Senza tentativo di conciliazione il credito dell’avvocato si prescrive comunque (Cass. n. 16439/2012)

Redazione 27/09/12
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Svolgimento del processo

L’avv. B.M.L. aveva difeso F.O. in una causa relativa alla determinazione dell’indennità per la cessione di aree a seguito di esproprio.

Il procedimento era definito con sentenza del Tribunale di Perugia del 20/5/1998 che passava in giudicato nell’anno 1999.

F.O. decedeva l'(omissis) lasciando eredi *******, F.F. e F.P..

Con ricorso del 22/11/2006 L. 13 giugno 1942, n. 794, ex art. 28, l’avv. B. chiedeva al Tribunale di Perugia la liquidazione della parcella per spese, diritti e onorari relativi alla difesa di F.O. e la condanna delle sue eredi F.L. G. e F.F. al relativo pagamento nei limiti delle quote ereditarie di loro spettanza.

All’udienza camerale del 9/2/2007 si costituivano F.L. G. e F.F. depositando comparsa nella quale eccepivano la prescrizione presuntiva del credito del professionista.

Il Tribunale di Perugia si riservava di decidere e, quindi, con ordinanza del 7/3/2007 rigettava il ricorso per intervenuta prescrizione del diritto azionato rilevando;

che il credito azionato riguardava la prestazioni professionali rese dall’avvocato nel procedimento definito con sentenza passata in giudicato nell’anno 1999;

– che da tale data decorreva la prescrizione presuntiva ai sensi dell’art. 2957 c.c., comma 2;

che la successiva procedura esecutiva era indipendente dal giudizio di merito, ormai definito con sentenza passata in giudicato;

che, parimenti non poteva incidere sul termine prescrizionale un successivo giudizio, all’esito del quale il legale aveva già presentato richiesta di pagamento degli onorari con la stessa procedura e per le diverse prestazioni di cui a tale successivo giudizio.

Avverso tale decisione propone ricorso l’avv. B. affidato a tre motivi e deposita memoria. Resistono con controricorso le sorelle F.. All’udienza del 15/3/2012 il processo è stato rinviato per la dichiarazione del difensore della ricorrente di adesione all’astensione dalla udienze proclamata dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana.

Prima dell’odierna udienza la ricorrente ha depositato ulteriore memoria.

Motivi della decisione

Preliminarmente si rileva l’ammissibilità del ricorso avverso il provvedimento impugnato, reso all’esito dello speciale procedimento L. 13 giugno 1942, n. 794, artt. 29 e 30 per la liquidazione degli onorari di avvocato, trattandosi di provvedimento che assume forma e sostanza di ordinanza che, per avere carattere decisorio, in quanto idonea ad incidere direttamente sulle situazioni giuridiche delle parti e per essere espressamente dichiarata non impugnabile con l’appello, è soggetta al ricorso per cassazione ex art. 111 Cost..

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2956 e 2957 c.c. in relazione all’art. 2935 c.c. e della L. n. 794 del 1942, art. 29. La ricorrente sostiene:

a) che il Tribunale non aveva considerato che la lettera 6/11/2006 con la quale le sorelle F. comunicavano di volere trattare personalmente con controparte provava la permanenza del rapporto professionale fino a quel momento;

b) che il Tribunale nell’accogliere l’eccezione di prescrizione, aveva violato gli artt. 2957 e 2935 c.c. non considerando che, perdurando il rapporto professionale, quanto meno fino alla morte del F., la prescrizione non poteva iniziare a decorrere e che la revoca del mandato era intervenuta solo con la lettera del 6/11/2006;

c) che il Tribunale non aveva esperito il tentativo di conciliazione, nel corso del quale essa ricorrente avrebbe potuto provare il riconoscimento del debito. L’illustrazione del motivo si conclude con un quesito diretto a stabilire se il giudice avesse l’obbligo di esperire il tentativo di conciliazione e di liquidare gli onorari in considerazione della permanenza dell’incarico professionale sino alla revoca del mandato o, in ipotesi, sino al decesso del cliente e se si potesse ritenere compiuta la prescrizione triennale dal giorno in cui il credito poteva essere fatto valere verso le eredi, avuto riguardo alla ripetuta interruzione da parte del cliente.

1.1 La censura su a) è infondata, perchè neppure dalle allegazioni difensive circa il contenuto della lettera 6/11/2006 delle eredi (che, in tesi, sarebbe in documento interruttivo della prescrizione) risulta un qualche riconoscimento del debito maturato o la permanenza dello specifico incarico con riferimento alla causa di merito definita con la sentenza del Tribunale di Perugia del 20/5/1998 in giudicato nel 1999; infatti, la dichiarazione delle eredi F., di non volere avvalersi dell’opera del legale, si riferisce a diversa attività professionale oggetto di separata parcella (come rilevato a pag. 3 dell’ordinanza impugnata); il motivo sarebbe altresì inammissibile perchè la questione non è stata proposta davanti al giudice del merito;

Il motivo sub b), relativo al termine dal quale far decorrere la prescrizione è infondato in quanto non coglie la ratio decidendi del provvedimento impugnato secondo la quale ogni procedimento presenta una sua autonomia e il compenso deve essere chiesto al termine di ciascun procedimento; il quesito è incongruo in quanto si fonda sull’erroneo presupposto secondo il quale sarebbero intervenuti riconoscimenti di debito dei quali, invece, non v’è traccia e che non sono stati dedotti davanti al giudice del merito.

Il motivo sub c) è infondato.

Questa Corte ha avuto già occasione di affermare (Cass. 21/2/1995 n. 1875, Cass. 28/8/1997 n. 8169; Cass. 10/5/2006 n. 10713; Cass. 4/11/2010 n. 22463) che l’esperimento del tentativo di conciliazione di cui al R.D. n. 742 del 1942, art. 29 non è obbligatorio e che la sua omissione non costituisce motivo di nullità del procedimento di liquidazione degli onorar di avvocato; a questo orientamento occorre dare continuità, tenuto conto che nessuna sanzione di nullità è espressamente prevista, nè è spiegato come dalla sua omissione avrebbe potuto derivare un concreto pregiudizio per il diritto di difesa.

L’affermazione per la quale nel corso del tentativo di conciliazione si sarebbe potuto provare il riconoscimento del debito confligge con la circostanza che siffatta deduzione difensiva ben avrebbe potuto essere svolta in replica alla memoria depositata dalle intimate.

Ciò premesso, al quesito con il quale si conclude l’illustrazione del motivo deve darsi risposta negativa quanto all’obbligatorietà del tentativo di conciliazione.

Per il resto il quesito è inammissibile in quanto meramente riproduttivo di disposizioni di legge non pertinenti rispetto al caso specifico e alla ratio decidendi dell’impugnata ordinanza per la quale il credito relativo alla causa di cognizione poteva essere fatto valere sin dal passaggio in giudicato della sentenza (1999) e, quindi, la prescrizione era già maturata al tempo del decesso del de cuius ((omissis)), perchè il mandato professionale si era esaurito con il passaggio in giudicato della sentenza e le prestazioni successive, relative alla esecuzione della sentenza e al giudizio di opposizione, formavano oggetto di un diverso mandato (neppure conferito dalle controricorrenti) per il quale era stata promossa altra procedura per la liquidazione.

Con la memoria del 27/12/2012 la ricorrente sostiene che la richiesta di liquidazione aveva ad oggetto non già le competenze della causa principale, ma quelle relative alla fase esecutiva e di opposizione all’esecuzione, ma la deduzione difensiva in questa parte è inammissibile in quanto nel ricorso per cassazione non si era mai dedotto che il Tribunale fosse incorso in un equivoco e che le competenze riguardassero, invece, la fase (esecutiva e oppositiva) successiva al giudizio di merito, ma, anzi, si era affermato che “…l’avv. B.M.L. chiedeva al Tribunale di Perugia la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti giudiziali relativi al processo deciso dallo stesso Tribunale con la predetta sentenza e al successivo precetto, nonchè stragiudiziali inerenti al mandato ricevuto da F.O.” (pag. 2 del ricorso per cassazione).

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 2960 c.c. in relazione all’art. 2739 c.c., la nullità del provvedimento e del procedimento ex artt. 233, 238 e 240 c.p.c. e la mancata rimessione del procedimento al giudice per la formulazione del giuramento ex art. 233 c.p.c.. Nel corpo del motivo si sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto concedere un termine per note alla parte che si assumeva creditrice al fine di consentirle di deferire giuramento decisorio o di chiedere che fosse disposto un giuramento suppletorio e il tale senso formula il relativo quesito.

2.1 Il motivo è totalmente infondato e al quesito (diretto ad accertare se il Tribunale avesse l’obbligo di concedere un termine per deferire il giuramento decisorio o suppletorio) occorre rispondere negativamente per le ragioni che seguono: la stessa ricorrente da atto che all’udienza camerale le intimate avevano depositato una memoria che aveva materialmente ricevuto e nella quale era formulata l’eccezione di prescrizione presuntiva; la stessa ricorrente nel ricorso da atto di avere appreso, in udienza, che era sollevata la suddetta eccezione; pertanto era suo onere chiedere termine per memorie non essendo tenuto il collegio a concedere, di ufficio, un termine non richiesto.

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 88 c.p.c.; sostiene che per ragioni di equità le spese del giudizio avrebbero dovuto essere compensate tenuto conto della natura dell’eccezione e formula quesito diretto a stabilire se la condanna alle spese a carico del creditore nei cui confronti il debitore si sia limitato ad eccepire la prescrizione presuntiva sia illegittima alla stregua dei dettami di cui agli artt. 88, 91 e 92 c.p.c..

3.1 Il motivo è infondato in quanto nella condanna del soccombente al pagamento delle spese di lite non è ravvisabile alcuna violazione delle norme di legge richiamate: non risulta violato l’art. 91 c.p.c. in quanto il Tribunale di Perugia ha applicato proprio l’art. 91 condannando la soccombente la pagamento delle spese; non risulta violato l’art. 92 c.p.c. (nella formulazione vigente anteriormente alla riforma del 2009) in quanto la compensazione delle spese è facoltà discrezionale del giudice il cui mancato esercizio non è sindacabile. Quanto alla violazione dell’art. 88 c.p.c. si osserva che la violazione del dovere di lealtà e probità ivi previsto giustifica, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 1 indipendentemente dalla soccombenza, la condanna della parte, che è venuta meno a tale dovere, al rimborso delle spese processuali che l’altra parte ha dovuto sostenere a causa del comportamento illecito; tuttavia nel caso in esame non è ravvisatane alcuna violazione dell’obbligo di lealtà e probità in quanto, come detto, la ricorrente è stata posta nelle condizioni di difendersi e non può ritenersi sleale il comportamento di chi si avvale di una causa estintiva prevista dall’ordinamento e per la quale, per giunta, occorre presumere che il creditore che ha chiesto il pagamento sia stato, invece, già pagato.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato; le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente.

 

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 1.500.00 oltre Euro 200,00 per oltre spese generali e accessori di legge.

Redazione