Sequestro limitato per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

Redazione 06/11/15
Scarica PDF Stampa

Illegittimo il sequestro preventivo qualora quanto sequestrato sia di valore maggiore rispetto al profitto del reato a cui tale misura è connessa. Nel caso del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000) il profitto del reato coincide con l’ammontare della riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio (anche tramite l’alienazione di beni di terzi) operata dal contribuente per evitare il pagamento delle imposte, pertanto il valore dei beni oggetto del sequestro dovrà coincidere con quanto fraudolentemente sottratto al soddisfacimento dell’erario e non con l’intero ammontare del debito tributario. Questo quanto affermato dalla Corte di Cassazione, sezione penale, nella sentenza n. 40534 del 9 ottobre 2015.

Il reato di cui all’art. 11 del D.Lgs. 74/2000 (uno dei pochi che non sono stati modificati a seguito della recente revisione del sistema sanzionatorio penal – tributario operato dal D.L. 158/2015) si realizza nelle ipotesi in cui il contribuente, “al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte”, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti su beni (mobili o immobili) propri o di altri così da “rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”. Tale delitto si configura tuttavia solamente qualora l’entità del debito tributario del contribuente sia superiore ad € 50.000 e riguardi “le imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte”.

Orbene, in relazione alla quantificazione dell’ammontare del sequestro preventivo relativo a tale reato la Corte di Cassazione ha ribadito che “il profitto [del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte] va individuato non nell’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto, ma nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui il fisco ha diritto di soddisfarsi e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione all’erario viene perseguita”. La Corte, inoltre, ha precisato che poichè l’art. 11 delinea un reato di pericolo (la condotta del contribuente ha infatti rilevanza penale non soltanto qualora l’atto simulato di alienazione, o gli altri atti fraudolenti sui beni, impediscano il soddisfacimento totale o parziale del credito erariale ma anche quando tale condotta sia potenzialmente idonea a generare tale risultato), ai fini della quantificazione del profitto non è necessario che la sottrazione al pagamento delle imposte sia avvenuta con esito favorevole o meno.

Tale principio, tuttavia, non si pone in contrasto con quanto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 18374 del 31 gennaio 2013, che individua il profitto del reato di cui all’art. 11 del D.Lgs. 74/2000 in “qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato … come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario”. Nella sentenza in commento è infatti chiarito che le Sezioni Unite non sanciscono “che il profitto del reato di cui al richiamato art. 11 necessariamente coincida con l’intero ammontare del debito tributario, ma solo che una tale coincidenza può in alcuni casi verificarsi”.

 

di Claudia Marinozzi

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento