Scudo fiscale: le società commerciali non possono beneficiarne (Cass. pen., n. 44003/2013)

Redazione 28/10/13
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Ritenuto in fatto

1. La Procura della Repubblica di Ancona, con provvedimento del 2/2/2012, disponeva una perquisizione in danno di L.P. , all’esito della quale veniva sequestrato numeroso materiale documentale.
Al L. era stato contestata la violazione dell’art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 per avere, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicato nelle dichiarazioni annuali dell’anno 2007, relative a dette imposte, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo ed avere dato disposizioni per il trasferimento all’estero di 7.000.000 di Euro (che rappresentavano parte dei corrispettivo della cessione dell’immobiliare Zeus S.r.l. alla Global Trading S.r.l. di due unità immobiliari).
Il decreto di sequestro probatorio, veniva impugnato dinanzi al Tribunale per il Riesame, che con ordinanza del 2/3/2013 confermava il provvedimento.
2. A seguito di ricorso, la Corte di Cassazione, con sentenza del 13/12/2012 annullava con rinvio l’ordinanza del Tribunale. Osservava la terza sezione di questa Corte che:
– il provvedimento impugnato, non era censurabile nella parte in cui ribadiva la pertinenzialità fra quanto sequestrato ed il reato ipotizzato, sul rilievo che è da considerare palmare il fatto che documentazione attinente a depositi bancari dell’indagato sia “strettamente connessa e necessaria alla prova del reato in contestazione commesso mediante occultamento, tramite giroconti bancari da conti esteri su conti esteri, di proventi percepiti in nero”;
– la motivazione del Tribunale, invece, era carente e generica, nonché elusiva di puntuali obiezioni difensive (nonché delle plurime allegazioni documentali portate alla sua attenzione), laddove aveva solo accennato al tema del rientro dei capitali illecitamente esportati tramite la normativa denominata “scudo fiscale”;
– l’argomentazione che “solo l’effettivo pagamento dell’imposta determina l’effetto invocato”, risultava evasiva a fronte delle obiezioni sollevate circa le modalità probatorie previste per il rientro dei capitali e, soprattutto, a fronte del rilievo che così interpretando la L. n. 102 del 2009, rischiava di vanificarne gli effetti liberatori che le erano propri;
– vero era che, l’assunto difensivo era tutto da dimostrare, ma la disamina passava attraverso un apprezzamento della documentazione prodotta dal ricorrente al Tribunale per il Riesame che, risolvendosi in un accertamento di fatto, non poteva essere svolta in sede di legittimità;
– la apparenza della motivazione del riesame sul punto, costituiva una violazione di legge che imponeva l’annullamento del provvedimento con rinvio al Tribunale di Ancona.
3. Con ordinanza del 19/4/2013 il Tribunale di Ancona rigettava nuovamente l’impugnazione. Osservava il Riesame, dopo avere effettuato una disamina della disciplina dello scudo fiscale prevista dalla legge 102 del 2009 e che in parte richiamava le analoghe disposizioni della legge 409 del 2001, che:
– non poteva essere condivisa l’opinione del P.M., quanto ai limiti soggettivi di operatività dello “scudo”, ed in particolare della causa di non punibilità, che esso non fosse applicabile ai fatti commessi in qualità di amministratore di società di società di capitali; ciò in quanto una corretta interpretazione della normativa, agevolata da circolari della Agenzia delle Entrate, consentiva di ritenere applicabile lo scudo a colui che agiva come “dominus” della società e cioè come azionista di maggioranza o amministratore;
– quanto all’ambito oggettivo di operatività dello scudo, la punibilità era esclusa limitatamente al rimpatrio ed alla regolarizzazione prevista dall’art. 13 bis della legge 102. Ebbene, dagli atti risultava che il L. aveva documentato il rimpatrio per la complessiva somma di Euro 3.870.000, a fronte di un capo di accusa che gli contestava una dichiarazione infedele per Euro 7.000.000. Pertanto la non punibilità non poteva coprire la parte di somma che non risultava scudata.
4. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato lamentando la erronea applicazione della legge e la mancanza assoluta di motivazione in ordine alla non dichiarata improcedibilità, considerato che la somma di cui al capo di imputazione risultava scudata per l’intero, se solo si fossero calcolati gli importi delle somme rimpatriate dagli altri soci della “Zeus s.r.l.”; se ciò fosse stato fatto, si sarebbe accertata la congruenza degli importi scudati rispetto alla somma indicata nell’imputazione.

Considerato in diritto

5. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
5.1. Ai fini del decidere è necessario premettere brevi cenni sulla disciplina del c.d. “Scudo fiscale” introdotta con il d.l. 78 del 2009, conv. in L. 102 del 2009.
La normativa consente il rimpatrio di attività finanziarie e patrimoniali detenute, irregolarmente, fuori dal territorio dello Stato, previo il pagamento di una imposta calcolata in modo percentuale rispetto alla entità del patrimonio scudato. Il rimpatrio si perfeziona con il pagamento dell’imposta e la procedura attivata non può costituire elemento utilizzabile a sfavore del contribuente in sede amministrativa o giudiziaria. In particolare la regolarizzazione esclude la punibilità per i reati di cui agli articoli 4 e 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000, nonché per i reati di cui al decreto-legge n. 429 del 1982, ad eccezione di quelli previsti dall’articolo 4, lettere d) e f), del predetto decreto n. 429, relativamente alla disponibilità delle attività finanziarie dichiarate (cfr. richiamo che la legge 102 effettua nei confronti degli artt. 14 e 15 della legge 409 del 2001).
L’art. 13 della legge disciplina le modalità per il rimpatrio dei capitali ed è articolata in modo tale da garantire l’anonimato del soggetto che effettua lo “scudo”. Infatti l’incarico viene affidato ad intermediari mandatari, i quali effettuano il versamento delle somme dovute alla Banca d’Italia. Il rapporto tra il contribuente e mandatario è documentato da carteggi detenuti esclusivamente da tali soggetti.
5.2. Ciò premesso la tesi sostenuta dal ricorrente nei motivi di impugnazione è che difetta il “fumus commissi delicti” in quanto la somma imponibile evasa dalla “ZEUS” s.r.l. e di cui il L. era amministratore, era stata scudata e, pertanto, i relativi reati non erano punibili. A sostegno di tale tesi, il ricorrente ha disvelato la documentazione relativa alla regolarizzazione di capitali detenuti all’estero e scudati ai sensi della legge 102 sopra richiamata.
Nel provvedimento impugnato il Tribunale ha replicato che l’indagato aveva documentato lo scudo di Euro 3.870.000, pertanto, tenuto conto che la imputazione provvisoria riguardava la complessiva somma di Euro 7.000.000, sussisteva ancora la punibilità del delitto e, quindi, il “fumus”.
A fronte di tali argomentazioni, con i motivi di ricorso, il L. ha censurato che il Riesame non aveva tenuto conto delle somme “scudate” da altri soci della s.r.l. “Zeus”, che andavano ampiamente a colmare la differenza mancante.
5.3. Per rispondere alla doglianza di erronea applicazione della legge, va fatto un chiarimento sulle norme che disciplinano lo “scudo” fiscale.
La possibilità di regolarizzazione delle attività1 finanziarie e patrimoniali detenute fuori del territorio dello Stato è stata prevista nell’art. 13 bis della legge 102 del 2009. Tale norma, per le modalità operative dello “scudo”, al comma 5, richiama gli “articoli 11, 13, 14, 15, 16, 19….. dalla legge 23 novembre 2001, n. 409”, che aveva disciplinato una precedente regolarizzazione.
In particolare l’art. 11 della legge 409, nel delineare l’ambito soggettivo, di applicabilità dello “scudo”, dispone che per “interessati” alla regolarizzazione devono intendersi “…le persone fisiche, gli enti non commerciali, le società semplici e le associazioni equiparate ai sensi dell’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”.
La chiara dizione della norma ha indotto gli interpreti a ritenere che le società commerciali non potessero beneficiare dello “scudo”.
Tale osservazione già basterebbe per ritenere infondate le tesi sostenute dalla difesa del L. .
Va però considerato che con un circolare del 10/10/2009 (nr. 43/E) la Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate ha inteso dare una interpretazione della disposizione precisando che “….. ai soli fini tributari, si ritiene che tale divieto valga con riferimento non solo ai procedimenti direttamente riferibili al contribuente che ha effettuato le operazioni di emersione, ma anche a quelli concernenti soggetti riconducibili al contribuente stesso in qualità di dominus. Pertanto, ad esempio, le operazioni di rimpatrio o di regolarizzazione effettuate dal dominus di una società di capitali non possono essere utilizzate ai fini dell’avvio o nell’ambito di un’attività di controllo fiscale nei confronti della medesima società. Allo stesso modo le operazioni di emersione non determinano accertamenti nei confronti dei soggetti interposti attraverso i quali il contribuente ha detenuto all’estero le attività rimpatriate o regolarizzate….”.
Con tale circolare l’Agenzia delle Entrate ha inteso ampliare l’applicabilità del condono anche alle società commerciali, a condizione che la attività di emersione sia effettuata dal suo “dominus” e cioè da colui il quale ha il concreto dominio e la gestione della società.
Tornando al caso che ci occupa, premesso che le “circolari” non hanno una natura normativa e non possono modificare o interpretare in modo autentico le leggi; premesso ancora l’osservazione che l’estensione dello scudo alle società predicata dalla Agenzia delle Entrate, è limitata “ai soli effetti tributari” (v. pg. 40 cella circolare), anche a volere ritenere giuridicamente operante l’estensione, essa è limitata alle sole operazioni di emersione effettuate dal “dominus” della società.
Ne consegue che correttamente il giudice di merito, nel valutare la non congruenza delle somme emerse rispetto a quelle evase, non ha tenuto conto delle somme scudate da soggetti non “dominus”, ma meri soci della “Zeus” s.r.l. Peraltro, a parte la documentazione dello scudo, tali soggetti non hanno dimostrato la imputazione del rientro di capitali alla società, né la devoluzione delle somme, dopo il rientro, alla società che, è bene ricordarlo, è persona giuridica distinta dai soci che ne costituiscono la compagine.
Al rigetto del ricorso per la infondatezza dei motivi, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione