Utilizzabili le intercettazioni in un procedimento diverso da quello per il quale erano state disposte (Cass. pen. n. 32957/2012)

Redazione 22/08/12
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Svolgimento del processo

S.G. è stato sottoposto alla misura della custodia in carcere con provvedimento del gip del Tribunale di Milano del 19 marzo 2012 confermato dal Tribunale del riesame di Milano con ordinanza del 16 aprile 2012 per il reato di favoreggiamento in quanto, in concorso verosimilmente con personale in servizio presso la compagnia dei Carabinieri di Seregno, acquisiva informazioni in ordine alle indagini ed alla richiesta di misura cautelare nei confronti di Z.M. per il reato di omicidio aggravato e il reato di associazione mafiosa, comunicando al predetto Z. tali informazioni per il tramite di C.G. F..

Le indagini nascevano da attività della Procura della Repubblica di Firenze che procedeva per fatti di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati in tema di marchi contraffatti, associazione che si assumeva essere diretta dal C.G..

Nel corso di intercettazioni nell’ambito di tale procedimento, si accertava che il ricorrente S.G., già appartenente all’Arma dei Carabinieri ed in servizio presso la stazione di Seregno, era soggetto stabilmente in rapporti con C., per cui veniva a sua volta sottoposto ad intercettazioni.

Successivamente, alla luce di attività di indagine in ordine ad associazioni criminali di stampo mafioso operanti in Lombardia, indagini svolte dalla Procura di Milano, gli inquirenti di Firenze comprendevano che talune captazioni riguardavano la comunicazione da parte di S. di notizie riservate finalizzate ad eludere le indagini in materia di omicidio nei confronti di Z. M.. Gli atti venivano perciò trasmessi alla Procura della Repubblica di Milano che, all’esito delle proprie indagini, richiedeva la misura cautelare nei confronti del ricorrente.

A seguito di impugnazione, il Tribunale del Riesame, premesso di condividere la complessiva ricostruzione dei fatti e le valutazioni del giudice per le indagini preliminari, rispondeva alle questioni poste dalla difesa soprattutto in riferimento alla utilizzabilità delle intercettazioni, sul punto confermando la valutazione del gip che aveva ritenuto che si fosse in presenza di procedimento sostanzialmente unico ai sensi dell’art. 270 cod, proc. pen., non operando quindi il divieto di utilizzazione delle intercettazioni in diverso procedimento di cui alla predetta norma. Osservava il Tribunale che le condotte originariamente contestate nei confronti del ricorrente e del C., configurate come concorso del S. nella associazione diretta dal C. e dedita al traffico di merci contraffatte, erano state, a seguito della conoscenza delle indagini svolte presso la Procura di Milano per attività di criminatità organizzata, riqualificate. Perciò, secondo il Tribunale, ricorrevano le condizioni di “connessione soggettiva, probatoria e finalistica” richieste dalla giurisprudenza di legittimità, in particolare le condizioni di cui all’art. 12, lett. A) e art. 371 cod. proc. pen. in tema di indagini connesse e/o collegate.

Chiarita tale utilizzabilità, il Tribunale valutava il contenuto dei messaggi intercettati tra S. e C. tra l’8 e il 17 febbraio 2011: S. comunicava notizie, ricevute da personale dei Carabinieri in servizio a Seregno, in relazione ad attività degli inquirenti connesse alla richiesta di misura cautelare, poi effettivamente applicata, nei confronti di Z., per omicidio commesso in un contesto di attività di criminalità organizzata.

Il Tribunale confermava anche la sussistenza di esigenze cautelari, da tutelare con la custodia in carcere.

Contro tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato contestando, con il primo motivo, l’erronea applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione in relazione all’art. 270 cod. proc. pen..

Osserva il ricorrente che il Tribunale, pur avendo affermato la esistenza di un rapporto di connessione o di collegamento ai sensi degli artt. 12 e 371 cod. proc. pen., non ha poi Indicato in quali specifiche condizioni si siano realizzate tale connessione o collegamento. Premette che i fatti per cui si procede a Milano e a Firenze sono oggettivamente diversi in quanto traggono origine da fatti storici diversi, che le intercettazioni furono chieste ed autorizzate con specifico riferimento alla sola attività di associazione per delinquere svolta da C., che la Procura di Firenze non aveva alcuna conoscenza delle diverse indagini in materia di ‘ndrangheta in corso a Milano. Nessun rapporto di connessione si riscontrava al momento di inizio delle operazioni, così come non sussisteva alcun collegamento probatorio in quanto le intercettazioni svolte nel procedimento di Firenze non avevano alcuna influenza sull’accertamento dei reati per i quali si procedeva a Milano, associazione mafiosa ed omicidio.

Con secondo motivo la difesa contesta la erronea applicazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione agli artt. 273 e 274 cod. proc. pen.. Il difensore considera in particolare la intercettazione del 17 febbraio 2011 ore 21,01, ritenuta dal Tribunale la più rilevante, osservando che la stessa non fa riferimento ad una richiesta di misura cautelare, in quanto quella in questione era stata firmata dopo vari giorni dall’intercettazione, nè il riferimento era alla informativa dei carabinieri del Ros in quanto questo organismo era diverso ed aveva diversa sede rispetto alla compagnia dei Carabinieri ove il ricorrente, in ipotesi, assumeva informazioni. La difesa indicava anche la erronea interpretazione di altri messaggi per i quali non si erano rilevate circostanze corrispondenti. Quanto, infine, alle esigenze cautelari la difesa indica la possibilità di tutelarle con misure meno gravose quali gli arresti domiciliari.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo la difesa ripropone il tema della inutilizzabilità delle intercettazioni sul presupposto che non ricorrano le condizioni richieste dall’art. 270 cod. proc. pen. per la utilizzazione di intercettazioni in un procedimento diverso da quello in cui le stesse sono state disposte.

Essendo pacifico che, non procedendosi per reato per il quale sia previsto l’arresto in flagranza obbligatorio, sia vietata l’utilizzazione in caso di diversità del procedimento, il Tribunale ha risotto la questione sollevata dalla difesa affermando la sussistenza di un collegamento delle indagini, condizione che, secondo la giurisprudenza di legittimità, rileva perchè vi sia un procedimento sostanzialmente unico ai fini, appunto, della disciplina di cui all’art. 270 c.p.p..

Osserva la Corte che, nel caso di specie, il tema della utilizzazione delle intercettazioni si risolve indipendentemente dal tema del trattarsi del medesimo procedimento; peraltro tale ultima condizione appare dubbia nel caso in esame atteso che non si rilevano collegamenti sostanziali tra le vicende oggetto dei due procedimenti e che non sembra che la prova di un reato valga a dimostrare l’altro reato; più banalmente, sembra ricorrere la ordinaria condizione che l’art. 270 c.p.p. intende regolare, ovvero che, nell’ambito di un’ampia attività di intercettazione di conversazioni, alcune delle conversazioni valgono a provare anche vicende diverse e slegate.

Questo è ciò che ricorre in tutti i casi disciplinati dall’art. 270 cod. proc. pen., mentre è ben diversa la condizione di “collegamento probatorio” che ricorre quando la dimostrazione della sussistenza dell’un reato consenta di dimostrare anche l’altro (“… Se la prova di un reato o di una sua Circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un’altra circostanza”).

Ma nel caso in esame le intercettazioni non valgono in quanto tali, come elementi atti a provare indirettamente dei reati, bensì costituiscono esse stesse la condotta incriminata.

E’ di palmare evidenza dalla lettura delle medesime imputazioni che le condotte di favoreggiamento sono consistite esattamente nelle comunicazioni telefoniche (conversazioni o invio di messaggi “sms”).

Le comunicazioni verbali o per iscritto sono le uniche condotte contestate al ricorrente in quanto integranti il favoreggiamento personale:

“E segnatamente:

– in data 8 febbraio 2011 alle ore 14:34 S.G. inviava a C.G.F. il seguente sms: “stai attento, ci sono delle indagini su di te seregno operazione Calabria”;

– il 10 febbraio 2011 (progr. 6706 ore 14:35) S.G. diceva al C.: “… sono arrivato adesso da Seregno (…) no volevo dirti un cognome(…) non so se è legato a te ecco perchè … perchè so che devono … dovevano fare Seregno (…) eh … “;

– il 15 febbraio 2011 (progr. 7012 ore 23:10) C. diceva a Z. (che gli aveva chiesto: “dovevi dirmi qualcosa?”):

“qualcosa di abbastanza importante, ma se hai degli impegni … come non detto (…) quando vuoi M. eh … considera che è importante per te e per lui eh … “;

– il 17 febbraio 2011 (progr. 7217 delle ore 21:01) S. diceva a C.: “niente tutto a posto … comunque quella cosa lì la settimana prossima la fanno (…) novantanove virgola nove per cento (…) hanno … so che oggi li hanno firmati”;

– il 17 febbraio 2011 (progr. 7218 ore 21:16) C. diceva a S.: “hanno fatto pure st’operazione oggi tra Reggio e Milano” e S.: “(…) mh … e … anche la prossima settimana c’è a Milano (….) lo sapevi …lo sai te l’ho detto”; C.: “Va bene, problemi loro”; S.: “hanno firmato tutto”.

Quindi è la stessa espressione linguistica che rappresenta la violazione del precetto penale. Tali intercettazioni, perciò, sono utilizzabili quale corpo del reato indipendentemente dalla sussistenza delle condizioni di cui all’art. 270 cod. proc. pen..

