Utilizzabili le intercettazioni telefoniche disposte inizialmente per un diverso reato (Cass. pen., n. 45199/2013)

Redazione 08/11/13
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Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Taranto confermò il decreto con il quale il GIP di Taranto, in data 28.01.2013, aveva disposto il sequestro preventivo per equivalente di quote societarie, conti correnti, depositi bancari comunque denominati, beni mobili e immobili riconducibili agli odierni ricorrenti in relazione ai reati di cui agli artt. 110 e 483, art. 640 c.p., comma 2, n. 1, e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, fino alla concorrenza della somma di Euro 1.383.636,77 (pari al complessivo illecito profitto conseguito).

2. D.L., a mezzo dell’avv. *********************, propone ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione dell’art. 178 c.p.p., lett. c), e art. 268 c.p.p., comma 8. Ricorda che con istanza depositata il 25.2.2013 nella segreteria del PM procedente aveva chiesto il rilascio con urgenza di copia digitale di tutte le intercettazioni telefoniche in tempo utile per poter svolgere la difesa nella udienza del riesame del 28.2.2013.

La segreteria del PM aveva avvisato il suo studio che le copie erano pronte solo il pomeriggio del giorno precedente 27.2.2013, alle ore 16:30. Alla udienza camerale aveva chiesto un rinvio anche eventualmente al giorno successivo per avere modo di potere ascoltare i 24 ed contenenti i file di 90 giorni di conversazioni intercettate.

Il tribunale del riesame ha respinto la richiesta motivando nel senso che la difesa aveva avuto il tempo sufficiente per l’esercizio del diritto di difesa. Si tratta di motivazione meramente apparente, non essendo assolutamente possibile in quelle poche ore procedere all’ascolto di tutte le registrazioni. Si è pertanto verificata una palese violazione del diritto di difesa e dei principi affermati dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Cassazione.

2) violazione dell’art. 125 c.p.p.; nullità del decreto di sequestro per violazione dell’art. 125 c.p.p., in quanto non c’è contestazione per operazioni inesistenti con Autoevolution di M., ed in concorso con il M. che neppure viene indiato nel decreto e non risulta nell’elenco dei soggetti indagati. Questa eccezione è stata totalmente ignorata dal tribunale del riesame. Non era quindi possibile affermare la sussistenza del fumus di un reato nemmeno contestato.

3) violazione degli artt. 266, 267 e 271 c.p.p., per mancanza ex ante dei gravi indizi di reato con riferimento ad ipotesi delittuose che avrebbero potuto consentire le intercettazioni, ed inutilizzabilità dei relativi risultati. Deduce che i gravi indizi di reato erano ravvisabili per i delitti di omesso versamento dell’IVA o di truffa in danno dello Stato, ma non anche per associazione per delinquere o per emissione di fatture per operazioni inesistenti.

4) violazione degli artt. 125, 267 e 271 c.p.p.; nullità dei decreti del Gip di autorizzazione alle intercettazioni telefoniche emessi in data 12.4.2010, 6.5.2010, e 20.5.2010 per motivazione mancante, o tautologica, con conseguente inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni.

5) violazione degli artt. 125, 267 e 271 c.p.p.; nullità dei decreti del PM per omessa motivazione in ordine alle ragioni di eccezionale urgenza legittimanti l’utilizzo di apparecchiature appartenenti a privati.

6) manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e violazione dell’art. 2639 c.c., in ordine alla ritenuta qualifica in capo al D. di amministratore di fatto della Daversa Automobili srl.

3. D.L.C.G.S., a mezzo dell’avv. ***************, propone ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, per mancanza di motivazione o motivazione apparente in ordine alla effettivo rapporto di materiale disponibilità dei beni oggetto di sequestro in capo al D., avendo il tribunale del riesame dedotto tale disponibilità solo dalla presunta fittizietà della separazione dal coniuge.

2) violazione di legge con riferimento al diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., ovvero per inversione dell’onere della prova, essendo stato ribaltato sulla ricorrente l’onere di provare la disponibilità dei beni ricevuti dal marito in occasione della separazione o, meglio, la non disponibilità di tali beni da parte del coniuge separato.

4. D.P.A., a mezzo dell’avv. **************, propone ricorso per cassazione deducendo:

1) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla verifica della sussistenza del fumus commissi delicti. Lamenta che il tribunale del riesame ha omesso di considerare che la prodotta documentazione (sentenza del tribunale di Taranto, sezione distaccata di Manduria e decisioni della competente commissione tributaria) attestava l’insussistenza del fumus del reato.

