Tribunale Brindisi Fasano 7/4/2010

Redazione 07/04/10
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FATTO E DIRITTO
La domanda di parte attrice deve essere accolta per le ragioni che seguono.
Va in primo luogo dichiarata la proponibilità dell’azione, avendo parte attrice ritualmente ottemperato al disposto di cui all’art. 22 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, con lettera raccomandata del 23.3.04.
La causa è stata iniziata decorsi i 60 giorni previsti da tale norma.
Ciò chiarito, consta ex actis, che in data 23 giugno 2003, intorno alle ore 15.55 il convenuto Sempronio, alla guida dell’autovettura Lancia Dedra su descritta, con a bordo sul sedile anteriore destro la sig.na *******, percorreva la S.S. 379, con direzione Bari/Brindisi, quando giunto in prossimità della progressiva chilometrica 6.400, in agro del comune di Fasano (BR), effettuava sorpasso di altro veicolo. Al termine di tale manovra, il convenuto iniziava manovra di rientro sulla corsia normale ma perdeva il controllo del proprio autoveicolo e deviava la propria corsa verso sinistra, andando ad urtare contro il new-jersey centrale.
Dopo tale collisione, l’autovettura percorreva la carreggiata e, dopo aver abbattuto due paletti di sostegno della segnaletica stradale verticale, e percorso anche la corsia di accelerazione del raccordo che dalla S.P. 7 si innesta con la S.S. 379, andava a collidere contro il guard-rail posto sulla destra a protezione di tale corsia. Successivamente alla collisione, il veicolo sormontava la barriera metallica, finendo nella scarpata discendente adiacente la carreggiata e, dopo aver abbattuto un albero, si arrestava.
A seguito dell’incidente,******* veniva trasportata, a mezzo di ambulanza intervenuta sul posto, presso l’Ospedale Civile di Ostuni ove, giudicata in prognosi riservata, veniva trasferita presso il reparto di rianimazione dell’Ospedale ********** di Lecce, ove decedeva alle ore 20.00, a causa delle gravissime lesioni riportate nell’incidente.
Sul luogo intervenivano per i dovuti accertamenti gli agenti della Polizia Stradale "Puglia", che effettuavano i rilievi e le misurazioni del caso.
Orbene, il sinistro di che trattasi è da ascrivere a colpa esclusiva di Sempronio.
Infatti, ex actis, non può considerarsi acquisita la prova di una concorrente responsabilità di un soggetto terzo, non identificato, nella causazione del sinistro. Ciò per quanto la perizia disposta, in sede di indagini penali, abbia evidenziato che il movimento dell’auto del convenuto contumace, quale descritto dal teste ***************, sia compatibile con la presenza di un ostacolo, sul percorso di quest’ultimo; ostacolo che lo avrebbe indotto a cambiare la propria traiettoria, deviando sulla sinistra e collidendo con il garde rail.
Tal ultima rimane, allo stato degli atti, un’ipotesi ricostruttiva della dinamica del sinistro che – per quanto, in astratto, plausibile – risulta, però, sfornita di idonei riscontri probatori.
Il complesso delle suddette circostanze unitamente alla contumacia del convenuto, regolarmente citato, nonché alla sua mancata comparizione a rendere l’interrogatorio formale ad essa deferito, è, a giudizio del Tribunale, sufficiente a far ritenere con ragionevole probabilità che la dinamica del sinistro sia effettivamente quella descritta da parte attrice, il che comporta, nella valutazione complessiva degli elementi di rilievo presenti nella fattispecie, la fondatezza della domanda sotto il profilo dell’accertamento della dinamica del sinistro de quo .
L’affermazione della responsabilità del conducente del veicolo in questione determina la condanna, in solido, della società convenuta – non avendo,peraltro, tal ultima fornito prova dell’esistenza di un massimale alla copertura assicurativa del danneggiante – al risarcimento dei seguenti danni subiti e richiesti dagli attori in conseguenza dell’evento:

a) Danno non patrimoniale, sub specie di danno biologico iure proprio
E’ noto come le Sezioni Unite dell’11.11.2008 abbiano degradato il danno biologico a mera componente descrittiva della più ampia categoria del danno non patrimoniale.
Esso, va inteso come menomazione dell’integrità psico-fisica in sè considerata, in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione.
Tale voce di danno, come precisato dalla Corte Costituzionale, n. 184/’86, non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza del danneggiato, con il conseguente paradosso, al contempo, dell’irrisarcibilità del danno biologico, subito da chi sia sprovvisto di un’attività lavorativa e della commisurazione del danno all’occupazione del soggetto o, persino – secondo un’inammissibile visione della società, rigidamente ripartita per classi – del padre.
