Studi di settore sempre applicabili: l’attività concorrente non salva dall’accertamento (Cass. n. 17002/2013)

Redazione 09/07/13
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Ordinanza

 
Svolgimento del processo

1. C.B.B. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Lombardia n. 92/50/10, depositata il 12 luglio 2010, con la quale, rigettato l’appello del medesimo contro la decisione di quella provinciale, l’opposizione inerente all’avviso di accertamento, relativo all’Irpef, *** ed Irap per l’anno 2003, riguardante la gestione di un negozio per l’attività di parrucchiere, veniva respinta. In particolare il giudice di secondo grado osservava che l’avviso di accertamento era motivato; si basava sugli studi di settore; lo scostamento indicato con la dichiarazione del reddito era rilevante; l’atto impositivo era stato preceduto dal previsto contraddittorio, senza che gli elementi addotti dall’interessato, inerenti all’apertura di altro analogo negozio nella stessa zona, nonché all’assunzione della propria collaboratrice “storica” da parte del gestore dell’altro analogo esercizio fossero sufficienti per giustificare la ridotta entità dei ricavi. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, mentre il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

2. Innanzitutto va rilevato in via pregiudiziale che il ricorso si appalesa chiaramente inammissibile, perché confezionato col sistema c.d. dell’assemblaggio, posto che il ricorrente ha articolato l’indicazione delle ragioni in diritto mediante la riproduzione integrale dell’avviso dì accertamento, e non piuttosto con la chiara enunciazione delle censure proposte rispetto ai punti della decisione oggetto di critica. Invero al riguardo, come è noto, anche le SS.UU. hanno statuito che in tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all’art. 366, n. 3, cod. proc. civ., la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso, come nella specie (Cfr. anche Cass. Sez. U, Sentenza n. 5698 del 11/04/2012, Sezioni Unite: n. 16628 del 2009). Tale questione pregiudiziale inibisce l’esame delle censure proposte a sostegno del gravame.
3. Ciò premesso, tuttavia, solo “ad abundantiam” si osserva quanto segue.
Col primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizi di motivazione, in quanto la CTR non considerava che l’avviso di accertamento non era adeguatamente motivato, posto che l’agenzia non aveva tenuto conto che l’attività di parrucchiere svolta aveva subito una contrazione a seguito dell’apertura di analogo negozio a poca distanza, ed inoltre una collaboratrice molto esperta si era dimessa, essendo stata assunta dal gestore per così dire concorrente, peraltro come evidenziato in sede di contraddittorio, senza che l’ufficio ne avesse tenuto conto.
Il motivo è infondato, atteso che, com’è noto, in tema di accertamento induttivo dei redditi, l’Amministrazione finanziaria può – ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 – fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed ì corrispettivi dichiarati e quelli desumibili «dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta», sia sugli studi di settore, come nella specie, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 16430 del 27/07/2011). Del resto in tema di accertamento tributario, la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una “grave incongruenza”, espressamente prevista dall’art. 62-sexies del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, aggiunto dalla legge di conversione 29 ottobre 1993, n. 427, ai fini dell’avvio della procedura finalizzata all’accertamento, deve ritenersi implicitamente confermata, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, dall’art. 10, comma 1, della legge 8 maggio 1998, n. 146, il quale, pur richiamando direttamente l’art. 62-sexies cit., non contempla espressamente il requisito della gravità dello scostamento, come nel caso in esame (V. pure Sez. U, Sentenza n. 26635 del 18/12/2009). D’altronde nella procedura improntata al principio del contraddittorio, quale quella prefigurata con la richiesta di informazioni e documenti mediante questionari, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, una volta che il contribuente abbia ottemperato alla richiesta di chiarimenti, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di contestarne in modo specifico la completezza, la veridicità, l’idoneità probatoria, la qualificazione giuridica del fatto rappresentato e, più in generale, la correttezza in termini di effettiva deducibilità dei costi documentati, adempimento assolto in concreto mediante la indicazione della irrilevanza degli elementi addotti da B. in sede di contraddittorio.
Dunque sul punto la sentenza impugnata risulta motivata in modo adeguato, oltre che giuridicamente e logicamente corretto.
4. Col secondo motivo il ricorrente denunzia violazione di norme di legge e vizi dì motivazione, giacché il giudice del gravame non considerava che l’apertura del negozio analogo nella zona si era verificata nel 1998 e non nel 1988, sicché tutto il maggior tempo ritenuto dal giudice di appello non c’era stato. Inoltre B. aveva rappresentato le proprie rimostranze all’amministrazione comunale, senza averne avuto riscontro, pertanto non poteva avere altra iniziativa da adottare di fronte al consistente calo dei ricavi.
Si tratta all’evidenza di censura che rimane assorbita dal primo motivo, senza che l’errore materiale inerente all’indicazione dell’anno riferito alla dedotta apertura di altro analogo negozio nella stessa zona potesse incidere sulla corretta valutazione del giudice dì secondo grado.
5. Ne deriva che il ricorso va dichiarato inammissibile.
6. Quanto alle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al rimborso delle spese a favore della controricorrente, e che liquida in € 2.000,00(duemila/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito. 

Redazione