2) inosservanza dell’art. 266 c.p.p., comma 1, art. 267 c.p.p., commi 1 e 3, art. 268 c.p.p., comma 3. Deduce che sulla base degli elementi addotti al fine della autorizzazione alle intercettazioni telefoniche non erano neanche astrattamente configurabili i reati di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 8 e 10 ter. I decreti autorizzativi inoltre sono privi di reale motivazione sulla gravità dei reati e sulla indispensabilità delle intercettazioni. Priva di motivazione è anche l’autorizzazione ad utilizzare impianti esterni.

3) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 321 c.p.p., per la mancanza di una valida domanda cautelare e comunque per avere pronunciato il Gip extra e ultra petita. Manca l’attestazione del deposito degli atti presso la segreteria del PM con conseguente inefficacia all’esterno di tali documenti ed improduttività di effetti giuridici. Inoltre nelle richieste di sequestro non vi è alcun riferimento ad operazioni intraprese dalla Daversa Automobili srl con la Autoevolution di M. e non poteva il tribunale del riesame sostenere che con ogni probabilità si trattava di un errore materiale, così sostituendosi al primo giudice.

4) inosservanza ed erronea applicazione di legge e mancanza di motivazione in riferimento all’art. 649 c.p.p.. Ricorda che aveva eccepito che nei suoi confronti pendeva già nella stessa sede e su iniziativa dello stesso ufficio del PM un processo per i fatti di cui al capo H) del procedimento in cui è stato emesso il decreto di sequestro, che ha riguardato anche la somma di Euro 877.245,11 quale IVA indebitamente detratta per il 2007. Il tribunale del riesame ha ammesso la preclusione della procedibilità dell’azione penale per l’anno 2007, ma ha poi illogicamente mantenuto il sequestro della relativa somma in danno del D.P. sul rilievo che, anche caducato per D.P., il sequestro permarrebbe per D..

Motivi della decisione

1. I motivi dei tre ricorsi sono in parte fondati, sicchè i ricorsi vanno accolti nei limiti che seguono.

Innanzitutto vanno condivise le considerazioni svolte dal Procuratore generale nella sua requisitoria in ordine all’ammontare dei profitti delle operazioni con Autoevolution di M.F. e, relativamente al D.P., all’ammontare dei profitti per l’anno di imposta 2007.

Quanto al primo profilo, va ricordato che nel decreto di sequestro preventivo si affermava: “deve aggiungersi il profitto di Euro 122.654,00 per l’anno 2008 ed Euro 54.780,00 per l’anno 2009, corrispondente all’IVA evasa dalla DAVERSA AUTOMOBILI per ulteriori operazioni irregolari della società consistenti in acquisti fittizi di autovetture dalla AUTOEVOLUTION di M.F., sede in Foggia, le cui fatture sono state trasfuse nelle dichiarazioni presentate ai fini dell’IVA negli anni 2009 e 2010, per un totale di Euro 1.383.636,77”. Con l’istanza di riesame il D. e il D. P. avevano eccepito che il Gip aveva emesso il decreto di sequestro richiamando le richieste del PM del 23.11.2011 e del 17.5.2012 nelle quali non si faceva alcun riferimento alle operazioni intraprese dalla DAVERSA AUTOMOBILI srl con la Autoevolution di M.F. e, pertanto, gli indebiti profitti relativi agli anni 2008 (Euro 122.654,00) e 2009 (e 54.780,00), pure conteggiati dal Gip tra quelli che contribuivano a determinare il valore dell’iva complessivamente evasa, non troverebbero riscontro nella domanda cautelare (con conseguente nullità, sia pure in parte qua, del decreto impugnato). Ciò perchè nel decreto di sequestro non vi era alcuna provvisoria contestazione relativa a queste fatture per operazioni soggettivamente inesistenti con la AUTOEVOLUTION di M.F., il quale, peraltro, neppure risultava nell’elenco dei soggetti indagati.

Il tribunale del riesame ha rigettato l’eccezione osservando che una richiesta del PM del 9.2.2012 – non richiamata nel decreto di sequestro – conteneva un riferimento alle operazioni intrattenute dalla DAVERSA AUTOMOBILI srl con la Autoevolution di M. F., con istanza di estendere il sequestro anche alle somme ritenute corrispondenti all’iva evasa. Quindi, “con ogni probabilità” il Gip aveva voluto riferirsi proprio alla richiesta del 9.2.2012, pervenuta il 17.2.2012, sicchè il sequestro per equivalente che riguardava l’importo dell’iva riconducibile alle operazioni poste in essere tra la DAVERSA AUTOMOBILI srl e la Autoevolution di M.F. trovava fondamento in una valida domanda cautelare.