Come espressamente affermato anche dall’art. 139 del Codice delle Assicurazioni, per danno biologico deve, invece intendersi "la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito".
Ciò premesso, il danno biologico consistente nella violazione dell’integrità psico-fisica della persona va considerato ai fini della determinazione del risarcimento, sia nel suo aspetto statico (diminuzione del bene primario dell’integrità psico-fisica in sè e per sè considerata) sia nel suo aspetto dinamico (manifestazione o espressione quotidiana del bene salute e, a tal riguardo, è evidente la rilevanza del c.d. pregiudizio estetico).
Giova precisare che, anche con riguardo alla collocazione sistematica, relativa al danno estetico, la pronuncia dell’11 novembre 2008 si pone nel solco della tradizione.
Essa, infatti, in piena armonia con la logica di tipizzazione e delimitazione del danno non patrimoniale che la caratterizza, opta per la tesi tradizionale per cui tale voce di danno non configura quale entità autonomamente risarcibile, semmai sotto l’etichetta del danno esistenziale, ma costituisce una mera componente del danno biologico.

Ciò premesso, dalla espletata consulenza medico-legale, è risultato che
le lesioni causalmente collegate al sinistro sono le seguenti:
1) per *********** e f. "disturbo dello spettro ansioso depressivo reattivo" con un danno biologico, sub specie di postumi permanenti, dell’8-10 per cento, una ITT di giorni 30 e una ITP, al 50 per cento, anch’essa di giorni 30;
2) per quanto concerne, invece, **** , "disturbo postraumatico da stress con note di ansia" con un danno biologico, sub specie di postumi permanenti, del 13 per cento e una ITT di giorni 30 e una ITP al 50 per cento anch’essa di giorni 30;
3) in ultimo, quanto a tizia *****, "disturbo endoreattivo" di grado marcato un danno biologico del 18 per cento e una ITT di giorni 30 e una ITP al 50 per cento anch’essa di giorni 30.

In sede di relazione peritale, é’ stato precisato come il suddetto danno biologico, per tutti i soggetti periziati, sia inidoneo ad incidere sulla capacità lavorativa specifica dei soggetti interessati.
Le conclusioni del medico legale sul danni biologico, sono condivise dal Tribunale, in quanto basate su un completo esame anamnestico e su un obiettivo, approfondito e coerente studio della documentazione medica prodotta, valutata con criteri medico-legali immuni da errori e vizi logici.
Per quanto concerne il quantum di tali danni, si ritiene opportuno applicare, al caso di specie, le tabelle di Milano, in quanto aggiornate rispetto al nuovo inquadramento del danno non patrimoniale cui sono approdate le Sezioni Unite dell’11.11. 2008.
Le nuove Tabelle – approvate il 28 aprile 2009 – presentano profili di innovatività rispetto alle precedenti tabelle quanto alla liquidazione del danno permanente da lesione all’integrità psico-fisica. Infatti, esse individuano il nuovo valore del c.d. "punto" muovendo dal valore del "punto" delle Tabelle precedenti (connesso alla sola componente di danno non patrimoniale anatomo-funzionale, c.d. danno biologico permanente), aumentato, in riferimento all’inserimento nel valore di liquidazione "medio" anche della componente di danno non patrimoniale relativa alla "sofferenza soggettiva", di una percentuale ponderata (dall’1 al 9% di invalidità l’aumento è del 25% fisso, dal 10 al 34 % di invalidità l’aumento è progressivo per punto dal 26% al 50%, dal 35 al 100% di invalidità l’aumento torna ad essere fisso al 50%), e prevedendo inoltre percentuali massime di aumento da utilizzarsi in via di c.d. personalizzazione.
