Tribunale Milano 4/1/2011 n. 52971

Redazione 04/01/11
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(omissis)
FATTO E DIRITTO
M.A. ha convenuto in giudizio il Comune di Cernusco sul Naviglio chiedendo il risarcimento dei danni subiti a seguito della sua caduta avvenuta il 18.6.04 sulla carreggiata posta all’incrocio tra la via (…) e la via (…) (all’interno del Comune convenuto), per essere questa stata provocata dalla presenza al suolo di una buca. Ha quindi affermato la responsabilità del Comune convenuto ai sensi degli artt. 2043 e 2051 c.c. sviluppando negli atti successivi in particolare la difesa con riguardo alla posizione di custode del Comune rispetto alla strada demaniale.
I profili della responsabilità per cose in custodia sono stati magistralmente delineati nella nota sentenza Cass. n. 15383/06, secondo la quale si tratta di responsabilità oggettiva che trova il suo fondamento nella mera relazione intercorrente tra la cosa e colui che esercita l’effettivo potere su di essa: in altri termini, il fondamento della responsabilità è costituito dal rischio che grava sul custode per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano da fortuito, (cfr. da ultimo Cass. n. 2563/07 e Cass. 25243/06; nello stesso senso cfr. Cass. 2430/04/ Cass. n. 2075/02/ Cass. n. 584/01). La responsabilità del custode è, peraltro, esclusa "allorché la cosa svolge solo il ruolo di occasione dell’evento ed è svilita a mero tramite del danno in effetti provocato da una causa ad essa estranea, che ben può essere integrata dallo stesso comportamento del danneggiato; si verifica in questo caso il cosiddetto fortuito incidentale, idoneo ad interrompere il collegamento causale tra la cosa ed il danno". "Il giudizio sull’autonoma idoneità causale del fattore esterno, estraneo alla cosa, va ovviamente adeguato alla natura della cosa ed alla sua pericolosità, nel senso che tanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo é suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo (costituente fattore esterno) nel dinamismo causale del danno, fino ad interrompere il nesso eziologico tra cosa e danno e ad escludere dunque la responsabilità del custode ai sensi dell’art. 2051 cod. civ." (v. Cass. 584/01). Quanto detto si riflette in punto di onere probatorio attribuendo al danneggiato la prova del pregiudizio subito e del nesso di causalità tra questo ed il dinamismo connaturato alla cosa, mentre compete al custode dimostrare la sussistenza del caso fortuito, nei termini sopra precisati, tale da interrompere il nesso causale tra la cosa e l’evento dannoso. Poiché anche il comportamento colposo del danneggiato rileva sotto il profilo eziologico, non si tratta tuttavia di eccezione in senso proprio, ma di semplice difesa che compete al custode sollevare mediante la mera allegazione degli elementi di fatto su cui si fonda il concorso colposo ex art. 1227, I co. c.c. (cfr. Cass. n. 4799/01; Cass. n. 13403/00; Cass. n. 13460/99).
Nel caso concreto, l’espletata istruttoria (cfr. testi La. e Di., che al fatto hanno assistito) ha confermato le circostanze di fatto dedotte dall’attore, e dunque che lo stesso sia caduto in corrispondenza di una buca apertasi nell’asfalto all’incrocio indicato in citazione (la teste La. avendo precisato di averlo subito soccorso e di aver notato che un piede dell’attore era ancora all’interno della buca), non assumendo rilevanza la circostanza che essi non siano stati in grado di identificare a posteriore con esattezza di quale si trattasse, fra le plurime buche ivi presenti, come dato atto dall’Agente di Polizia Municipale che ha redatto il verbale prodotto sub doc. 13 att.: da detto verbale, cui va riconosciuta l’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c., emerge infatti come nel tratto di strada in questione vi fossero più avvallamenti del medesimo genere, tutti egualmente pericolosi per il transito degli utenti. Non v’è dubbio, pertanto, che l’evento dannoso sia la conseguenza della insita pericolosità della cosa in custodia al Comune. Quanto all’applicabilità della responsabilità ex art. 2051 c. c. alla P.A. proprio con riferimento alle strade demaniali ed alla loro manutenzione, la ricordata decisione della Suprema Corte ha sottolineato come "poiché la custodia è una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa, certamente tale potere di fatto non può essere a priori escluso in relazione alla natura demaniale del bene, ma neppure può essere ritenuto in ogni caso sussistente anche quando vi è l’oggettiva impossibilità di tale potere di controllo del bene, che è il presupposto necessario per la modifica della situazione di pericolo", senza tuttavia con ciò inserire nel concetto di custodia di cui si tratta elementi di responsabilità soggettiva estranei alla struttura della norma: il tutto pervenendo dunque alla conclusione che le strade all’interno della perimetrazione del centro abitato costituiscano figura sintomatica della possibilità dell’effettivo controllo da parte dell’ente. Deve ritenersi, tuttavia, che alla produzione del fatto abbia concorso altresì la condotta del danneggiato, cui è imputabile una disattenzione senza la quale il fatto non si sarebbe verificato, e che dunque è idonea ad essere valutata ex art. 1227, I co. c.c. In proposito va evidenziato, infatti, che l’anomalia del manto stradale individuata dall’attore come fonte del sinistro – ritratta nel fotogramma n. 1 allegato al verbale della Polizia Municipale – fosse di dimensioni notevoli e quindi assolutamente visibile, soprattutto attese le buone condizioni atmosferiche al momento del fatto (ora antelucana, con tempo soleggiato), il che porta a ritenere che effettivamente il Milano vi sia inciampato perché distratto da altra manovra (l’essersi girato per sollecitare la moglie che lo seguiva, come dal medesimo dichiarato in sede di interrogatorio libero, o comunque per verificare se un veicolo stesse sopraggiungendo da tergo, come affermato rispondendo all’interrogatorio formale).
L’attore, infatti, era tenuto a preservare la propria incolumità: in proposito appare opportuno il richiamo al generale principio di autoresponsabilità – affermato dalla Corte Costituzionale proprio in materia di insidie stradali – per il quale gli utenti dei beni sia pubblici che privati hanno un onere di particolare attenzione nell’esercizio dell’uso ordinario di tali beni, al fine appunto di salvaguardare la propria incolumità (cfr. Corte Costituzionale 156/99); tale onere di attenzione non si esaurisce in quello dell’utilizzo normale e conforme alla destinazione dei singoli bene, ma comporta anche il dovere di prestare particolare attenzione nell’uso degli stessi, in rapporto alle caratteristiche intrinseche di ciascuno di essi ed al rischio specifico che l’utilizzo di ciascun bene comporta. Per quanto attiene al caso in esame, va osservato che il sinistro non è avvenuto sul marciapiede, bensì sulla carreggiata destinata al traffico veicolare e non in corrispondenza con strisce orizzontali per l’attraversamento, e dunque il pedone che se ne serva non può avere l’aspettativa di uno stato di conservazione pari a quello delle vie per la circolazione pedestre.
Si ritiene che la condotta del danneggiato abbia inciso nella misura del 50% nel verificarsi del danno, il cui risarcimento deve dunque essere proporzionalmente ridotto.
I danni alla persona riportati dal Mi. sono stati accertati dalla CTU medico legale affidata al D. P.C., la cui relazione è stata contestata dal solo attore: non si ha motivo, invece, di discostarsi dalle conclusioni ivi raggiunte, immuni da contraddizioni e frutto di indagine sulla stessa persona dell’attore nell’ambito di operazioni peritali cui consulente di parte attrice – ritualmente nominato – non ha ritenuto di partecipare. Deve dunque ritenersi che il Milano – dopo un periodo di inabilità assoluta per gg. 7, al 75% per gg. 90, al 50% per i successivi 30 gg. e al 25% per ulteriori 30 gg. – abbia subito una riduzione definitiva della sua integrità psico – fisica pari al 4%. Per il ristoro di detti pregiudizi è opportuno attenersi all’insegnamento espresso dalla da ultimo dalla Suprema Corte (S.U. n. 26972/08), che – nel rilevare l’esistenza di due sole categorie di danno (patrimoniale ex art. 2043 c.c. e non patrimoniale ex art. 2059 c.c.) – ha affermato come quest’ultimo vada ravvisato nella lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Fra questi, dunque, la lesione del bene salute costituisce una categoria ampia e omnicomprensiva, nella cui liquidazione occorre tener conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Così, il danno morale – inteso come le sofferenze che soggettivamente vengono sopportate dal danneggiato – può sussistere sia unitamente ad altri pregiudizi di natura non patrimoniale o essere da questi indipendente, e va risarcito in ogni ipotesi in cui l’illecito configuri altresì gli estremi di reato: ove ricorrano lesioni all’integrità psico – fisica, tale profilo di danno deve essere unitamente liquidato nell’ambito del danno non patrimoniale, tenendone in debito conto attraverso un’operazione di personalizzazione.
Sulla scorta di tali principi sono stati quindi individuati dall’Osservatorio della Giustizia Civile di questo Tribunale i parametri cui attenersi nella liquidazione del danno non patrimoniale, e dunque le note "tabelle" espresse in moneta attuale (2009): in particolare, atteso il tipo di cure richieste dalla convalescenza del Mi., si ritiene adeguata la liquidazione di Euro 100,00 al di per ogni giorno di invalidità temporanea assoluta (per complessivi Euro 9.700,00) e quello di Euro 4.949,00 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale di natura permanente.
Atteso il concorso di colpa riconosciuto, il convenuto deve dunque essere condannato a pagare all’attore la somma di Euro 7.324,50.
Detto importo, espresso in valore attuale, deve essere devalutato alla data del fatto e quindi maggiorato degli interessi legali sulla somma via via rivalutata dal fatto alla sentenza: dalla data di questa decorrono poi gli interessi legali fino al saldo (Cass. n. 1712/95).
Compete inoltre al Mi. – a titolo di danno patrimoniale – il rimborso delle spese mediche documentate e ritenute congrue dal CTU nella misura di Euro 191,55. Nulla può invece essere riconosciuto in relazione al mancato guadagno che egli avrebbe tratto dalla sua attività lavorativa, nel periodo in cui la malattia in corso gliene avrebbe impedito l’espletamento. Certamente la accertata inabilità temporanea assoluta e parziale seguita al sinistro potrebbe aver escluso la possibilità che egli svolgesse direttamente le mansioni di gruista, ma solo limitatamente al periodo dal sinistro fino al 29.8.04 (data in cui lo specialista ortopedico consultato lo dichiara clinicamente guarito con postumi da valutarsi in sede medico legale: doc. 12 att.) ed a quello immediatamente successivo l’intervento per la rimozione dei mezzi di sintesi (eseguito l’1.4.05): sennonché, da un lato è irrilevante l’eventuale inabilità al lavoro per detto ultimo periodo (per il quale il Mi. non ha offerto elementi per valutare il lucro cessante, non avendo nemmeno allegato di aver perso opportunità di lavoro) e dall’altro l’attore ha omesso di produrre le fatture emesse nei confronti della Ca. scarl (con la quale aveva in corso il contratto per prestazioni di gruista di cui al doc. 19 att.) relative proprio ai mesi di giugno, luglio, agosto e settembre 2004, ma che invece debbono sicuramente essere state emesse, atteso il numero 4 attribuito alla fattura di aprile 2004 (doc. 16 att.) e quello 10 attribuito alla fattura di ottobre 2004 (doc. 17 att.) – Ciò induce a ritenere che in effetti nessun lucro cessante l’attore abbia sopportato a causa della sua inabilità lavorativa, probabilmente continuata senza modificazioni (per essere già materialmente affidata a terzi o a collaboratori).
L’esito della lite giustifica la compensazione per metà delle spese processuali, con condanna del convenuto al pagamento delle residue, liquidate come in dispositivo. Nella stessa proporzione vengono definitivamente ripartite le spese di CTU, già liquidate con separato decreto.

P.Q.M.
Respinte le altre domande, condanna il Comune di Cernusco Sul Naviglio al pagamento in favore di M.A. della somma di Euro 7.324,5, somma da devalutarsi alla data del 18.6.2004 e poi da maggiorarsi degli interessi legali sulla somma via via rivalutata dal fatto alla sentenza, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo, nonché della somma di Euro 191,55, con gli interessi legali sulla somma via via rivalutata dagli esborsi alla sentenza e con gli interessi legali dalla sentenza al saldo. Compensa per metà le spese processuali tra le parti e condanna il convenuto al pagamento delle residue, queste liquidate in Euro 329,20 per spese, Euro 800,00 per diritti ed Euro 1.600,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Pone definitivamente le spese di CTU, già liquidate con separato decreto, per metà a carico dell’attore e per metà a carico del convenuto.
(omissis)

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