L’assunto della ordinanza impugnata non può però essere condiviso perchè nel corpo delle due richieste (del 23.11.2011 e del 17.5.2012) richiamate dal decreto di sequestro non si trova alcun riferimento alle operazioni intraprese dalla Daversa Automobili s.r.l. con la Autoevolution di M.F., sicchè il sequestro dei profitti relativi a tali transazioni commerciali era affetto da nullità. Il tribunale del riesame, pertanto, non poteva sanare la dedotta nullità attraverso una operazione ermeneutica dei propositi del Gip, sostenendo che “con ogni probabilità” si trattava di un errore materiale poichè intendeva riferirsi ad una richiesta del 17.02.2012. In tal modo, infatti, il tribunale del riesame non si è limitato ad integrare il provvedimento impugnato, bensì si è sostituito al primo giudice.

2. Quanto al secondo profilo, va ricordato che la difesa di D. P., all’udienza camerale del 28.2.2013, ha prodotto avviso di fissazione di udienza preliminare e relativa richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di D.P.A. e R.M. S. per il “reato di cui all’art. 110 c.p., e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, perchè, in concorso tra loro, al fine di evadere le imposte sul valore aggiunto (Daversa automobili Manduria), si avvalevano di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti per gli anni 2006 e 2007”. Aveva quindi eccepito che nei confronti di D.P.A., pertanto, era già pendente nella stessa sede e su iniziativa del medesimo ufficio del p.m. un processo per i fatti di cui al capo H) del procedimento in cui si innesta il decreto di sequestro preventivo, il quale, peraltro, aveva disposto il sequestro per equivalente anche della somma di Euro 877.245,11 quale i.v.a. indebitamente detratta relativamente all’anno di imposta 2007.

Il tribunale del riesame ha in sostanza condiviso l’assunto difensivo concernente la sussistenza di una condizione preclusiva della procedibilità dell’azione penale in riferimento all’anno di imposta 2007 e di conseguenza dell’adozione della misura cautelare reale. Ha però osservato che ciò varrebbe esclusivamente per il D.P. e non anche per il coindagato D., che non è parte di quel processo e che, poichè il sequestro preventivo ha natura provvisoria e può essere disposto per l’intero nei confronti di ciascuno degli indagati “allo stato deve ritenersi legittimo il sequestro preventivo, fino all’entità del profitto complessivo, dei beni di ciascuno degli indagati D.P. e D.”.

Si tratta però di affermazione erronea ed apodittica, atteso che la difesa di D.P. aveva chiesto di annullare o revocare il sequestro preventivo per equivalente delle somme imputate all’anno di imposta 2007 nei confronti – ovviamente – del proprio assistito e non di altri. Non è poi spiegato perchè l’improcedibilità dell’azione penale nei confronti di D.P. e la conseguente inammissibilità della misura cautelare possano essere superate mediante il rilievo che, ove anche caducato per D.P., il sequestro permarrebbe per D.. Al contrario, come rilevato anche dal Procuratore generale, trattandosi di sequestro per equivalente disposto nei confronti di entrambi gli indagati per l’intero, il tribunale avrebbe dovuto in ogni caso riformare l’impugnato decreto dichiarando l’improcedibilità dell’azione penale relativamente al periodo di imposta 2007 per il D.P. ed annullare in parte qua il decreto di sequestro preventivo, con conseguente rideterminazione della somma sino alla cui concorrenza disporre eventualmente il sequestro per equivalente.

3. Con il terzo motivo il D.P. ha anche lamentato il rigetto dell’eccezione di mancanza dell’attestazione del deposito degli atti presso la segreteria del p.m., con conseguente inefficacia all’esterno di tali documenti e connessa improduttività di effetti giuridici.

Il motivo è infondato perchè non merita censura l’osservazione del tribunale del riesame, secondo cui non è inesistente la richiesta del PM di sequestro preventivo, pur priva dell’attestazione della data di deposito nella segreteria (cfr. Sez. 3^, n. 35310 del 7/06/2011), tenuto anche conto che la data di ricezione di un atto giudiziario, ove non certificata sull’atto stesso, può desumersi da atti equipollenti meritevoli di fede e non può essere messa in discussione, se non deducendone la falsità (cfr. Sez. 6^, n. 4231 del 15/12/2007). Facendo applicazione di tali principi il tribunale del riesame ha quindi ritenuto che, pur non contenendo, tali atti, un timbro di “depositato” da parte dell’ufficio di segreteria del PM procedente, le richieste del PM non potevano dirsi, per ciò solo, inesistenti, non essendo mai stata dedotta la loro falsità, ed essendo entrambe pervenute all’ufficio GIP; e che in ogni caso per entrambe le richieste sussistevano atti equipollenti idonei ad attestare la provenienza dell’atto dall’ufficio emittente.