Applicando le predette tabelle – che hanno fissato in un valore da € 88 a € 132 l’importo relativo ad ogni giorno di inabilità assoluta – al caso si specie e assumendo quale momento temporale rilevante il 23.6.03, ovvero la data del sinistro, il danno biologico subito da:
a) **** , deve essere quantificato in euro 38.000 cui si perviene, movendo dal valore del "punto", relativo al danno non patrimoniale (biologico + morale) € 2940.69, moltiplicandolo per il numero dei punti di invalidità (13), applicando, al contempo, il relativo demoltiplicatore, e aumentando il suddetto prodotto pari a euro 29.436 fino a euro 38.000, per esigenze di personalizzazione del danno. Esigenze che rinvengono la propria ragion d’essere nella peculiarità del caso di specie, idoneo a determinare, secondo l’id quod plerunque accidit, un apprezzabile pretium doloris, oltre che nella particolarità della lesione psichica subita. A tale somma vanno aggiunti € 2640,00 per ITT, giorni 30; nonché € 1320,00 per ITP al 50 %, giorni 30, per complessivi euro 3960,00;
b) tizia , deve essere quantificato in euro 65.000 cui si perviene, movendo dal valore del "punto", relativo al danno non patrimoniale (biologico + morale) € 3669.54, moltiplicandolo per il numero dei punti di invalidità (18), applicando, al contempo, il relativo demoltiplicatore, e aumentando il suddetto prodotto pari ad euro 50860.00 fino a euro 60.000, per esigenze di personalizzazione del danno. Esigenze che rinvengono la propria ragion d’essere nella peculiarità del caso di specie, idoneo a determinare, secondo l’id quod plerunque accidit, un apprezzabile pretium doloris oltre che nella particolarità della lesione psichica subita. A tale somma vanno aggiunti € 2640,00 per ITT, giorni 30; nonché € 1320,00 per ITP al 50 %, giorni 30, per complessivi euro 3960,00;
c) **** junior, deve essere quantificato in euro 35.000,00 cui si perviene, movendo dal valore del "punto", relativo al danno non patrimoniale (biologico + morale), pari,rispettivamente, ad € 2524,73, moltiplicandolo per il numero dei punti di invalidità (10), applicando, al contempo, il relativo demoltiplicatore, e aumentando il suddetto prodotto pari ad euro 23859,00 fino a euro 25.000,00 per esigenze di personalizzazione del danno. Esigenze che rinvengono la propria ragion d’essere nella peculiarità del caso di specie, idoneo a determinare, secondo l’id quod plerunque accidit, un apprezzabile pretium doloris, oltre che nella particolarità della lesione psichica subita. A tale somma vanno aggiunti € 2640,00 per ITT, giorni 30; nonché € 1320,00 per ITP al 50 %, giorni 30, per complessivi euro 3960,00;
d) **** f., deve essere quantificato in euro 30.000 cui si perviene, movendo dal valore del "punto", relativo al danno non patrimoniale (biologico + morale), pari,rispettivamente, ad € 2524,73, moltiplicandolo per il numero dei punti di invalidità), applicando, al contempo, il relativo demoltiplicatore (10), e aumentando il suddetto prodotto pari ad euro 23228,00 fino a euro 30.000, per esigenze di personalizzazione del danno. Esigenze che rinvengono la propria ragion d’essere nella peculiarità del caso di specie, idoneo a determinare, secondo l’id quod plerunque accidit, un apprezzabile pretium doloris, oltre che nella particolarità della lesione psichica subita. A tale somma vanno aggiunti € 2640,00 per ITT, giorni 30; nonché € 2640,00 per ITP al 50 %, giorni 30, per complessivi euro 3960,00.

b) Danno non patrimoniale, sub specie di danno morale iure proprio e di c.d. danno da perdita del rapporto parentale.
Il danno morale consiste, secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale (sent. 14 luglio 1986 n. 184), nelle ingiuste perturbazioni dell’animo, o nelle sensazioni dolorose, che derivano al danneggiato a cagione di un illecito.
Tradizionalmente, con l’espressione "danno morale" si indicano le sofferenze, il dolore (fisico o psichico) che può provarsi per una ferita, per una malattia, per la perdita di una persona cara, per un’ingiuria, ecc..
Peraltro, le Sezioni Unite del 2008, hanno disancorato tale voce di danno dal dato temporale, con conseguente abbandono dello schematismo concettuale per cui il danno morale deve essere necessariamente transeunte. D’altra parte, la suddetta figura descrittiva, invero non priva di solidi riscontri nella prassi giurisprudenziale, aveva fondamento normativo assai dubbio, dal momento che, né l’art. 2059 c.c. né l’art. 185 c.p. si esprimono, genericamente, in termini di danno morale, né ne circoscrivono la rilevanza alle ipotesi di transitorietà.
Inoltre, tale ricostruzione del danno morale era inidonea anche ad assicurare adeguati margini di tutela. Infatti, la sofferenza morale cagionata dal reato – lungi dall’essere necessariamente transeunte – ben può protrarsi anche per lungo tempo.
Si tratta, comunque, di un danno che non consente alcuna misurazione precisa e, pertanto, l’entità del risarcimento non può che essere determinata equitativamente dal giudice, tenendo conto della gravità del fatto e della rilevanza delle conseguenza che ne sono derivate.
Ad evitare tentativi di speculazione, il legislatore esclude che il danno non patrimoniale sia, di regola, risarcibile, e ne ammette la risarcibilità, in via eccezionale, nei soli casi previsti dalla legge (art. 2059).Tra questi, il più importante è quello prevista dall’art. 185.2 c.p., che stabilisce la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante da reato.
