Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato: spetta alla lavoratrice dimostrare che le prestazioni lavorative non avevano carattere saltuario (Cass. n. 5146/2013)

Redazione 01/03/13
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Corno, con sentenza del 28.9.2005, rigettava le domande proposte da S.V. nei confronti della Farmacia B. s.n.c. e volte all’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le dette parti sin dal 16.8.2003 (e non dal 17.9.2003) e della illegittimità dei licenziamenti intimati in data 30.6.2004, 5.7.2004 e 2.8.2004 nonchè la nullità di quest’ultimo perchè irrogato nel corso dell’anno successivo al matrimonio con condanna della società al pagamento del mancato preavviso, del risarcimento del danno pari a sei mensilità nonchè di altre varie voci di danno (per licenziamento ingiurioso, per danno esistenziale, da dequalificazione, morale, biologico etc.) e delle differenze retributive conseguenti alla ritardata regolarizzazione del rapporto, per ferie non godute e per indennità varie (matrimoniale, di camice, per reperibilità, di disoccupazione).

La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 28 novembre 2007, rigettava l’impugnazione della S. confermando la decisione di primo grado e rilevando che dalla esperita istruttoria non erano emersi elementi sufficienti a dimostrare nè la diversa data di inizio del rapporto di lavoro, nè la prestazione di lavoro straordinario svolto che l’appellante chiedeva di imputare a ferie, nè il possesso dei requisiti per poter accedere alla indennità di disoccupazione ed a quella di malattia. Inoltre, riguardo ai licenziamenti impugnati, osservava la Corte che quello del 30.6.2004 non era stato provato, quello del 5.7.2004 era stato revocato senza alcun danno per la lavoratrice mentre il recesso del 2.8.2004 era legittimo, come correttamente già ritenuto dal Tribunale, stante la gravità della condotta ascritta alla S. che, valutata in relazione al tipo di attività svolto ed al contesto lavorativo in cui essa si espletava, aveva inciso in modo irreversibile sull’elemento fiduciario del rapporto.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la S. affidato a sette motivi.

La Farmacia B. s.n.c. resiste con controricorso.

La S. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si deduce la omessa motivazione su di un fatto controverso decisivo per il giudizio nonchè violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 1.

Si assume che la Corte territoriale non avrebbe preso in esame la questione relativa alla mancata affissione del codice disciplinare in quanto le condotte poste a fondamento del licenziamento non rientravano tra quelle manifestamente contrarie agli interessi dell’impresa o dei lavoratori per le quali non era necessaria la previsione nel codice disciplinare e la relativa affissione.

Con il secondo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. in relazione agli artt. 91, 95 e 96 CCNL di Settore non avendo l’impugnata sentenza considerato dette norme pattizie che letteralmente prevedevano l’affissione di quegli articoli della contrattazione collettiva riguardanti le infrazioni disciplinari e le relative sanzioni.

Con il terzo motivo si deduce la violazione di norme di diritto in relazione all’art. 2119 c.c. per avere la Corte di merito di merito, nel valutare la proporzionalità della sanzione inflitta, completamente omesso qualsivoglia motivazione in ordine agli aspetti concreti afferenti alla natura ed alla qualità del rapporto lavorativo, alla posizione delle parti, al grado affidabilità richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente nonchè alla portata soggettiva del fatto, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi ed all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo.

Con il quarto motivo si denuncia la omessa motivazione in ordine alla risultanze istruttorie e relativamente alle doglianze mosse nell’appello in merito alla possibilità di ritenere determinanti le dichiarazioni rese da B.E., soda amministratrice della farmacia B. s.n.c., il cui libero interrogatorio era stato disposto dal tribunale ai sensi dell’art. 421 c.p.c. malgrado la stessa difesa della società ne avesse dedotto la incapacità a testimoniare in quanto soggetto interessato all’esito della controversia.

Con il quinto motivo si deduce la violazione dell’art. 421 c.p.c. in relazione all’art. 246 c.p.c. per avere la Corte di merito, una volta ritenuta la incapacità a testimoniare della B., disposto il suo interrogatorio libero ex art. 421 c.p.c. nonostante non ne ricorresse la indispensabilità. Con il sesto motivo viene denunciata la falsa interpretazione di norme di diritto art. 2094 c.c. anche in relazione all’art. 2697 c.c. oltre che insufficiente motivazione su una circostanza di fatto controversa e decisiva per il giudizio.

Si assume che la Corte di merito, pur in presenza di risultanze istruttorie dalle quali emergeva che la ricorrente aveva prestato la propria attività lavorativa nella farmacia per circa dieci giorni nel mese di agosto 2003, aveva dichiarato sussistente il rapporto di lavoro subordinato solo dal 17.9.2003 ritenendo che le prestazioni rese prima di tale data avessero carattere saltuario.