4. Ritiene il Collegio che il terzo, quarto e quinto motivo del D. (eccezioni proposte anche con il secondo motivo del D. P.) – con i quali si deduce, sotto diversi aspetti, la nullità dei decreti relativi alla intercettazioni telefoniche e la inutilizzabilità dei relativi risultati – siano infondati.

Con il terzo motivo, in particolare, si deduce che nella richiesta del PM del 31.3.2010, non sono ravvisabili ex ante gravi indizi di reato con riferimento ai delitti che avrebbero potuto consentire le intercettazioni. Invero, a quella data avrebbero potuto, al più, ritenersi gravi indizi di reato con riferimento ai delitti di omesso versamento dell’iva, ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, ovvero di truffa in danno dello stato, ai sensi dell’art. 640 c.p., comma 2, mentre non sussistevano gravi indizi di reato con riferimento all’ipotesi di associazione a delinquere o all’ipotesi di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8.

E’ però adeguata e corretta la motivazione con cui il tribunale del riesame ha rigettato questa eccezione, osservando che le intercettazioni telefoniche risultano autorizzate sulla base di una prima c.n.r. del 19 marzo 2010, nella quale si prospettava la commissione da parte di R.M.S., legale rappresentante di Erauto import export e di Erauto srl, del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, nonchè dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, e art. 640 c.p., comma 2. Il tribunale ha quindi ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “In tema di intercettazione di conversazioni o comunicazioni, il presupposto dei gravi indizi di reato va inteso non in senso probatorio, ossia come valutazione del fondamento dell’accusa, ma come vaglio di particolare serietà delle ipotesi delittuose configurate, le quali non devono risultare meramente ipotetiche, essendo al contrario richiesta una sommaria ricognizione degli e-lementi dai quali sia dato desumere la seria probabilità dell’avvenuta consumazione di un reato” (Sez. 6^, 26.2.2010, n. 10902, ********, m. 246688). Ed ha quindi rilevato che dalla predetta informativa di PG e dai suoi allegati emergeva chiaramente la fittizietà delle operazioni commerciali poste in essere dalle società Erauto amministrate dal R. e l’individuazione, tra i clienti delle medesime società (destinatane di fatture relative ad operazioni inesistenti), della DAVERSA AUTOMOBILI srl.; e che il fatto che nel corso delle indagini, in luogo del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, sia stato contestato agli odierni ricorrenti il diverso delitto D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 2, non determina l’inutilizzabilità delle intercettazioni sino a quel momento disposte, in forza del principio secondo cui i risultati delle intercettazioni telefoniche disposte per un reato rientrante tra quelli indicati nell’art. 266 c.p.p., sono utilizzabili anche relativamente ad altri reati per i quali si procede nel medesimo procedimento, pur se per essi le intercettazioni non sarebbero consentite (Sez. 6^, 5.4.2012, n. 22276, ********, m. 252870), considerando altresì che nella fase delle indagini preliminari più che di reati deve parlarsi di “ipotesi di reato” ed occorre tener conto della fluidità della contestazione, che si concretizza in una imputazione solo al termine delle indagine.

5. Con il quarto motivo, il D. eccepisce la nullità dei decreti del GIP per motivazione mancante o tautologica, con conseguente inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni.