Al riguardo, le Sezioni Unite del 2008, hanno avuto modo di precisare come, in virtù dell’ampia accezione del danno non patrimoniale -ricorrendo una fattispecie di reato – é risarcibile non soltanto il danno non patrimoniale eziologicamente riconducibile alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili (come accade, nel caso, appunto, , di uccisione o lesione grave di congiunto, determinante la perdita o la compromissione del rapporto parentale), ma anche quello conseguente alla lesione di interessi della Persona "non presidiati da siffatti diritti", ma meritevoli di tutela in base all’ordinamento (secondo il criterio dell’ingiustizia ex art. 2043 c.c.). Ciò in quanto la tipicità, in questo caso, non dipende soltanto dal rango dell’interesse protetto e dall’esistenza di una disposizione costituzionale posta a suo difesa, ma dalla stessa previsione legislativa de qua, idonea a fondare la risarcibilità di tutti i danni non patrimoniali cagionati da reato.
Peraltro, sotto altro profilo, le Sezioni dell’11-11.08, nell’ancorare la risarcibilità del danno non patrimoniale all’indefettibile presupposto del rilievo costituzionale del bene leso, hanno ammesso la risarcibilità di tale voce di danno nel caso di uccisione di un congiunto.
Il suddetto fondamento viene rinvenuto negli artt. 2-29-30 Cost. Secondo le Sezioni Unite, "la perdita di un congiunto provoca uno sconvolgimento della vita familiare (c.d. danno da perdita del rapporto parentale)" e "tale pregiudizio di tipo esistenziale, poiché conseguente alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia, è risarcibile".
Quanto al rapporto con la diversa figura descrittiva del danno biologico, nell’ipotesi in cui l’illecito configuri reato, la sofferenza morale, ad esso conseguente, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, sarebbe idonea ad integrare un pregiudizio di carattere non patrimoniale.
Le Sezioni Unite precisano che – per conservare la suddetta configurazione – deve, tuttavia, trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, e non quale componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorrerebbe la prima fattispecie laddove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo patiti ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza.
Qualora, invece, siano dedotte siffatte conseguenze, si rientrerebbe nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Dunque, darebbe luogo ad un’ingiustificata duplicazione del risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale – appunto, ricondotto nel danno biologico di matrice psichica di cui costituirebbe mera componente costitutiva. Sotto il profilo della liquidazione, il giudice dovrà, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, provvedendo a valutare, nella loro effettiva consistenza, le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.
Parimenti darebbe luogo a una duplicazione del risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato.
Ne discende una forte compressione dell’ambito operativo del danno morale soggettivo in favore del danno biologico e del danno da perdita del rapporto parentale, a loro volta, mere figure descrittive dell’unica categoria concettuale del danno non patrimoniale.
Nondimeno, il danno morale, "confluito" nel pregiudizio alla sfera psichica, non può considerarsi un "mero doppione" del danno da "danno da perdita del rapporto parentale", essendo evidente come le suddette categorie descrittive di danno, sottendano interessi costituzionalmente garantiti, autonomi e distinti.
Nel caso di specie, è evidente il diritto dei prossimi congiunti a conseguire il risarcimento del cd. "danno da perdita del rapporto parentale" che deve considerarsi "assorbente" rispetto al c.d pretium doloris (invero già considerato in sede di personalizzazione del danno biologico).
Ciò, avuto riguardo al profondo sconvolgimento della vita familiare degli attori e delle loro abitudini di vita, sconvolgimento che, sulla base dell’id quod plerunque accidit e in assenza di prova contraria, deve ritenersi eziologicamente riconducibile alla scomparsa della congiunta.
D’altra parte, è evidente che, che "la morte di un figlio a seguito di sinistro stradale determinando un’infinita serie di pregiudizi che si riflettono negativamente sull’esistenza dei prossimi congiunti successivamente alla morte del parente e che fanno si che la loro vita di relazione non sia più la stessa, è risarcibile a titolo di danno esistenziale" (Trib. Napoli, 12 febbraio 2002).
Dunque, a titolo di perdita del rapporto parentale, considerati i valori indicati dalle suddette tabelle di Milano, agli attori devono essere riconosciuti rispettivamente euro:
a) 290.000 per quanto concerne sia **** sia tizia ;
b) 120.000 per quanto concerne sia **** junior sia **** f..
Ciò in considerazione di tutte le circostanze del caso di specie, ed, in particolare, del fatto che la vittima principale – peraltro, di giovanissima età – al momento del verificarsi dell’illecito, non era ancora uscita dal nucleo familiare e che quest’ultimo, prima della sua morte, doveva presumersi essere, secondo l’id quod plerunque accidit, coeso e generatore di relazioni affettive intense e appaganti per tutti i suoi componenti.