Si tratta di un’ipotesi più volte trattata dalla giurisprudenza di legittimità, in casi cui l’attività di favoreggiamento risultava commessa con la comunicazione telefonica (casi di anticipazione di imminente perquisizione, interventi per la cattura del latitante) e in casi di rivelazione di segreto di ufficio laddove era stata intercettata proprio la conversazione con la quale veniva propalato il segreto. Tale concetto di “corpo del reato”, laddove la condotta sia l’espressione linguistica, è del resto stato applicato nel caso, analogo sotto questo profilo, della utilizzabilità dibattimentale quale corpo del reato e documento ex art. 234 cod. proc. pen. delle dichiarazioni che integrino falsa testimonianza o calunnia (i relativi verbali rappresentano documenti/corpo del reato e sono atti utilizzabili nel dibattimento non avendo più matura di “dichiarazioni”).

In presenza, comunque, di prove raccolte mediante intercettazioni, vanno applicate le disposizioni che prevedono casi di assoluta in utilizzabilità (artt. 271 e 191 cod. proc. pen.), verificando che non risultino violati i limiti di legge, regole poste a tutela di specifiche garanzie costituzionali della libertà delle comunicazioni.

L’art. 271 cod. proc. pen., comma 1 (“i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora le stesse siano eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dall’art. 267 e art. 268, commi 1 e 3”) letto unitamente alla regola generale di cui all’art. 191 cod. proc. pen., che sanziona con la inutilizzabilità tutte le prove raccolte in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, è evidentemente applicabile anche in presenza di una intercettazione che costituisca essa stessa la condotta del reato. Si tratta di questione trattata nella sentenza Sez. 6, Sentenza n. 13166 del 29/11/2011 Ud. (dep. 05/04/2012) Rv. 252578 che, nel confermare che costituisca corpo del reato la espressione linguistica intercettata che rappresenti essa stessa la condotta del reato, ne riteneva comunque la inutilizzabilità quale conseguenza della dichiarazione di inutilizzatabilità da parte del giudice a quo di tutte le intercettazioni per violazione delle regole di acquisizione.

Nel caso di specie non ricorre alcuno dei divieti di utilizzazione di cui al citato art. 271 cod. proc. pen.: non è in questione che le intercettazioni, nel procedimento di provenienza, siano state compiute nell’ambito dei casi consentiti alla legge, nè risulta dedotta alcuna questione di inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 267 e art. 268 cod. proc. pen., comma 1 e 3.

Va da ultimo considerato che l’indirizzo giurisprudenziale cui si aderisce, sembra contrastato dalla recente sentenza Sez. 5, Sentenza n. 10166 del 25/01/2011 Ud. (dep. 14/03/2011) Rv. 249952.

Ma la relativa motivazione dimostra la totale diversità del caso in essa trattato; in quella ipotesi il reato non era costituito dalla conversazione in quanto tale ma la condotta consisteva nell’apposizione di false sottoscrizioni ad un verbale di Giunta Comunale; la conversazione intercettata valeva solo a dimostrare che taluno istigava tale condotta (” tentativo di induzione al falso”), istigazione che non costituiva essa stessa la condotta criminosa, come nel caso in esame.

La conclusione è che correttamente è stata utilizzata a carico del ricorrente la registrazione delle comunicazioni costituenti la (sua) condotta incriminata, in quando corpo del reato.

Si passa quindi al secondo motivo con il quale la difesa affronta il tema della adeguatezza della motivazione sotto il profilo della interpretazione delle conversazioni e comunicazioni scritte sopra riportate.

Il motivo è manifestamente infondato in quanto non indica uno specifico travisamento delle prove ma, peraltro in modo assai parziale, offre una interpretazione alternativa di alcune conversazioni, con un risultato del tutto irrilevante in quanto si pone in dubbio quale sia la specifica attività degli inquirenti segnalata al soggetto favorito laddove, come dal chiaro complesso della motivazione dell’ordinanza di custodia e dell’ordinanza del riesame, non è dubbio che S. fornisse informazioni utili in relazione alla data indagine ed alla concreta possibilità di emissione misure cautelari.

Quindi, a fronte del complessivo e convergente materiale (le altre informazioni costituenti condotte di favoreggiamento) non sono individuate le specifiche carenze della motivazione, nè il travisamento della lettura delle prove, nè la complessiva illogicità, unici casi che consentono l’Intervento del giudice di legittimità in ambito di controllo della motivazione.

La difesa pone anche il tema della adeguatezza della misura cautelare sotto l’unico profilo della sufficienza degli arresti domiciliari ma, risultando la misura della custodia in carcere già sostituita, la questione non è più rilevante.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione