Stupefacenti e uso personale: l’onere della prova spetta all’accusa e non all’imputato (Cass. pen. n. 6571/2013)

Redazione 11/02/13
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Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Napoli con sentenza del 18 ottobre 2010 confermava la condanna emessa dal giudice monocratico del Tribunale di Napoli il 27 ottobre 2008 nei confronti di R.E. per reati di A) art. 73 dpr 309.90 per avere detenuto a fini di spaccio circa 1 g. di cocaina e circa 15 g. di hashish; B) artt. 337 e 651 c.p., per la resistenza opposta al fine di Impedire la propria identificazione e l’arresto per il reato sub a).

La Corte, in risposta al motivi di appello In punto di responsabilità, riteneva provata la destinazione della droga ai fini di spaccio ritenendo le affermazioni del ricorrente, che affermava di avere appena acquistato la droga per il proprio uso personale, smentite dalle risultanze oggettive e risultando provata la condotta di resistenza e rifiuto di identificazione perchè percepita direttamente dagli operanti.

Contro tale sentenza propone ricorso il difensore del R.E. contestando l’erronea applicazione delle regole probatorie e di giudizio ed il conseguente vizio di motivazione.

In ordine alla contestazione di detenzione di droga a fini di spaccio, osserva che la Corte d’Appello ha motivato sul solo profilo del motivi a delinquere senza offrire adeguata motivazione sull’effettiva sussistenza del reato e sulle ragioni per le quali non dovesse ritenersi la destinazione della sostanza ad uso personale, In ciò violando le disposizioni in tema di onere della prova.

In ordine alla contestazione di resistenza, rileva la insufficienza della motivazione che, senza dare conto di eventuali condotte di effettiva opposizione fisica del R. agli operanti, fa riferimento alla sola circostanza dello strappo dei pantaloni di uno dei militari, omettendo di considerare le deduzioni della difesa in ordine al fatto che il ricorrente non aveva chiaramente percepito che gli era stato intimato l’alt.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato limitatamente alla dedotta carenza di motivazione della sentenza impugnata sulla responsabilità del R. per detenzione di stupefacente finalizzato all’uso di terzi.

La sentenza d’appello, difatti, non indica alcun elemento dal quale dovrebbe desumersi la destinazione allo spaccio della sostanza sequestrata, dando la circostanza per scontata limitandosi ad affermare che non siano credibili le dichiarazioni contrarie del ricorrente. Le uniche circostanze di fatto cui la sentenza fa riferimento sono utili solo a dimostrare il tentativo di fuga di R. per evitare il suo controllo da parte delle forze dell’ordine, ma non hanno alcuna attitudine a provare o smentire la destinazione allo spaccio della sostanza rinvenutagli indosso.

Da tale motivazione non risulta neanche chiaro se si intenda affermare un principio secondo il quale, dimostrato il mero possesso di stupefacente, spetti all’imputato provare la sua innocenza o se le condizioni del fatto, senza necessiti di particolare motivazione, dimostrino, “oltre ogni ragionevole dubbio”, tale destinazione della sostanza all’uso di terzi.

Va, allora, innanzitutto riaffermata la applicabilità delle comuni regole probatorie anche nella materia della detenzione di stupefacenti a fini di spaccio, dovendosi escludere che la relativa norma incriminatrice introduca una qualsiasi forma di prova legale, in particolare di presunzione di colpevolezza, come pure talora è stato affermato quale conseguenza della previsione di “dosi medie” individuate per ciascuno stupefacente; il superamento delle quantità predette da parte dei detentore di droga non dimostra, di per sè, che la droga sia destinata all’uso di terzi.

Si deve Innanzitutto rammentare che la condotta incriminata dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, lett. a), è la detenzione di sostanze stupefacenti che “appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale”.

La interpretazione letterale di tale disposizione di legge dimostra con immediatezza che non si è in presenza di una ipotesi di presunzione, sia essa assoluta o relativa, di responsabilità penale in caso di superamento della citata soglia del “limiti massimi”:

Nella citata lettera a) si legge: “sostanze… che per quantità… ovvero per altre circostanze detrazione… appaiono destinate ad un uso non personale..”. Quindi, ad una circostanza determinata (la “quantità”, fissata nel massimo dall’apposito decreto ministeriale), se ne aggiungono altre del tutto indeterminate ed indeterminabili, ma tutte poste sullo stesso piano (essendo disgiunte) nella attitudine a fare, in ipotesi, presumere l’uso non personale. E’ chiaro come In assenza di determinatezza non possa esservi una presunzione assoluta.

E, del resto, poichè il testo della legge è “per quantità, in particolare SS superiore al limiti massimi…”, sicuramente è escluso che il criterio delle “tabelle” venga indicato come un dato assoluto.

Ma, sempre sul piano letterale, il superamento dei limiti tabellari non può neanche rappresentare una presunzione relativa, nel senso che, superato il limite delle tabelle, sia l’imputato a dovere offrire la prova insuperabile della destinazione ad uso personale.

Se, infatti, per consentire la operatività di una ipotetica presunzione basata sulla quantità sembra esservi un criterio definito (il dato quantitativo delle tabelle), va considerato che la legge pone sul medesimo piano del superamento di tali limiti quantitativi anche “per modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al comportamento frazionato”. Queste, però, sono circostanze chiaramente indefinite che non sono quindi in grado di porre alcuna presunzione relativa.

La quantità, in particolare (ma non necessariamente) se superiore alle tabelle, ovvero la valutazione del peso lordo, la valutazione della divisione in dosi (ovviamente un ragionevolmente alto numero di dosi), sono i parametri che la legge indica per poter dimostrare in modo indiretto, con un ragionamento Induttivo, che la droga sia destinata all’uso non personale quando l’unico dato accertato è la mera detenzione, ma non introduce alcuna automaticità.

La conclusione è che non vi è alcuna finalità della norma di invertire le regole in tema di prova della responsabilità penate;

tale prova, secondo i criteri ordinari, dovrà essere fornita dall’accusa, che potrà certamente valorizzare, ma nello specifico contesto fattuale, i parametri citati quali indizi ed utilizzare le tabelle per la corretta individuazione del numero di dosi utili che possano essere ricavate dalle varie e numerose sostanze inserite nell’elenco delle sostanze stupefacenti.

In tale senso, del resto, questa Corte di legittimità si è gli espressa (… il principio di materialità costituisce un requisito sostanziale di legittimità del diritto penale. Nessun rilievo può pertanto attribuirsi ad una “apparenza” che non si concreti in manifestazione di realtà effettiva…. la modificazione introdotta dall’art. 4 bis, secondo cui la detenzione di sostanze stupefacenti costituisce reato se le sostanze detenute “appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale”, al di là dell’infelice verbo utilizzato, non contiene elementi di sostanziale novità rispetto alla disciplina previgente, che,… sanzionava penalmente la detenzione di sostanze stupefacenti che non fosse finalizzata all’”uso personale” (cfr. Cass. 6, n. 17899/08, PM c/ Cortucci).

In realtà, la modificazione normativa Intervenuta non ha Introdotto nel confronti dell’imputato che detiene un quantitativo di sostanza stupefacente in quantità superiore al limiti massimi indicati con decreto ministeriale nè una presunzione, sia pure relativa, di destinazione della droga detenuta ad uso non personale, nè un’inversione dell’onere della prova, costituzionalmente inammissibile ex art. 25 Cost., comma 2, e art. 27 Cost., comma 2. I parametri indicati nella fattispecie per apprezzare la destinazione ad uso “non esclusivamente personale” (quantità, modalità di presentazione o altre circostanze dell’azione) costituiscono criteri probatori non diversi da quelli che già In passato venivano Impiegati per stabilire la destinazione della sostanza detenuta (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 12146 del 12/02/2009 PM c/ Delugan)”.

Quindi non poteva essere, nel caso di specie, il solo dato del superamento del limite quantitativo di cui all’apposito decreto la ragione per ritenere dimostrato lo spaccio di droga.

Poste queste premesse, può valutarsi se la sia adeguata la motivazione che offre la Corte al fine di ritenere dimostrata la destinazione della droga ad uso non esclusivamente personale, a fronte della detenzione di una quantità di droga che, per peso assoluto e presumibile valore di “mercato”, nonchè per il fatto che la detenesse persona che proveniva da area In cui si afferma essere svolta attività di spaccio di stupefacenti, rende ipotesi ben plausibile che il ricorrente fosse un acquirente e non un venditore.

In sentenza, Invero, la indicazione In positivo della destinazione allo spaccio appare rappresentata soltanto dalla valutazione di non credibilità degli argomenti difensivi in quanto “contrastante con la logica e smentite dalle risultanze oggettive”.

E’ quindi del tutto assente la motivazione sulla responsabilità per il reato di cui al capo A).

Ne consegue l’annullamento per tale reato con rinvio per nuovo esame;

il giudice di rinvio, applicata la comune regola di onere della prova a carico dell’accusa della destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente per poter ritenere integrato il reato contestato, dovrà, a fronte del possesso di un quantitativo di droga in sè compatibile con l’accumulo da parte del consumatore, individuare elementi positivi che possano eventualmente provarne la destinazione ad uso di terzi.

Il ricorso è invece manifestamente infondato laddove contesta la adeguatezza della motivazione In ordine alla responsabilità per gli altri reati, in quanto, a fronte dell’apprezzamento e della relativa motivazione sugli elementi di fatto che dimostravano la condotta del ricorrente, la difesa si limita a rilevare la contraria versione dei fatti da parte dell’imputato nonchè l’erronea interpretazione delle dichiarazioni dei verbalizzanti, cosi chiedendo una valutazione di fatto preclusa al giudice di legittimità.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo a) e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.

Rigetta nel resto il ricorso.

Redazione