Termine per l’impugnazione della variante al piano regolatore generale (Cons. Stato, n. 5454/2013)

Redazione 18/11/13
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FATTO

Con due distinti appelli, il primo 2910 e il secondo 2911 del 2004, sia il Comune di Cilavegna che la snc ******** di ****************** e c., avevano appellato la sentenza del Tar Lombadia. Milano sezione II n.5838 del 2003, che aveva accolto il ricorso proposto dai signori ****************** ed altri nei confronti delle deliberazioni del Consiglio Comunale di Cilavegna n. 22 del 1999 e n.48 del 1999 recanti adozione e approvazione di variante al piano di lottizzazione denominato “Cilavegna est” e successiva concessione edilizia rilasciata in data 26 giugno 2001 per la realizzazione di un fabbricato residenziale nell’area censita in Catasto al fg.5 mappale 10.
Con la sentenza di primo grado quel giudice, dopo avere dichiarato la irricevibilità per tardività solo della domanda di ****************** (che aveva presentato una richiesta di sospensiva al Comune in data 27 luglio 2011, dimostrando così la pregressa conoscenza), accoglieva nel merito il ricorso come fondato, sulla base del principio del necessario coinvolgimento dei proprietari dei terreni interessati, che deve valere anche in caso di variante al piano di lottizzazione convenzionato di libera iniziativa, con necessità di rispettare le stesse regole procedimentali stabilite per la adozione dello strumento urbanistico.
Nei confronti di tale sentenza ha proposto appello (r.g.n.2910 del 2004) il Comune di Cilavegna, deducendo in via preliminare la violazione del principio del contraddittorio, in quanto non era stato possibile al difensore partecipare alla udienza di merito, poiché tale avviso non era mai pervenuto effettivamente allo studio del domiciliatario *************** per problemi legati a malfunzionamento del fax, che deviava i documenti presso altro studio legale; deduce la esigenza di sospendere il giudizio come previsto dalla legge sul condono edilizio; deduce la inammissibilità e la infondatezza del ricorso di prime cure poiché i ricorrenti non sono né lottizzanti né attuatori del piano di lottizzazione, mentre il primo giudice ne ha ritenuto la illegittimità, sostenendo che la variante al Piano di lottizzazione del 1999 era stata adottata senza coinvolgere i firmatari della convenzione afferente al precedente piano di lottizzazione del 1991, sottoscritta dai ricorrenti di prime cure.
In tale giudizio si sono costituiti gli appellati, chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.
In relazione a tale giudizio, dagli atti depositati da entrambe le parti, è emerso, in fine, che sono stati adottati, rispetto agli impugnati atti risalenti all’anno 1999: nuova variante al PRG del 2003, nuova concessione in sanatoria n.14 del 2004; nuovo PGT approvato nel maggio del 2013.
La variante del 2003 e la concessione n. 14 del 2004 hanno formato oggetto di nuovo giudizio, pendente in appello dinanzi a questo Consesso (r.g.n.8822 del 2012) avverso la sentenza del Tar Lombardia-Milano n.1126 del 2012, che ha accolto il ricorso degli stessi ricorrenti originari odierni appellati, sul motivo della violazione del limite delle distanze.
Nel giudizio r.g.n.2910 del 2004 quindi la difesa del Comune chiede ora dichiararsi sopravvenuta carenza di interesse del ricorso originario, a causa della adozione dei successivi atti; nella ultima memoria del 22 luglio 2013 si asserisce anche la carenza di interesse rispetto al giudizio oggetto dell’appello r.g.n.8822 del 2012.
Avverso la sentenza n.5838 del 2003 proponeva appello la snc ********, affidandosi a motivi di appello in sostanza coincidenti con quelli proposti dal Comune di Cilavegna nel ricorso r.g.n.2911 del 2004.
Si costituivano gli appellati (omissis) e altri chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.
Con la sentenza n.1126 del 2012 il Tar Lombardia – dopo avere ritenuto tardiva la impugnativa della variante, perché il termine decorre dalla pubblicazione – ha accolto il ricorso proposto da ********** e altri avverso il nuovo permesso di costruire rilasciato dal Comune di Cilavegna in favore di ******** snc e c. di ****************** e la variante al PRG adottata con delibera n.25 del 27 ottobre 2003 ed approvata con delibera 21 novembre 2003.
L’accoglimento veniva motivato sulla base del superamento del limite delle distanze come emerso dalla verificazione disposta dal primo giudice, che a seguito di sopralluogo aveva accertato, anche sulla base delle risultanze catastali ex art. 950 c.c., una misura di circa 2,20 metri (con variazione tra i 2 metri e 30 e i 2 metri e 10) tra il fabbricato assentito con il permesso di costruire e il confine della proprietà ***************** e ******************.
Avverso tale sentenza propongono appello Euro Impianti srl in liquidazione e ******** snc e c. di ******************, deducendo quanto segue.
Con un primo motivo di appello (pagine 6 e seguenti) si sostiene la inammissibilità del ricorso di primo grado in quanto già con altro ricorso i ricorrenti ********** e altri avevano impugnato il precedente permesso di costruire senza fare alcun rilievo sulle distanze, limitando la lamentela alla violazione della distanza dal ciglio stradale e non rispetto alla loro proprietà, per cui sarebbe successivamente preclusa tale doglianza in sede di contestazione del successivo accertamento di conformità e del successivo permesso di costruire.
Sotto altro profilo, l’appello deduce la erroneità del ragionamento del primo giudice, che si è basato su di una verificazione errata; in sostanza, come si deduce a pagina 12 e 13 dell’appello, lo stesso signor ****************** con domanda di accertamento di conformità presentata al Comune in data 29 gennaio 2005 ha prodotto una planimetria che rappresenta lo stato di fatto alla data del 2 marzo 2004, indicando che la propria abitazione dista dal confine metri 5,00-5,02 sul lato ove si trova la proprietà in questione e metri 5,00-5,03 dall’altro lato. Se corrispondesse al vero l’accertamento della distanza a soli 2 metri e 20, si creerebbe una estensione della proprietà del ********** con proprietà ben oltre 882 metri che invece risultano dall’atto di proprietà.
Avverso la sentenza n.1126 del 2012 propongono appello incidentale i signori **********, ****** e altri, contestando la declaratoria di tardività del ricorso proposto avverso la variante, per il termine che il primo giudice ha fatto decorrere dalla pubblicazione perché atto generale, sostenendo al contrario che prevedere il restringimento della sede stradale è stato solo un mezzo per consentire a chi ha violato l’indice volumetrico di aumentare il volume realizzato abusivamente e che quindi tale atto non avrebbe contenuto generale. Ripropongono i motivi assorbiti in primo grado riguardanti: vizi dell’accertamento di conformità per invalidità e inefficacia della nominale variante al PRG, vizi dell’accertamento di conformità per mancanza di legittimazione dei richiedenti; inefficacia dell’accertamento di conformità per mancata subordinazione al pagamento degli oneri; vizi dell’accertamento di conformità per violazione degli articoli 7, 8, 10 e 11 della legge n.241 del 1990. Chiedono rigettarsi l’appello principale perché infondato.
Con memoria datata 22 luglio 2013 gli appellanti principali deducono la carenza di interesse (del ricorso originario e dell’appello incidentale) poiché il Comune di Cilavegna ha approvato il nuovo PGT, che supera anche la variante oggetto del giudizio 8822 del 2012.
Anche il Comune di Cilavegna deduce la inammissibilità dell’appello incidentale per sopravvenuta carenza di interesse rispetto alla impugnativa della variante del 2003, superata dalla nuova variante adottata e approvata nel maggio 2013.
Alla udienza pubblica dell’8 ottobre 2013 le tre cause sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare va disposta la riunione dei tre giudizi di appello. I giudizi nn. 2910 e 2911 del 2004 vanno riuniti per riunione obbligatoria, perché riguardanti la stessa sentenza Tar Lombardia-Milano n.5838 del 2003; per connessione soggettiva (tra le stesse parti) e oggettiva in parte va disposta la riunione ad essi del giudizio di appello 8822 del 2012, avente ad oggetto nuova variante e nuovo permesso di costruire.
2.Con riguardo ai primi due appelli, aventi ad oggetto la sentenza n.5838 del 2003, non può che dichiararsi il sopravvenuto difetto di interesse e quindi l’improcedibilità del ricorso originario, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza appellata, considerato che successivamente è stata adottata nuova variante n.25, adottata in data 27 ottobre 2003 e approvata in data 21 novembre 2003 ed è stata emessa nuova concessione edilizia in sanatoria n.14 del 2004 (tali atti costituiscono oggetto del terzo giudizio, r.g.n.8822 del 2012).
Laddove in sede di appello si verifichi rispetto all’originario ricorrente una causa estintiva della posizione soggettiva processuale o una sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere, va dichiarato improcedibile il ricorso di primo grado e la sentenza impugnata va annullata senza rinvio (tra tante, si veda Consiglio Stato sez. IV, 23 marzo 2004, n. 1466).
In disparte la superfluità (considerato anche che il Comune appellante in sostanza ammette e chiede al riguardo piuttosto la improcedibilità per difetto sopravvenuto di interesse) dell’esame di tale censura, va osservato che è comunque infondato il motivo di appello che deduce il difetto di contraddittorio, dovendosi ritenere che la trasmissione a mezzo di fax mal funzionante abbia nei fatti determinato il “raggiungimento dello scopo”.
3. Con riguardo all’appello proposto avverso la sentenza n. 1126 del 2012, con il primo motivo viene dedotta la inammissibilità del ricorso originario, in quanto si sostiene che i ricorrenti si vedrebbero già preclusi i motivi attinenti alla materia delle distanze, per non averli sollevati in occasione di altro e precedente ricorso, nell’ambito del quale la violazione delle distanze era stata asserita solo con riguardo al ciglio stradale e non alla strada di proprietà. .
Il motivo è infondato, in quanto è rispetto ad ogni singolo titolo abilitativo, che preveda diverse distanze dai confini, che i terzi interessati hanno titolo e legittimazione a dolersene.
In una parola, se la violazione delle distanze avviene (in ogni caso) a mezzo del nuovo titolo abilitante, è avverso il medesimo che possono e debbono dolersi i terzi.
4. Con altro motivo di appello si deduce la erroneità del ragionamento del primo giudice, che si sarebbe basato su di una errata verificazione disposta in prime cure.
Questo Collegio giudicante osserva che il verificatore si è comportato nel modo seguente: ha fatto riferimento alle mappe catastali, che ai sensi dell’art. 950 c.c. costituiscono elemento probatorio rilevante, sia pure in via sussidiaria (se è vero che la prova può essere fornita con ogni mezzo, tecnico o presuntivo, con testimonianze o consuetudini circa la reciproca posizione dei fondi, è previsto dal codice civile che in mancanza di altri elementi, il giudice debba attenersi al confine delineato dalle mappe catastali); ha effettuato un sopralluogo e ha individuato il confine operando un raffronto tra i dati del sopralluogo e le risultanze catastali e in particolare il frazionamento n.654/92 e i mappali 5579/2000 e 19138/2004 con cui sono stati inserite in cartografia le costruzioni sulle particelle n.3946 e 3944 costituite con il frazionamento; ha basato le sue conclusioni sul frazionamento 654/1992, in quanto, in tema di regolamento di confine, è evidente che in caso di frazionamento debbano avere rilievo gli allegati ai singoli atti di acquisto, che assumono valore negozialmente vincolante (nella specie, l’atto di compravendita stipulato dai signori ********** e ******* in data 7 aprile 1993, che non contiene un autonomo riferimento dei confini, opera un rinvio al frazionamento 654 del 1992 ed ai dati catastali).
In definitiva, dagli accertamenti eseguiti e riferiti dal verificatore, emerge che la distanza dai confini è di circa 2,20 metri (tra 2 e 30 e 2 e 10).
La circostanza che in altre istanze presentate per denunzie di inizio di attività, lo stesso signor ****************** abbia riferito distanze diverse – in disparte la erroneità di tali asserzioni – non è in grado di per sé di sovvertire la logicità del ragionamento effettuato dal verificatore e dal primo giudice.
La verificazione è strumento probatorio che si differenzia dalla consulenza tecnica d’ufficio in quanto, piuttosto che all’acquisizione di un giudizio tecnico, mira all’effettuazione di un mero accertamento tecnico di natura non valutativa (Consiglio Stato sez. IV, 18 gennaio 2010, n. 138), ma come per la consulenza tecnica di ufficio (tra tante, Cassazione civile sez. III, 26 luglio 2012, n. 13202), il giudice che intendesse discostarsi da quelle risultanze sul punto decisivo della controversia dovrebbe necessariamente motivare il proprio dissenso valutando tutti gli elementi concreti sottoposti al suo esame, che, nella specie, limitati ad altre dichiarazioni del vicino e alla produzione di dati documentali che non comprovano di per sé (per esempio, il riferimento alla estensione di terreno per 882 metri quadri a pagina 15 dell’appello non prova alcunché rispetto al rispetto delle distanze, se di almeno 5 metri o di due metri), non paiono in grado di sovvertire gli esiti della suddetta verificazione.
5. Va ora esaminato l’appello incidentale.
Gli appellanti contestano la declaratoria di tardività, in quanto la variante impugnata avrebbe un contenuto specifico e non generale e quindi il termine non decorrerebbe tout court dalla pubblicazione.
Il motivo è infondato in punto di fatto.
Secondo l’indirizzo del Consiglio di Stato (cfr. sez. V, 28 aprile 2011, n. 2534; sez. IV, 23 dicembre 2010, n. 9375; sez. IV, 21 maggio 2010, n. 3233; sez. V, 10 febbraio 2010, n. 663), ai sensi dell’art. 21, comma 1, legge n. 1034 del 1974 (applicabile ratione temporis alla vicenda in trattazione) ed oggi dell’art. 42, comma 2, c.p.a., come ha stabilito il primo giudice, in tutti i casi in cui non sia necessaria la notificazione individuale del provvedimento e sia al contempo prescritta da una norma di legge o di regolamento la pubblicazione dell’atto in un apposito albo, il termine per proporre l’impugnazione decorre dal perfezionarsi delle procedure di pubblicazione.
Il normale termine di decadenza per ricorrere contro gli atti amministrativi soggetti a pubblicazione necessaria decorre, per i soggetti non espressamente nominati, dalla pubblicazione, non essendo indispensabile la notificazione individuale o la piena conoscenza.
Sono atti pianificatori, soggetti a pubblicazione necessaria, quelli recanti l’approvazione di piani regolatori generali o loro varianti (a contenuto generale o di ampie zone e comparti territoriali come nel caso di specie), i quali, secondo la costante giurisprudenza, debbono essere contestati in giudizio nel termine decadenziale decorrente dalla data di pubblicazione, non essendo richiesta la notificazione agli interessati né il decorso dell’ulteriore termine di efficacia.
Per mitigare il rigore di questo principio la giurisprudenza ha, peraltro, introdotto una deroga sulla decorrenza del termine per impugnare, specificando che qualora lo strumento urbanistico (di solito una variante) abbia ad oggetto un bene immobile specifico sul quale viene imposto un vincolo espropriativo, è necessario che l’atto sia notificato all’interessato oppure che si dia la prova della conoscenza piena (cfr. Cons. Stato, sez. V, 28 aprile 2011, n. 2534; Cons. Stato, sez. IV, 21 maggio 2010, n. 3233).