Ritiene il Collegio che l’eccezione sia infondata. Il tribunale del riesame ha infatti propriamente richiamato la giurisprudenza secondo cui i decreti del Gip di autorizzazione o di convalida di operazioni di intercettazione telefonica o ambientale possono essere motivati non soltanto in maniera particolarmente stringata, ma anche con motivazione “per relationem ” che si riferisca alla richiesta del pubblico ministero, in quanto in tal modo risulta che il giudice ha consapevolmente esaminato gli atti sottoposti alla sua cognizione, purchè al momento del deposito di cui all’art. 268 c.p.p., commi 4 e 6, la parte privata sia posta in grado di prendere effettiva visione degli atti di riferimento: ne discende che detto obbligo motivazionale è soddisfatto dal Gip con qualsivoglia espressione sintomatica dell’avvenuta conoscenza dei motivi della richiesta del pubblico ministero, potendosi addirittura ritenere sufficiente l’espressione: “Visto, si autorizza” (Sez. 1, 30/06/1999, n. 4561, ******, m. 214035). Alla luce di questo principio, il tribunale del riesame ha correttamente osservato che nella specie i decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche emanati dal Gip, a cominciare da quello emesso il 12.4.2010, contengono chiari riferimenti alle richieste del PM, alle attività di indagine sino a quel momento espletate (la informativa della guardia di finanza del 19/03/2010) e l’argomentazione, sia pure succinta (“l’intercettazione appare il mezzo più idoneo”), della indispensabilità del mezzo di ricerca della prova per la prosecuzione delle indagini medesime, potendosi quindi ritenere assolto l’obbligo motivazionale imposto dalla legge; alla stessa stregua doveva ritenersi sufficiente il richiamo ai precedenti decreti autorizzativi contenuto nei provvedimenti di proroga emessi dal Gip. 6. Con il quinto motivo il D. eccepisce la nullità dei decreti del PM per omessa motivazione in ordine alle ragioni di eccezionale urgenza legittimanti l’utilizzo di apparecchiature appartenenti a privati. Osserva che l’art. 268, comma 3 bis, consente al PM di disporre che le operazioni siano compiute anche mediante impianti e apparecchiature appartenenti a privati solo per la intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche e non anche per le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche, come avvenuto nella specie.

Il motivo è manifestamente infondato perchè il PM, nei suoi decreti, autorizzò soltanto l’utilizzo di apparecchiature acquisite in noleggio da privati, stante l’impossibilità per l’ufficio di dotarsi di propri apparati in tempi brevi, ma le intercettazioni avvennero comunque mediante l’installazione degli impianti tecnici noleggiati nei locali della Procura ed a mezzo del relativo personale, e non già mediante l’utilizzo di impianti esterni alla Procura.

7. E’ invece fondato il primo motivo del D., con il quale si deduce violazione dell’art. 178 c.p.p., lett. c), e art. 268, comma 8. Il ricorrente ricorda che, con istanza depositata il 25.2.2013 nella segreteria del PM procedente, aveva chiesto il rilascio con urgenza di copia digitale di tutte le intercettazioni telefoniche in tempo utile per poter svolgere la difesa nella udienza del riesame del 28.2.2013. La segreteria del PM aveva però avvisato il suo studio che le copie erano pronte soltanto nel pomeriggio del giorno precedente 27.2.2013, alle ore 16:30. Alla udienza camerale aveva chiesto un rinvio anche eventualmente al giorno successivo per avere modo di potere ascoltare i 24 ed contenenti i file di 90 giorni di conversazioni intercettate. Il tribunale del riesame ha respinto la richiesta motivando nel senso che la difesa aveva avuto il tempo sufficiente per l’esercizio del diritto di difesa, e ciò perchè il diritto di difesa “deve intendersi garantito anche in presenza di un tempo che pur non consentendo la trascrizione delle tracce foniche renda possibile in ogni caso l’ascolto dei contenuti dei ed oggetto della richiesta”.

Si tratta, con tutta evidenza, di una motivazione meramente apparente ed apodittica, e quindi in realtà inesistente, non essendo spiegato come il difensore avrebbe potuto ascoltare 24 ed audio, contenenti 90 giorni di conversazioni intercettate su 12 utenze, dalle ore 16:30 sino alle ore 9:00 del giorno successivo. D’altra parte, il ricorrente giustamente ricorda che la richiesta di copia era stata sicuramente tempestiva, dal momento che il venerdì 22.02.2013 furono consegnate le copie degli atti e, trascorso il sabato e la domenica il difensore provvide immediatamente al deposito dell’istanza di copia dei file audio, il primo giorno utile, cioè la mattina del lunedì 25.02.2013, ricordando nell’istanza che il riesame era fissato per il 28.02.2013: la Procura quindi aveva avuto un termine più che congruo per consegnare in tempo utile i 24 ed audio richiesti, trattandosi di un’attività tecnica che richiedeva un impegno di poche ore. Del resto, il tribunale del riesame ben avrebbe potuto accogliere l’istanza di rinvio differendo l’udienza camerale al giorno successivo, che corrispondeva all’ultimo giorno utile prima del decorso dei dieci giorni previsti dall’art. 324 c.p.p., comma 5, il che avrebbe evitato la violazione del diritto di difesa.

