ossia nella determinazione o nel rafforzamento dell’intento criminoso altrui: secondo la giurisprudenza (Cass.pen. n. 347/1971), occorre una manifestazione esteriore chiara e univoca in cui deve consistere l’istigazione, provvista di indicazioni sulle modalità concrete con le quali realizzare il reato che si istiga (reato a condotta vincolata). Con apologia di delitti, invece, si intende l’espressione di un giudizio positivo di valore rispetto ad un comportamento che la legge prevede come delitto.

Dopo la sentenza n. 65/1970 della Corte Costituzionale, deve, però, accertarsi l’idoneità e dell’istigazione e dell’apologia alla determinazione o al rafforzamento dell’intento criminoso e alla commissione di delitti da parte di terzi, tenendo cioè in considerazione tutte le circostanze del caso e della capacità persuasiva e suggestiva, non limitandosi al mezzo adoperato: se così non fosse, infatti, si configurerebbe “un reato di opinione, in contrasto con l’articolo 21 della Carta Costituzionale, in quanto sanzionante forme di mera disobbedienza realizzata tramite manifestazioni di un pensiero”.

Specificamente riguardo all’apologia, “non è sufficiente l’esternazione di un giudizio positivo su un episodio criminoso, occorrendo viceversa che il comportamento dell’agente sia tale, per il contenuto intrinseco, di disvalore sostanziale, per la condizione personale dell’autore e per le circostanze di fatto in cui si esplica, da comportare il rischio effettivo e concreto della consumazione di altri reati e, specificamente, lesivi di interessi omologhi a quelli offesi dal crimine esaltato” (Cass.pen. n. 8779/1999).

Elemento costitutivo della fattispecie e presupposto della punibilità, è la pubblicità della condotta istigatoria: essa, ai sensi del quarto comma art.266 c.p., deve avvenire a mezzo stampa, in luogo pubblico o aperto al pubblico, in presenza di più persone o in una riunione non privata (Cass.pen.170600/1985).

La singola commissione della condotta istigatoria integra la fattispecie penale, non essendo necessaria la reiterazione della stessa (reato istantaneo).

 

Dolo o colpa?

Il reato di istigazione a delinquere è un delitto doloso. È sufficiente il dolo generico, nel caso di specie istigatorio: deve esserci coscienza e volontà di commettere il fatto in sé e l’intenzione di istigare alla commissione concreta di uno o più reati. La pubblicità è o meno oggetto del dolo, a seconda che si consideri come elemento costitutivo o condizione obiettiva di punibilità. Sono irrilevanti il fine perseguito o i motivi dell’agire.

 

 

 

Bibliografia

– Trattato di Diritto Penale di Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa (pagg.989-1011);

– Codice penale commentato di Cadoppi, Canestrari,Veneziani;

– Lineamenti di parte speciale di Canestrari,Cornacchia, Gamberini, Insolera, Manes, Mantovani, Mazzacuva, Sgubbi, Stortoni, Tagliarini, Sesta edizione 2014, Monduzzi Editoriale;

– Codice penale annotato con la giurisprudenza di Roberto Garofoli, Nel Diritto Editore 2012.

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