Nel caso di specie, in fatto, l’atto impugnato è una variante generale che, soltanto nelle asserzioni della parte appellante incidentale si concreterebbe nella volontà di sanare un abuso.
In generale, la variante al Piano Regolatore Generale, come il medesimo su cui interviene, disciplina l’utilizzo dell’intero territorio.
Il termine per l’impugnazione per la variante del piano regolatore generale, pertanto, doveva considerarsi decorrente per tutti gli interessati, dall’avvenuto espletamento delle formalità di pubblicazione (Consiglio Stato, sez. IV, 21 agosto 2006, n. 4858).
In ogni caso, per completezza, il Collegio osserva come lo stesso ricorso proposto avverso la variante dovrebbe essere ormai privato dell’attuale interesse a ricorrere, essendo intervenuta l’approvazione del nuovo Piano Generale Territoriale, come riferisce il Comune nella ultima memoria.
6. Il rigetto dell’appello principale costituisce giustificata ragione per esimersi dall’esame dei motivi dichiarati assorbiti e riproposti dagli appellanti incidentali.
Tali motivi attengono a: vizi dell’accertamento di conformità derivati da invalidità e inefficacia della nominale variante al PRG, vizi dell’accertamento di conformità per mancanza di legittimazione dei richiedenti; inefficacia dell’accertamento di conformità per mancata subordinazione al pagamento degli oneri; vizi dell’accertamento di conformità per violazione degli articoli 7, 8, 10 e 11 della legge n.241 del 1990.
Per ulteriore completezza, il Collegio osserva che la censura di c.d. invalidità derivata non potrebbe che scontare le preclusioni rispetto alla impugnativa dell’atto presupposto.
Con riguardo al difetto di legittimazione dei richiedenti, per nella superfluità dell’esame di tale motivo, comunque assorbito, il Collegio osserva come il ragionamento di partenza (e cioè il difetto di partecipazione di parte dei lottizzanti alla successiva variante di lottizzazione) non comporterebbe di certo la esclusione della legittimazione dei richiedenti, ma anzi la estensione ad altri (gli esclusi illegittimamente) del diritto di tale partecipazione.
Con riguardo alla esigenza che debbano essere corrisposti gli oneri di urbanizzazione, si fa presente che l’eventuale mancato pagamento, costituendo tale obbligo un posterius, non inficerebbe di certo la validità del titolo rilasciato.
Con riguardo alla pretesa della comunicazione e alle esigenze di partecipazione dei vicini (Consiglio Stato sez. IV, 31 luglio 2009, n. 4847) non sussiste alcun obbligo per il Comune di dare comunicazione ai proprietari frontisti o vicini dell’avvio del procedimento diretto al rilascio di concessione edilizia, in quanto gli interessi coinvolti dal provvedimento con cui si consente la trasformazione edilizia del territorio sono di tale varietà ed ampiezza da rendere difficilmente individuabili tutti i soggetti che dall’emanazione dell’atto potrebbero ricevere nocumento.
7.Per le considerazioni sopra svolte, in relazione agli appelli 2910 e 2911 del 2003, essendosi verificata una causa di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse al ricorso originario, va annullata senza rinvio la sentenza n.5838 del 2003.
In relazione all’appello 8822 del 2012, vanno respinti sia l’appello principale che l’appello incidentale, con conseguente conferma della appellata sentenza.
Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio del doppio grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa riunione, annulla senza rinvio, in relazione agli appelli 2910 e 2911 del 2003, la sentenza n.5838 del 2003; in relazione all’appello 8822 del 2012, respinge sia l’appello principale che l’appello incidentale, con conseguente conferma della appellata sentenza.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2013

Redazione