Deve infatti ricordarsi che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 336 del 2008, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 269 c.p.p., nella parte in cui “non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate”. Ha osservato la Corte che la possibilità per il pubblico ministero di depositare solo i brogliacci, se giustificata dall’esigenza di procedere senza indugio alla salvaguardia delle finalità che il codice assegna alle misure cautelari, non può limitare il diritto della difesa ad accedere alla prova diretta, considerato, altresì, che le esigenze di segretezza per il proseguimento delle indagini e le eventuali ragioni di riservatezza sono venute meno in riferimento alle comunicazioni poste a base della misura.

Allineandosi con tale pronunzia, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito (sent. 22.4.2010, n. 20300, ******, m. 246906 – 08) che il diniego o l’ingiustificato ritardo da parte dell’Ufficio del PM nel consentire al difensore “l’accesso” alle conversazioni intercettate e trascritte (e dunque anche la duplicazione delle registrazioni su supporto magnetico, di cui il difensore possa, poi, autonomamente disporre) da luogo a nullità di ordine generale e regime intermedio – ex art. 178 c.p.p., lett. c) – in quanto determina vizio nel procedimento di acquisizione della prova, vizio che, tuttavia, non inficia l’attività di ricerca in sè e il conseguente “risultato”, ma che sì riverbera, se la nullità è stata tempestivamente dedotta, nella fase cautelare, atteggiandosi come circostanza che indebitamente ha compresso – limitatamente al subprocedimento de libertate – l’esercizio del diritto di difesa.

In proposito, la successiva giurisprudenza ha affermato i seguenti principi: “In tema di riesame, la mancata concessione al difensore di un tempo sufficiente ad eseguire la trascrizione dei supporti informatici relativi alle intercettazioni ambientali non viola il diritto della difesa, sempre che a quest’ultima sia stato garantito quantomeno il tempo per l’ascolto delle registrazioni” (Sez. 6^, 23.11.2011, n. 18070 del 2012, ********, m. 252633); “Il termine entro il quale vanno rilasciate le copie delle registrazioni delle intercettazioni telefoniche deve essere sufficiente per consentire il solo ascolto delle registrazioni e non la trascrizione delle stesse a mezzo di proprio consulente. (Nella specie, la Corte ha ritenuto congruo, a fronte di un non rilevante numero di intercettazioni, il termine di due giorni liberi tra il rilascio di copie delle registrazioni e l’udienza di riesame)” (Sez. 6^, 23.11.2012, n. 1742 del 2013, Gjoka, m. 254221); “E’ illegittimo il provvedimento del Tribunale del riesame che abbia confermato l’ordinanza cautelare utilizzando gli esiti delle operazioni di intercettazione, qualora la difesa non abbia previamente ottenuto la copia delle registrazioni tempestivamente richiesta ed autorizzata dal pubblico ministero a causa di ritardi imputabili alla segreteria di quest’ultimo” (Sez. 5^, 24.2.1012, n. 8921, *********, m. 251733); “L’ingiustificato diniego del pubblico ministero a che il difensore dell’indagato abbia accesso alle registrazioni delle comunicazioni o conversazioni intercettate, i cui risultati siano stati utilizzati per l’emissione di un provvedimento cautelare, determina un vizio del procedimento di acquisizione della prova nel giudizio cautelare, con la conseguente impossibilità di utilizzazione degli elementi acquisiti” (Sez. 2^, 7.7.2010, n. 32490, *****, m. 248187); “La richiesta del difensore di accedere alle registrazioni di comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione di un’ordinanza di custodia cautelare, determina l’obbligo per il pubblico ministero di provvedere in tempo utile – rispetto alla decisione del tribunale del riesame, il quale deve decidere, senza dilazioni, incompatibili con la specifica procedura de libertate -, e la violazione di detto obbligo, sebbene non incida sulla utilizzabilità degli esiti delle intercettazioni, comporta che di esse il giudice non possa tener conto fino a quando non sia soddisfatto il diritto della difesa di prendere cognizione diretta delle captazioni. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha annullato con rinvio l’ordinanza cautelare fondata sul contenuto di conversazioni intercettate in ordine alle quali la difesa aveva presentato tempestiva istanza preordinata all’ascolto e alla estrazione di copie ed il P.M. aveva concesso l’autorizzazione all’ascolto – e non all’estrazione di copia – comunicata al difensore il giorno antecedente quello fissato per l’udienza di riesame)” (Sez. 4^, 21.10.2011, n. 46478, Saihi, m. 251434); “In sede di riesame o appello cautelare, qualora il difensore non abbia ottenuto il rilascio di copia dei supporti informatici o magnetici delle registrazioni di conversazioni o video-riprese per le quali abbia avanzato rituale e tempestiva richiesta al P.M., il Tribunale non può fondare il proprio convincimento sui cosiddetti brogliacci di ascolto utilizzati ai fini dell’adozione di un provvedimento cautelare, ma deve annullare l’impugnata ordinanza se, effettuata la prova di resistenza, l’ulteriore materiale indiziario non sia idoneo a rappresentare i gravi indizi di colpevolezza richiesti dall’art. 273 c.p.p.” (Sez. 6^, 10.10.2011, n. 45880, ********, m. 251182).

Alla stregua di questi pacifici principi, non possono esservi incertezze che la concessione, per l’ascolto di 24 ed audio, con 90 giorni di intercettazioni di conversazioni, di un tempo che andava dalle ore 16:00 del 27.2.2013 alle ore 9:00 del 28.2.2013, era palesemente insufficiente, il che ha determinato una grave violazione del diritto di difesa, avendo il difensore del D. regolarmente fatto tempestiva richiesta di ottenere copia di dette registrazioni.

Ne deriva che le intercettazioni in questione erano inutilizzabili dal tribunale del riesame, la cui ordinanza va quindi annullata in parte qua, restando al giudice del rinvio valutare se l’ulteriore materiale indiziario sia idoneo a configurare il fumus dei reati ipotizzati per i quali era stato chiesto il sequestro per equivalente.

8. Il sesto motivo del D. resta di conseguenza assorbito.

9. L’annullamento per il motivo indicato dell’ordinanza impugnata riverbera i suoi effetti anche nei confronti della D.L.C. G., nei cui confronti il sequestro è stato disposto in relazione ai reati addebitati al coniuge D..

E’ peraltro opportuno osservare sinteticamente che il ricorso della D.L.C. appare fondato. Il tribunale del riesame, infatti, ha confermato il provvedimento di sequestro con una motivazione meramente apparente, fondata sulla sola base della presunta fittizietà della separazione con il coniuge D.L., ovvero sulla base di una presunta intervenuta riconciliazione, senza peraltro dire nulla circa l’effettiva disponibilità dei beni in capo al coniuge separato della sig.ra D.L.C., ossia sull’unico elemento decisivo ai fini della valutazione sulla legittimità del provvedimento di sequestro. Invero, tutti gli elementi indiziari addotti dal tribunale per il riesame a fondamento della propria decisione, a parte ogni altra considerazione, non riguardano affatto la disponibilità da parte del D. dei beni di proprietà della ricorrente, ma solamente il rapporto esistente tra i coniugi separati. Inoltre, appare che il tribunale del riesame, limitandosi ad affermare apoditticamente la non condivisibilità delle affermazioni difensive, ha operato una inversione dell’onere della prova, ribaltando sulla ricorrente l’onere di dimostrare la disponibilità dei beni ricevuti dal marito in occasione della separazione o meglio, la non disponibilità di tali beni da parte del coniuge separato.

10. E’ anche fondato il primo motivo del D.P., con il quale si deduce che il tribunale del riesame ha omesso di esaminare e valutare gli elementi e la documentazione prodotta dal ricorrente (sentenza del tribunale di Taranto, sezione distaccata di Manduria e decisioni della competente commissione tributaria) dai quali emergerebbe l’insussistenza del fumus dei reati ipotizzati.

Il tribunale del riesame, invero, ha affermato che “solo la manifesta, assoluta ed evidente inconfigurabilità dell’ipotesi di reato, per come rappresentata dall’organo procedente (e pur tenendo conto per l’appunto delle osservazioni difensive), consente di addivenire alla revoca del sequestro” (pag. 3). Il tribunale ha così richiamato una massima inconferente (Sez. Un., 20.11.1996, n. 23 del 2007, *****, m. 206657, per di più equivocamente interpretata) perchè relativa ad un sequestro probatorio e non ad un sequestro preventivo, e tanto meno ad un sequestro per equivalente.

L’affermazione, quindi, non può essere condivisa, sia perchè, per disporre e mantenere la misura cautelare reale, con conseguente compromissione del diritto costituzionalmente tutelato, non è sufficiente che l’ipotesi accusatoria non sia manifestamente infondata ma occorre che vi sia la prova del fumus del reato ipotizzato, sia perchè il sindacato del tribunale del riesame non può limitarsi alla mera verifica della astratta possibilità di ricondurre il fatto contestato alla fattispecie di reato ipotizzata, ma deve appunto verificare la concreta sussistenza del fumus del reato. L’orientamento espresso innumerevoli volte dalla giurisprudenza più recente e che il Collegio ritiene senz’altro preferibile, afferma invece che il tribunale del riesame, per espletare il ruolo di garanzia dei diritti costituzionalmente tutelati che la legge gli demanda, non può avere riguardo solo alla astratta configurabilità del reato, ma deve prendere in considerazione e valutare, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali, e quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, ma anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del fumus del reato contestato (cfr., ex plurimis, Sez. I, 9 dicembre 2003, n. 1885/04, *******, m. 227.498; Sez. 3^, 16.3.2006 n. 17751; Sez. 2^, 23 marzo 2006, ********, m. 234197; Sez. 4^, 29.1.2007, 10979, ********, m. 236193; Sez. 5^, 15.7.2008, n. 37695, ******, m. 241632; Sez. 1^, 11.5.2007, n. 21736, *********, m. 236474; Sez. 4^, 21.5.2008, n. 23944, Di ******, m. 240521; Sez. 2^, 2.10.2008, n. 2808/09, ******, m. 242650; Sez. 3^, 12.1.2010, Turco; Sez. 3^, 24.2.2010, Normando; etc.). Del resto, proprio la sentenza citata dalla ordinanza impugnata (Sez. 3^, 11.2.2009, n. 20147, ****) ha affermato che la verifica da parte del giudice del riesame del “fumus commissi delicti”, ancorchè limitata all’astratta configurabilità del reato ipotizzato dal p.m., importa che lo stesso giudice, lungi dall’essere tenuto ad accettare comunque la prospettazione dell’accusa, abbia il potere-dovere di escluderla, quando essa appaia giuridicamente infondata; e che comunque non si possono interpretare in modo burocratico i poteri del giudice cautelare.

In ogni modo, il tribunale del riesame si è limitato ad affermare che la sentenza del giudice del tribunale di Taranto, sezione distaccata di Manduria, del 19.4.2011, che aveva assolto il D. P. per insussistenza del fatto dai reati di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2 e 4, commessi quale legale rappresentante della Daversa Automobili srl, era irrilevante perchè mancava la prova del passaggio in giudicato e perchè si riferiva a diverse annualità. Erano altresì irrilevanti le prodotte decisione delle commissioni tributarie perchè pregiudicano l’autonoma valutazione dei fatti nel processo penale.

Fondatamente il ricorrente lamenta che si tratta di motivazione apparente, e quindi mancante, e che il tribunale del riesame ha in sostanza omesso di valutare le risultanze e gli elementi prodotti dalla difesa, ed in particolare se le invocate sentenze del giudice del tribunale di Taranto, sezione distaccata di Manduria, e delle commissioni tributarie erano tali da escludere – come sostenuto dall’indagato – la sussistenza del fumus commissi delicti, inteso come probabilità qualificata di verificazione di un evento penalmente rilevante Il D.P., infatti, aveva sostenuto che la sentenza penale in questione concerneva anche anni di imposta (dal 2004 al 2006) riguardati dal procedimento nell’ambito del quale è stato disposto il sequestro (capo H: dal 2005 al 2009; capo I: dal 2005 al 2007), anche se quest’ultimo è intervenuto, L. n. 244 del 2007, ex art. 1, comma 143, soltanto per le dichiarazioni presentate a far data dal 2008 e quindi dall’anno di imposta 2007. In ogni caso, ai fini della valutazione dei fumus, rilevava l’eventualità che le condotte già giudicate nel merito presentassero i medesimi elementi caratteristici di quelle poste a fondamento del decreto di sequestro. Invero, se lo “schema fattuale” che aveva condotto alla misura cautelare reale era stato già vagliato in sede di giudizio di merito e tale vaglio aveva condotto ad una pronuncia assolutoria, il tribunale del riesame avrebbe dovuto fornire una specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali le condotte ritenute identiche (quanto a modalità e soggetto agente) potrebbero integrare il fumus commissi delicti necessario per l’adozione del sequestro preventivo.

Il tribunale del riesame avrebbe comunque dovuto tenere adeguatamente conto anche delle decisioni delle commissioni tributarie, che, per quanto non rivestano efficacia pregiudiziale rispetto al procedimento penale, certamente rappresentavano un congruo parametro di giudizio.

Nello svolgere la sua precipua funzione di garanzia del diritto costituzionalmente tutelato, invero, il tribunale del riesame avrebbe dovuto valutare e spiegare perchè fatti e comportamenti ponderati dal giudice del merito e da questi ritenuti inidonei a fondare la responsabilità potessero, ai fini cautelari, rappresentare la seria probabilità di commissione di un reato.

11. In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame al tribunale di Taranto, che terrà conto dei principi e dei rilievi dianzi esposti.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Taranto.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 15 ottobre 2013.

Redazione