c) Danno biologico e morale iure hereditatis
Una prima problematica concerne la risarcibilità dei danni subiti nell’ipotesi di morte immediata della vittima. In origine, da una parte, stante l’impossibilità di far valere un proprio diritto al risarcimento del danno (in virtù del principio della irrisarcibilità dei danni riflessi), si è sostenuto che i familiari potessero agire soltanto per far valere iure hereditatis il diritto al risarcimento del danno biologico subito dal familiare. Successivamente, si è compreso, come il danno dei familiare doveva essere qualificato anch’esso, come danno diretto derivante dal fatto lesivo e, pertanto, autonomamente risarcibile ex art. 2043 c.c.
Ciò premesso, in sede interpretativa, si è consolidato il principio della non risarcibilità del danno tanatologico da morte immediata o da lesione mortale seguita da morte immediata, non potendo il defunto trasmettere, per la perdita della propria capacità giuridica, il diritto di credito consequenziale alla perdita della vita (cfr. da ultimo: Cass., sez. III, 25 gennaio 2002 n. 887; Cass. 1704/97; Cass. 13336/99; Cass. 2134/00). La morte del soggetto leso, infatti, comporterebbe il venir meno della soggettività giuridica e, pertanto, non consente il sorgere del diritto alla salute e ciò proprio in virtù della impossibilità giuridica di attribuire la titolarità di diritti in capo a chi non è più in vita.
D’altra parte, non potrebbe attribuirsi valore patrimoniale al bene vita, in favore del titolare, nel momento in cui la perde, in considerazione del carattere personalissimo del diritto relativo, che non è fungibile con un diverso bene e quindi non può essere trasmesso ad altro soggetto per successione (cfr. Trib. Milano 15 aprile 1993 n. 4031).
Invero, esistono anche elementi di carattere sistematico che inducono a concludere per l’insussistenza di un danno biologico da morte iure hereditario, e, in particolare, il criterio di liquidazione del danno biologico – legato all’età del soggetto al momento del sinistro, e quindi alla durata del pregiudizio subìto – oppure il metodo della rendita vitalizia, quale forma di risarcimento del danno da invalidità permanente prevista dall’art. 2057 c.c.: criteri, i quali presuppongono tutti la permanenza in vita della persona lesa (cfr. Trib. Monza 4 aprile 1991).
Inoltre, l’ordinamento tipizza – espressamente e specificatamente – le ipotesi in cui gli eredi sono legittimati ad esercitare, dopo la morte del de cuius, diritti personalissimi appartenenti per loro natura alla sfera di esclusiva pertinenza del titolare (si pensi, ad esempio, all’azione per il riconoscimento della filiazione legittima, ovvero alla presentazione della querela per diffamazione o all’art. 7, comma 2, del R.D. 29.9.1939 n. 1127 in ordine ai diritti dell’inventore).
In ultimo, nel caso in cui la persona muoia, il bene sacrificato non è la salute, bensì la vita. Dunque, gli eredi della vittima, in tal caso, non avrebbero alcun diritto, ad esser risarciti per il danno biologico patito dalla vittima, essendo, eventualmente, legittimati ad esser risarciti, "iure proprio", per i danni biologici (e morali) ad essi direttamente derivati (Cass., sez. III, 24 aprile 1997, n. 3592).
D’altra parte, tale esito interpretativo è stato confermato dal Giudice delle Leggi, il quale ha dichiarato doversi ritenere infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2043 c.c., e, in subordine, dell’art. 2059 c.c., nella parte in cui non consentirebbero, secondo l’ordinanza di remissione (Trib. Firenze 10 novembre 1993), il risarcimento del danno per violazione del diritto alla vita, al contempo, specificando che la lesione dell’integrità fisica con esito letale non può considerarsi un danno in re ipsa, ma "è sempre necessaria la prova ulteriore dell’entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quella indicata dall’art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale), alla quale il risarcimento deve essere (equitativamente) commisurato" (Corte cost. 27 ottobre 1994, n. 372). Soggetta ad un distinto regime giuridico è l’ipotesi della morte sopraggiunta in seguito a lesioni personali dopo un apprezzabile lasso di tempo.
Al riguardo, può ritenersi acquisito al diritto vivente, il principio secondo cui, nel caso in cui tra le lesioni e la morte sia intercorso un congruo lasso di tempo, il diritto al risarcimento del danno biologico della vittima spetta agli eredi iure hereditatis.