Con il settimo motivo si deduce la omessa motivazione in ordine alla nullità del recesso, in quanto comminato nell’anno dalla celebrazione del matrimonio, ex art. 78 del CCNL di settore e L. n. 7 del 1963, art. 1 non ricorrendo nella fattispecie de qua alcuna delle cause di esclusione del divieto espressamente e tassativamente elencate dalla L. n. 7 del 1963 cit., art. 2, comma 1.

Il primo motivo è inammissibile perchè privo del requisito dell’autosufficienza non essendo stato riportato l’atto di appello o la parte dello stesso nella quale era stata oggetto di censura la espressa statuizione contenuta nella sentenza di primo grado (integralmente trascritta in ricorso) circa la irrilevanza, nella fattispecie in esame, della mancata affissione del codice disciplinare. Nè dalla complessiva lettura del motivo è dato avere adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso, della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni che si era inteso far valere in quella sede (cfr. Cass. n. 12250 del 17/7/2012; Cass. n. 26234 del 02/12/2005). Nè le indicazioni contenute nella memoria ex art. 378 c.p.c. – avendo questa una mera funzione “illustrativa” dei motivi del ricorso – possono far venir meno la detta causa di inammissibilità (Cass. n. 7260 del 07/04/2005; Cass. n. 7237 del 29/03/2006; sez. 6 Ord. 17603 del 23/08/2011).

Parimenti inammissibili sono il secondo, il terzo, il quinto ed il sesto – quest’ultimo nella parte in cui si denuncia violazione di norme di diritto – perchè del tutto privi del quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006 e prima del 4 luglio 2009, e quindi anche al ricorso in esame.

Il secondo motivo è inammissibile anche perchè privo del requisito dell’autosufficienza, non risultando essere stato indicato in quale sede processuale sia stato prodotto il contratto collettivo richiamato che, peraltro, non è stato depositato unitamente al ricorso per cassazione come prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 4 (Cass. S.U. n. 22726 del 03/11/2011; Cass. S.U. ord. N. 7161 del 25/03/2010 n. 15495 del 02/07/2009).

Del pari inammissibile è il quarto motivo in quanto generico oltre che inconferente rispetto alla motivazione dell’impugnata sentenza in cui i fatti addebitati alla S. e ritenuti dalla Corte di merito idonei a giustificare il licenziamento erano stati ritenuti o pacifici tra le parti (canticchiare e fischiettare nel locali della farmacia) o ammessi dalla stessa S. (l’aver risposto alla titolare che l’aveva invitata a “smettere” esclamando “che avrebbe fatto quello che voleva”). Peraltro nulla nel motivo (nè in altra parte del ricorso) è stato precisato circa le “doglianze contenute nell’atto di appello” non valutate dalla Corte di merito, sicchè il motivo risulta carente dell’autosufficienza.

Quanto al sesto motivo, nella parte in cui si lamenta la omessa motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio, è inammissibile oltre che infondato.

Va rilevato, infatti, che si sollecita una rivisitazione del merito della controversia non consentita in questa sede (Cass. 29 settembre 2009 n. 20844; 6 marzo 2008 n. 6064; S.U. 11 giugno 1998 n. 18885).

E, comunque, osserva il Collegio che nella impugnata sentenza non è riscontrabile alcuna obiettiva deficienza del criterio logico che ha condotto la Corte di merito alla formazione del proprio convincimento circa la inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato nell’agosto 2003 in quanto è stato evidenziato che la S. non aveva fornito alcun elemento idoneo a dimostrare la natura subordinata della prestazione lavorativa svolta in detto periodo in cui la frequentazione da parte sua della farmacia nei giorni immediatamente precedenti il matrimonio era stata dei tutto saltuaria ed occasionale.

Infine, il settimo motivo è infondato in quanto la Corte di merito, motivando sulla ricorrenza della giusta causa del licenziamento ha, sia pure implicitamente, ritenuto che il caso in esame rientrasse tra quelle ipotesi, tassativamente elencate nella L. n. 7 del 1963, art. 1, u.c. (che rinvia alle ipotesi previste dalla L. 26 agosto 1950, n. 860, art. 3, lett. a), b) e c), sostituito dalla L. 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 2, cit.) per le quali è esclusa la presunzione legale (relativa) che il recesso sia stato disposto a causa di matrimonio se intimato alla lavoratrice nel periodo compreso fra la richiesta delle pubblicazioni e l’anno successivo alla celebrazione delle nozze (sul punto cfr. tra le varie Cass. n. 11448 del 03/11/1995 e, più di recente, Cass. n. 9405 del 11/06/2003).

Il ricorso va, dunque, rigettato.

Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, cedono a carico della ricorrente e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 40,00 per esborsi ed in Euro 2.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.

Redazione