Scudo fiscale: non salva il contribuente dalla condanna penale patteggiata per dichiarazione fraudolenta con fatture false (Cass. pen. n. 25931/2013)

Redazione 13/06/13
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RITENUTO IN FATTO

I Il Gip presso il Tribunale di Treviso, con sentenza del 3/5/2012, su concorde richiesta delle parti, ha applicato a carico di E. B. imputato del reato di cui agli artt. 81 cpv  cod. pen., 2, d.Lvo 74/2000, perché, al fine di evadere le imposte si era avvalso di fatture per operazioni inesistenti, in relazione agli anni 2006, 2007, 2008, la pena di euro 9.000,00 di multa.

Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, con i seguenti motivi:

– inosservanza di norma giuridiche delle quali si deve tener conto nella applicazione della legge penale, nonché mancata applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen. in relazione all’art. 13 bis, L. 102/2009.

Il Procuratore ******** presso questa Corte ha inoltrato in atti requisitoria scritta nella quale conclude per la inammissibilità del ricorso.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.

Il vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta l’impugnata sentenza, permette di rilevare che il decidente ha compiutamente assolto all’obbligo di motivazione ex lege impostogli, procedendo ad una succinta descrizione del fatto, con l’affermazione della corretta qualificazione di esso, con il richiamo all’art. 129 cod. proc. pen., escludendo la ricorrenza delle ipotesi previste da detta norma, nonché con la verifica della congruità della pena ai fini e nel limiti de|l’art. 27 Costituzione (Cass. 9/6/2006, ******** ).

Con i motivi di annullamento, formulati in ricorso, la difesa dell’imputato eccepisce la non punibilità dei fatti per essersi il B. avvalso dello scudo fiscale, ex art. 13 bis L. 102/2009, nonché l’erroneo inquadramento della condotta posta in essere dal prevenuto nella ipotesi ex art. 2, d.Lvo 74/2000, anziché in quella di cui all’art. 3 stessa decreto.

Orbene, rilevasi che le censure si palesano manifestamente infondate, in quanto con esse vengono dedotti motivi di merito sull’integrazione della contestata ipotesi di reato, del tutto incompatibili con la richiesta di applicazione della pena dal B. ritualmente e consapevolemente proposta, peraltro richiedenti un accertamento fattuale, precluso in sede di legittimità.

Tenuto, poi, conto della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il B. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.500.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di euro 1.500,00.

Così deciso in Roma il 23/5/2013.

Redazione