Orbene, l’intervallo di tempo deve ritenersi congruo allorché, nel periodo fra l’evento lesivo e la morte, il danneggiato abbia subito un pregiudizio direttamente apprezzabile sull’utilità dell’esistenza. Quando, cioè, si possa ritenere che il bene giuridico violato sia stata la salute e non la vita, allora può ritenersi maturato il credito al risarcimento del danno biologico (Cass. 28 novembre 1998 n. 12083). Invero, nonostante la chiarezza dell’affermazione giurisprudenziale, esistono orientamenti difformi circa le condizioni alle quali poter considerare congruo il suddetto intervallo temporale.
Quanto ai criteri di liquidazione del suddetto danno, il giudice dovrebbe coerentemente giungere a liquidare il danno, secondo gli ordinari criteri tabellari di liquidazione dello stesso, e, quindi, considerando, in via esclusiva, l’intervallo di tempo in cui la vittima sopravviva alle lesioni mortali, con il conseguente rischio di liquidazioni irrisorie rispetto all’enormità dell’evento morte (cfr. Tribunale Trani, 04 aprile 2008 , n. 100 secondo cui "Nel caso di decesso di un conducente di un veicolo, nel corso di un sinistro stradale, il danno morale ed il danno biologico "iure hereditario" va riconosciuto in favore degli eredi del menzionato soggetto deceduto, però è necessario che tra la data del fatto e quella del decesso, sia decorso un lasso di tempo apprezzabile. Ne consegue che se tale danno è ravvisato sussistente, il danneggiato acquisisce (e quindi trasferisce agli eredi) il diritto al risarcimento del danno biologico da inabilità temporanea – per quanto assoluta – per il solo tempo di permanenza in vita e non già in relazione ad un periodo di tempo pari alle sue speranze di vita per il caso di mancata morte a causa delle lesioni).
Di qui, la conclusione, dettata da esigenze di giustizia sostanziale, secondo cui nell’ipotesi del danno biologico e morale, cosiddetto terminale, "che è quello che la vittima di un sinistro subisce nell’apprezzabile lasso di tempo tra la lesione e la conseguente morte", "i fattori della personalizzazione debbono valere in un grado assai elevato"(Cassaz. Sezione III civile, Sentenza 14 luglio 2003, n. 11003), con conseguente necessità di soppesare adeguatamente elementi quali la "gravità delle lesioni" e l’"intensità del dolore della vittima".
D’altra parte, è innegabile la differenza che intercorre tra la suddetta voce di danno e il danno biologico in senso stretto, in quanto se in tal ultimo caso, "fatta eccezione delle invalidità permanenti assai gravi, infatti, la salute del danneggiato tende a regredire o, almeno, a stabilizzarsi; in quello terminale, invece, si assiste ad un danno che tende ad aggravarsi progressivamente". Da ciò la conseguente relativazzazione dei "criteri contenuti in tabelle, che, per quanto dettagliate, nella generalità dei casi, sono predisposte per la liquidazione del danno biologico o delle invalidità temporanee o permanenti di soggetti che sopravvivono all’evento dannoso".
Nel medesimo senso appaiono Cass. 16 maggio 2003, n. 7632)., secondo cui "In caso di morte causata da lesioni dopo un apprezzabile lasso di tempo, la quantificazione del danno biologico terminale (quale danno alla salute che, se pur temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità) va effettuato in considerazione delle peculiari caratteristiche del pregiudizio"; così Cass. 23 febbraio 2005, n. 3766 secondo cui "qualora alle lesioni consegua dopo un apprezzabile lasso di tempo la morte del soggetto ferito, la quantificazione del danno biologico terminale risarcibile iure hereditario va operata tenendo conto delle peculiari caratteristiche del pregiudizio che, se pur temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità".
Quanto al danno morale, iure hereditatis, trasmissibile ai congiunti della vittima occorre registrare quanto, recentemente, affermato dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite dell’11 novembre 2008, secondo cui il giudice può correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo poco tempo la morte, che sia rimasta lucida dopo l’agonia in consapevole attesa della fine. In tal modo, viene evitato il vuoto di tutela indotto dalla giurisprudenza di legittimità – che si è avuto modo di evocare – la quale nega, appunto, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall’evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita, e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura. Una sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesione e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione (Cass., SS.UU., 11 novembre 2008)
Orbene, nel caso di specie, il lasso di tempo trascorso tra il sinistro e il decesso (quasi quattro ore) non può considerarsi apprezzabile, per cui non può riconoscersi in capo alla vittima un danno biologico, suscettibile di trasmissione agli eredi.
Parimenti, non avendo la vittima principale ripreso conoscenza, non le può essere riconosciuto alcun danno morale.

d) Danno patrimoniale
Quanto al danno patrimoniale, esiste un divario fra la giurisprudenza di merito e quella di legittimità.
La prima – adottando un approccio probatorio più rigoroso – pretende, ai fini del riconoscimento del danno patrimoniale da lucro cessante, la rigorosa prova che la defunta partecipasse al mantenimento dei propri familiari, ivi compresi i fratelli" (Tribunale Milano, 23 settembre 2005), non potendosi presumere che il defunto/defunta che in futuro ove questi fosse rimasto in vita, avrebbe corrisposto una somma superiore a quella occorrente al proprio mantenimento; nè tale presunzione poteva fondarsi sul mero dato della convivenza (cfr. Cass. 23 febbraio 2004 n. 3549)".
La seconda, pare maggiormente incline a ricorrere alla regola esperenziale dell’id quod plerunque accidit, affermandosi come la prova del danno possa essere essenzialmente "presuntiva" ed utilizzare "i dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, adeguandoli alle peculiarità della fattispecie".
Dunque, il suddetto danno dovrebbe essere liquidato quando "in base ad un criterio di normalità fondato su tutte le circostanze del caso concreto risulti che la vittima avrebbe destinato una parte del proprio reddito futuro alle necessità dei genitori o avrebbe, comunque, apportato ai medesimi utilità economiche pur senza che ne avessero bisogno (Cass.
14.2.2000 n. 1637; Cass. 12.10.1998 n. 10085)".
Orbene, il fatto che, come nel caso di specie, "i genitori in atto godano di fonti di reddito tali da rendere inutile qualsiasi contributo della vittima non rileva, Ai fini risarcitori è irrilevante che i genitori abbiano adeguate fonti di reddito ; essendo, infatti sufficiente che la valutazione delle circostanze del caso concreto complessivamente considerate, con ricorso anche ai dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, evidenzi il suddetto pregiudizio in termini di verosimiglianza e possibilità, secondo i criteri di normalità, in relazione a presumibili bisogni futuri"; ciò salvo che la valutazione complessiva non consenta di presumere che mancheranno mutamenti nel corso degli anni (Cass. 13.11.1997 n11236)":"
Si precisa come "alla tutela aquiliana in questo caso si perviene, riconducendo all’ambito del danno ingiunto la lesione delle aspettative legittime, da non confondere con le aspettative semplici, la cui lesione non dà diritto a risarcimento".
D’altra parte, proprio "nel segno di una maggiore sensibilità alle esigenze di riparazione dei pregiudizi sofferti dai congiunti della persona deceduta a causa di illecito l’area delle aspettative legittime è stata progressivamente allargata dall’ambito strettamente alimentare (Cass. 15.12.1981 n. 6630; Cass. 11.1.1979 n. 224) ai contributi patrimoniali ed alle utilità economiche determinabili sulla base, oltre che di precise disposizioni normative, di regole etico-sociali di solidarietà familiare e di costume (Cass. 26.2.1996 n. 1474; Cass. 22.2.1995 n. 1959)".
Ciò anche in virtù del "collegamento tra clausola generale di tutela (art. 2043 c.c.) e principi costituzionali", in verità, rimasto "criptico… fino alla sentenza 13.11.1997 n. 11236, che lo ha disvelato nella sua ampiezza, affermando che il danno subito dai genitori per l’uccisione del figlio deriva dalla lesione di un diritto soggettivo personale che trova precisi riferimenti nelle norme costituzionali che tutelano l’unità e l’integrità del nucleo familiare (artt. 29 e 30 cost.)".
Orbene, venendo alla concreta liquidazione, a tal fine bisogna fare riferimento alla quota di reddito che la vittima avrebbe destinato al menage familiare ed è evidente come la suddetta operazione di quantificazione risulta complessa qualora il figlio, come nel caso di specie, sia minore e in tenera età, potendosi riferire ai risultati scolastici e all’attitudine dimostrata laddove lo stesso abbia già completato la sua formazione e istruzione per stimare il reddito potenziale. Altri elementi valuativi possono essere rinvenuti nell’età dei genitori e nelle loro condizioni di salute.
Orbene, secondo l’id quod plerunque accidit, si deve ritenere che la vittima – già a buon punto del proprio corso di studi (essendo in possesso di Diploma di Maturità scientifica rilasciato dal Liceo Scientifico Statale "*******" di Ostuni (Br) in data 11 luglio 2002 ed essendo in procinto di iniziare il percorso universitario – al termine dell’Università avrebbe contribuito economicamente ai fabbisogni della propria famiglia, ciò almeno per i primi anni della sua attività lavorativa. Si condivide l’osservazione di parte attrice per cui al riguardo non può non considerarsi "il sensibile aumento, a livello nazionale, dell’età in cui i figli si "staccano" dalla propria famiglia".
Orbene, considerata l’età della vittima principale, deve ritenersi – secondo una regola di esperienza che trae fondamento dall’abituale atteggiarsi delle relazioni familiari – che la stessa avrebbe contribuito alle esigenze della famiglia, per lo meno, nella misura di un quarto del proprio stipendio e per almeno 5 anni.
Il contributo mensile può essere,equitativamente calcolato in euro 400,00 al mese.
Nondimeno, deve ritenersi che, almeno, in pari misura, avrebbe gravato sul menage familiare, né agli atti può dirsi acquisita una prova diversa.
Non risultano documentate le spese funerarie che si liquidano in via equitativa in euro 2000,00 da liquidarsi in favore dei soli genitori.
Dunque, i danni, per ciascuno dei danneggiati, possono essere così analiticamente determinati nella seguente misura:
A) per **** , in euro 331.960,00, così specificati:
-danno non patrimoniale, sub specie di danno biologico iure proprio pari ad euro 41.960,00;
– danno non patrimoniale, sub specie del c.d. danno da perdita del rapporto parentale pari ad euro 290.000;
B) per tizia , in un importo di euro 358.960,00, così specificato:
-danno non patrimoniale, sub specie di danno biologico iure proprio pari ad euro 68.960,00;
– danno non patrimoniale, sub specie del c.d. danno da perdita del rapporto parentale pari ad euro 290.000;
C) per **** junior, divenuto medio tempore maggiorenne, in un importo di euro 158.960, che discendono dalla suddetta sommatoria:
-danno non patrimoniale, sub specie di danno biologico iure proprio pari ad euro 38.960
– danno non patrimoniale, sub specie del c.d. danno da perdita del rapporto parentale pari ad euro 120.000;
– D) per **** f., divenuta medio tempore maggiorenne, in un importo di euro 153.960,00, così specificato:
-danno non patrimoniale, sub specie di danno biologico iure proprio pari ad euro 33960,00;
– danno non patrimoniale, sub specie del c.d. danno da perdita del rapporto parentale pari ad euro 120.000.
Essendo stato il danno liquidato alla stregua di criteri e valori aggiornati al 2009 ed essendo le somme in precedenza indicate già espresse in moneta al valore attuale, non va accordata la rivalutazione alla data attuale, che darebbe luogo ad un’indebita duplicazione del risarcimento.
Nondimeno, vanno applicati sulla medesima somma vanno computati gli interessi, che hanno natura compensativa e decorrono dal giorno in cui si è verificato l’evento, ovvero dal 23.6.03 (Cass. 23 febbraio 2005, n. 3747; Cass. 26 febbraio 2004, n. 3871; Cass. 17 settembre 2003, n. 13666).
L’accoglimento della domanda determina la regolamentazione delle spese di giudizio che seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da ****, *****, in proprio e nelle loro qualità di genitori esercenti la potestà sul figlio minore *********** e *******, nei confronti di Gamma Assicurazione Spa, in persona del suo legale rapp.te pro tempore e Sempronio, accoglie la domanda di parte attrice, e, per l’effetto:
1) condanna i convenuti, in solido, al risarcimento dei danni, in favore di **** , quantificati in Euro € 331.960,00, oltre interessi legali dal 23.6.03 sino all’effettivo soddisfo;
2) condanna i convenuti, in solido, al risarcimento dei danni, in favore di Tizia , quantificati in euro € 358.960,00, oltre interessi legali dal 23.6.03 sino all’effettivo soddisfo;
3) condanna i convenuti, in solido, al risarcimento dei danni, in favore di **** junior,quantificati in Euro € 158.960,00, oltre interessi legali dal 23.6.03 sino all’effettivo soddisfo;
4) condanna i convenuti, in solido, al risarcimento dei danni, in favore di caio f., quantificati in Euro € 153.960,00, oltre interessi legali dal 23.6.03 sino all’effettivo soddisfo;
5) condanna, altresì, i convenuti al pagamento, in solido, in favore di tizia e **** di euro 2000,00;
6) condanna, in ultimo, i convenuti al pagamento, in solido, in favore degli attori delle spese e competenze del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 15000,00, di cui Euro 900,00 per spese, Euro 9100,00 per diritti, ed Euro 5000,00 per onorario, oltre *** e Cap come per legge, con distrazione a favore del procuratore dell’attrice, da distrarsi in favore del procuratore che si dichiara anticipatario.

Ostuni, 7.4.10
Il Giudice
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Redazione